|      Dibattito 
                  zapatismo 1/Ma c'è a sinistra chi vuole solo il potere 
 Ci piacerebbe fare chiarezza su alcuni punti rispetto alla critica 
                  di Orsetta Bellani (pubblicata sullo scorso numero di “A”) 
                  a proposito del riferimento all'Ezln e all'Altra campagna nell'articolo 
                  “Lettera dal 
                  Sud America” pubblicato sul numero 376 (dicembre 2012 
                  - gennaio 2013) di “A”.
 Come prima cosa vorremmo dire alla compagna che concordiamo 
                  sull'importanza delle pratiche concrete delle comunità 
                  zapatiste e che il loro pensiero è stato un importante 
                  punto d'affermazione di idee con le quali noi anarchici saremo 
                  sempre d'accordo: la negazione della conquista del potere, l'autonomia, 
                  l'autogoverno, l'orizzontalità e l'autogestione. Ma soprattutto 
                  l'unione di etica e politica che vuol dire, per noi anarchici, 
                  coerenza tra fini e mezzi.
 Il fatto che appoggiamo, dimostriamo la nostra solidarietà 
                  e condividiamo concetti importanti del pensiero zapatista non 
                  vuol dire che siamo d'accordo in tutto, né tantomeno 
                  che stiamo perdendo il nostro spirito critico. È necessario 
                  inoltre stabilire una differenza tra le pratiche zapatiste nelle 
                  comunità autogestite che stanno costruendo un “altro” 
                  mondo in un territorio determinato, (i cinque caracoles 
                  autonomi), e le iniziative politiche dell'Ezln volte alla costruzione 
                  di alleanze, in Messico e nel mondo. E con l'Altra campagna, 
                  come con altre iniziative precedenti, l'Ezln cerca di sconfiggere 
                  la solitudine che vive in Messico, uscendo dalle foreste del 
                  sudest per provare a instaurare nuovi dialoghi e nuove alleanze.
 Bellani dice di non essere d'accordo quando affermiamo che “... 
                  l'ultima fase degli zapatisti di guardare non verso il basso 
                  come hanno fatto finora, ma piuttosto che con l'Altra campagna 
                  hanno percorso il Messico guardando in basso e a sinistra” 
                  né tanto meno concorda quando diciamo che: “... 
                  porsi non sotto ma sotto e a sinistra vuol dire mantenere una 
                  categoria vincolata alla forma stato che serve per continuare 
                  a riprodurla”.
 I concetti di sinistra e destra non sono propri della cultura 
                  delle comunità indigene, sono categorie nate durante 
                  la rivoluzione francese le cui posizioni, anche se in modo opposto, 
                  aspirano alla conquista del potere. Siamo convinti di non poter 
                  classificare i diseredati e gli emarginati tra chi si trova 
                  a sinistra e chi a destra. È la configurazione della 
                  società dominante ed egemonica che classifica in sinistra, 
                  centro e destra, perché ci si esprima elettoralmente 
                  affermando in questo modo un modello gerarchico, verticale e 
                  centralizzato. Ciò nonostante queste categorie non sussistono 
                  quando chi viene dal basso prende in mano la propria vita, quando 
                  si aspira a un'altra società diversa, a un mondo nuovo.
 Crediamo che la proposta in basso a sinistra sia confusa e vada 
                  nella stessa direzione di chi in realtà aspira a conquistare 
                  il potere e pertanto a stare sopra. Ossia, propongono forme 
                  di azione che riproducono la logica dello stato e delle istituzioni 
                  create secondo questo modello.
 La sinistra è rappresentata da giacobini autoritari, 
                  da socialdemocratici e leninisti di diverso tipo, e tutti aspirano 
                  a dirigere e a governare il popolo con un colpo di stato, le 
                  elezioni o una rivoluzione violenta.
 In America Latina, Messico compreso, la sinistra è in 
                  maggioranza socialdemocratica o in qualche modo leninista. Tutti 
                  loro ritengono che il fine giustifica i mezzi, e le ragioni 
                  del partito e dello stato, quando sono al potere, si trovano 
                  al di sopra dei bisogni e delle necessità del popolo.
 Nel nostro continente i socialdemocratici o fanno parte dei 
                  cosiddetti governi progressisti e di sinistra o rappresentano 
                  l'alternanza governativa. L'altro settore della sinistra, il 
                  versante leninista, con l'eccezione di Cuba e del Venezuela 
                  in cui sono al potere, sta all'opposizione e con loro si è 
                  ritrovata l'Altra campagna nella questione del dal basso e a 
                  sinistra.
 Come camminare insieme a chi aspira a un ruolo dirigente nella 
                  lotta anticapitalista e ha l'unico obiettivo della conquista 
                  del potere? Come si possono mischiare le pratiche orizzontali 
                  e autogestionali con quelle che difendono il centralismo democratico?
 Nel dicembre del 2012 l'Ezln informa della chiusura dell'Altra 
                  campagna, affermando che “A partire da ora la nostra parola 
                  inizierà a essere sellettiva a proposito del destinatario”. 
                  In un comunicato del 26 gennaio 2013, riferendosi ad alcuni 
                  membri dell'Altra campagna, dice che “si sono avvicinati 
                  per trarne dei rendiconti politici” o per scavalcare gli 
                  altri; e conclude dicendo “che non torneremo più 
                  a camminare con loro”.
 Riteniamo che il concetto di sinistra e le sue tradizioni, anche 
                  se dal basso, non sembrano essere molto utili per pensare e 
                  costruire una nuova realtà, “un mondo dove ci possano 
                  essere altri mondi”, come dicono gli zapatisti.
  Taller Anarquista(Laboratorio Anarchico)
 Montevideo - Uruguay
 traduzione dal castigliano  di Arianna Fiore
   Dibattito zapatismo 2/ Le parole non cambiano la sostanza Sono d'accordo sull'importanza di non perdere lo spirito critico 
                  e mi sembra molto interessante la vostra riflessione sul fatto 
                  che il termine “sinistra” sia un concetto che nulla 
                  ha a che vedere con la cosmovisione indigena. Penso sia quindi 
                  pertinente criticare gli zapatisti per l'utilizzo del termine 
                  “sinistra”, ma non credo che il suo impiego snaturi 
                  di fatto un movimento che non aspira alla conquista del potere 
                  né propone forme di azione che riproducono la logica 
                  dello stato. Le parole sono molto importanti, ma secondo me 
                  non abbastanza da cambiare la sostanza di un programma politico 
                  e di una pratica quotidiana che sono antiautoritari e apartitici.I principi che muovono la Otra Campaña riprendono in 
                  tutto e per tutto quelli zapatisti, con lo scopo di mettere 
                  in rete i movimenti di tutto il mondo che si ritrovano in essi. 
                  A causa del carattere aperto della Otra Campaña è 
                  possibile che tra gli aderenti ci siano collettivi o associazioni 
                  vicine ai governi socialisti o socialdemocratici latinoamericani. 
                  Immagino che se lo affermate è perché ne avete 
                  esperienza.
 Nel vostro contributo al numero 
                  376 di “A” scrivete che “nell'ultima fase, 
                  gli zapatisti hanno smesso di guardare verso il basso come avevano 
                  fatto finora, ma lo hanno fatto guardando in basso a sinistra. 
                  Ciò li colloca in uno spazio politico, quello della sinistra 
                  radicale, più o meno ortodossa e leninista, in cui vengono 
                  reiterate le politiche che gli stessi zapatisti hanno criticato 
                  nel tempo. Inoltre, trovarsi non in basso ma in basso a sinistra, 
                  vuol dire continuare ad avere una categoria vincolata alla forma 
                  stato che serve alla sua riproduzione”.
 L'affermazione è secondo me incorretta, forse andrebbe 
                  circoscritta ad alcune realtà (non certo tutte) che hanno 
                  aderito alla Otra Campaña.
  Orsetta BellaniLa Spezia
   L'Alfama vive, Firenze muore  L'Alfama è un quartiere nel centro di Lisbona. L'Alfama 
                  è un villaggio in una capitale d'Europa, di quell'Europa 
                  che stenta a tenere il passo in un mondo che si fa sempre più 
                  globale.Da un paio d'anni vivo all'Alfama e assisto quotidianamente 
                  a un miracolo: una non curante partecipazione a un mondo che 
                  cambia per ritrovare se stesso.
 Sotto casa ha il negozio Emanuel. Emanuel fa il barbiere, nel 
                  senso tradizionale del termine. Lui taglia i capelli e rade 
                  la barba come si faceva nel secolo scorso. Inumidisce i panni 
                  e affila la lama, poi con un sorriso satanico passa la lama 
                  sul viso dei clienti con il solo obiettivo di non lasciare indietro 
                  neanche un pelo. Tutte le volte che vado da Emanuel guarda i 
                  miei capelli e mi dice che sono fortunato ad avere ancora così 
                  tanti capelli, e che solo un professionista come lui sa tagliarli. 
                  Quindi inizia il meticoloso lavoro della barba e dei capelli, 
                  assentandosi ogni dieci minuti.
 Da Emanuel vado con Giacomo e Giovanni. A Giacomo Emanuel dà 
                  una spuntatina, perché Giacomo vuole i capelli lunghi, 
                  a Giovanni fa la cresta. Due modi di essere nei quali mi specchio: 
                  per essere teneri occorre essere un po' tamarri.
 Emanuel si assenta ogni dieci minuti per due ragioni, una è 
                  nel retro bottega, l'altra è dallo Ze. Quella del retro 
                  bottega me la mostra con orgoglio: con un fornelletto da campeggio 
                  si prepara il pranzo. A suo dire più buono di quello 
                  che si può trovare nella migliore tasca dell' Alfama: 
                  carne di vacca in brodo. Le visite allo Ze da parte di Emanuel 
                  sono segnate dal naso rosso e dai pronunciati capillari sulla 
                  guance. Ma come se questo non bastasse, quando mi si avvicina 
                  nel lavarmi la testa, vengo tramortito dall'intenso profumo 
                  di vino dell'alentejo. Ovviamente fa parte del prezzo e sostituisce 
                  la desueta acqua di colonia.
 Lo Ze gestisce un alimentari, di quelli del secolo scorso per 
                  intenderci, dove trovi di tutto. Lo Ze è uno di quelli 
                  di cui ti fidi per definizione. Quando vado a fare la spesa 
                  controlla sempre la frutta che metto nel sacchetto e se non 
                  è buona me la sostituisce. Tempo fa un tizio mi ha centrato 
                  la macchina mentre era parcheggiata davanti al suo negozio. 
                  Lui conosce il tizio ed è uscito per suggerire di lasciarmi 
                  un biglietto, quindi che si è fatto carico di farmelo 
                  avere.
 Una sorta di giustizia senza legge.
 Emanuel va dallo Ze a farsi il cicchetto e lo Ze va da Emanuel 
                  a tagliarsi i capelli. Temo che il conto sia a favore dello 
                  Ze, ma questo non impedisce di essere amici.
 Una sorta di economia senza soldi.
 Emanuel il barbiere e lo Ze il fruttivendolo vanno dallo Ze 
                  il lattaio a farsi il caffè. Dallo Ze lattaio gira l'intera 
                  Alfama occidentale, quella Sao Joao da Praca. Alla mattina quando 
                  esco per andare al lavoro mi faccio un caffè dallo Ze 
                  il lattaio e generalmente incontro Joao. Joao dalla tenuta dovrebbe 
                  fare il muratore, ma da quando conosco le sue abitudini il dubbio 
                  è diventato certezza. Joao si fa un bicchiere di vino 
                  alle 8 del mattino. A fare colazione c'è sempre Carla 
                  che affoga “o dulce de Deus na meia de leite” e 
                  c'è Maria, la mia vicina di casa, che baratta un pequeno 
                  almoço con la pulizia del locale.
 Emanuel il barbiere, lo Ze lattaio e lo Ze fruttivendolo parlano 
                  con me, Gianluca l'italiano di Facebook e tra di loro di José 
                  che è finito un'altra volta in galera per aver rubato 
                  i documenti a dei turisti. In fondo penso che stiano parlando 
                  della stessa cosa, del furto delle generalità di una 
                  persona, con la differenza che Zuckerberg di Facebook non finisce 
                  in galera ma diventa ricco.
 Ero a Firenze qualche settimana fa e la sera passeggiavo per 
                  il centro, con occhio attento cercano di vedere il lavoro fatto 
                  in questi anni dal probabile futuro primo ministro. Mi ha sinceramente 
                  stupito vedere uno dei fiori all'occhiello dell'Italia ridotta 
                  ad una vetrina senza anima.
 Una città vuota di persone piena di gente.
 Intendiamoci, non è certo colpa di Renzi ma...
 Ho percorso via Nazionale, in centro ma appena fuori dai percorsi 
                  turisti e sono arrivato nella comunque centralissima piazza 
                  dell'Indipendenza, una piazza poco curata, sporca.
 Se è vero, come credo, che l'opera di un sindaco non 
                  si misura solo con le piazze sporche allora chiedo a chi vive 
                  con gli emarginati ai bordi della città cosa ne pensa 
                  di Renzi. Conosco da alcuni anni delle associazioni fiorentine 
                  che operano nei quartieri periferici di Firenze. Ne esce un 
                  quadro preoccupante di Renzi, come di uno poco attento hai bisogni 
                  degli ultimi, quelli che arrancano dietro un'Europa che stenta 
                  a tenere il passo in un mondo che si fa sempre più globale.
 Ma è questa l'Italia che vogliamo? Un'Italia senza anima 
                  capace di curare solo le vetrine.
 Il mio non è un giudizio definitivo ma un'impressione. 
                  In questi anni di non voto, ho riconquistato una certa verginità 
                  politica, e ho intenzione di approfondire quello che i candidati 
                  hanno fatto quando hanno governato. Insomma, giudicare quello 
                  che prometteranno di fare sulla base di quello che hanno fatto.
 L'Europa, il Portogallo, Firenze per come li conosciamo oggi 
                  potranno anche sparire e con loro tutti quelli che hanno venduto 
                  l'anima inseguendo il sogno di un progresso che dovrebbe farci 
                  tutti oziosamente godere i frutti di un benessere che ci uccide. 
                  L'Alfama nella sua lenta operosità invece è viva, 
                  perché in fondo non insegue nessuno se non se stessa.
  Gianluca Luraschigianluca.luraschi@gmail.com
 
 Prosegue il dibattito 
                  su “Libertà senza Rivoluzione”
  Prosegue il dibattito sul volume Libertà senza Rivoluzione 
                  di Giampietro “Nico” Berti (Piero Lacaita Editore, 
                  Bari 2012), di cui abbiamo ripreso qualche 
                  stralcio in “A” 377 (febbraio).  Sui numeri 
                  successivi sono intervenuti Franco 
                  Melandri e Domenico 
                  Letizia (“A” 378, marzo), Luciano 
                  Lanza e Andrea 
                  Papi (“A” 379, aprile), Luigi 
                  Corvaglia e Alberto Ciampi 
                  (“A” 380, maggio), Marco 
                  Cossutta e Salvo 
                  Vaccaro (“A” 381, giugno), Persio 
                  Tincani e Fabio 
                  Massimo Nicosia (“A” 382, estate) e ora Enrico 
                  Ferri e Antonio Cardella.Il dibattito è naturalmente aperto a chiunque intenda 
                  intervenire, con il limite delle 6.000 battute spazi compresi.
 
 
   Dibattito Libertà senza Rivoluzione/11
   Enrico Ferri/Né comunismo, né liberalismo, 
                  né capitalismo. L'anarchismo è differente Il programma della riflessione è fissato nella premessa: 
                  i fasti dell'anarchismo si collocano nel periodo che va dalla 
                  Prima Internazionale (1864) alla rivoluzione spagnola del 1936-39. 
                  Dalla fine della seconda guerra mondiale al '68 si assiste al 
                  venir meno del movimento anarchico; dal '68 ad oggi “tale 
                  disgregazione si è ulteriormente accentuata”, fino 
                  alla “completa dissoluzione”. Ne discende, per Berti, 
                  che se l'anarchismo – pensiero e movimento – vuole 
                  avere un ruolo nel presente e nel futuro, deve fare i conti 
                  con la sconfitta del comunismo e la vittoria del capitalismo.Mi sembra riduttiva e, in ultima istanza, fuorviante la definizione/caratterizzazione 
                  che l'autore dà dell'anarchismo e della sua stessa storia. 
                  È difficile dire quando cominci la storia del pensiero 
                  anarchico e quale sia stato il primo atto coscientemente anarchico 
                  nella storia. L'anarchismo ha una matrice classico-umanistica 
                  (non quella della “civiltà occidentale”, 
                  che esiste solo sui libri): una visione positiva e ottimistica 
                  dell'uomo quale essere fondamentalmente socievole e cooperante, 
                  capace di autoregolare la sua esistenza, in modo cooperativo, 
                  solidale, non coercitivo, al di fuori della logica servo-padrone, 
                  delle gerarchie. È una forma di democrazia diretta in 
                  cui l'individuo è spinto a partecipare, a prendere posizione, 
                  a decidere, a difendere le sue decisioni, a identificare nello 
                  stesso soggetto (il popolo, inteso come insieme di individui 
                  differenziati) il governato e il governante.
 Quella dell'anarchismo è un'antropologia di segno positivo 
                  per cui ogni uomo è ritenuto capace di promuovere e garantire 
                  lo sviluppo integrale dei molteplici aspetti della sua persona, 
                  accanto e con la cooperazione (e, se necessario, in aiuto) degli 
                  altri uomini.
 All'ottimismo antropologico si lega una visione scettica, sospettosa 
                  del potere o, se vogliamo, dell'uomo che esce da un rapporto 
                  orizzontale e cooperante con i suoi simili, per porsi al di 
                  fuori e sopra la comunità. Una visione scettica del potere 
                  che cessa di essere strumento comune e condiviso, per obiettivi 
                  atti allo sviluppo degli individui, e diventa strumento di parte, 
                  usato contro altre componenti della società.
 Gli anarchici non sono contro l'autorità legittima, riconosciuta, 
                  non coercitiva, che serva secondo l'etimo (da augere) 
                  ad accrescere le possibilità comuni, come l'autorità 
                  del medico accresce la salute e quella del docente la conoscenza; 
                  l'anarchismo è contro l'uso antisociale del potere, contro 
                  l'uso che ne compromette la condivisione e l'utilità 
                  generali, universale sarebbe meglio dire. La libertà, 
                  in questa prospettiva insieme antropologica, esistenziale e 
                  sociale, è una e ben definita, né “schizoide” 
                  né “infinita”: è la possibilità/necessità 
                  di uno sviluppo integrale della persona, di ogni persona, vista 
                  sempre come suscettibile di una crescita e di un miglioramento 
                  ulteriori. Riduzione del tempo dedicato alla soddisfazione del 
                  bisogno, valorizzazione della dimensione spirituale (culturale), 
                  ludica, emozionale, sensuale dell'esistenza per ridiventare 
                  padroni del proprio tempo e, alla maniera di Stirner: “godere 
                  della vita e di se stessi”: non è un modello social/popolare 
                  di vita e di uomo, ma una prospettiva aristocratica generalizzata. 
                  Un tipo di vita esteso a tutti gli esseri umani, a spese di 
                  nessuno.
 Libertà significa in questa prospettiva rimuovere gli 
                  ostacoli al libero sviluppo individuale, creando e promuovendo 
                  dimensioni complessive atte a favorire tale sviluppo. Perciò 
                  è anarchico il gesto di uno Spartaco che si ribella, 
                  come quello di chi costruisce una scuola che voglia aiutare 
                  dei bambini ad acquisire consapevolezza, senso di sé 
                  e degli altri. Se questi sono alcuni dei caratteri essenziali 
                  dell'anarchismo, appare molto riduttivo confinarlo in un movimento 
                  o un “episodio” storico, pensare che possa “morire” 
                  la speranza e la fiducia nell'uomo e nella vita, che hanno trovato 
                  anche nell'arte, nella poesia, nella filosofia, nella letteratura, 
                  persino in certe correnti religiose le loro manifestazioni più 
                  articolate, tanto come negazione della coercizione che come 
                  promozione del libero sviluppo individuale.
 L'anarchismo dovrebbe ridefinirsi dopo la sconfitta del comunismo 
                  e la vittoria del capitalismo. Il comunismo del “socialismo 
                  reale” ha mostrato presto la sua incapacità teorico/pratica 
                  di raggiungere gli scopi che una parte significativa dell'umanità 
                  aveva condiviso. Gli stessi dell'anarchismo: la liberazione 
                  materiale e spirituale dell'uomo. Ha prodotto una nuova tirannide 
                  dove è venuta meno tanto la libertà dal potere 
                  dispotico e autocratico che la libertà intesa come possibilità 
                  concreta di crescita materiale e spirituale generalizzate. È 
                  venuto meno il comunismo, ma non le esigenze e le richieste 
                  di condivisione del benessere e dello sviluppo, di solidarietà.
 Il capitalismo ha vinto? Avrebbe vinto se avesse generato e 
                  promosso quella ricchezza e quello sviluppo che dovrebbero essere 
                  parti del suo Dna, ma che sono rimasti prerogative di pochi, 
                  pagate da molti. Con un modello rozzo di benessere e di crescita 
                  fondato sull'“appropriazione”, termine caro ai Ferengi 
                  di Star Trek, ma che Berti usa senza ironia.
 Nella seconda parte c'è una lunga disamina alle varie 
                  posizioni presenti nel movimento anarchico, anche se il modello 
                  a cui tendere sembra delineato nella prima parte del libro: 
                  una prospettiva liberal-capitalistica con qualche appropriazione 
                  in più e qualche guerra in meno. Ne riparleremo più 
                  ampiamente...
  Enrico Ferri 
 
  DibattitoLibertà senza Rivoluzione/12
   Antonio Cardella/Ma, con tutti i nostri difetti, noi ci siamo ancora Premetto che non posseggo gli strumenti necessari per valutare 
                  appieno l'enorme mole di lavoro che ha consentito a Nico Berti 
                  di portare a compimento Libertà senza rivoluzione, 
                  un'opera meritoria da qualunque angolazione la si consideri. 
                  Berti, quindi, mi assolverà se il mio intervento sarà 
                  quello di un militante anarchico che, per l'età avanzata, 
                  ha avuto il privilegio di parlare su certi argomenti che il 
                  libro tratta con compagni, adesso purtroppo scomparsi, che hanno 
                  vissuto da contemporanei impegnati le vicende a cavallo del 
                  XIX e XX secolo.Berti – a mio modo di vedere – vive come evento 
                  inesorabile e duraturo il prevalere del capitalismo borghese 
                  sul fronte dell'opposizione di matrice prevalentemente marxista. 
                  Sempre a mio modo di vedere, quando lo scontro avviene all'interno 
                  di un sistema che nessuno dei contendenti vuole radicalmente 
                  cambiare, è normale che chi detiene il potere economico 
                  (o, se si preferisce, il possesso dei mezzi di produzione delle 
                  risorse) prevalga sugli oppositori. È stato sempre così 
                  e nessuna meraviglia che sia capitato anche nella lunga vicenda 
                  della lotta di classe delle origini. Come aveva giustamente 
                  osservato Bakunin prima di uscire da una Prima Internazionale 
                  svilita dalle beghe interne e dalla miopia arrogante di Karl 
                  Marx, il privilegiare la lotta economica su quella socio-politica 
                  avrebbe portato alla sconfitta la causa dei lavoratori e determinato 
                  l'involuzione autoritaria del movimento internazionalista. Lo 
                  stato sovietico, esito della Rivoluzione d'Ottobre, confermò 
                  appieno le previsioni di Bakunin e dei fuoriusciti anarchici 
                  riunitisi a Saint Imier. L'involuzione leninista che disegnò 
                  gli assetti dello stato sovietico, non è – a mio 
                  parere – una tragica deriva di un marxismo virtuoso, ma 
                  la conseguenza di una logica tutta interna alle dinamiche del 
                  potere. Il dramma del marxismo è tutto nel non aver compreso 
                  che il semplice possesso dei mezzi di produzione da parte del 
                  proletariato non avrebbe risolto il problema dell'eguaglianza 
                  e della libertà dei popoli se non si fossero affrontati 
                  correttamente i temi di un nuovo assetto politico-sociale che 
                  non facesse più perno sulla forma stato. Di fatto, riproponendo 
                  la lotta per il potere (la dittatura del proletariato) Marx 
                  riconduceva il conflitto all'interno della logica capitalistico-borghese 
                  e rinviava ad un futuro improbabile e senza premesse credibili 
                  una società senza stato.
 In buona sostanza, in ambedue le visioni, quella liberal-democratica 
                  e quella comunista, lo stato era la struttura portante: da una 
                  parte della barricata l'involuzione autoritaria del mondo (prima 
                  e dopo la Spagna del '36 e prima e dopo il secondo conflitto 
                  mondiale); dall'altra, lo stato liberaldemocratico della borghesia 
                  capitalistica.
 Veniamo adesso alla asserita vittoria (altrettanto epocale) 
                  del capitalismo evocata da Berti.
 Intanto a me sembra importante distinguere di quale capitalismo 
                  parliamo: considerare il capitalismo che si gioca prevalentemente 
                  in borsa, in continuità con il capitalismo che produceva 
                  – con tutti i suoi limiti – beni e servizi destinati 
                  ad ampliare le aree del benessere (certamente relativo) delle 
                  popolazioni, vuol dire ritenere che la natura del mercato e 
                  la funzione del denaro siano nei due casi quanto meno comparabili, 
                  il che è improponibile. La semplice constatazione che, 
                  a fronte di un pil planetario valutato intorno ai 75mila miliardi 
                  di dollari, la circolazione del denaro nella stessa area è 
                  di circa otto volte superiore (in soldoni circa 600mila miliardi) 
                  porta a distinguere la qualità e la natura stessa delle 
                  due forme di capitalismo. Il che equivale a dire che la speculazione 
                  finanziaria, la capacità del denaro di riprodurre per 
                  partogenesi se stesso, siano incommensurabilmente lontane dall'economia 
                  reale. Quanto questo liberalismo e liberismo siano vincenti 
                  lo vediamo nella stagione drammatica che viviamo, con la quantità 
                  di buchi neri che inesorabilmente ingoiano risorse umane e materiali, 
                  desertificando aree sempre più ampie del pianeta.
 Per coerenza gli anarchici sono rimasti estranei a queste logiche 
                  e, con tutti i loro difetti, ci sono ancora, al contrario di 
                  alcuni ismi che sembravano avere vite imperiture. Certo, 
                  spesso abbiamo sopportato il peso gravoso dell'isolamento quando 
                  non addirittura dell'irrisione, ma siamo ancora qui a discutere 
                  se un altro mondo è possibile, che rimane un modo originale 
                  e complesso di fare politica.
 
 Le mie osservazioni su Libertà senza rivoluzione 
                  si fermano qui. Ritengo il lavoro di Nico Berti in ogni caso 
                  prezioso per la capacità dell'autore di focalizzare aspetti 
                  decisivi per una riflessione sulla necessità di riattualizzare 
                  il pensiero anarchico in tempi sideralmente lontani dalle origini, 
                  anche se la barra resta fissa sulla prospettiva di una società 
                  di liberi ed eguali.
 È chiaro che non ce la faremo da soli: dobbiamo trovare 
                  compagni di viaggio per un percorso tutt'altro che scontato, 
                  in un mondo che cambia continuamente i suoi assetti geo-politici. 
                  Dobbiamo guardare senza scetticismi i turbamenti dei popoli 
                  emergenti. Chi per avventura ne ha conosciuto le popolazioni, 
                  sa che, a loro modo, declinano le medesime istanze di libertà 
                  e progresso.
 Grazie, Nico.
  Antonio Cardella 
   Documentarsi sull'Islam, prego  Senza polemica, ma consiglierei agli autori dei due articoli 
                  raccolti sotto il titolo “Sfida 
                  laica all'Islam” (“A” 381, giugno 2013) 
                  di leggersi un qualsiasi libro di Massimo Campanini o il commento 
                  di Alberto Ventura al Corano, così forse avrà 
                  le idee più chiare sull'Islam.Io sono laico e non credente, molto curioso verso le altre culture 
                  qualsiasi esse siano, e non mi interessa che non corrispondano 
                  a categorie occidentali magari universali solo perché 
                  dominanti a prescindere dalla loro validità filosofica 
                  e politica. E se è vero che siamo così democratici, 
                  perché invece di criticare non aiutiamo l'Islam a comprendere 
                  meglio il senso della democrazia, di modo che possano poi tradurla 
                  in una maniera che rispetti la loro cultura e la loro storia?
 Con affetto.
  Maurizio Garuglieri(Roma)
   Non è questo il momento di chinare la testa Scrivo e invio questo appello assolutamente personale ad A 
                  - rivista anarchica perché è l'unica rivista anarchica 
                  che conosco oggi in Italia. La mia è una posizione assolutamente 
                  individuale, quindi non pretendo sia considerata espressione 
                  di alcunché se non di me stessa.Io voglio solo avere un canale per fare un invito che sento 
                  urgente e che non ho altro modo di fare poiché non sono 
                  iscritta né milito in nessuna organizzazione o federazione 
                  anarchica. Ma anarchica lo sono.
 Credo che ci sia urgenza per tutti i liberi pensatori di questo 
                  paese di unirsi il più presto possibile, ma non affrettatamente, 
                  ai movimenti del proprio territorio. Qualunque essi siano.
 Non ho votato a queste elezioni, col cuore più leggero 
                  del solito. Non ho letto giornali, né guardato tv negli 
                  ultimi mesi, non ho seguito la campagna elettorale se non tramite 
                  amici e militanti selezionatamente interessati. Eppure vedo 
                  con preoccupazione lo svolgersi degli eventi. Da un lato i “grillini” 
                  che non si sa quanto riusciranno a rendersi indipendenti da 
                  Grillo e come si comporteranno in parlamento: voteranno? Produrranno 
                  leggi e quali? Seguiranno la catena di comando? Si asterranno 
                  da tutto restringendo di fatto il potere decisionale? Si divideranno 
                  e, in buon ordine, responsabilizzeranno e cederanno al fascino 
                  dell' “istituzionalità”? Il potere li accecherà 
                  e gli farà perdere qualunque contatto di umanità? 
                  Ne approfitteranno restando puri per spingere sul 100 per cento 
                  alle prossime elezioni? Io non lo so.
 Dall'altro lato i politici della seconda (terza? quarta?) repubblica 
                  che sembrano aver ricevuto la classica doccia fredda cui sono 
                  seguiti “barlumi” di risveglio che certo non meritano 
                  fiducia alcuna. Gli si legge in faccia la voglia solo di tornare 
                  a un tran tran noto e conosciuto in cui indignarsi, costernarsi, 
                  impegnarsi e “gettare la spugna con gran dignità” 
                  ancora e ancora. Che cosa faranno è prevedibile quasi 
                  un secondo prima che lo facciano o lo dichiarino. Il destino 
                  collettivo non li appassiona in modo alcuno.
 Poi ci sono i movimenti, le lotte, gli operai di qualunque colore 
                  e settore economico, i lavoratori della conoscenza e del sociale 
                  e gli artisti che vivono in costante senso di spaesamento. Sanno 
                  che le loro pratiche e analisi sono oggi le uniche in grado 
                  di difendere e proporre la libertà, ma ancora una volta 
                  si trovano al giogo della storia. La guerra non è stata 
                  ancora dichiarata, sapremo (forse solo fra 20 o 30 anni) qual 
                  è stato il momento di inizio, ma già gli effetti 
                  si dispiegano in tutta la loro violenza per le strade, nelle 
                  carceri, nei Cie e sempre più, ovunque esista aggregazione.
 Non è questo il momento di chinare la testa, non è 
                  il momento di nascondersi, non è il momento di non rispondere 
                  a chi si è scelto il proprio destino sputando a terra 
                  le idee di libertà e diritti con cui fino a ieri si è 
                  sciacquato la bocca. Nessuno sa che cosa fare, per chi parteggiare. 
                  Ma vogliono tutti la governabilità e la sicurezza e in 
                  un modo o nell'altro la otterranno. Che sia una dittatura, il 
                  capitalismo selvaggio o la mano invisibile di vernice repubblicana 
                  sarà solo un modo di accelerare sulla reazione, sulla 
                  repressione e un nuovo nascondersi e aspettare per anni. Si 
                  leggono su Facebook le parole di Mao, rimbalzano sui comunicati 
                  anche se non sempre dichiarate: “la situazione è 
                  eccellente”. Be', a me non pare proprio. A me pare preoccupante.
 Io sto nelle lotte, non so come starci e faccio più casini 
                  che unione, ma ci sto. Ma mi sento tanto sola. Quando leggo 
                  un articolo di una qualche compagna o compagno con le mani (e 
                  la coscienza) sporche, magari dal carcere, mi commuovo. Sono 
                  una donna e mi sento un po' una principessina, ma la mia, almeno 
                  a voi, la voglio dire liberamente. Resto anonima però.
 Nei movimenti siamo visti come “settaristi” oppure 
                  ho sentito l'altro giorno dire ad Ascanio Celestini che è 
                  un puritano. Nessuno, di nuovo, ci sopporta più ben volentieri. 
                  Ancora una volta la parola utopia è diventata qualcosa 
                  di cattivo, come una droga pesante che i benpensanti schifano: 
                  l'eroina, anzi no, il metadone del pensiero critico. Ancora 
                  una volta la libertà viene accusata di non dare da mangiare. 
                  Non c'è niente di nuovo sotto il sole direte voi? Be', 
                  io credo che la vostra sia una speranza. Ma anche aveste ragione, 
                  sarebbe meglio? Quanto ancora aspetteremo prima di rompere le 
                  fila? E che cosa aspettiamo?
 Abbasso l'identitarismo! Anche quello anarchico!
 Con tutto l'affetto. Saluti antifà.
  Giulia Pontigiulia.ponti@email.it
 
                   
                    | 
                         
                          |  |   
                          | “A” Berlino...Berlino (Germania). Cinzia Piantoni,
 di Erre & Pi,
                  grafica e impaginatrice
 della nostra rivista, davanti alla
 porta di Brandeburgo
 |  |  
 
 
  
                  
                     
                      |  I 
                          nostri fondi neri 
                            |   
                      |  
                           Sottoscrizioni. Giorgio Bixio (Sestri Levante 
                            – Ge) 10,00; Marino Frau (Serrenti – Vs) 
                            10,00; Aurora e Paolo (Milano) ricordando Audrey Goodfriend, 
                            500,00; Antonello Amico (Caltanissetta) 10,00; Piero 
                            De Leonardis (Brindisi) 10,00; Roberto Nanetti (Settimo 
                            Torinese – To) 50,00; Agostino Perrini (Brescia) 
                            10,00; Remo Ritucci (San Giovanni in Persiceto – 
                            Bo) 10,00; Roberto Salati (Chirignago – Ve) 
                            40,00; Lorenzo Partesana (Sondalo – So) 10,00; 
                            Antonello Cossi (Sondalo – So) 100,00; Giuseppe 
                            Loche (Cortemaggiore – Pc) 10,00; Libreria San 
                            Benedetto (Genova) 9,90; Roberto Ceruti (Albisola 
                            Marina – Sv) 10,00; Valerio Strano (Cosenza) 
                            5,00; Luciano Collina (Sala Bolognese – Bo) 
                            10,00; Giuseppe Anello (Roma) 100,00; Giovanni Battista 
                            Albani (Ravenna) 10,00; Giancarlo Nocini (San Giovanni 
                            Valdarno – Ar) 10,00; Antonino Pennisi (Acireale 
                            – Ct) 20,00; Ugo Fortini (Signa – Fi) 
                            ricordando Milena e Gasperina, 30,00; Enrico Moroni 
                            (Settimo Milanese – Mi) 10,00; Gianfranco Cutillo 
                            (Bari) 40,00; Settimio Pretelli (Rimini) 20,00; Rino 
                            Quartieri (Zorlesco – Lo) 50,00; Leonardo Muggeo 
                            (Canosa di Puglia – Ba) 10,00; Laura Cipolla 
                            (Casalmaiocco – Lo) 20,00; Gianni Forlano e 
                            Marisa Giazzi (Milano) ricordando Errico Malatesta 
                            il 22 luglio, 100,00; Giulio Abram (Trento) 30,00. 
                            Totale € 1.234,90. Abbonamenti sostenitori. (quando non altrimenti 
                            specificato, trattasi di euro 100,00). Paolo 
                            Trezzi (Lecco); Mauro Reghellin (Cassola – Vi); 
                            Rrodolfo Altobelli (Canale Monterano – Rm); 
                            Claudia Pinelli (Milano); Alessandro Marutti (Cologno 
                            Monzese – Mi); Giancarlo Tecchio (Vicenza) 200,00; 
                            Nuccia Pelazza (Milano); Agostino Perrini (Brescia); 
                            Marco Breschi (Capostrada – Pt) 200,00; Roberto 
                            Di Giovannantonio (Roseto degli Abrizzi – Te); 
                            Collettivo d'Agraria (Firenze); Giovanni Baccaro (Padova); 
                            Andrea Morigi (Savignano sul Rubicone – Fc); 
                            Alfonso Amendola (Salerno); Battista Saiu (Biella); 
                            Marco Galliari (Milano) ricordando Franco Pasello. 
                            Totale € 1.800,00. |  |