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 Il cambiamento nasce dalle periferie della società 
 di Andrea Staid Da dove arriva il cambiamento, 
                  come nascono i conflitti, come si ridistribuisce il potere decisionale: 
                  tre domande centrali per capire l'essenza dei movimenti sociali.
 Viviamo in un mondo dove la cultura dominante, grazie ai grandi 
                  sforzi della parte attiva della società, non riesce a 
                  imporsi in termini omologanti e totalizzanti; molte fette della 
                  società si guadagnano spazi grazie alla mobilitazione 
                  e la lotta per riuscire ad avere una presenza che travalica 
                  gli stretti confini della politica istituzionale, e lo fa mettendo 
                  in campo pratiche di resistenza alla violenza e ai soprusi statali 
                  e sovranazionali (lotta No Tav e No Mous due ottimi esempi).
 Sono sempre più numerosi gli individui che si oppongono 
                  ai disegni di politici e speculatori in giacca e cravatta e 
                  sempre più, in tutte le parti del globo, dalla Turchia 
                  passando per il Brasile e tornando nel Maghreb, si costruiscono 
                  laboratori sociali che sperimentano nuovi modelli di cittadinanza 
                  che si scontrano con le assurde strategie di governamentabilità 
                  e speculazione calate dall'alto.
 Questi movimenti sociali contrastano l'omogeneità, l'universalità 
                  e la territorialità delle nazioni, sono movimenti percorsi 
                  da diversi mondi culturali con all'interno soggettività 
                  nomadi, segnate da tradizioni molteplici che articolano in modo 
                  dinamico appartenenze multi-situate e identificazioni multiple, 
                  costruite in termini caleidoscopici sovrapponendo contigentemente 
                  possibili differenziazioni spaziali, culturali, economiche e 
                  politiche.
 Oggi, molte forme di mobilitazione si caratterizzano per strutture 
                  organizzative interne meno gerarchiche di quelle dei noti movimenti 
                  degli anni settanta, sono più aperte e polimorfe: dei 
                  veri e propri mosaici di diverse culture conflittuali, espressioni 
                  organiche di una società in divenire.
 Questi movimenti, opponendosi in maniera netta alla sovranità 
                  statale, esprimono la possibilità di altre e nuove forme 
                  di distribuzione del potere decisionale: si tratta di una ri-localizzazione 
                  delle decisioni, dai palazzi alle piazze, dalle istituzioni 
                  alla società. (Boni, 2011)
 
                   
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                    | Clearfield County, Pennsylvania (Usa), 2012. Attivisti effettuano 
                  un blocco presso un sito di
 fratturazione idrica nella Moshannon 
                  State Forest
 |   Molto spesso si ha l'impressione di non riuscire a raggiungere 
                  l'obiettivo prefissato all'inizio della lotta, senza rendersi 
                  conto che, mentre si cerca di perseguirlo, se ne ottengono tanti 
                  altri che non si erano programmati. Come scrive Alberto Melucci, 
                  i movimenti sociali annunciano ciò che sta prendendo 
                  forma anche prima che il loro contenuto e la loro direzione 
                  siano diventati chiari.Per l'antropologia, lo studio dei movimenti sociali è 
                  molto importante – chiaramente una rilevanza quasi totalmente 
                  trascurata in campo accademico e editoriale. L'etnografia dei 
                  movimenti sociali, infatti, dovrebbe costruire uno spazio che 
                  renda pensabile lo studio di attori e situazioni determinanti 
                  per l'immaginazione di nuove configurazioni politiche del mondo 
                  contemporaneo.
 Nel secondo dopoguerra lo storico Fernand Braudel fece notare 
                  ai suoi studenti e colleghi che nei primi decenni del '900 uno 
                  studioso poteva sapere tutto su imperi, regni e guerre d'invasione 
                  ma non avrebbe trovato che poche pagine su quello che era la 
                  vita della maggior parte dell'umanità: contadini, operai... 
                  Questo punto di vista ha creato una storia più mossa, 
                  una storia sociale che parlava dei gruppi umani e non soltanto 
                  della classe dominate, una storia effettiva, della quotidianità 
                  e dell'agitazione.
 Questo, ovviamente in modo metodologicamente diverso, è 
                  ciò che dovrebbe fare l'antropologia dei movimenti sociali, 
                  e per capire meglio questo filone una lettura fondamentale è 
                  il nuovo libro curato da Amalia Rossi e Alexander Koensler, 
                  uscito a settembre del 2012 per Morlacchi editore, dal titolo 
                  Comprendere il dissenso, etnografia e antropologia dei movimenti 
                  sociali.
 Questo testo getta le basi teoriche e metodologiche per lo studio 
                  dei movimenti sociali, cioè per quei fenomeni di mobilitazione 
                  che non sono più del tutto riconducibili alle classificazioni 
                  storiografiche e sociologiche dei movimenti sociali “classici“, 
                  ma sono sempre più movimenti fluidi, reti di relazioni 
                  informali, di credenze condivise, di azioni strategiche e collettive 
                  orientate alla trasformazione degli assetti istituzionali di 
                  una data società. Per gli autori del testo i movimenti 
                  sociali nascono dalla mobilitazione di specifiche categorie 
                  di soggetti su tematiche conflittuali e di interesse pubblico 
                  e sollecitano la sperimentazione di soluzioni alternative all'ordine 
                  sociale egemone.
 Il saggio riflette sulle sperimentazioni dei nuovi movimenti 
                  sociali che producono rinegoziazioni originali tra vecchi e 
                  nuovi paradigmi della contestazione sociale, che cercano di 
                  costruire politiche innovative pronte a realizzare dei sistemi 
                  economici comunitari in antinomia ai meccanismi della dipendenza 
                  e del dominio e in contrapposizione a quei modi di crescita 
                  collettiva che privilegiano il benessere materiale, devastante 
                  per i legami sociali e per l'ambiente, perpetuati in nome di 
                  quella crescita e di quello sviluppo non più riconosciuti 
                  come possibili. Movimenti che cercano di staccarsi dalla logica 
                  del profitto e della devastazione dei territori.
 Le contemporanee mobilitazioni di base oltrepassano, comprendendole, 
                  le rivendicazioni particolaristiche, identitarie, etnicizzate, 
                  razzializzate, così come le loro fagocitazioni governative 
                  e le collusioni pluraliste. Svuotano le identità e rilanciano 
                  le differenze nell'ethos dell'interdipendenza e della solidarietà, 
                  configurandosi in termini di negoziazione fra i diversi gruppi 
                  nel dialogo e nella cooperazione. (Malighetti, 2012)
 
                   
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                    | Oregon (Usa), 2009. Blocco in difesa della Elliott State 
                  Forest |  Usando la strumentazione teorica e pratica dell'antropologia 
                  – maturata nell'analisi delle condizioni, spesso diasporiche, 
                  dei popoli colonizzati e degli schiavi, dei migranti e dei profughi, 
                  dei rifugiati e dei clandestini, degli indigenti – questo 
                  testo permette di pensare alle modalità con cui i movimenti 
                  sociali modificano le prassi politiche, qualificandole contingentemente 
                  a seconda delle differenti situazioni. Consente di vedere come 
                  le forme emergenti di attivismo riannodino i fili di una storia 
                  interrotta dalla schiavitù, dalla modernizzazione, dall'industrializzazione 
                  e da urbanizzazioni selvagge. Gli autori dei vari saggi contenuti 
                  in questa raccolta interpretano le possibilità a disposizione 
                  delle soggettività decentrate e localizzate dall'accelerazione 
                  dei meccanismi disgregatori e dislocanti della globalizzazione 
                  per ridisegnare il sistema politico ed economico, aprono orizzonti 
                  antropopoietici che smantellano i sistemi di classificazione, 
                  configurando le molteplicità di posizionamenti in termini 
                  contingenti e precari.
 Gli intenti principali di questo saggio sono quelli di capire 
                  in che modo le reti dell'attivismo si situano in uno spazio 
                  complesso di flussi culturali transnazionali, e come l'antropologia 
                  analizza le produzioni culturali e mediali degli attivisti annodati 
                  in tali reti; infine, altro snodo centrale nel testo è 
                  quello di capire e problematizzare il posizionamento contingente 
                  degli antropologi nel contesto di ricerca.
 Comprendere il dissenso significa comprendere quelle forme di 
                  vita sociale emergenti (Fischer, 1991) che portano a nuove configurazioni 
                  politiche e richiede di riflettere sul ruolo di divergenze e 
                  frizioni che esso produce; richiede di spostare l'attenzione 
                  su quelle pratiche che rompono con l'esistente invece di perpetuarlo, 
                  anche perché non ne possiamo veramente più di 
                  quegli studi – e sono la grande maggioranza – che 
                  mirano a consolidare la parte dominate della società 
                  e che contribuiscono a mantenere salde le fondamenta di quella 
                  fabbrica culturale chiamata università.
 Già negli anni ottanta la Scuola di Manchester lavorava 
                  sui conflitti e i cambiamenti sociali e da questi studi sono 
                  emerse con più vigore correnti che hanno cominciato a 
                  interrogasi sulle pratiche che disturbano, smontano o ricompongono 
                  il mondo così come lo conosciamo, portando a forme di 
                  vita sociale emergenti.
 L'antropologia dei movimenti sociali si propone come il campo 
                  privilegiato per indagare il nesso tra cambiamento sociale e 
                  pratiche emergenti di mutazione culturale. La specificità 
                  di questa disciplina, rispetto ad esempio alla storia e alla 
                  sociologia dei movimenti sociali, risiede nella prospettiva 
                  comparativa e nel pluralismo metodologico che la contraddistinguono 
                  nei quadri olistici e interdisciplinari che chi la pratica è 
                  in grado di restituire. Tale eterogeneità difficilmente 
                  permetterà alla nascente antropologia dei movimenti sociali 
                  di costituirsi come un sapere organico e dai confini ben evidenziati.
  Andrea Staidandreastaid@gmail.com
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