Rivista Anarchica Online


Emilio Canzi

Da Piacenza a Piacenza
di Claudio Silingardi

 

Biografia di un militante anarchico, tra Italia, Francia, Belgio, Spagna e Germania.

 

Emilio Canzi nasce a Piacenza il 14 marzo 1893 da Pietro e Giuseppina Barba, impiegato.
Abbandona le scuole tecniche per impiegarsi come commesso di negozio, rimanendo fino all'agosto del 1913 alle dipendenze della ditta Tadini e Verza.
Chiamato alle armi, è aggregato al 12° rgt bersaglieri e inviato in Libia, dove raggiunge il grado di sergente. Nel 1916 è rimpatriato perché affetto da enterocolite. Al termine della convalescenza è inviato in Val Lagarina e incorporato in un battaglione di fanteria. Partecipa alla battaglia di Vittorio Veneto ed è promosso sergente maggiore.
Smobilitato nel settembre 1919, gli è riconosciuta una pensione di 7° grado per invalidità di guerra e il diritto di fregiarsi della croce di guerra e di medaglia commemorativa delle campagne di Libia e italo-austriaca. Assunto come impiegato nell'Officina automobilistica del Regio esercito, partecipa attivamente alle agitazioni del dopoguerra, aderendo al movimento anarchico.
Nel 1921 è istruttore e capo degli Arditi del popolo. Indiziato per l'omicidio del fascista Antonio Maserati, avvenuto nel giugno 1922, si trasferisce prima a Roma e poi emigra in Francia. Qui nel 1924 partecipa al movimento delle Legioni Garibaldine, continuando a aderirvi anche dopo la presa di distanza di buona parte del movimento anarchico fuoruscito.
Il 9 agosto 1927 rientra a Piacenza e in settembre è arrestato nell'abitazione del comunista Aldo Scurani a Crespellano, in provincia di Bologna. Nel corso degli interrogatori non riesce a giustificare la sua presenza a Bologna, ed è presumibile che avesse ricevuto qualche incarico “illegale”. Durante la sua permanenza a Piacenza riprende i contatti con i compagni rimasti, e la polizia decide di ritirargli il passaporto. Per alcuni mesi tenta di recuperarlo in modo legale, grazie anche all'interessamento di un ex deputato socialista, ma poi decide di espatriare clandestinamente nell'aprile del 1928.

Fronte aragonese (Spagna), 1936 - Emilio Canzi e Giuseppe Mioli, entrambi della Colonna Ascaso

Impermeabile alle polemiche

Giunto di nuovo in Francia si stabilisce a St. Cloud, dove aderisce alla sezione dell'UCAPI. Nell'ottobre del 1933 accetta di far parte del Comitato anarchico pro vittime politiche di Parigi, curando in particolare le relazioni con i compagni rimasti in Italia. Il Comitato deve condurre la propria attività in un quadro di forti polemiche e tensioni tra i vecchi membri del Comitato e gli anarchici che si riconoscono nelle posizioni de “L'Adunata dei refrattari”. Canzi si mostra impermeabile a queste polemiche, e si concentra sul lavoro del Comitato assumendo ben presto un ruolo centrale, come dimostra il fatto che è lui a svolgere le “relazioni morali” per conto di tutto il Comitato.
Nel 1935 è tra i protagonisti della mobilitazione contro le espulsioni dei militanti anarchici dalla Francia e per il diritto d'asilo, e partecipa alle iniziative contro la guerra italo-etiopica.
Nel settembre 1936 entra in Spagna, aderendo alla Colonna Italiana della Divisione Ascaso, operante in Aragona. Partecipa a tutti i principali combattimenti, assumendo il comando di una sezione della Colonna. Nel maggio 1937 si trova a Barcellona, dove la Colonna è in riorganizzazione. Dopo i tragici scontri nella capitale catalana, decide di rimanere comunque in Spagna a combattere, passando nelle Brigate internazionali, come comandante della 36a brigata che opera nella zona di Huesca. Qui rimane ferito il 16 giugno.
Rientrato a Parigi in settembre, si impegna subito nel Comitato anarchico pro-Spagna, occupandosi dei soccorsi agli ex combattenti della Colonna italiana. Nel biennio 1937-1938 collabora a “Il Risveglio” e a “Il Momento”, quindicinale dell'UAI. Impiegato presso la Maison des Syndicats, si occupa del disbrigo delle pratiche dei compagni espulsi dalla Francia disposti a dimorare nei “campi di lavoro” e dei soccorsi agli ex combattenti della Colonna Italiana.
Arrestato dalla polizia nazista il 26 ottobre 1940, dopo tre mesi trascorsi in carcere a Parigi e a Treviri, è inviato nel campo di concentramento di Hinzert, in Germania. Nel marzo 1942 è tradotto in Italia, dove è condannato a cinque anni di confino, e trasferito nell'isola di Ventotene.
Alla caduta del fascismo come tanti altri anarchici non è liberato ma inviato nel campo di concentramento di Renicci di Anghiari (AR), da cui riesce a fuggire solo dopo l'8 settembre del 1943. Appena giunto a Piacenza sale in montagna, a Peli di Coli, promuovendo la costituzione della prima formazione partigiana della provincia. Partecipa pure alla costituzione del CLN provinciale.
In dicembre la formazione partigiana si sbanda a seguito di un rastrellamento, ma Canzi continua la sua attività cospirativa, partecipando a diverse riunioni tra Piacenza, Milano e Parma. Di ritorno da quest'ultima città è arrestato dai fascisti il 14 febbraio 1944, ma è liberato in maggio grazie a uno scambio di prigionieri. Nelle settimane successive riceve l'incarico dal CLN Alta Italia di unificare le formazioni partigiane in un Comando Unico, che si costituisce in agosto.
Canzi diventa comandante della XIII zona, con il nome di battaglia di “Ezio Franchi”. L'azione del Comando Unico risente delle tendenze autonomistiche delle diverse formazioni partigiane, ma soprattutto degli effetti dei rastrellamenti estivi e invernali realizzati dall'esercito tedesco, qui particolarmente intensi per il ruolo centrale che l'Appennino piacentino riveste nella rete delle comunicazioni nel Nord Italia. Canzi opera continuamente per contenere le tensioni esistenti tra i comandi partigiani e politici della Resistenza e, in dicembre, presenta al Comando generale del CLN un progetto di inquadramento delle forze partigiane che è definito dal generale Raffaele Cadorna, nel libro La Riscossa (Milano 1948), un “vero monumento di saggezza realistica”.

Appennino piacentino, 1944 - Partigiani in marcia
(foto: archivio ANPI Piacenza)

“Semplice partigiano”

A seguito della seconda fase del rastrellamento invernale, che colpisce pesantemente le formazioni piacentine, si apre una grave crisi nel Comando Unico. La posta in gioco è il prevalere di chi sostiene la necessità dell'apoliticità delle formazioni, o di chi invece intende operare per la loro politicizzazione, e l'equilibrio tra le diverse componenti politiche della Resistenza: un problema particolarmente sentito nel Piacentino, dove sono consistenti le forze partigiane “moderate”, e il PCI sconta una grave debolezza politica e organizzativa.
È in questo quadro che è messo in discussione il ruolo di Canzi, che dai comunisti è visto come il punto debole del Comando, non rappresentando egli alcuna forza politica organizzata, ma potendo contare solo sulla propria storia personale di coerente antifascista. I comunisti tentano quindi a più riprese di prendere il comando generale, trovando persino – nella fase finale delle loro manovre – il sostegno della missione inglese, favorevole alla sostituzione di Canzi con un ufficiale di carriera.
Il 20 aprile 1945 un gruppo di mongoli, guidato da ufficiali comunisti, circondano il Comando e arrestano Canzi e i suoi collaboratori. Trattenuto nella casa di un militante comunista a Bore di Metti, è liberato da un altro reparto partigiano, e partecipa come “semplice partigiano” ai combattimenti per la liberazione di Piacenza. Dopo la Liberazione, nonostante le forti tensioni tra le formazioni e i partiti antifascisti, è eletto prima segretario e poi presidente dell'ANPI, rappresentante unico dei partigiani nel CLN provinciale, presidente della Fe-derazione provinciale combattenti di tutte le guerre e dell'Unione volontari della libertà.
È poi reintegrato nel suo ruolo di Comandante Unico, con il grado di colonnello. In questi mesi si impegna a fondo nel lavoro di organizzazione, assistenza e direzione dei partigiani piacentini nella convinzione, più volte affermata, che fosse necessario deporre gli “odi di parte” e operare per una effettiva ricostruzione morale e materiale del paese.

Peli di Coli (Piacenza) - il monumento a Emilio Canzi realizzato negli anni Cinquanta dallo scultore Secondo Tizzoni (foto: Cino Bocchi)

Riprende il suo posto anche nel movimento anarchico, partecipando “con una fede più viva che mai”, al convegno interregionale di Milano della FCL del luglio 1945 e al congresso di Carrara della FAI nel settembre dello stesso anno. Investito da una camionetta dell'esercito inglese il 2 ottobre, gli viene amputata una gamba, ma muore per sopravvenuta broncopolmonite nell'ospedale di Piacenza il 17 novembre 1945. Dopo i solenni funerali è sepolto, come aveva chiesto, a Peli di Coli, la località della montagna piacentina dove aveva iniziato la lotta partigiana, e dove gli è stato poi dedicato un monumento.

Claudio Silingardi

Morte alla morte
Emilio Canzi e gli Arditi del Popolo a Piacenza

Dalla fine d'aprile ai primi d'agosto del 1921 a Piacenza erano stati trucidati dieci antifascisti (centinaia i feriti e i costretti all'esilio). Gli squadristi avevano trasformato la lotta politica in una guerra civile, nel cui ambito gli avversari diventavano nemici da annientare.
I reazionari potevano infatti contare sul sostegno economico di agrari e industriali, sulla complicità degli apparati dello Stato e sull'inerzia del Partito Socialista.
A sinistra però non tutti erano disposti a subire passivamente. Alcuni gruppi di antifascisti, appoggiati dagli strati meno politicizzati della classe lavoratrice, stavano maturando il convincimento, dettato anche dal semplice istinto di sopravvivenza, che al fascismo armato occorreva rispondere con le armi. Un gruppo di aderenti alla sezione romana dell'Associazione Nazionale Arditi Italiani, nel giugno del 1921, fondava l'Associazione degli Arditi del Popolo, a capo della quale era nominato Argo Secondari, ex-tenente degli Arditi di guerra, di simpatie anarco-repubblicane. Gli anarchici aderirono da subito alle formazioni degli Arditi del Popolo, mentre diverso come al solito fu l'atteggiamento dei vertici sia socialisti che comunisti.
La notizia della nascita degli Arditi del Popolo arrivò in gran parte d'Italia, ed Emilio Canzi fu tra i primi ad arruolarsi nella nuova milizia popolare, cui aderirono per scelta personale molti militanti anarchici, comunisti e socialisti. Emilio Canzi aveva partecipato attivamente alle lotte del “biennio rosso”. Poco incline ai discorsi roboanti e retorici, aveva carattere tenace e taciturno. Darà prova in più occasioni di profonda onestà intellettuale e di grande coerenza fra pensiero ed azione; per di più aveva “ascendenza sulla massa”, come sottolineava una nota della Prefettura in un rapporto al ministero dell'Interno.
Grazie alle sue doti umane e alle capacità dimostrate come sergente maggiore decorato nella Prima Guerra Mondiale, Canzi diventò istruttore militare degli Arditi del Popolo piacentini. La stima di cui godeva fra di loro risulta evidente da questo aneddoto: durante una delle prime esercitazioni militari, Canzi dichiarava schiettamente ai compagni socialisti e comunisti di essere anarchico. Dopo un attimo di silenzio era salutato dal grido unanime: “Viva Canzi”. Gli Arditi del Popolo piacentini, inquadrati nel “Battaglione Cantarana”, dal nome di un quartiere proletario della città, vissero fasi alterne; duramente repressi dalla polizia nell'agosto del 1921, nell'autunno si riorganizzavano e, nei mesi a venire, difesero con le armi i quartieri di Via Taverna e Cantarana dagli assalti degli squadristi del ras piacentino Barbiellini Amidei.
Alla fine di giugno del 1922 Canzi fu costretto ad espatriare in Francia: durante uno scontro con i fascisti, che avevano assalito una cooperativa lasciando a terra un ferroviere gravemente ferito, era morto lo squadrista Maserati, ex-tenente d'artiglieria. Molti degli Arditi del Popolo erano stati arrestati. Canzi decide immediatamente di partire per Parigi perché si diceva che una spia al servizio di Barbiellini e della questura l'avesse denunciato come capo degli antifascisti impegnati nello scontro.

I. T.