Rivista Anarchica Online



San Lorenzo del Vallo (Cosenza)/
La giunta fantasma

I nativi americani hanno da sempre un gran rispetto per la natura, tanto che un loro famoso proverbio recita così: “Uomini bianchi morirete sepolti sotto i vostri stessi rifiuti”! È ciò che sta succedendo a San Lorenzo del Vallo.
Qualche giorno fa mi sono deciso di fare un giro in bici con l'intenzione di respirare un po' di aria pura e di gustarmi l'aspetto paesaggistico del nostro paese. Invece, pedalando pedalando, ecco cosa vedono i miei occhi: immondizia dappertutto. Allora “armato” di macchina fotografica ho documentato lo scempio paesano (non si sa mai che a qualcuno, che ha indebitato il comune con le spese legali, non saltasse in mente di inoltrare la solita denuncia). Immondizia sparsa ovunque: in via Carmelitani, via Piave (soprattutto in vicinanza delle scuole), sulla strada che porta in località Cassiani, contrada Ciccarello, contrada Fischia, località Cimitero, Serralto, eccetera.
Sorgente Fischia: luogo noto al pubblico per le sue acque limpide e pulite. Ormai è diventata una discarica abusiva e la gente evita di fermarsi a riempire le bottiglie, poiché l'acqua è quasi sicuramente inquinata dai batteri che si sprigionano dai rifiuti.
Da notare che il sottoscritto ha più volte sollecitato il problema alla polizia municipale, sollecito a quanto pare caduto nel solito disinteresse.
Località Ciccarello: qui insiste una discarica abusiva storica che è diventata ormai di entità mastodontica, molto pericolosa per l'ambiente e per la salute. È un luogo storico perché molti anni fa era attiva una fontana e nelle vicinanze vi è un monumento cattolico. Qualche decina di anni addietro si svolgeva una tradizione molto bella: “Il battesimo dei pupuli”, attraverso la quale, fin da bambini i nostri padri e le nostre madri ci insegnavano l'amore e il rispetto che bisogna avere gli uni con gli altri attraverso i valori della fratellanza e dell'amicizia.
Da luogo simbolo della fratellanza oggi è diventato un luogo di vergogna e di degrado ambientale: cumuli di immondizia, roghi, eccetera.
Un altro aspetto molto pericoloso per la salute dei cittadini è rappresentato dall'elettromagnetismo. Su tutto il nostro territorio (San Lorenzo, Tarsia, Terranova e Spezzano), si contano almeno trenta antenne di telefonia mobile che fanno di questo territorio, forse, il più inquinato della Calabria. A San Lorenzo ne abbiamo due (una al cimitero su suolo pubblico) l'altra in località Ciccarello (su suolo privato); inoltre ci sono le antenne di Serralto (quattro) e il mostro Telecom a Spezzano.
L'antenna del cimitero rappresenta oggi il simbolo del degrado ambientale e sociale che vive il paese.
L'amministrazione Trioli una decina d'anni fa aveva concesso alla Wind l'autorizzazione a impiantare l'antenna, mentre la giunta Marranghello, qualche mese fa, ha completato l'opera di distruzione ambientale rinnovando il contratto. Quell'antenna non è pericolosa solo a causa dell'elettromagnetismo e perché è ubicata a poche centinaia di metri dal centro abitato, ma rappresenta un'offesa al decoro e ai luoghi sacri. Il problema della raccolta dei rifiuti solidi urbani è un problema regionale ma il cittadino si chiede: “Io pago le tasse al mio omune ed è il mio comune che deve provvedere a risolvere il problema”.
Come viene smaltita la raccolta dei rifiuti? La differenziata, l'umido e il riciclaggio sono svolti regolarmente? Perché la gente getta l'immondizia per le strade e nelle campagne? Ecco, sono tutte domande che necessitano di una risposta. Intanto nel nostro paese e nel nostro territorio si continua a morire nell'indifferenza generale. Quante volte abbiamo letto sui giornali che sindaci, medici, politici, associazioni, comitati hanno lanciato l'allarme sull'inquinamento ambientale per l'aumento esagerato della percentuale di tumori presenti nelle popolazioni? Perché le amministrazioni comunali sono assenti rispetto a queste problematiche? Il problema dell'immondizia sparsa nelle strade e nelle campagne, le discariche abusive, i roghi di rifiuti non provocano una grave situazione igienico-sanitaria che mette in pericolo la salute e addirittura la vita dei cittadini? Le forze politiche presenti sul territorio non dovrebbero uscire allo scoperto gridando tutta la loro rabbia? Il paese è lacerato socialmente e politicamente e accetta passivamente tutte le decisioni di un'amministrazione fantasma che decreta il proprio fallimento giorno per giorno, prendendo decisioni inutili e dannose per la comunità. Il paese vive un silenzio assordante. E come se fosse offeso da questo sindaco e da questi amministratori incapaci e incompetenti.

Vincenzo Giordano



Amburgo/
Quei pirati sono dei tifosi

Il covo dei pirati esiste ancora! Ma se volete trovarlo dimenticate acque cristalline e spiagge caraibiche: oggi il Jolly Roger sventola in un caratteristico quartiere di Amburgo.
Il quartiere di St. Pauli si trova ad ovest del centro della città, è affacciato sul fiume Elba, in prossimità del porto. Conosciuto per i “St.Pauli-Landungsbrücken”, i pontili di St. Pauli, che raggiungono una lunghezza complessiva di 700 metri.
Nel quartiere si trova l'entrata del Alter Elbtunnel, un tunnel che passa sotto al fiume Elba e che con i suoi 426 metri attraversa nel sottosuolo l'estuario del fiume europeo.
Come tutte le città portuali ha da sempre ospitato marinai di diverse nazionalità che spendevano il loro tempo a zonzo nel quartiere per spassarsela prima che la loro nave venisse caricata e riprendesse il largo; per questo il quartiere vanta una fama di centro di divertimento e una delle strade più conosciute è Reeperbahn, la celebre via a luci rosse.
La popolazione era perlopiù formata da operai portuali e le condizioni di povertà che la caratterizzavano si sono protratte fino agli anni '70. Oggi sono molti gli studenti che vivono a St. Pauli, attirati soprattutto dagli affitti bassi, consentendo al quartiere di mantenere una certa vivacità intellettuale. A pochi passi da Reeperbahn si trova un'area cittadina chiamata Heiligengeistfeld, famosa per il suo luna park che si tiene tre volte l'anno per una durata complessiva di sei mesi; all'interno di quest'area sorge il Millerntor-Stadion.
È proprio qui che ogni due settimana i pirati vanno all'arrembaggio.

Amburgo (Germania), il Jolly Rogers

Il club del St. Pauli nasce nel 1910, ma la vera svolta avviene negli anni '80. In questi anni la sede dello stadio viene trasferita nella zona del porto. Inoltre, in seguito alla recessione, molti abitanti del quartiere si trasferirono in zone meno povere della città, fu così che squatter, punk e artisti occuparono le numerose abitazioni abbandonate.
Ben presto lo stadio divenne un luogo di ritrovo per gli abitanti del quartiere che iniziarono a sostenere la squadra di calcio del St. Pauli sventolando il Jolly Roger, la bandiera con teschio e ossa incrociate.
La leggenda vuole che il vessillo dei pirati fu adottato dalla tifoseria in seguito a uno scherzo fatto ai giocatori per mano di un gruppo di squatter; da allora la bandiera nera non ha mai smesso di sventolare non solo allo stadio, ma anche per le vie del quartiere.
La prima azione del club e della tifoseria è quella di chiudere le porte dello stadio ai “tifosi” di estrema destra.
Il fascismo, il razzismo e il sessismo non sono ammesse né all'interno dello stadio né per le vie del quartiere dove su un grande muro è possibile ammirare un graffito che riporta la frase: “Kein mensch ist illegal”, “Nessun uomo è illegale”. Quella del St. Pauli non è solo una fede calcistica, ma una vera e propria filosofia, come dimostra la modalità di gestione del club, quasi unica in Europa.
Prima di tutto bisogna ricordare che il St. Pauli è una polisportiva che gestisce numerose attività sportive tra cui il tennis da tavolo, il rugby femminile e il pattinaggio: la gestione di tutte queste attività è completamente nelle mani dei tifosi.
Circa vent'anni fa i supporter hanno dato vita al Fanladen, un coordinamento dei tifosi, in seguito alla decisione del club di edificare un nuovo stadio in un'altra zona del quartiere. Si scatenarono numerose proteste che impedirono la realizzazione di questo progetto.
Il Fanladen è totalmente indipendente dal club e conta qualcosa come 14mila tifosi associati, di cui mille donne.
Periodicamente i rappresentanti dei tifosi sono chiamati a riunirsi in assemblea per discutere sulle scelte economiche e politiche del club e per eleggere presidente e consiglieri. Inoltre il consiglio di amministrazione incontra regolarmente il Fans-club, il Fanladen e la gente del Jolly Roger, storico locale dove si riuniscono i tifosi.
Tra le decisioni prese dai tifosi ce ne sono alcune su cui non si transige: non si prendono accordi con produttori di armi e di tabacco; il nome dello stadio, Millerntor Stadion, non può essere venduto; infine 7-8 minuti prima del calcio d'inizio non si può fare pubblicità all'interno dello stadio, questo spazio sarà utilizzato dai tifosi per creare atmosfera.
Insomma, il tifoso del St. Pauli merita e riceve un occhio di riguardo come ci dimostra l'ultimo progetto elaborato dai tifosi insieme al club: la creazione di uno spazio interno al Millerntor, denominato Fanraume, che possa diventare “un punto d'incontro, un centro sociale all'interno dello stadio”, per dirla con le parole del vice presidente George Spies.
Il St. Pauli, con i suoi 20mila spettatori, svolge importanti azioni sociali all'interno del quartiere. Prima di tutto offre settimanalmente lezioni di calcio gratuite per bambini, rivolte soprattutto alle fasce deboli della popolazione. Inoltre qualche anno fa ha inaugurato una nursery chiamata “Nido dei pirati” che provvede giornalmente a circa cento bambini, da 0 a 6 anni. Il servizio è attivo anche durante le partite, così che i tifosi vi possano lasciare per qualche ora i loro figli: situazione più unica che rara, perché il club conta tantissimi piccoli tifosi che affollano le gradinate insieme a mamma e papà.
Anche questa fu una delle questioni che portarono la tifoseria all'insurrezione quando il ricco proprietario del Susis Show Bar, uno dei più famosi locali di lap dance di Amburgo, affittò un box all'interno dello stadio e vi fece esibire le “sue” spogliarelliste per gli amici che andavano con lui a “vedere” la partita.
Questa la risposta dei pirati: “Chiediamo che venga annullato il contratto con il locale di spogliarelli Susis Bar Show […]. Se voi, cari gestori del club, non agirete secondo le nostre richieste, allora entreremo in aperta resistenza! Saremo il bastone tra le ruote!”.
Come già accennato uno dei temi cari ai tifosi rimane l'antisessismo, visto anche il numero di donne presenti nella tifoseria, elevato per una squadra di calcio. Anche in questo caso quindi in pirati e piratesse si sono apertamente schierati contro la mercificazione del corpo promettendo grane al club se non avesse tolto lo spazio al ricco imprenditore.
Un luogo simbolo per il quartiere è il Jolly Roger, storico locale, punto di ritrovo per la tifoseria, salito alle cronache per i numerosi raid subiti per mano di tifoserie di estrema destra.
Il più eclatante è quello avvenuto nel 2011: sono le 22:00, è la notte prima del derby St. Pauli-Hvs, meglio conosciuti come “i cugini ricchi dell'Amburgo”. Una colonna di 200 persone percorre indisturbata la strada che porta da Hans-Albers-Platz al Jolly Roger. In un attimo il quartiere viene messo a ferro e fuoco; i primi attacchi vengono respinti dai pirati che poi decidono di non prendere parte agli scontri per evitare di danneggiare le attività commerciali del quartiere. I neonazisti riescono ad attaccare indisturbati il Jolly Roger nonostante il comando della polizia si trovi a poche centinaia di metri dal pub. Dura la reazione dei tifosi, come riporta il sito dei supporter genovesi del St Pauli: “Per i sostenitori del St. Pauli questo significa che la protezione dei negozi e delle strutture dovrà essere e sarà organizzata in modo indipendente dalla sicurezza garantita con i mezzi della polizia. Una polizia su cui sembra essere ormai necessario aprire un'inchiesta che sveli i motivi di un comportamento, per così dire, stravagante rispetto agli standard di trasparenza operativa a cui dovrebbe attenersi un servizio pubblico così delicato.”
Inoltre non si può trascurare il legame che il St. Pauli ha con la musica e a ricordarlo non è un tifoso qualunque, ma Colin Abrahall, voce degli storici Gbh, gruppo punk britannico figlio della seconda ondata punk degli anni '80. “Il St. Pauli è una squadra di calcio punk rock”, queste le parole con cui il cantante descrive la squadra.
Infatti un tradizionale modo adottato dai tifosi per raccogliere fondi è organizzare concerti di musica punk-rock non solo nei locali del quartiere, ma anche all'interno dello stadio. Nell'estate del 2010 il Millerntor si riempì con 22mila persone in occasione della festa anniversario per il centenario della società.
Per il St. Pauli l'impegno politico e civile sono sempre al primo posto. Nel 2011 sulle tribune del Millerntor appare uno striscione con scritto: “St. Pauli sta con le montagne. No tav!!!”.
Il 16 marzo 2013 a Berlino va in scena il match tra Fc Union Berlin e Fc St. Pauli; i tifosi del St. Pauli espongono uno striscione con scritto: “Dax vive! Ucciso perché militante antifascista”.
Infine una delle ultime azioni dei pirati risalente a qualche mese fa: durante una partita hanno esposto alcuni striscioni contro l'omofobia, accompagnati da tantissime bandierine color arcobaleno accompagnate dalla scritta: “It's ok to be gay”.
In un momento in cui negli stadi compaiono ben altri messaggi, la tifoseria del St. Pauli, dei ribelli tedeschi, rimane un esempio che andrebbe seguito da tutto il calcio europeo.
Una squadra che ha militato solo per qualche anno in Bundesliga, solo due volte nel nuovo millennio (2001/2002-2010/2011), peraltro retrocedendo sempre la stagione successiva, rischiando più volte la bancarotta e aiutata a risollevarsi grazie al contributo dei tifosi. Una squadra senza grandi giocatori, ma che ha saputo ridonare allo stadio, al quartiere la funzione di naturale luogo di incontro e di aggregazione per fornire solidarietà, aiuto e sostegno ai meno abbienti e agli emarginati; che ha coraggiosamente chiuso le porte del proprio stadio a fascisti, omofobia, razzismo e sessismo con cui siamo obbligati a convivere in Italia. Allora: all'arrembaggio pirati!

Camilla Galbiati



Lisbona/
Alla Fiera del libro

Per il sesto anno consecutivo, Lisbona è stata il palcoscenico di un'altra Fiera del libro anarchico. La fiera si è svolta dal 24 al 26 maggio nell'edificio di proprietà dell'Association amigos do Minho (Amici di Minho, la regione del Portogallo che confina con la Spagna), situata nel quartiere di Intendente, uno dei più antichi e popolari della città.

Lisbona, maggio 2013. Uno dei dibattiti
organizzati in occasione della fiera

Quest'anno la fiera contava circa venticinque banchetti, rappresentanti tutte le attività legate ai libri: oltre a numerosi gruppi anarchici, c'erano biblioteche, librerie, editori, distributori. Una delle principali caratteristiche di questa fiera è naturalmente l'internazionalismo, con un'importante presenza di banchetti extra-portoghesi: sono venuti a Lisbona o hanno inviato i loro libri e riviste librerie, editori e distributori provenienti dalla Spagna (Madrid, Salamanca e Granada), dal Brasile (Porto Alegre e São Paulo) e dal Regno Unito (Bristol e Brighton).
Un'altra caratteristica della fiera è un programma sempre diversificato. Quest'anno il programma prevedeva tre dibattiti, un concerto di compagni brasiliani e portoghesi, una rappresentazione teatrale e molte presentazioni di libri. Tra queste, ci tengo a sottolineare la presentazione della prima antologia in portoghese di testi scritti da Renzo Novatore, nom de plume di Abele Rizieri Ferrari.
I dibattiti sono sempre molto importanti: la gente arriva numerosa per partecipare, o anche solo per assistere. Il primo dibattito in programma era a proposito del ruolo sociale svolto dalle biblioteche in quanto spazi autonomi per promuovere letture critiche e l'auto-costruzione di persone libere. Il secondo dibattito si è concentrato sulla costruzione di alternative anti-autoritarie all'attuale industria mediatica, ben lontana dall'essere neutrale e anzi sempre pronta a supportare i poteri economico-politici stabiliti. Durante il terzo dibattito sono stati presentati brevi filmati sulla situazione abitativa a Rio de Janeiro, che sarà presto teatro di diversi mega-eventi, usati dalle autorità brasiliane per plasmare una nuova città.
Infine, ma di non minore importanza, la fiera è stata come sempre un luogo e un momento per rivedere compagni e amici che altrimenti è raro incontrare, per via dell'età o perché vivono lontano da Lisbona.

Mário Rui Pinto
traduzione dall'inglese di Karlessi



Cuba/
¡Tierra Nueva! rivista clandestina

La rivista ¡Tierra Nueva! ha da poco pubblicato clandestinamente i suoi primi due numeri.
Da sempre esiste una tradizione libertaria nell'area caraibica. Il sentimento anarchico è profondamente radicato nel popolo cubano in quanto espressione rivoluzionaria che si manifestò fin dall'ottocento, con le prime lotte contro la schiavitù e per l'indipendenza. Sebbene esista da più di cento anni, il movimento libertario cubano è stato escluso dagli annali ufficiali da storiografi e editori al servizio del Partito comunista cubano. Nel 1960, le organizzazioni anarchiche che avevano combattuto in clandestinità o nella guerriglia al fianco di Castro furono bandite. In quegli anni, i libertari furono assassinati, incarcerati o costretti all'esilio.
In più occasioni abbiamo commentato, sulla nostra rivista Cuba Libertaria e sul blog Polémica Cubana (in francese), la rinascita del movimento libertario cubano in corso in questi anni. Dopo la costituzione, alcuni anni fa, della Red Observatorio Crítico e, in tempi più recenti, del Laboratorio libertario Alfredo López all'Avana, i nostri compagni libertari continuano a lottare per ridare vita all'anarchismo.
Questo gruppo di giovani militanti analizza la realtà cubana, la storia del movimento anarchico e le sue idee. Nonostante la repressione e la censura da parte dei mezzi di comunicazione controllati dal regime, e malgrado qualsiasi opinione libertaria venga giudicata controrivoluzionaria dalle autorità, i libertari emergono gradualmente dalla clandestinità.
La rivoluzione ha creato grande frustrazione e delusione, soprattutto tra le nuove generazioni. A Cuba esiste un profondo desiderio di libertà e dignità, di espressione e azione. I legami sociali vanno reinventati se si vuole dare un contributo alla “rivoluzione nella rivoluzione” e alla lotta contro l'autoritarismo, la burocrazia e la corruzione generalizzata.
Oggi accogliamo con favore il ritorno, per quanto ostacolato dalla censura e dalla repressione, della stampa anarchica clandestina a Cuba, con la pubblicazione da parte dei giovani compagni dell'Avana dei primi due numeri di ¡Tierra Nueva! dopo più di 52 anni di silenzio. Va infatti ricordato che alla fine degli anni sessanta tutte le pubblicazioni libertarie furono proibite.
Diamo la parola ai coraggiosi editori della rivista riportando la nota editoriale al primo numero: “¡Tierra Nueva! perché ci sentiamo eredi del gruppo libertario che per 22 anni pubblicò il settimanale ¡Tierra! all'inizio del secolo scorso.
Questa pubblicazione nasce per contribuire a stabilire rapporti con individualità e collettivi che nella pratica quotidiana vivono relazioni libere, appaganti e solidali come parte di un sentimento anarchico genuino e spontaneo. Crediamo sia possibile una società senza mediazione, senza spettacolo, senza miseria, senza autorità, senza leggi ad eccezione di quelle che noi stessi scegliamo, senza discriminazioni, senza finzione, senza oppressione, senza forme di servitù.
Non abbiamo assolutamente nulla contro l'utopia, ma sappiamo che è molto più utopico pensare alla prospettiva di uno “stato di benessere” piuttosto che a una società da noi stessi indirizzata verso il futuro.
A chi crede che vogliamo vivere nel disordine diciamo che ciò a cui aspiriamo, invece, è quell'unica forma di ordine che non nasce dalle catene della schiavitù, ma dalla libertà realizzata: questo è il solo ordine che consideriamo naturale e antagonista al disordine attuale, imposto da tante autorità.
Poiché vogliamo una società di individui liberi e pienamente realizzati, poiché riteniamo che gli stati garantiscano la continuità del regime di sfruttamento proprio della nostra epoca (la schiavitù salariale), non possiamo che dichiararci loro nemici. Pertanto, invitiamo tutte le persone che sono interessate a collaborare, eccetto chi in qualunque modo viva del lavoro altrui.
Anche se le classi dominanti ci mantengono in condizioni di inerzia, confusione, mancanza di solidarietà, isolamento, in attesa che gli eletti ci elargiscano un futuro migliore, crediamo che il principale colpevole che non ci consente di vivere bene, qui ed ora, sia il “poliziotto virtuale” che c'è in quasi tutti noi. Sarà questo uno dei bersagli dei nostri continui attacchi.
Rifiutiamo qualunque tipo di partecipazione politica al gioco del potere perché crediamo che il potere politico non sia uno strumento di cambiamento sociale ma piuttosto la strada maestra attraverso la quale la classe dominante impone la sua volontà, utilizzando la struttura dello stato, il suo esercito, la sua polizia, i suoi giudici e i suoi carnefici. Non vogliamo regolamentare il funzionamento di queste istituzioni ma eliminare le istituzioni stesse! Vogliamo vivere in modo diverso rispetto ai modelli proposti dai partiti di sinistra, centro, destra, o posizioni intermedie, del nostro o di altri paesi.
Non abbiamo la pretesa di diventare portavoce di altri se non di noi stessi e di tutti quelli che si uniranno a noi. Non ci aspettiamo nulla dallo stato, ma non esiteremo a usare quello che ci ha tolto. Date le difficoltà, la rivista sarà pubblicata nei limiti del possibile.”
Con la pubblicazione della rivista i compagni cubani si espongono a rischi notevoli e vanno incontro ad anni di prigione, come previsto dalla legge cubana, che proibisce la stampa libera. Per questo motivo la solidarietà politica internazionale è importante, in previsione della repressione e dell'ostruzionismo dei servizi di spionaggio e sicurezza dello stato cubano, che probabilmente sorvegliano le attività dei compagni.
La rinascita di un movimento libertario a Cuba e l'esistenza di un Foro Social sono elementi chiave per portare avanti una vasta opera di sensibilizzazione. Tuttavia, per consentire lo sviluppo delle correnti libertarie e delle correnti critiche di autogestione, federaliste ed ecologiste, sono necessari mezzi materiali che difficilmente possono essere reperiti sull'isola. Di qui l'importanza dell'aiuto esterno, per quanto si tratti di un'azione piuttosto delicata, dal momento che l'aiuto internazionale ai movimenti d'opposizione è considerato dal governo come una forma di finanziamento “imperialista” in sostegno alla controrivoluzione.
Ricordiamo che l'Internazionale delle federazioni anarchiche (Ifa) e il Gruppo di appoggio ai libertari e sindacalisti indipendenti di Cuba (Galsic) hanno avviato una campagna di solidarietà internazionale per i libertari cubani. Per inviare materiale (libri, riviste, cd, dvd eccetera) contattare il Galsic all'email: cubalibertaria@gmail.com
Per sostenere il Laboratorio dei compagni libertari all'Avana è possibile inviare contributi su un conto di appoggio permanente gestito dall'Internazionale delle federazioni anarchiche.
Le donazioni vanno inviate alla Ifa: Société d'Entraide libertaire (Sel) c/o Cesl, BP 121, 25014 Besançon cedex, Francia (assegni all'ordine di Sel, indicando “Cuba” sul retro).

Daniel Pinos
traduzione dal castigliano di Federica Galuppini



Messico/
Quando la cooperativa è una grande azienda


“Se i proprietari non la vogliono, la facciamo andare avanti da soli.” Quando una fabbrica chiude, a volte sorge l'idea di trasformarla in una cooperativa di proprietà dei lavoratori, e la fabbrica di solito muore.
Gli ostacoli per l'acquisto di uno stabilimento, persino di uno stabilimento che sta fallendo, sono enormi; una volta sul mercato, i nuovi proprietari-lavoratori devono in primo luogo affrontare tutte le pressioni che hanno spinto la società al fallimento. La maggior parte delle cooperative di lavoratori-proprietari sono piccole, come ad esempio una compagnia di taxi collettiva a Madison o un panificio a San Francisco.
In Messico però esiste una cooperativa di lavoratori di enormi dimensioni, che fabbrica pneumatici dal 2005. La fabbrica compete sul mercato mondiale, impiega mille e cinquanta comproprietari, e corrisponde salari e pensioni migliori di qualsiasi altro impianto di pneumatici messicano.
L'idea di rilevare lo stabilimento non è stata dei lavoratori. È stata la Continental Tire a proporre la vendita, dopo che il gruppo dirigente del sindacato aveva messo i proprietari talmente con le spalle al muro che quelli non volevano avere più niente a che fare con loro.
Ma per arrivare a quel punto i lavoratori hanno dovuto ingaggiare uno sciopero di tre anni. I lavoratori sostengono che non è stata un'unica tattica a portare alla vittoria, ma una combinazione di pressioni implacabili.
In Messico la maggior parte dei sindacati sono sindacati solo di nome, in realtà sono organi affiliati al governo con la funzione di raccogliere il denaro delle iscrizioni e di controllare i lavoratori.
Ma la storia dello stabilimento della Continental è andata diversamente. I lavoratori avevano un sindacato “rosso”, indipendente dal 1935, l'Snrte (Sindacato nazionale rivoluzionario dei lavoratori Euzkadi).
La sera del 16 dicembre 2001, i lavoratori del locale caldaia giunti allo stabilimento trovarono un avviso sul cancello: chiuso.
Chiamarono immediatamente i leader sindacali. Vennero montati turni di guardia per impedire alla direzione di portar via i macchinari. Due giorni dopo fu convocata l'assemblea, con quasi tutti i novecentoquaranta lavoratori presenti.
Dopo tre anni di sciopero e occupazione, dopo tutti i tentativi della direzione padronale per dividere i lavoratori e dopo che per tre volte i rappresentanti dei lavoratori si sono recati in Germania alla riunione degli azionisti della Continental, finalmente nell'agosto del 2004, la Continental ha avanzato un'offerta seria. La società avrebbe venduto ai lavoratori una metà dello stabilimento, in cambio delle paghe ancore dovute dall'azienda.
I lavoratori avrebbero comunque ricevuto la buonuscita, e l'impianto avrebbe riaperto in collaborazione con una società messicana, un distributore di pneumatici che avrebbe acquistato dalla Continental la metà rimanente. Tutti i lavoratori che avevano resistito avrebbero avuto indietro i loro posti di lavoro.
Il presidente del sindacato sembra stupito dalla loro vittoria, al pari di chiunque altro. “L'eredità più importante di questa lotta è aver dimostrato ai lavoratori come un piccolo sindacato sia stato in grado di battere una multinazionale della portata della Continental,” dice.
Il 18 febbraio del 2005 lo stabilimento, ora denominato Corporación de Occidente, o Western Corp., è stato consegnato formalmente ai suoi nuovi proprietari. “Loro avevano scommesso che saremmo falliti”, dice Torres. Ma i lavoratori non sono falliti.
Uno pneumatico non è solo un pezzo di gomma con un buco. Uno pneumatico è un prodotto sofisticato che si costruisce attraverso una catena di processi chimici, il contributo di un sacco di macchine, e infine l'intervento di mani umane.
Questi lavoratori hanno costruito pneumatici come lavoratori-proprietari dal 2005, li hanno venduti negli Stati Uniti e in Messico e ora si pagano il salario più alto nel settore degli pneumatici.
Come funziona una cooperativa di lavoratori con millecinquanta membri?
È piuttosto difficile per una proprietà gestita dai lavoratori avere successo con una dimensione qualsiasi, perché ogni azienda che compete sul mercato è soggetta alla stessa folle corsa al taglio dei costi in quanto società capitalistica. I lavoratori sono costretti a battere se stessi e a tagliarsi lo stipendio, oppure il mercato li butterà fuori. E la maggior parte dei lavoratori di qui ha solo una formazione di scuola media.
Eppure la cooperativa prospera. Gli entusiasti lavoratori-proprietari hanno modernizzato il loro stabilimento, aumentando la produttività e la qualità attraverso il loro lavoro qualificato. Questi fattori, insieme ai prezzi indubbiamente bassi, hanno reso possibile la loro competizione sul mercato mondiale.
Gli scioperanti della Continental Tire erano proprietari riluttanti. Quando hanno combattuto contro la chiusura del loro stabilimento da parte della multinazionale tedesca, insieme chiedevano solamente ai proprietari di riaprirlo. Alla fine la Continental ha rinunciato e si è offerta di vendere la metà della società ai lavoratori e l'altra metà al suo precedente distributore, Llanti Systems.
“Abbiamo detto a Llanti Sistemi: ‘Tu compri lo stabilimento. Basta che ci assumi come lavoratori e ci ridai le paghe non corrisposte'”, ricorda l'ex presidente del sindacato in sciopero. “Per noi questo sarebbe stato il più grande trionfo, riaprire l'impianto e mantenere il nostro lavoro.
”Ma hanno detto, ‘No, no, non siamo mica pazzi, noi sappiamo quello che siete capaci di fare. Siamo interessati a voi come proprietari, non come dipendenti'.
Così abbiamo detto, ‘Non c'è altra via d'uscita? Be', dobbiamo provarci.'”
Uno dei vantaggi più immediati con il nuovo sistema era di farla finita con i capisquadra. “È stato facile”, dice Torres. “Ogni lavoratore conosce il suo lavoro, sa qual è la sua quota. Non ha bisogno di essere controllato.” Le quote sono stabilite in modo da essere abbastanza basse, tanto che molti lavoratori finiscono con un paio d'ore di anticipo e si rilassano fino all'ora di chiusura. Non c'è nemmeno un reparto pulizie, perché sono gli operai a pulire le rispettive aree.
La cooperativa indice un'assemblea generale solo due volte l'anno, ma questa assemblea detiene il potere di veto sulle decisioni importanti, quali la vendita di attività, la realizzazione di investimenti e l'acquisto di macchinari. Durante gli incontri il dibattito è intenso, e le proposte approvate vengono anche dalla base, non solo da parte della dirigenza.
La joint venture tra lavoratori-proprietari e distributore non ha esitato a riassumere tecnici, ingegneri e specialisti che avevano lavorato per anni sotto la vecchia gestione.
Uno di questi è Gonzalo, un chimico che dirige il laboratorio, che era stato sommariamente licenziato quando lo stabilimento era stato chiuso.
È tornato a formare i lavoratori di produzione nell'ambito delle sue competenze. All'inizio ha lavorato senza paga. I soci della cooperativa promossi dall'officina per assumere posti di lavoro tecnici imparano velocemente, dice, e ora il suo lavoro gli piace di più perché può lavorare in cooperazione con persone che guardano al proprio futuro. “Prima, si dovevano fare segnalazioni, dare punizioni,” mi spiega. “Adesso che la responsabilità è loro sanno come lavorare.”
Non c'è dubbio alcun dubbio: tutto nella cooperativa fa “lavorare meglio.” Su di me, che mettevo in guardia dai mali del “concetto di squadra” e dai programmi di gestione cooperativa del lavoro promossi dal padronato per tutti gli anni ottanta e novanta, ha fatto un effetto stridente vedere alcuni slogan familiari risorgere sotto una diversa struttura di proprietà, come appunto “lavorare meglio” (Working smart, titolo di un volume di cui Jane Slaughter è coautrice).

Jane Slaughter
traduzione dall'inglese di Karlessi
da Labor Notes, Detroit – Mi, Usa
aprile 2013



Russia/Pussy Riot
Lettera dal carcere
Mosca (Russia), luglio 2010
Nadezhda Tolokonnikova in tribunale

Come alcuni lettori ricorderanno (vedi “A” 375, novembre 2012), nell'agosto 2012 Nadezhda Tolokonnikova e Maria Alyokhina, membri del gruppo Pussy Riot, sono state condannate a due anni di colonia penale per la “Preghiera punk” che hanno pronunciato nella cattedrale di Cristo Salvatore a Mosca nel febbraio 2012. Si trattava di un'invocazione a Theotókos (Madre di Dio, la Beata Vergine Maria), affinché “cacciasse Putin”. Il ritornello era su una musica di Rachmaninov; la canzone menzionava anche il patriarca russo Cirillo I, definendolo come colui che crede più a Putin che a Dio.
Nel mese di luglio Amnesty International ha reso nota la seguente lettera dal carcere scritta da Nadezhda. Eccola:

Cari amici!
Grazie per il vostro sostegno! So che la vita è diventata molto difficile, il che mi fa apprezzare tanto più che abbiate trovato il tempo, la forza e la volontà di sostenerci.
Voglio credere che la mia prigionia e quella di Maria non siano inutili e che aiutino coloro che vedono e capiscono la situazione della Russia odierna.
Mi sento in debito con tutti coloro i quali sono intervenuti in nostro favore. Sappiate che, nonostante la condanna illegale, le vostre azioni non sono state inutili. Ogni parola – anche se non in modo immediato – porta cambiamenti, ha una certa influenza sul processo politico. Ciò che succede a noi prende senso da ognuna delle vostre azioni. Sono immensamente grata per questo.
Cordiali saluti,

Nadya



Estate 2013/
Musica a Taranto e a Pescara

Taranto, 27 luglio 2013. Anche quest'anno la Puglia ha vissuto la grande kermesse estiva, da molti definita la Woodstock del Salento, che da sedici anni richiama centinaia di migliaia di amanti della musica popolare. Sui muri, sui giornali, nelle vetrine dei negozi, il volto sorridente del maestro concertatore della passata edizione de La Notte della Taranta, Goran Bregovi. Quest'anno è stato lui l'evento nell'evento, mentre ad altri era affidata la direzione del Concerto. Ed è stato lui ad aprire le danze della pizzica: nella città di Taranto, stesso etimo di taras che è taranta, l'aracnide il cui morso va ben oltre i confini della Magna Grecia e del Salento.

Goran Bregovi

Pescara, 28 luglio 2013. Anche le città marchigiane sono ancora tappezzate di enormi cartelloni che pubblicizzano un altro grande evento dell'estate: la quarantunesima edizione del Pescara jazz. Ma gli spazi maggiori, e i cartelloni più grandi, sono per lo spettacolo che ha chiuso il sipario della manifestazione: il concerto di Paco de Lucia, la leggenda vivente della chitarra flamenca; “il re del flamenco”, come titola La Repubblica.it, il 4 luglio 2013.

Paco de Lucia

Due mega eventi, pressoché simultanei, in due diverse regioni, che hanno un denominatore comune che forse sfugge ai più: molta parte dell'estate italiana ha avuto la musica rom come colonna sonora.
La chitarra flamenca di Paco de Lucia, Francisco Sánchez Gómez, nato e cresciuto in mezzo a una comunità andalusa di zingari, ha catalizzato l'attenzione di migliaia di persone disposte a pagare più di sessanta euro per ascoltare “la sua chitarra che canta”, “il grande respiro che muove la sua pittura sonora”, al Teatro D'Annunzio di Pescara. Come sempre, quando Paco suona e il suo gruppo gitano canta, danza e toca las palmas, i cuori battono all'unisono seguendo il ritmo del battere e del levare della chitarra, interrompendosi per interminabili apnee, della stessa durata dell'arpeggio particolare che solo le sue dita sanno eseguire, passando da famosi brani di musica classica (Concerto per Aranjuez) alle sevillane più ardite.
Il maestro concertatore Goran Bregovi, nella passata edizione della Notte della Taranta, di fronte al grande pubblico accorso da ogni parte d'Italia e d'Europa (più di centoventimila persone nella serata conclusiva), ha esordito con un canto tradizionale rom, Ederlezi, che senza soluzione di continuità diventava Sta lucisce, cioè “Nasce il nuovo giorno”, in traduzione salentina; e ha ben chiarito qual è il nesso tra le due versioni: è San Giorgio, patrono di Melpignano e anche del suo popolo, i rom, che il 6 maggio festeggiano il Ðurdevdan (Giurgevdan, letteralmente: giorno di [San] Giorgio). Ederlezi è la versione pagana del Ðurdevdan.
Al Concerto del 2012 c'ero anch'io, e anche io ho applaudito a quel suo originale presentarsi da zingaro, con la semplicità – o forse l'orgoglio – di chi per essere apprezzato non deve tacere le proprie origini e la propria cultura.
Non c'ero, invece, ad un altrettanto seguito incontro di pugilato, quello di cui scrive Giorgio Bezzecchi nel numero estivo di “A”. Nella sua recensione al libro Buttati giù, zingaro!, Bezzecchi narra la triste vicenda del sinto Rukeli, il coraggioso pugile cui l'odio generato dalla guerra ha tolto il titolo di campione, prima e la vita, dopo.
La fortuna musicale di Goran Bregovi e di Paco de Lucia, e le infelici vicissitudini del pugile Rukeli, portano a riflettere su quanto segue: se quello della guerra è un linguaggio che genera odio, acredine, violenza, razzismo, forse basterebbe bandire la guerra, ogni guerra, per superare ostilità, angherie, pregiudizi, discriminazioni. Per una comunicazione finalmente libera da scellerate conseguenze, bisognerebbe, dunque, servirsi di altri linguaggi. Come quello musicale. Perché la musica è un linguaggio universale capace di creare sintonie, indipendentemente dalla lingua in cui la si canta, dal contesto in cui la si ascolta, dalla razza e dalla storia di chi la esegue.
Ma la musica non è la sola capace di creare consonanze e simpatia. Quante volte, allo stadio, seguendo le partite del campionato di calcio abbiamo assistito a esplosioni di gioia quando la maglia numero 9 batteva un calcio di rigore o di punizione e metteva in porta un pallone impossibile da parare. La maglia numero 9 alla quale mi riferisco era quella di Zlatan Ibrahimovi, capocannoniere di origini rom.
E quante volte l'America razzista ha dovuto fare spazio ad un'altra America cui a poco a poco si è andata educando: penso ai giochi olimpici del 1936 a Berlino, quando il medagliere Usa si è arricchito grazie ai record straordinari stabiliti dall'atleta afro-americano Jesse Owens, quattro volte medaglia d'oro; e penso ancora alle dieci medaglie olimpiche di Carl Lewis: anche per il “figlio del vento” l'America ha imparato a non fare più caso al colore della pelle. E non solo l'America razzista, ma le moltitudini di persone che seguono lo sport alla maniera di De Coubertin, e che pian piano hanno subìto l'influenza buona del linguaggio dello sport, che educa ad accogliere l'altro, chiunque esso sia, quando è lui il migliore, il più bravo, il campione. Moltitudini per le quali si può usare il termine “massa” senza caricarlo del connotato negativo che la sociologia gli attribuisce.
Masse allo stadio, che si esaltano quando il goleador fa segnare il punto contro una rete inviolata.
Masse ai concerti, che cantano a gran voce, pur senza comprenderle, parole come Ederlezi, Opa Cupa, Caje Sukarije.
Ma ho visto anche delle masse felici... posso dire parafrasando Claudio Lolli.
Felici di poter ignorare il vincolo del pregiudizio; felici di saper apprezzare ogni espressione artistica; felici di sentirsi libere di andare in visibilio ascoltando le note di un grande musicista rom; felici di potergli chiedere ancora un altro bis: canta ancora, zingaro!

Alba Monti



Catania/
Un sogno d'amore all'Orto botanico


Da diversi anni mi occupo di ideare e realizzare le offerte educative dell'Orto botanico di Catania e, da quasi due anni, Loredana collabora con me.
Le attività educative attualmente svolte sono realizzate attraverso un approccio emozionale per sensibilizzare, coinvolgere e stimolare curiosità, interesse e rispetto per la vita in generale. Durante lo svolgimento delle attività si cerca di spostare l'abituale punto di vista di chi partecipa per trovare versioni nuove, possibili, provabili, verosimili, di fatti anche appresi come storici. In particolare durante le attività è sollecitata una riflessione sulla natura e sull'ambiente, permettendo di esplorare il mondo delle piante in modo nuovo rispetto a quello sperimentato nell'ambiente scolastico.
Nessun sapere è trasferito, nessun insegnamento impartito, ma è messa in opera la piacevole sorpresa del cerchio.
Un girotondo in cui ci si dà la mano e inizia lo scambio. Una mano prende e l'altra dà. Non c'è chi sa e chi riceve i saperi. A noi interessa generare atteggiamenti e comportamenti nuovi e, quindi, riuscire a entrare nella loro sfera emotiva; per questo motivo abbiamo preferito sviluppare attività di tipo ludico, laboratori “giocosi”. Attraverso il gioco tutto prende forma, esce dai libri e diventa vita, da toccare, scambiare, sperimentare. Il gioco non è una prerogativa dell'infanzia, il gioco è un eccitatore dei sensi a qualunque età, quelli che cambiano sono i modi e i tempi.
Ad esempio, un'attività realizzata con i piccolissimi (scuola dell'infanzia e prime classi elementari) consiste nel creare i colori da alcune parti delle piante e poi usare i colori per scoprire come da un seme può nascere e svilupparsi un albero, per farlo diventiamo tutti fabricatori di colori e parte della tribù dalle mani colorate (ma anche dai vestiti e dalle facce colorate). Con i ragazzi delle scuole medie e i superiori, ad esempio, tra le attività che realizziamo ce n'è una prettamente ecologica che si sviluppa attraverso giochi e simulazioni, all'interno di questa avviamo dei veri e propri dibattiti trattando temi spesso impronunciabili a scuola che diventano leggeri. Molti di questi ragazzi ci scrivono poi che hanno iniziato ad andare a scuola in bici o che intendono partecipare alla critical mass o ci mandano allegate le foto di cose che hanno costruito con la “spazzatura”. Durante queste conversazioni mi capita spesso di chiedere che cosa voglia dire, ad esempio, la frase: No Martini? No party! E cosa portano loro al “party”, qualunque esso sia. Può non esserci differenza nell'andare in discoteca o a un incontro in un centro sociale. Perché ci vai fa la differenza; e se vai perché sei stato invitato tu o il Martini. Vai per portare qualcosa di te o qualcosa che il sistema ti sta imponendo di portare? Non importa quale sia la risposta, ma è importante esserne consapevoli e scegliere.
La comunicazione, e il modo in cui si realizza una comunicazione, durante le attività assume un ruolo fondamentale; ma come comunicare all'interno di questo tipo di società in cui anche i soggetti definiti educanti manifestano la tendenza a proporsi come spettatori e/o complici del degrado (ambientale, culturale, sociale)? La comunicazione non è un'azione al singolare e richiede sempre, e almeno, due interlocutori, questo vuol dire che il contenuto della comunicazione è, e deve essere, il risultato di quest'azione che non appartiene a nessuno, ma, rimanendo in un'area di mezzo tra il “me”e il “te”, rappresenta un comune significato condiviso. I contenuti sono perciò mediazione d'intenti, conoscenze ed emozioni. Nessuna delle attività che svolgiamo è, infatti, mai identica a una già svolta, ma presenta sempre qualcosa di nuovo, di diverso, di unico perché altri, diversi e unici sono, di volta in volta, i bambini/ragazzi che ne prendono parte portando qualcosa di se. Dopo ogni attività in sala si esce in giardino, guidati sempre in modo interattivo da un altro collaboratore, Gianluca.
Com'è stata accolta quest'onda di “stranezze educative”? Gli studenti di tutte le età, sia catanesi sia di altre province siciliane, che partecipano alle nostre attività sono in media 5000 ogni anno. Quest'anno abbiamo avuto anche la piacevole sorpresa della partecipazione di un liceo di Novara in gita a Catania.
Per verificare “l'impatto” delle attività proposte, ho realizzato un sistema di valutazione/verifica attraverso un questionario che precede e segue ogni attività. Il questionario ha lo scopo di facilitare una valutazione sul tipo di relazione esistente tra i partecipanti e l'ambiente, verificare la loro percezione dei problemi ambientali legati alle alterazioni dovute all'uomo e causa di estinzione per diverse specie vegetali e animali, e infine, comprendere se lo svolgimento delle attività produce, o facilita, cambiamenti di atteggiamento.
In realtà tutto questo è il risultato di un percorso che ha richiesto tempo e pazienza. Ho, infatti, iniziato a lavorare per l'Orto botanico di Catania nel 2005 e in quel periodo non esisteva un programma di attività educative, anche se, da più di venti anni, era offerto un servizio di visite guidate rivolto alle scuole e al pubblico in genere. Le visite guidate avevano l'obiettivo di far conoscere le collezioni botaniche presenti all'interno del giardino e stimolare interesse botanico nei visitatori. Inizialmente, mi occupavo di catalogare dati d'erbario e digitalizzare le relative immagini, ma essendo un'educatrice, dopo due anni di catalogazione e acquisizione immagini, iniziavo a diventare irrequieta e, sopratutto, non riuscivo a capacitarmi di come in una struttura come quella non esistesse una sezione educazione e non si faccessero attività significative con bambini, ragazzi, studenti, con tutte le persone.
Mi sembrava un'occasione sprecata non poter usare la mia formazione per dare forma al museo Orto botanico, così come avevo sempre immaginato che dovesse essere un museo: aperto alla gente e per la gente. Ho deciso perciò di parlare con il direttore chiedendo se fosse possibile collaborare con la signora che si occupava delle visite guidate per l'organizzazione del tradizionale concorso di fine anno proposto alle scuole. Quell'anno il titolo del concorso era “Guide per un giorno”. Il direttore, piacevolmente sorpreso dalla mia offerta pro bono, ha accettato. Da quel momento, grazie ad una serie di favorevoli circostanze, tutte cercate e attentamente colte al volo, ha preso il via il percorso che ha portato alle attività educative dell'Orto botanico oggi proposte alle scuole.
Le prime proposte di attività sono state inviate alle scuole nel 2009, erano attività differenziate, in relazione all'età dei partecipanti e in base ai diversi programmi svolti dalle scuole e dagli indirizzi di studio. Per quanto avessi già chiara la metodologia che volevo mettere in pratica, esistevano difficoltà concrete. Lavoravo, infatti, con due persone che, pur facendo parte del Centro regionale di informazione e educazione ambientale, concretamente, non avevano mai potuto formarsi o sperimentare, quindi, in molte occasioni, l'improvvisazione faceva da padrona. In realtà, sapevo cosa bisognava fare per cambiare le cose.
Per tanti anni avevo frequentato artisti di ogni genere e conosciuti modi alternativi per rapportarsi con gli altri, modi inediti, avevo sperimentato metodi educativi originali anche in laboratori di teatro contemporaneo e avevo voglia di mettere in pratica queste esperienze per le attività di educazione ambientale. Desideravo riuscire ad arrivare “dentro” le persone e lì mettere un piccolo seme per il cambiamento. In Europa, diversi Giardini avevano già avviato esperienze di questo tipo con risultati ottimi. Mi sono quindi rimessa a studiare, ho seguito corsi universitari per educatori, arricchendo, anche, la mia formazione della metodologia peer education e cercato di stimolare le persone con cui collaboravo. Quando con le mie colleghe eravamo riuscite a realizzare un equilibrio meno precario, tutto è cambiato: sono state destinate ad altri incarichi. Per fortuna, a quel punto, si è materializzata Loredana, laureata in scienze biologiche e in cerca della sua strada. Loredana, con la coooperativa che gestisce i servizi per l'Orto, aveva avuto occasione di fare delle visite guidate ed era diventata curiosa rispetto alle attività educative. Quando abbiamo iniziato a parlare e a confrontarci è stato subito amore. Amore per un sogno condiviso. Il sogno di poter cambiare realmente le cose. L'impegno a renderlo concreto. Rendere concreto, attraverso le nostre attività, l'obiettivo dell'educazione ambientale: sensibilizzare alle tematiche ambientali per favorire un nuovo atteggiamento nei confronti dell'ambiente. Dal 2011, sostenute dai direttori dell'Orto, abbiamo continuato insieme a sviluppare e realizzare i progetti educativi rivolti alle scuole.

Cristina Lo Giudice