| etica 
 Non volere (il) potere 
 di Philippe Godard 
 
 Sfuggire allo sciagurato incontro con il potere. E alla servitù volontaria.Osservazioni e proposte di un insegnante francese.
 Le società in cui viviamo 
                  attraversano un periodo di completa, radicale trasformazione. 
                  Le radici stesse del Potere mutano continuamente perché 
                  il potere cambia luogo, o luoghi. Dal Potere degli Stati – 
                  controllati, secondo la pretesa di alcuni, dai popoli che ne 
                  eleggevano i rappresentanti – si è passati al Potere 
                  degli oligarchi, dei finanzieri o dei guru globali delle grandi 
                  compagnie private, da Brin et Page a Carlos Ghosn, da Google 
                  a Renault-Nissan, da Goldman Sachs a Hsbc. La Silicon Valley 
                  o il Googleplex non sono solo centri mondiali in cui viene plasmata 
                  la nostra nuova vita quotidiana: sono innanzitutto roccaforti, 
                  ora coalizzate ora nemiche tra loro, che si contendono il potere 
                  globale.
 Questo accade proprio mentre noi rinunciamo a pensare il dialogo 
                  tra il Potere e il nostro (semplice) volere. Abdichiamo perché, 
                  in ordine sparso, “i partiti politici non servono più 
                  a niente”, “la sinistra è uguale alla destra”, 
                  “alla fine dei conti è la finanza che domina il 
                  mondo” e altre banalità – non per questo 
                  meno vere, in gran parte. Il Potere non è forse sempre 
                  stato oppressore della nostra volontà? E non lo è 
                  ancor più nell'era delle apparecchiature digitali fantascientifiche, 
                  dotate di algoritmi che scelgono per noi il nostro consorte, 
                  la prossima vettura da acquistare e persino l'aperitivo che 
                  berremo la sera al bar Sport con gli amici? Ormai, il Potere 
                  s'insinua nel profondo della nostra capacità di operare 
                  scelte, sia quelle minime sia quelle decisive per la nostra 
                  vita – o “un'altra vita”?
 A proposito di quel Potere che sta sopra di noi, La Boétie 
                  afferma che ciascuno vuole sottomettersi ad esso, dato 
                  che la nostra condizione di servitù è volontaria. 
                  Volontaria, in quanto solo noi abbiamo la facoltà di 
                  rifiutarla. Volontaria per nostra non-volontà di fare 
                  altrimenti, di avere il coraggio, la forza o la pazienza di 
                  liberarci, di lavorare alla nostra liberazione – come 
                  se potesse esistere nella vita qualcosa di più esaltante 
                  che pensare la nostra emancipazione e lavorare per realizzarla.
 Il potere di oppormi al Potere  Tutti noi, come singoli individui, abbiamo lo straordinario 
                  potere di rifiutare questa servitù: sappiamo fin troppo 
                  bene che qualsiasi “liberazione” venuta dall'alto 
                  è sempre uno stratagemma di qualche nuovo Potere pronto 
                  a commettere qualunque infamia per fondare una nuova legittimità, 
                  facendoci credere che vuole solo il nostro bene.Che dire invece di quel semplice potere, con la minuscola, che 
                  è l'essenza della nostra liberazione individuale: ho 
                  il potere di sfuggire, di restare ai margini, diventare antagonista 
                  del Potere. Ho (sempre?) il potere di oppormi al Potere. Io 
                  in prima persona ho questo potere per me solo, e ciascuno per 
                  se stesso, dal momento che rifiutiamo in toto i messia della 
                  liberazione dall'alto, che siano teorici di partito o guru religiosi. 
                  Il fatto che questo potere con la minuscola – eppure dagli 
                  effetti infiniti – ci appartenga è solo un'illusione? 
                  Suprema menzogna della servitù volontaria che nasconde 
                  a se stessa la difficoltà di (soprav)vivere nel mondo 
                  del Potere? O piuttosto, di sotto-vivere.
 Questa è la posta in gioco del Potere e dei nostri poteri 
                  minuscoli in un mondo che ormai si pensa come globale, che lo 
                  è realmente e che nell'arco di pochi anni ha completamente 
                  ribaltato i rapporti tra gli individui – esseri che ci 
                  si ostina a chiamare umani nonostante questa nuova dimensione 
                  del Potere li renda senz'altro a-umani, persino quasi trans-umani, 
                  o comunque “umano-globali”.
 Cosa ne è del nostro volere?
 È impossibile che La Boétie abbia indicato un 
                  vicolo cieco: che la nostra servitù sia volontaria è 
                  certo, ma dal momento che anche lui se ne è reso conto, 
                  ci deve essere anche altro, qualcosa che consenta per lo meno 
                  di analizzare la condizione di servitù che viviamo e 
                  che vogliamo.
 Infatti, dire che la servitù deriva da noi stessi e dalla 
                  nostra volontà è una cosa, ma affermare che la 
                  nostra sola volontà sia quella di costruire noi stessi 
                  nella servitù e provarne compiacimento è un'altra. 
                  La nostra volontà va ben oltre la servitù. Contraddizione? 
                  Come si può mettere una mano fuori dalla prigione e pensare 
                  che in questo modo ci si possa ritrovare liberi pur restando 
                  prigionieri? Rimarrebbero comunque gli aspetti determinanti: 
                  volontaria la servitù e vani tutti i tentativi di emancipazione 
                  perché il muro è invalicabile in quanto muro di 
                  prigione – proprio ciò che noi vogliamo che sia.
 [...]
 Perché giustamente la politica non si riduce al Potere 
                  e alla sua conquista. E se Google, Goldman Sachs gli altri se 
                  lo contendono, lo contendono agli stati, alla polizia e agli 
                  eserciti, non è detto che uno o alcuni di loro riescano 
                  a vincere la battaglia e nemmeno che l'eventuale nuovo Reich 
                  riesca a imporsi come partito per i secoli a venire, come è 
                  nelle speranze di qualsiasi Reich. Soprattutto se, rispetto 
                  a loro e all'opposto di loro, anche noi cambiassimo radicalmente 
                  il nostro modo di considerare il potere con la minuscola – 
                  il potere che abbiamo noi sulle nostre vite – e facessimo 
                  politica alla nostra maniera, che di certo sarà diversa 
                  dalla loro.
 Tutto si gioca proprio nel nostro modo di agire, di essere ai 
                  margini del loro consenso, di far valere le nostre 
                  volontà con la minuscola contro il loro Potere dalla 
                  maiuscola beffarda. La maiuscola è anche il segno della 
                  loro debolezza e la nostra via di fuga.
 Nella conquista del Potere si intuisce una certa pesantezza 
                  – quella che aggrava il fardello degli oppressi, che finiscono 
                  per volere la loro servitù e renderla così meno 
                  soffocante proprio perché accettata. La natura di questa 
                  pesantezza è cambiata tra il novecento e l'inizio del 
                  nuovo millennio.
 Equivaleva, in precedenza, a pesantezza burocratica, al castello 
                  kafkiano e ai big brothers, commisti a dirigenti ubueschi. 
                  Ora la ritroviamo volteggiare come una piuma, pensiero statistico 
                  e strategico insieme, tutta algoritmi che non abbiamo più 
                  nemmeno il tempo di stare a seguire. Una pesantezza leggera, 
                  se così si può dire – un ossimoro che ben 
                  potrebbe caratterizzare il nostro mondo, così come, nel 
                  maelstrom digitale, il testo si trova ad avere uno “statuto 
                  dinamico” (Raffaele Simone, Presi nella rete. La mente 
                  ai tempi del web, Garzanti Libri, 2012), altro ossimoro 
                  perfettamente sintomatico della propensione di quel potere alla 
                  menzogna e alla sua correzione con un'altra menzogna. Ogni nuova 
                  menzogna dei politici è l'ammissione della loro precedente 
                  menzogna.
 [...]
 Verso mondi utopici  Emerge una nuova dialettica tra il Potere e il nostro volere 
                  di singoli individui, a cui il Potere non ha nemmeno avuto tempo 
                  di pensare. Nella sua logica, la soluzione è l'algoritmo: 
                  con la sua applicazione universale e tramite la previsione di 
                  ogni nostro minimo gesto e desiderio verrebbe costruita una 
                  nuova prigione, nella quale entreremmo consenzienti, come sempre 
                  è accaduto dai tempi di La Boétie – e anche 
                  da molto prima.Perché pensare al Potere in questi termini? Perché 
                  lasciare al Potere il potere di analizzarci, di avverare i nostri 
                  desideri – che all'improvviso non sono più i nostri?
 Non abbiamo più alcun potere, e da tempo: abbiamo solo 
                  singole volontà. Il Potere era, è e rimarrà 
                  menzogna. È servitù volontaria. Consiste nella 
                  nostra facoltà di dire “Io posso” quando 
                  dovremmo dire invece “Il Potere vuole per me ciò 
                  che io posso” – e mi costruisco un'apparenza di 
                  autonomia dichiarando che sono io il soggetto che “può” 
                  mentre è il Potere a darmene la facoltà.
 Non possiamo sfuggire al consenso: noi vogliamo sfuggirgli, 
                  e sta solo a noi riuscire a farlo e lasciarlo là, il 
                  consenso, a bocca aperta, senza di noi, in disparte, e noi nella 
                  zona di margine piena di vita e del nostro volere individuale, 
                  con la minuscola ma infinito. Non è, non è più, 
                  non è forse mai stata una questione di potere. Basterà 
                  un semplice volere.
 Il volere parte dai margini – al di fuori del consenso, 
                  ovviamente, dal momento che nel consenso non esiste più, 
                  oggi, alcuna libertà (o meglio, esiste una sola libertà, 
                  quella di aderire al consenso, di essere completamente felici 
                  e soddisfatti della propria servitù volontaria, il che 
                  è né più né meno che la storia degli 
                  ultimi millenni, da quando esiste lo stato, da quando le religioni 
                  ci abbrutiscono). L'unica volontà possibile all'interno 
                  del consenso è senza dubbio quella di cui parla La Boétie: 
                  voler essere servi.
 Dal momento che quello che vogliamo noi – per noi e per 
                  gli altri – non è la presa di potere ma qualcosa 
                  di diverso, allora il nostro volere sarà in continua 
                  tensione. Verso mondi utopici.
  Philippe Godardtraduzione dal francese di Federica Galuppini
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