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Ancora sul “corpo lesbico”

Cara Monica,
cercherò di rispondere alla tua lunga lettera (“A” 314) che arriva dopo quasi un anno dalla pubblicazione del mio saggio su Monique Wittig (“A” 307).
Il confronto, aspro o meno aspro, tra i diversi femminismi e il pensiero della differenza, non è certo stato inaugurato da me. Come ben sai, fin dai primi anni del femminismo sono state presenti varie componenti. Il “femminismo materialista” di Christine Delphy o l'antropologia dei sessi di Paola Tabet, Colette Guillaumin e Nicole Claude Mathieu, tutto sono meno che “stereotipi sociologici da scienza esatta”, né mi riconosco (nel mio piccolo) in tale definizione che è lontana da ciò che sono e per pratica politica e di vita.
Se la “differenza sessuale” è “pensiero pensante extracategorico“ perché si è silenziato in suo nome ogni altro simbolico (lesbico, lesbico femminista, queer, transgender)? Perché si è sentito tanto parlare di “differenza fondante uomo-donna”? Tutti i discorsi in tal senso hanno sempre ricondotto il “pensiero della differenza” nell'alveo della dualità uomo donna, nel tentativo di ribaltare una negazione del femminile (e un negativo) in modo talmente poco riuscito che ormai è recuperato anche da destra. Del resto la differenza sessuale come assunto era ben presente nelle proposizioni teoretiche fasciste. Ratzinger non sbaglia in questo. Ha attaccato la gender theory di Butler (attaccato, non dialogato con lei) perché questa mostra il farsi del genere (farsi che è sociale, di classe, di scelta sessuale, di razza, di discorso…) e perché da lì parte anche la critica al biologismo (Wittig docet) non dato naturale ma naturalizzato.
Se proprio si vuole ricorrere alla biologia (e qui mi ripeto) questa ha già smentito che a livello cromosomico, anatomico e ormonale i sessi siano soltanto due (1). Ma non sono solo i sessi che contano, bensì i generi, ossia il loro riflesso nella vita degli esseri umani. Ed è questo che è troppo spesso taciuto.
Tornando a Ratzinger, forse ti sono sfuggiti i molti commenti favorevoli giunti da donne esponenti del "pensiero della differenza" suscitati dalle 37 pagine della sua enciclica dell'estate 2004. Tra tutti l'editoriale su “Il Manifesto” di Ida Dominijanni che disse chiaramente che l'allora cardinale Ratzinger era più avanti dei vari Fassino, D'Alema etc. (2) Se Ratzinger non dialoga che con se stesso è però vero che attacca due componenti del femminismo: la gender theory e l'egualitarismo (l'uguaglianza dei diritti è fondamentale e i diritti devono essere sulla persona e per ogni persona, altrimenti sono privilegi, di classe, di casta o come preferite, ma privilegi e come tali ledono gli interessi di individui che ne sono esclusi storicamente e non naturalmente).
Ti posso assicurare che la mia domanda “cosa accadrebbe se rifiutassi di segnalare su un documento alla dicitura sesso la F o la M ma scrivessi Altro o Lesbica o Transgender”, non è un mero espediente retorico. Alcune associazioni con cui collaboro lavorano in tal senso perché ciò divenga fattibile per tutti/e non solo con un atto dimostrativo individuale, ma con proposte concrete perché le leggi cambino. È ovvio che l'accoglienza di certe istanze non ha cammino facile e già non è scontato il fatto che se ne parli e lo si faccia propositivamente. Puoi trovare riferimenti in tal senso comunque nelle tesi congressuali di Arcilesbica, nei documenti del Mit, in Facciamo-breccia e sempre più nei discorsi che animano i siti web lesbici. Ti faccio notare che ho scelto da anni la visibilità (coming out) e che ne conosco i costi.
C'è una barzelletta che gira un po' ovunque ed è quella sulla fine del patriarcato.
Davvero il patriarcato è finito?
A cosa dobbiamo allora le nostre buste paga più leggere (mi diceva un'amica che a pari mansioni, nel suo ufficio un collega più giovane intasca 50 euro più di lei)? A cosa la impossibilità di accedere a certe professioni ben remunerate pur avendone i requisiti? E le nuove schiavitù sessuali imposte a donne e bambine (e bambini) del terzo e quarto mondo? E la divisione sessuale del lavoro? E tante altre piccolezze che chi è al sicuro preferisce ignorare? E i fondamentalismi religiosi?
E perché non metterci anche il trattamento delle persone transessuali, transgender, lesbiche e gay che tanto poco piacciono all'eterosessismo? E l'eterosessismo, che è retaggio patriarcale, come mai è nella testa (questo sì) di molte donne che negano il simbolico delle altre e di altri?
Confondere una critica politica con la “svalorizzazione” di un pensiero pur distante (non è mia prassi nemmeno linguistica svalorizzare il fare di altre/i), è quello che ti è capitato con “Il Corpo Lesbico”. Se ti ho dato questa impressione possiamo parlarne, ma chi ha letto il testo (e lo hanno letto e lo stanno leggendo anche molte giovani ragazze), nelle mie parole non ha certo colto questo. Ha colto una critica, anche appassionata, ma prima di tutto un desiderio di portare alla visibilità altre istanze.
Monique Wittig meritava e merita ben più di questo.
Uno degli slogan più gridati nelle due ultime grandi manifestazioni a Milano e a Roma è stato “vogliamo un mondo di tutti i colori”. Mi è tornato in mente, leggendo che secondo te userei “l'espediente retorico di svalorizzare un pensiero per valorizzarne un altro”. Ma davvero? Sono 25 anni di riduzione al silenzio che come lesbiche e movimento politico lesbico subiamo in Italia.
Wittig stessa, lo ricordo, era in Arizona non per caso ma perché silenziata in Francia e in modo pesante (3).
Quello che accadde nei gruppi femministi a suo tempo (primi anni 80) con la negazione del vissuto lesbico perché “non naturale”, non sarà mai abbastanza commentato. E potrei continuare.
Ma con una militanza femminista e poi lesbico-femminista iniziata a 13 anni e che ha attraversato gruppi, vissuti e politiche (plurale per tutto) mi devo davvero giustificare?
A me pare che l'accusa di “fallogocentrismo” la si possa a questo punto riposizionare un po' ovunque. Tant'è che sul pensiero dell'Uno e del Due e sul farsi del pensiero, anche tra filosofe della differenza vi sono notevoli divergenze (4).
Chiudo ricordando che un testo è vitale se coglie nel segno e fa divenire un desiderio “consapevolezza”. Questo è ciò che il corpus dell'opera di Wittig ci insegna e che quelle venute dopo di lei stanno facendo. Se alle “donne” non piace, si confrontino prima di tutto con il loro contorsionismo all'interno dell'eterosocialità e poi accettino come parzialità proprio questo loro stare lì.
In “Aborto la nostra competenza e quella dei vescovi” Luisa Muraro chiude un articolo per altro ambiguo con: “Non difendiamoci dal clericalismo con la separazione stato-chiesa, ma con la dimostrazione del vero e del giusto”. Ma chi può dire di conoscere “ il vero e il giusto”? E questo lo chiedo con semplicità.

Nadia Agustoni
(Bergamo)

Note

  1. Secondo l'autorevole biologa Anne Fausto-Sterling, esisterebbe un “continuum” tra i “sessi” (Anne Fausto-Sterling: “The Five Sexes, Revisited”. The Sciences (July/August) pp. 18-23, 2000).
    Qualcuno mi ha detto, non senza orrore, che quello che voglio è un mondo dai colori indefiniti, in cui regna l'androginia e dove uomini e donne sono noiosamente simili. Nelle mia visione del mondo, però, i colori decisi coesistono con quelli pastello. Ci sono e continueranno ad esserci persone molto maschili in giro; è solo che alcune di loro sono donne. E si dà il caso che molte delle persone più femminili che conosco siano uomini.
  2. Lea Melandri scrisse sull'entusiasmo e sulle delusioni suscitate tra le donne e le femministe da certi articoli scritti dopo il pronunciamento pro-differenza di Ratzinger. Anche perché lei non condivideva tale entusiasmo.
  3. In tal senso mi auguro che Eleuthera, sempre tanto attenta a presentare in Italia autori dal pensiero non convenzionale, possa in futuro farsi carico di proporre il testo più discusso e letto di Wittig cioè The Straigt Mind di cui alcuni saggi sono già stati tradotti e pubblicati in passato anche da noi.
  4. Sarebbe interessante un ampio confronto sul fallologocentrismo e sulle strutture del pensiero “unico” o autoritario, soprattutto visto il rimbalzare di accuse su chi avrebbe riportato nell'ambito dell'Uno la filosofia della differenza in Italia. Rosi Braidotti (considerata una filosofa del pensiero della differenza) così scrive in Baby Boomers (2003) pag. 186-187: “La Libreria delle Donne di Milano ha ristabilito una pratica del simbolico come voce autoritaria e fissa, lasciandosi alle spalle non solo tutta l'eredità psicanalitica della pratica dell'inconscio, ma anche la nozione del potere come rete di effetti complessi e strategici. Sparisce così proprio quel soggetto non unitario che è fondamentale per la filosofia francese della differenza”.

 

 

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