cultura
Piccola storia (di) Letteraria
di Giuseppe Ciarallo
Un ricordo di Stefano Tassinari attraverso il racconto della sua ultima “creatura”. Che è continuata dopo la sua morte. E non ha intenzione di smettere.
Tra
i miei tanti incontri con Stefano Tassinari ne ricordo uno in
particolare, nel maggio 2008 al Salone Internazionale del Libro
di Torino, presso lo stand di Marco Tropea, l'editore che aveva
appena pubblicato il suo ultimo romanzo Il vento contro.
In quell'occasione Stefano mi disse: “Ti chiamerò
a breve, perché sto tentando di realizzare un progetto
che coinvolga tutti i miei amici scrittori, artisti e intellettuali,
ma non aggiungo altro. Ti farò sapere a tempo debito.”
Non lo sapevo ancora, a quell'epoca, ma Stefano aveva posto
il seme affinché germogliasse quella straordinaria esperienza
che è stata ed è ancora Nuova Rivista Letteraria
– semestrale di letteratura sociale.
Stefano e io ci eravamo incontrati per la prima volta nell'agosto
del 1995 in Sardegna, in quello splendido tratto di costa che
risponde al nome di Cala Sinzias, entrambi ospiti di un campeggio.
Ci eravamo conosciuti dopo esserci “annusati” come
animali in cerca del proprio simile, complice il manifesto
che entrambi leggevamo. Da lì era stato un fiume in piena
di racconti, incentrati principalmente sulla nostra passata
militanza politica negli anni '70, ma anche discorsi su letteratura,
dischi, film. In quella occasione ci scambiammo i nostri rispettivi
libri da poco pubblicati. Il suo, Ai soli distanti, lo
conservo ancor oggi con particolare affetto.
Il 20 settembre del 2008 si tenne, presso una saletta del Bar
La Linea di Bologna, la riunione fondativa della rivista. Oltre
a Stefano, e al sottoscritto, c'erano scrittori che avevo incontrato
solo attraverso le pagine dei loro libri (Bruno Arpaia, Milena
Magnani, Maria Rosa Cutrufelli, Wu Ming 1, Massimo Vaggi, Paolo
Vachino) e altri che avrei imparato a conoscere come straordinari
compagni di viaggio. Del collettivo redazionale facevano parte,
oltre ai citati, Carlo Lucarelli, Massimo Carlotto, Pino Cacucci,
Marcello Fois e molti altri scrittori di primo piano del panorama
letterario contemporaneo.
Stefano espose molto chiaramente il suo progetto di rivista
che, nell'ambito del rinnovamento di una casa editrice dal passato
prestigioso, quale era Editori Riuniti (da poco rilevata con
il suo ricco catalogo e rilanciata da una nuova proprietà)
doveva irrompere nell'asfittico panorama culturale italiano
e riavviare una discussione seria sui grandi temi, una volta
ossatura del dibattito interno alla sinistra (il lavoro, la
giustizia sociale, pubblico e privato, i movimenti antagonisti)
e che da troppo tempo oramai erano stati relegati in soffitta.
Questa irruzione culturale sarebbe dovuta avvenire attraverso
il ritorno a una dimensione collettiva, dopo l'ubriacatura di
narcisistico egotismo esploso nei deleteri anni '80 che non
aveva certo risparmiato ampi settori dell'intellettualità
di sinistra, e che pareva non voler più farsi da parte.
Per questo motivo Letteraria (questo il titolo coralmente
scelto per la rivista) doveva avere un taglio preciso, immediatamente
identificabile, e che decidemmo di riassumere nel sottotitolo:
rivista semestrale di letteratura sociale. “di letteratura”
perché sarebbe stata fatta da scrittori e avrebbe raccontato
di come la letteratura aveva interpretato in passato e stava
affrontando nel presente, le tematiche che avremmo deciso di
affrontare; “sociale” perché noi tutti eravamo
intenzionati a riscoprire percorsi che non fossero quelli individuali
degli anni appena trascorsi e sentivamo l'urgenza di mettere
nuovamente sul tavolo della discussione importanti elementi
quali storia e memoria, conflitto e lavoro, attualità
e cambiamenti di costume nella società contemporanea.
Tutto ciò venne egregiamente raccontato da Stefano nell'editoriale
del numero 1, dall'esplicativo titolo Cercando un altro noi…:
“Come risulta evidente dalla scelta dei temi, non abbiamo
alcuna intenzione di dare un taglio accademico alla rivista,
puntando invece, a rivolgerci al pubblico (relativamente vasto)
dei cosiddetti lettori forti, nonché a quelle persone
magari più interessate al dibattito politico interno
a una sinistra frantumata (e tuttora incapace di esprimere un
vero progetto di trasformazione sociale e di superamento –
da sinistra, appunto, della crisi economica), ma non per questo
insensibili agli stimoli che possono arrivare da chi ha scelto
la letteratura come principale mondo espressivo, da vivere anche
in modo militante, come si diceva un tempo.”
Una particolarità della rivista, composta da una parte
monografica che occupava i 2/3 delle pagine, e da altre rubriche
(Letterature dal mondo, Riflessioni, Ripescaggi – di artisti
ingiustamente caduti nel dimenticatoio) consisteva nel fatto
che un ruolo non secondario era affidato alla sezione iconografica,
fatta di una serie di scatti di un solo o più fotografi,
che doveva rappresentare un racconto a sé stante, del
tutto slegato, o “fuori sincrono”, dai pezzi scritti.
Con
regolarità semestrale
Nel primo numero fanno bella mostra di sé le fotografie di quel grande Maestro dell'immagine che è Mario Dondero, e in copertina campeggia la famosa foto di gruppo degli scrittori del cosiddetto Nouveau Roman, ritratti a Parigi nell'ottobre 1959 davanti alla sede de L'Editions de Minuit, con Samuel Beckett, di profilo, che guarda davanti a sé, pensieroso.
Il numero 1 fu forse il più disomogeneo rispetto a quelli che seguirono; sembrava quasi racchiudere in sé il frastuono armonioso e anarchico di un'orchestra che prova gli strumenti prima che il direttore chieda il silenzio per l'inizio del concerto. Stefano si dimostrò infaticabile nel coordinare il lavoro di un collettivo redazionale che contava una trentina di elementi sparsi, fatta eccezione per il nutrito nucleo bolognese, un po' su tutto il territorio nazionale.
L'esperienza di Letteraria, appena iniziata, rischiò di naufragare dopo l'uscita del secondo numero (parte monografica incentrata sul mondo del lavoro, con sezione iconografica affidata all'ottimo fotografo ferrarese Luca Gavagna): la nuova proprietà della casa editrice che pubblicava la rivista, infatti, non aveva mai pagato grafici e stampatori (gli scrittori e il fotografo partecipavano in puro stile militante offrendo le loro collaborazioni gratuitamente) e non sembrava intenzionata a farlo.
Naturalmente questa era una condizione inaccettabile, una contraddizione di termini per un collettivo che aveva deciso di condurre una battaglia socio-culturale all'interno della sinistra. La rottura fu inevitabile e Stefano, che era il “garante” di quell'operazione, ne soffrì moltissimo. Fortunatamente, a Editori Riuniti subentrò in corsa una giovane casa editrice romana, Alegre, nata nel 2003 sotto forma di società cooperativa giornalistica, e molto attiva nella pubblicazione di libri, riviste e materiali legati al pensiero critico e al lavoro culturale. Tassinari tentò anche un “gentlemen's agreement” con la proprietà di Editori Riuniti per conservare nome e grafica della testata (peraltro ideate all'interno del collettivo redazionale e non dall'editore), ma non ci fu verso, e quindi Letteraria divenne Nuova Rivista Letteraria e la sua numerazione dovette ripartire dal numero 1.
Le traversie parevano non aver lasciato strascichi, il collettivo aveva approvato all'unanimità il cambio di editore, e nel maggio del 2010 vide la luce il nuovo numero 1, con la parte monografica dedicata proprio al “lavoro culturale”, con numerosi omaggi all'opera di Luciano Bianciardi.
Con regolarità semestrale uscirono poi il numero 2, con saggi sul rapporto naturale, ma spesso contrastato, tra sinistra e cultura, e i numeri 3 e 4 che ebbero come tema centrale il populismo/i populismi.
E fin qui tutto fila liscio. Ma dopo l'uscita del quarto numero accade qualcosa di drammatico. Stefano Tassinari, che da circa otto anni combatte strenuamente contro il male incurabile che lo ha colpito, si aggrava improvvisamente e nell'aprile del 2012 si rende necessario il suo ricovero presso l'Hospice di Bentivoglio, tra Bologna e la sua Ferrara dove, circondato dall'affetto di Stefania, la sua compagna, e di tanti amici e compagni, si spegnerà poche settimane dopo, l'8 maggio.
Dalla
parte del torto
Proprio in quei giorni uscì il numero 5 di Nuova
Rivista Letteraria, portato a termine da un comitato ristretto
di redattori, creatosi quasi spontaneamente nel marasma e nel
vuoto che la scomparsa di Stefano aveva lasciato. Pochi giorni
prima della sua morte, la casa editrice Alegre aveva dato alle
stampe Lavoro Vivo, una raccolta di dieci racconti sul
mondo del lavoro e della fabbrica, e Carlo Lucarelli, visibilmente
emozionato, dal palco del Primo Maggio di Piazza di Porta San
Giovanni a Roma aveva letto proprio un estratto del racconto
di Stefano.
Con la morte del suo fondatore e direttore responsabile Nuova
Rivista Letteraria, o Letteraria come tutti continuavamo
a chiamarla, si trovava a un bivio, troppo importante era stato
il ruolo giocato da Stefano che da solo costituiva l'intera
redazione della rivista raccogliendo i pezzi, facendo editing,
titolandoli, scrivendo i “cappelli” e scegliendo
gli “estratti”, sollecitando i ritardatari.
Durante una riunione del collettivo molto affollata, decidemmo
che la pubblicazione della rivista dovesse proseguire, per un
debito verso Stefano ma anche e soprattutto perché con
Letteraria avevamo rimesso in moto un congegno necessario
alla circolazione delle idee in un Paese devastato dal disimpegno
e dal tentativo di azzeramento di ogni pur minima istanza culturale.
Il numero 6 uscì quasi di getto, sulle ali della commozione
per la perdita del nostro compagno, e vide una massiccia partecipazione:
avevamo infatti deciso di dedicare a Stefano Tassinari un intero
numero monografico, per far conoscere al pubblico e raccontare
la figura di un intellettuale, uno scrittore, un poeta, un giornalista,
ma soprattutto un compagno e straordinario agitatore (e aggregatore)
culturale.
Ad oggi, Nuova Rivista Letteraria ha tagliato il traguardo del
suo nono numero (in realtà l'undicesimo), è entrato
nel suo sesto anno d'età e ha la ferma intenzione di
proseguire nel cammino, per Stefano, per noi che la facciamo,
per tutti coloro che pensano sia sempre più necessaria
una molteplicità di voci fuori dal coro e “in direzione
ostinata e contraria”, insomma per i tanti che, citando
Bertolt Brecht, da sempre preferiscono sedere dalla parte del
torto, visto che tutti gli altri posti sono già occupati.
Giuseppe Ciarallo
Ci sono persone la cui vita intera è servita a sviluppare un discorso. E come lo fermi tu un discorso?
di
Milena Magnani
Un'altra
redattrice di Nuova Rivista Letteraria ne ricorda
il fondatore, Stefano Tassinari.
E spiega perché il volo continua.
Nuova
Rivista Letteraria nasce da un'idea di Stefano Tassinari,
scrittore, poeta, drammaturgo, uomo di teatro, che ci
ha lasciato due anni fa.
Qualcuno dice che quando un artista muore la sua immagine
cambi, che la morte crei una linea di demarcazione oltre
la quale un certo discorso artistico non può apparire
altro che testimonianza del passato.
Non vale questo per Stefano Tassinari perché l'atto
del ricordarlo, a due anni dalla morte, innesca un rianimarsi
di freschezza, che è la freschezza del suo discorso,
è la freschezza di ciò che fa sentire in
fondo all'animo l'urgenza di tirare su la testa, e di
fare della propria vita, qualunque essa sia, un manifesto
del rifiuto del qualunquismo, delle derive dell'individualismo
e della banalità.
Il cuore pulsante del lavoro artistico di Stefano Tassinari,
è stato infatti soprattutto questo: mescolare le
istanze della politica, quella politica per cui aveva
occupato le piazze degli anni 70, con i linguaggi più
vari dell'arte, e di farlo in modo tale da interrogare
il suo interlocutore fino al punto da chiedergli di prender
posizione.
Quando ci si sedeva in teatro per assistere a un suo spettacolo,
dove una coralità di attori musicisti fotografi
sviluppavano una narrazione a più linguaggi, ci
si sedeva in realtà nel mondo, ci si trovava immersi
in quella storia che lui con grande abilità era
capace di ricreare e rendere vibrante.
Che lui parlasse dei desaparecidos argentini, dei movimenti
di lotta del ‘68, o che ripercorresse le ricerche
sonore della voce di Demetrio Stratos, quello che succedeva
era che ti sollevava dalla poltrona e non ti riposava
lì, ma più in là, in un altrove che
non era fatto di spazio scenico e teatrale ma era il luogo
di un'interrogazione, il luogo in cui il nostro essere
cittadini veniva messo in discussione dagli ideali che
lui riusciva a risvegliare. Quella “possibilità
di cambiare il mondo”, in cui aveva creduto e che
non intendeva per nessuna ragione abbandonare.
Canti di stagione anime salve
Si definiva comunista Stefano, e spiegava che il comunismo
per lui non era solo un'idea di società che probabilmente
non avremmo mai visto realizzata, ma era anche e soprattutto
uno stile di vita, difficile, che lo faceva stare con
fermezza da una certa parte (quella brechtiana del torto...)
al di là delle contingenze.
Una spinta politica la sua, una passione per la dialettica
che è stata alla base anche di quell'appassionato
laboratorio di confronto che stava dirigendo quando ci
ha lasciato a causa di una difficile malattia, quel laboratorio
che è Nuova Rivista Letteraria e che noi,
collettivo di redattori, abbiamo sentito con grande passione
l'esigenza di continuare.
Riporto qui lo stralcio di una lettera che scrisse nel
2008 di fronte al progetto nascente della rivista: Oggi
la contingenza è la peggiore che io ricordi, eppure
sento che può essere superata, magari grazie alle
“loro” contraddizioni, anche materiali (il
capitalismo finanziario sta esplodendo, e questa è
una buona notizia!). Per questo è importante “fare
comunità”, ragion per cui anche una nuova
rivista può essere uno stimolo importante per non
rinchiudersi in se stessi e per non “dismettere”
certi stili di vita. Stefano Tassinari
È proprio vero che anche dopo un applauso finale,
è possibile chiudere gli occhi e continuare a volare.
Milena Magnani |
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