Rivista Anarchica Online



Quel concerto al Camp Nou
per la llibertat

a cura di Alessio Lega


Il 29 giugno nello stadio di Barcellona centomila persone hanno acclamato Lluis Llach, storico cantautore catalano e gli interpreti stranieri che hanno cantato nella loro lingua madre una canzone di Llach. Per l'Italia, c'era il nostro Alessio Lega.


Sono a Barcellona, nello stadio di Camp Nou. Sono qui circondato da alcuni dei miei miti di sempre – Lluis Llach, Maria del Mar Bonnet, Paco Ibanez – da artisti che stimo profondamente – Joan Isaac, Pascal Comelade – da musicisti che non ho la ventura di conoscere, ma che sono curioso di sentire...
Sono qui per cantare una canzone di Lluis Llach: una grossa parte di questo concerto è concepita come un grande omaggio al cantautore che si è ritirato dalle scene qualche anno fa. Da una parte sono impressionato dalla grandezza del palco, dall'immenso afflusso di pubblico (centomila persone...), dall'altra mi sento anche un po' in vacanza, ospitato da questa straordinaria organizzazione per tre giorni per cantare un solo brano... ho un sacco di tempo per curiosare, per riflettere, per chiacchierare, per chiarire a me stesso cosa ci faccio io qui. Questo mondo e questa lingua, per me cresciuto a pane e Omaggio alla Catalogna di Orwell, mi ispirano simpatia e conosco anche tutta la tradizione antifascista, e oggi fieramente antimonarchica, di questo popolo e delle splendide canzoni che ha prodotto. Il profluvio di bandiere e gli slogan nazionalisti d'altronde non appartengono al mio modo di manifestare...

Lluis Llach e Alessio Lega

Mi sono preparato due righe – rigorosamente tradotte in catalano – per introdurre la mia performance: “Nel 1938 i fascisti del mio paese hanno bombardato questo paese e questa città. Però qui c'erano anche molti italiani venuti a difendere la libertà in nome dell'internazionalismo e dell'anarchia. Per quell'antico patto io sono qui oggi a cantare una canzone di Lluis Llach, dedicata alla rivoluzione portoghese e ad ogni lotta per la libertà”.
Al di là della mia rivendicazione di appartenenza, la presenza fisica mi permette di interrogarmi, coi miei colleghi, sul senso di questo raduno e del lavoro che stiamo facendo, sul senso che prende la canzone e la musica in una terra per la quale la canzone e la musica sono stati fondamentali elementi di risveglio delle coscienze. Lluis è gentilissimo, ed è attento a ogni interprete dei suoi brani, ma non apparendo più sovente in pubblico è sollecitato da mille parti, risponde a decine di domande, e non ha il tempo materiale di soffermarsi. Paco Ibanez passa rapidamente e c'è solo il tempo di un abbraccio. Con Joan Isaac invece scambiamo quattro chiacchiere.

Alessio. Ho poche domande da farti, ma difficili...
Joan
. Bene... mi piacciono le domande difficili.

Alessio. Sono domande che faccio per ragionare ad alta voce, fra compagni.
Tu oggi canterai A Margalida. È una canzone che rievoca la figura di Salvador Puig Antich, l'anarchico garrotato nel '74 dal regime fascista. Era una canzone su un personaggio difficile, scritta in una lingua osteggiata, in anni ancora incerti.
Joan
. A Margalida è una canzone che ho composto 4 anni dopo l'esecuzione di Puig Antich, ed è una canzone vera, nel senso che davvero era dedicata alla sua compagna, non è una finzione letteraria. Conoscevo lei e il suo volto. Per quelle magie strane che ci sono a volte, per virtù del passaparola è diventato un inno, un inno che mi è scappato di mano! Non è certo una canzone sulla quale i discografici puntassero, ma anch'io non mi sarei aspettato che diventasse un inno contro la pena di morte e il fascismo. Ne sono felice, ma questa canzone è diventata un inno senza che io vi pensassi. Non è una canzone rivoluzionaria, programmaticamente anarchica. È una canzone che parla della compagna di un anarchico, in un tempo in cui si rischiava la vita per le proprie idee.

Alessio. Fa parte di quelle canzoni d'amore diventate canzoni rivoluzionarie, come l'inno della Comune di Parigi del 1871 Le temps des cerises.
Joan
. Si possono fare canzoni politiche molto dirette, a volte invece c'è solo la fortuna di trovare le parole giuste. E non è detto che uno se ne accorga: questa canzone l'ho fatta in un'ora e mezza, non ero nemmeno sicuro di registrarla. Sono andato in studio e ho detto «ho fatto questa canzone», mi hanno risposto «bella, la mettiamo nel disco».

Alessio. Questa canzone stai per cantarla di fronte a centomila persone, venute a rivendicare il loro diritto all'autodeterminazione in quanto catalani. Pensi che se fosse vivo Salvador sarebbe qui? Per un anarchico ha senso esserci oggi? Perché la sua memoria va difesa anche qui?
Joan
. In effetti questa è proprio una domanda difficile. Salvador oggi qui probabilmente non ci sarebbe. Ma tutto quello che sta succedendo ora, e che si specchia in questa partecipazione, in questo stadio pieno, viene da quella lotta. La memoria di un anarchico come Salvador, che cercava la libertà, che cercava un mondo sena frontiere, senza catene, è parte integrante di questa lotta che ci ha portato fin qui. Nessuno oggi può continuare a dirci ciò che dobbiamo essere. Noi sappiamo perfettamente ciò che vogliamo essere.

Alessio. Qui c'è la storia di una lotta contro l'oppressione, a partire da una lingua che era proibita. Però le lotte di rivendicazione, di autodeterminazione, servono se costruiscono una consapevolezza dentro di noi. In Italia c'è per esempio una grande lotta contro i treni ad alta velocità. A questa lotta magari partecipa anche gente che non è per niente anarchica, ma che attraverso quella lotta si avvicina a una consapevolezza libertaria.
Joan
. Questo equilibrio fra consapevolezza interiore e libertà sociale è un po' come la magia delle canzoni, che fanno un discorso sociale parlando al cuore. L'arte ha senso se provoca emozioni, altrimenti diventa come la musica che si sente nella sala d'attesa del dentista. Questa notte qui c'è una grande magia, un collegamento fra le canzoni, un paese e la libertà che cerchiamo.

Joan fugge sul palco, perché è l'ora della sua esibizione. Resto a scambiare qualche chiacchiera con un grande clown musicale, il fantasista dei suoni Pascal Comelade, noto anche in Italia per le sue collaborazioni con Vinicio Capossela. Pascal è il mago degli strumenti giocattolo, qui si è esibito accompagnando un poeta catalano contemporaneo Enric Casasses.

Alessio. Qui si parlano molte parole, parole pronunciate in una lingua che è già una rivendicazione.
Pascal
. È una collaborazione che ho con Enric già dal 1985. Il fatto di recitare poesie, magari in osteria o in strada, in Catalogna è una tradizione antica che ancora resiste, in Francia – il paese in cui vivo – invece è una cosa che non esiste affatto. Abbiamo cominciato per caso, e abbiamo finito per farlo ovunque: è il lusso che ci prendiamo, oggi anche in questo stadio. È un lusso perché è una cosa così arcaica e fuori dagli schemi che possiamo farla ovunque, strada, festival, bar, teatro: qualcosa di diretto, spontaneo e che è facile far arrivare al pubblico.

Alessio. E la tua musica che parte ha in questo spettacolo.
Pascal
. Non è uno spettacolo, non è uno show, non risponde nemmeno alle più minimali regole della scena. È qualcosa di semplice, di basilare. La forma più umana di praticare qualcosa che è musica e poesia assieme, ma non è né canzone né teatro, né niente, comunicazione allo stato puro. Per tutta la mia vita non ho mai cercato uno status riconoscibile di musicista: io non so né leggere né scrivere la musica.

Alessio. In effetti quello che fai anche nei tuoi dischi è una sorta di eterno gioco con strumenti e giocattoli veri e propri.
Pascal
. Ho quasi sessant'anni. La mia cultura è la pratica musicale degli anni '60: la radio e il ballo in strada, il ballo popolare. Questo è tutto: la radio e il ballo, non i dischi né i concerti. È questo che ha dato le basi per ciò che poi ho fatto tutta la vita, una specie di musica popolare che non ha dogmi né teorie. Nessuna intellettualizzazione possibile, nemmeno quella degli strumenti giocattolo o del recupero del rumore. Sono un musicista popolare che è in un situazione paradossale, perché qualcuno considera quello che io faccio come una sorta di avanguardia. Ma non è così, la mia sola cultura è il vecchio Rock and roll, la vecchia canzone italiana: sono un grande fan di Renato Carosone. Roba semplice...

Alessio. Fare queste cose “semplici” è una scelta controcorrente?
Pascal
. No, perché io le faccio da 40 anni. 40 anni in cui ho rifiutato ogni postura musicale riconoscibile. Io sono e resto un tipo dell'Underground che non ha nessuna intenzione di emergere alla superficie, quella è la mia famiglia.
Qualche anno fa la stampa ha cominciato a parlare di me come se fossi al mio primo disco, al mio primo concerto, ma è un malinteso. Amo lo spettacolo: il cabaret, il concerto, ma non è il mio ambiente, io mi sento molto più Punk, molto più Punk, io mi sento fermo al 1974, al '75.

Alessio. Ma sei contento dei tuoi dischi, del tuo improvvisare con ogni sorta di suono?
Pascal
. Ho passato la vita a cercare qualche cosa che mi possa appartenere, ma solo nel Caos ho trovato la felicità, il Caos è l'unica forma che non mi provoca nessun problema.

Alessio. E lo hai trovato una volta per tutte questo Caos felice?
Pascal
. Il Caos non è una cosa immobile, bisogna cercarlo tutto il tempo.

Alessio. Ti diverti anche con le parole? Quelle dei cantanti, dei poeti che accompagni...
Pascal
. Io capisco le parole solo in relazione al piacere o al senso dell'humour, se no le parole non mi interessano. I discorsi intellettuali non mi interessano, anzi diffido proprio degli artisti snob.
L'arte alla quale mi sento più affine è il fumetto. Io considero i fumetti il sommo grado dell'arte moderna... tutti, da Mandrake fino a Charles Burns, da Krazy Kat a Hugo Pratt, mi piace tutto. Per chiudere la questione ti dirò che ho due amici musicisti – gli stessi da 40 anni – in compenso ho 150 amici fumettisti! Sono le persone che conoscono meglio la musica, che la capiscono meglio, molto meglio dei musicisti.

Divertito e sconfitto dall'autismo di questo serissimo giocoliere, afferro una birra dal grande frigo del catering, installato nei sotterranei del Camp Nou, e mi vado a sedere in un canto. Affianco a me, timidissima e splendida, con una gentilezza sovrana impressa nello sguardo, sta una delle massime interpreti al mondo: Maria del Mar Bonet. Con una certa fatica, vincendo a mia volta la soggezione, le rivolgo la parola.

Alessio. Maria, tu vieni da un posto del Paese Catalano che è l'isola di Mallorca, un ecosistema ancora più fragile, luogo di grande vocazione turistica, ma anche scrigno di grandi tradizioni culturali, che con la tua voce hai reso celebri nel mondo. Nella società massificata, dove la cultura è un prodotto generalista da supermercato, il piccolo prende sempre più importanza.
Maria
. Per me il piccolo è universale. Tutte le cose più piccole sono le più universali che esistano. Per me è sempre stato così, non solo ora.

Alessio. Tu hai anche cantato molti versi dei poeti, che nell'industria culturale moderna non trovano più collocazioni.
Maria
. Moltissimi poeti: è la parte più importante del mio lavoro. La poesia è la scienza alchemica della letteratura. Un buon poeta è il miglior scrittore possibile, anche di canzoni. Io credo che i poeti non mentano mai, dicono sempre la verità.

Alessio. Tu aiuti questi poeti a uscire dai libri e arrivare per le strade nelle orecchie della gente.
Maria
. Si, può darsi... ma non può bastarmi: io spero con le mie canzoni di spingere la gente a leggere più poesie, a prendere i libri di poesia. Non basta ascoltare, bisogna vivere la poesia. Così attraverso i dischi, ma soprattutto i libri, la poesia deve entrare in ogni casa. Solo così la poesia può aiutare le persone in ogni senso. Bisogna sempre vivere con la poesia, è l'unica cosa che da soluzioni alla nostra vita, al nostro pensiero, alla nostra spiritualità, mettendo in comunicazione la nostra geografia e il nostro universo.

Alessio. Ed è nel canto che tu trovi un equilibrio che tiene assieme parole e la musica, mentre oggi le parole sembrano un po' nascondersi dietro la musica più violenta.
Maria
. Se la musica non aiuta le parole è la fine della canzone.

Alessio. Ti senti una sorta di ambasciatrice degli ultimi poeti in canzone?
Maria
. Sono solo una persona che ama molto la poesia.

Alessio. Spesso hai lavorato anche sulle canzoni popolari della tua terra.
Maria
. Nella musica popolare c'è una grandissima poesia, ho sempre trovato nelle canzoni popolari che ho cantato poeti giganteschi... solo che questi poeti popolari sono anonimi.

Alessio Lega
alessiolegaconcerti@gmail.com