Rivista Anarchica Online


cultura



SENZA SMETTERE DI ESSERE UN TEATRO
TEATRO COPPOLA TEATRO DEI CITTADINI, STORIA CATANESE DI AUTOGESTIONE


EX UNO
PLURES

Non ci convince che ciascuno di noi debba contribuire ad un'idea più bella, più grande, più alta, per la quale sia nobile sacrificarsi.
Siamo più propensi a credere che ciascuno possa scegliere di dare alla sua esistenza il senso che preferisce, ma siamo convinti che possa farlo veramente solo partendo da una condizione di parità. Siamo innamorati della Libertà, quella che consente a donne e uomini di stare al mondo con dignità, di esserne parte senza costrizioni e violenze, di vivere da cittadini senza il ricatto del bisogno. Non ci interessa la parola vuota e falsa che predica che puoi andare dove vuoi, ma dimentica sempre di dirti con quali scarpe e su quali strade. E proprio in questo sta la nostra scelta.
È da due anni e mezzo che al Teatro Coppola - Teatro dei cittadini sperimentiamo pratiche di libertà senza concessioni alla gerarchia, alla delega, alla burocrazia. Cerchiamo di costruire edifici che esistono solo nella nostra immaginazione e lo facciamo usando tutti quanti gli stessi mattoni.
Non cantiamo vittoria e non innalziamo vessilli. Ci mettiamo la faccia, semplicemente incrociando i nostri sguardi con i vostri.

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DA MAGAZZINO ABBANDONATO A TEATRO COPPOLA

Quando siamo entrati, il Teatro Coppola era soltanto un genius loci, neanche tanto conosciuto in città. Il tempo si era portato via la facciata, distrutta dai bombardamenti, e la memoria collettiva.
Del primo teatro comunale cittadino, inaugurato nel 1881, è rimasta soltanto l'area platea e palchi, diventata un magazzino ricettacolo di polvere e intrallazzi.
Così, quando il 16 dicembre del 2011 alcuni artisti, lavoratori dello spettacolo, semplici cittadini e cittadini semplici hanno occupato quello spazio, lo hanno, in realtà, liberato dall'incuria e dall'oblio.
Sin dal primo momento, sono partiti i lavori: al gruppo degli occupanti si aggiungevano, giorno dopo giorno, decine di cittadini disponibili ad occupare turni di lavoro; ed anche muratori, idraulici, elettricisti della Civita, il quartiere storico e popolare nel quale si trova il Teatro. Particolare cura si è prestata al palcoscenico che è stato realizzato gradatamente. Attualmente la sala dispone di una pedana con boccascena, quinte, fondale, graticcio: è dotata di impianti fonico e luci funzionali alle caratteristiche del locale e alla tipologia degli spettacoli ospitati. Sin dal primo giorno non abbiamo rinunciato a presentare spettacoli ed eventi: al mattino, lavori di rifunzionalizzazione del locale; la sera apertura al pubblico. Ciò ha consentito di mantenere un rapporto vivo e dinamico con la città.
Poiché gli artisti occupanti reclamavano spazi di confronto e di ricerca per le proprie creazioni; poiché i lavoratori occupanti non chiedevano “posti di lavoro” ma rinnovate condizioni del sistema produttivo in ambito culturale e dello spettacolo dal vivo; poiché i cittadini occupanti manifestavano insoddisfazione ed avversità verso le proposte e la gestione della cultura e dello spettacolo da parte del sistema ufficiale; poiché l'occupazione e la restituzione alla cittadinanza di un bene pubblico è, in sé, un atto che sovverte le procedure di compartecipazione con organismi istituzionali; poiché l'aspettativa diffusa e comune era indirizzata verso la ricerca di modelli alternativi estetici, produttivi, distributivi, gestionali, organizzativi; per queste -ed altre- ragioni, l'organizzazione del Teatro non poteva che partire dal criterio di orizzontalità delle relazioni tra individui all'interno di un gruppo operativo.
Scelta obbligata, non solo ideologica.
L'autogestione del/al Teatro Coppola non è un codice ma un metodo sperimentale.
L'assemblea degli occupanti si riunisce ogni settimana ed è aperta a tutti i cittadini che condividono valori e pratiche poste come imprescindibili: l'antiautoritarismo e il rifiuto di strutture gerarchiche; la partecipazione alle decisioni e alle iniziative a titolo individuale; totale indipendenza ed autonomia da partiti, istituzioni, confessioni religiose.
L'assemblea discute ogni aspetto che riguarda la vita del teatro: programmazione, gestione e distribuzione del lavoro per l'attività quotidiana; relazioni con la rete dei teatri occupati; rapporti con la vita cittadina; partecipazione alle lotte e alle fasi di mobilitazione nel territorio (il Coppola è parte attiva del Campo San Teodoro occupato a Librino e del Movimento NO MUOS a Niscemi); prospettive e collocazione del teatro nei diversi contesti culturali; modalità di intervento sui “sistemi” della cultura e dello spettacolo.
L'unità di misura dell'assemblea è l'individuo.
Nei due anni e mezzo di attività del Teatro Coppola, la vita assembleare e il metodo autogestionario hanno attraversato fasi diverse: periodi di grande fermento, di elaborazione, di proposte innovative rivolte alla città; fasi di riflessione e di revisione dei metodi e dei criteri adottati nella programmazione delle attività; anche fasi di stallo (ma noi che le abbiamo vissute, le consideriamo necessarie e produttive).
Il Teatro Coppola è un teatro in marcia.
A coloro che, per inesperienza o per pregiudizio, ritengono che soltanto la frammentazione di ruoli e competenze, l'organizzazione piramidale delle funzioni, le mansioni distinte dalle deliberazioni, producano efficienza, rivolgiamo un invito: venite una sera al Teatro Coppola: troverete che tutto procede con efficienza ed efficacia; troverete che ciascuno svolge il proprio lavoro con naturalezza e rendimento; un lavoro non alienato, perché non trasferito ad altri; perché ciascuno si sente parte di un progetto di cui è parte.
Nella prima fase dell'occupazione/liberazione (primi 3/4 mesi) la programmazione si è basata sull'apporto di spettacoli proposti da artisti della città, siciliani e della penisola: ciò ha anche consentito, attraverso la sottoscrizione degli spettatori, di raccogliere i fondi necessari alla realizzazione delle opere e all'acquisto delle strumentazioni.
Contemporaneamente, si discuteva sui criteri della programmazione della fase successiva; perché frattanto cresceva la tensione degli occupanti verso l'acquisizione di un'identità progettuale ed estetica.
Nella stagione attuale la programmazione è stata preceduta da riflessioni e discussioni in assemblea che hanno portato a scelte mirate: maggiore organizzazione ed organicità dell'attività complessiva; programmazione a lunga scadenza; promozione mensile della programmazione; e, soprattutto, intervento progettuale ed estetico, soggettivo e collettivo, da parte degli occupanti.
Si sono avviati alcuni contenitori tematici e “di tendenza” che consentono di far assumere al Teatro Coppola, oltre ai caratteri già descritti, una connotazione artistica, estetica e politica marcata e “in divenire”.

Nino

Immagini dalla mostra “Nudi Grigi e inquadrati”,
di Maddalena Migliore, da un'idea di Antonio Squeo

MA BISOGNA PROVARE

«Mi suggeriscono recitare strada, polizia mi lascerà, polizia mi lascerà, devo dire ambiente strada moderna non è teatrale, ci corre, cercare mio ambiente, ambiente, le intemperie, le intemperie, teatro portatile, in ogni caso non si prova per la strada, in ogni caso mondo dove tutto basato su danaro e dove danaro o sua assenza impedisce tutto, si deve poter significare che i materiali non hanno prezzo, legno, tela, cibo, attori, che si possono ottenere senza danaro e che si può ripristinare il baratto, la cooperazione delle derrate.
Che occorre insomma? Si può recitare su una piazza se è bel tempo, perché ci vuole spazio, in un hangar, un'officina in disuso o un garage, ma bisogna provare.
Sono pronto a mostrare che non mi serve danaro e che posso farne a meno, mi si dia una casa da abitarci,
il cibo, che ci sia gente che taglia e cuce i vestiti, e una Società nella società, uno Stato nello Stato.»

A. Artaud

È passato poco meno di un secolo dalla rivendicazione di Artaud in forma di poesia, dalla sua manifestazione in versi della necessità di un teatro che fosse differente non solo nella sua poetica (si veda, per questo, Il teatro e il suo doppio), ma anche nel suo aspetto più strettamente pratico: poco meno di un secolo che ha visto il teatro campo di ogni possibile rivoluzione espressiva, ma legato inevitabilmente alle medesime necessità pratiche (e politiche) che attraversavano i versi di Artaud, necessità, oggi più che allora, ignorate se non osteggiate e boicottate. Perché, dalla gestione alla produzione e all'idea stessa di cosa significhi “fare teatro”, nulla muti davvero; perché governino – davvero come uno Stato nello Stato – i nomi, i ruoli, le pratiche, gli strumenti, le strade e le idee già affermati, consolidati, istituzionalizzati; perché ogni angolo di quelle strade sia valutato, autorizzato e concesso da chi di dovere, che gestisce, decide e a volte finge una libertà che è piuttosto un'elargizione che conferma e consolida un ruolo e un'autorità.
Come in Artaud la polizia – o ciò che essa rappresenta – lascerebbe forse che si recitasse in strada. Come in Artaud, però, ciò di cui il teatro ha vera e urgente necessità è solo la possibilità di ricercare e ricercarsi senza condizioni, senza ordine e concessione, di sbagliare irresponsabilmente e irresponsabilmente affrontare il caos della creazione artistica, nel proprio ambiente.
Il Teatro Coppola, per noi, è nato così. Dall'urgenza di ritagliare uno spazio di caos generante in seno al caos svilente di una città e di un Paese sempre più immobili e addomesticati; di far esplodere un'entropia differente da quella distruttiva che ci circonda, un'entropia che sia piuttosto generazione virale, imprudente e imprevedibile, incontenibile e contagiosa; di immaginare un buio che non sia quello dell'incapacità di illuminare o della mancanza di forma e di contenuto, ma l'attimo immobile e cieco nel quale tutto può accadere e che contiene in sé ogni forma e ogni contenuto pronti a detonare.
Perché c'è un buio che è magia. Quello stesso buio che a volte fa paura, altre volte stupisce; altre ancora, non sai bene perché, riscalda. C'è un buio che è quello di quando si spengono tutte le luci, a poco a poco, e il silenzio trabocca, senza che i più se ne accorgano. E allora si riaccendono le luci, ma solo sul palco. Che è un qualunque fazzoletto di spazio entro cui accade qualcosa.
Cominci a guardarti intorno: c'è chi è in attesa, chi si emoziona, chi bisbiglia, chi già dorme quando ancora non è iniziato nulla. Chi segue ogni parola, ogni gesto, chi sorride e chi applaude e chi suda e chi starnutisce e chi si alza e se ne va e chi invece arriva in ritardo. C'è chi piange e chi è indignato e chi ha dimenticato di spegnere il cellulare. Vedi solo ombre, eppure tutto è così nitido che, se guardi bene, rimani a bocca aperta, gli occhi sono sgranati e ogni tanto si sente: “Sshh...”. È il tuffo al cuore che provi prima di buttarti in acqua da uno scoglio alto. Lo stesso tuffo al cuore che provi poco prima di cominciare un'esperienza altra.
Il Coppola non può che essere questo, per noi: c'è una distesa d'acqua immensa, di quelle di cui però non vedi il fondo perché l'acqua è molto scura; eppure sei sicuro del fatto che sia profonda e che se ti butti ti accoglierà. Certo, è possibile che tu ti faccia male entrando in modo sbagliato, ma tanto poi, alla fine, riemergi sempre. E noi lì, sullo scoglio, pronti a prendere tutta l'aria che ci serve.
Fatto. È cominciata così, con un bel respiro in mezzo a polvere e sporcizia del mondo fuori, di quella sporcizia che ti sta appiccicata addosso e non se ne vuole andare. E ci siamo immersi in un mondo altro, pieno anch'esso di sporcizia e polvere, ma di quella polvere che con un colpo di scopa puoi sollevarne parecchia e quando si rideposita la calpesti e non te ne dai più pensiero.
È così che, ad esempio, da qualche mese a questa parte, dal fondo di quel buio e dall'intrico di quella polvere, sta emergendo, per noi della Compagnia GestiColando, il progetto di un'opera che si è fatta l'incarnazione scenica di una nostra urgenza e di una nostra necessità che altro non sono che l'altra faccia delle necessità e delle urgenze che ci hanno condotto alla riapertura e alla riappropriazione di uno spazio come il Coppola. Che di esse, in fondo, sono figlie o piuttosto genitrici. Si tratta di un'esigenza che si è concretizzata nella scelta di un progetto sull'“Erodiade” di Giovanni Testori che debutterà come coproduzione del Teatro Coppola a metà giugno 2014. Un testo e un progetto che cercano di essere la manifestazione fisica di un urlo e di un'implosione di ogni pretesa stabilità, di una bestemmia e di una rivolta contro ogni ordine costituito, di un buio magico e misterioso che è quello che stiamo tentando di mantenere vivo, tutti insieme, dal 16 dicembre 2011.

Adriana, Anna, Davide, Marco, Melissa, Paolo
(Compagnia GestiColando)


Prima di approdare al Teatro Coppola, preparavo l'ennesima fuga, sempre proiettata a cercare soluzioni in un altrove lontano, per sfuggire al mutismo del mio isolamento. Poi il colpo di coda. Fare ammutinamento contro tutto, anche contro me stessa, e partire per un viaggio mentale, una fuga da fermi.
Decisi di recuperare le fila sparse di un progetto mai realizzato, raccontare la storia che avrei voluto ascoltare e far salpare “Stultifera Navis”, un galeone di artisti folli, che da tempo se ne stava ormeggiato nella baia della mia mente.
Quei corsari immaginari chiedevano vita reale, erano diventati un'ossessione, dovevo fotografarli, farli esistere. “Corsari contro corrente, capaci di sognare, e per questo in grado di solcare i mari in tempesta dell'impossibile che diventa possibile, dell'errore che diventa ricchezza, dell'arte come via per creare nuovi modelli di pensiero, azione, socialità”. A bordo di quel galeone che iniziava a prendere forma, approdai al Teatro Coppola e come per incanto quella nave immaginaria sembrò materializzarsi. Ognuno capitano di se stesso, portatore della propria unicità e allo stesso tempo artefice di un destino comune da sperimentare e reinventare creativamente giorno per giorno, mettendosi continuamente in gioco.
E scelsi di non fuggire più, di non correre più da sola, scelsi di restare e rimboccarmi le maniche, di contribuire col mio operato all'esistenza di questo spazio di libertà, per costruire insieme ai miei compagni di viaggio nuove rotte da attraversare e reinventare orizzonti possibili a partire da ciò che non c'è, ma può essere creato.

Maddalena


Non appartengo a questo posto da sempre, ma è come se così fosse. Senza accorgermene, ho iniziato a sentirlo mio in ogni ombrello capovolto, negli accumuli di intonaco lungo i muri, nel buio prima di ogni inizio, in ogni volto di chi questo teatro l'ha voluto, sudato, amato.
Ne ho varcato la soglia senza capire, per molto tempo, l'importanza del mio esservi, mantenendomi distante dall'assumere un ruolo più consapevole: credevo bastasse essere solo un'entusiasta e assidua spettatrice, che bastasse a me, al teatro. D'altronde, nella mia vita ordinaria, non ho mai avvertito la necessità di “occupare” luoghi: stento già a occupare il mio posto nella società e mai avrei pensato di partecipare a un atto simile, troppo distante dalla mia abituale inerzia per appartenermi. Ma frequentando il teatro ho iniziato a capire le ragioni e l'urgenza di questo gesto collettivo chiamato “occupazione” e a condividerle appieno.
Partecipare agli eventi del teatro, respirare il vento di cultura che vi soffia, frequentare le assemblee, ascoltare e discutere delle problematiche connesse alla vita del teatro, collaborare alle iniziative, ai progetti, anche se solo marginalmente, è stata la tappa necessaria per conoscere, riflettere e acquisire maggiore coscienza delle dinamiche e delle ragioni sottese all'occupazione e alla successiva autogestione di questo spazio; è stata l'iniziazione alla mia nuova fede civica che crede fermamente in questo modello di autogestione come all'unico possibile, nonostante le sue imperfezioni. Tanto che oggi non riesco a pensare a uno spazio culturale meglio gestito del Coppola o gestito in modo più democratico ed efficiente. Così come non credo esista una pratica alternativa all'autogestione più valida di quella collaudata qui: una pratica che ha restituito un luogo simbolo della cultura catanese, degradato dall'abbandono e dall'incuria, ai suoi cittadini, facendone un luogo aperto dove la cultura è rinata e vive, in tutte le sue espressioni, liberamente fruita.
Un luogo che nasce dalla forza, dalla determinazione, dal coraggio, dall'impegno e dalla fatica di voler esistere, di affermare l'Arte come unico fine.
L'occasione di questo scritto mi ha indotta a interrogarmi su quali siano gli elementi di debolezza di questa pratica e sebbene istintivamente li percepisca, vivo una fase ancora iniziale che non mi consente di metterli a fuoco con nettezza e che d'altro canto però mi rende ancora immune da quella fisiologica stanchezza che inizia a colpire altri. Pur tuttavia un aspetto sento di poterlo lamentare: l'incapacità del teatro di aggregare nuove forze, di spiegare, motivare e veicolare meglio le sue ragioni, i problemi, le inquietudini che lo animano e che probabilmente hanno come matrice la convinzione, purtroppo smentita, di avere fatto abbastanza per sensibilizzare e informare il pubblico che fruisce del teatro, dando per scontato la conoscenza delle tante tematiche a esso annesse.
L'esperienza di questo luogo mi apparterrà per sempre, ma nel momento in cui si spegneranno le luci in sala e il teatro dovesse chiudere i suoi ombrelli, morirebbero i miei sogni e con essi la speranza nel credere che con le proprie forze è possibile cambiare il mondo.

Alessandra

Produzioni


“JSB - Come Bach”
Lavoro Nero Teatro, 2013


“Furore”
Civita Folk Orchestra, 2013


“Giallo Sapiens”
Shit Brio, 2013


“Erodiade”
Delenda Teatro, 2014


Rassegne

L'ISOLA PLURALE
Cosa raccontano i siciliani.
Cosa hanno raccontato. Come lo fanno e come lo hanno fatto.
Di volta in volta luogo dell'azione o suo strumento, tuffo o attesa, corda pazza o catena, la Sicilia è spazio di “cuntu”, di parole, chiacchiere e sparate.

ALCINEMAMAI
Dedicata al recupero di film mai distribuiti in Italia, spesso vincitori di premi e festival e osannati dalla critica estera, ma ignorati dalla distribuzione nostrana, perché non ritenuti “adatti” al mercato italiano, sempre più piatto e tendente alla mera questione della speculazione economica.


Febbraio 2014, assemblea cittadina

«Il Teatro Coppola è dei Cittadini. Di tutte quelle individualità libere, uniche e irripetibili, che, attraversandolo con le loro complessità e contraddizioni, ne costituiscono la ricchezza da condividere.
Il Teatro Coppola Teatro dei Cittadini rifiuta categoricamente qualunque manifestazione di intolleranza, razzismo, discriminazione sessuale, religiosa o politica. Contro ogni pratica totalitaria, esclusiva e centralista celata dietro i nomi di Fede, Nazione, Partito, Chiesa, Ideologia. Il Teatro Coppola Teatro dei Cittadini si autogoverna tramite un'assemblea laica e antiautoritaria aperta a tutti che, nel rispetto di ognuna delle sue componenti, persegue l'unanimità, non si divide in maggioranza e minoranza, non sottopone le proprie decisioni a votazioni ed è pronta a ridiscuterle in ogni momento.
Il Teatro Coppola Teatro dei Cittadini pratica l'azione diretta come strumento di cittadinanza, solidarietà, partecipazione, creazione e diffusione culturale. Rivendica il diritto di ognuno a organizzarsi per liberare i beni pubblici dall'abbandono delle Amministrazioni, per sottrarli alle speculazioni private e restituirli alla comunità come luoghi di spontaneità sociale e lavorativa.»

Dal retro di copertina di Senza smettere di essere un teatro, pubblicato nel 2012 e scaricabile gratuitamente all'indirizzo www.teatrocoppola.it/senzasmettere.pdf.


16 dicembre 2011, primo giorno di occupazione

Maggio 2013, installazione “Stultifera Navis”
di Maddalena Migliore


PROGRAMMA È IL TRONCHESE

Processato sommariamente dal militantesimo fideista, tacciato di concorrenza sleale dai tenutari della cultura a prestazione, provocato periodicamente dai manutengoli delle amministrazioni comunali, il Teatro Coppola Teatro dei Cittadini resta un laboratorio di libertà fondato sulla reiterazione di un gesto di disubbidienza.
Il catenaccio che da anni teneva chiuso il portone di via Vecchio Bastione 9 lo facciamo saltare ogni giorno.
Quel catenaccio è sempre in agguato e pronto a scattare, è il simbolo del principio di autorità a cui abbiamo scelto di sottrarci come individui e come artisti.
Tutto il nostro percorso di autogestione si fonda sull'uso del tronchese affinché non vengano meno le scelte, l'identità e la riconoscibilità di ognuno.
Solo quando, per stanchezza o distrazione, riponiamo questo splendido arnese corriamo il rischio di divenire i despoti di noi stessi con la scusa di donare la libertà agli altri.
Il tronchese quotidiano genera esperienze inaudite, silenziose e profonde, in uno spazio ancora da scoprire.
E' questione che riguarda la vita e non le rivendicazioni.
Questione del presente e non faccenda del futuro.
E' spazio interiore prima di essere spazio sociale.
Partiti dalle urgenze di una categoria, quella dei lavoratori dell'arte e dello spettacolo, ci siamo subito resi conto che esaurita la vertenza sarebbe scomparsa anche l'urgenza.
L'urgenza non può esaurirsi con l'agibilità concessa dalla macchina amministrativa o con il giusto riconoscimento di un pacchetto di rivendicazioni.
L'urgenza va scandita e rinnovata con il tronchese, esercizio quotidiano e avventura per spazi dove scorre la vita dei singoli e si infrangono le parole d'ordine, dove cultura e socialità si fanno pratica di conflitto e sottrazione all'ubbidienza.

Cesare

Immagini di Premananda Das, Fabio D'Alessandro, Dimitri Di Noto, Maddalena Migliore.