Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 27 nr. 239
ottobre 1997


Rivista Anarchica Online

A nous la libertè
diario a cura di Felice Accame

L'ultima puntata

Questa rubrica è durata fin troppo. Dai miei archivi risulta che è nata nel n. 162 di A, pubblicato nel marzo del 1989 - con un articolo dedicato all'allora in auge Roger Rabbit che, fin dal titolo, mi permettevo di ridurre alle condizioni più terrene di Coniglio Ruggero. Mia intenzione, allora come adesso, era di cavare dal cinema elementi di critica della cultura che il cinema produce e, in particolare, di anatomizzare il cinema - come forma di narrativa fra le altre - nei suoi elementi costitutivi mostrandone la setticità ideologica. Dunque, mi son sempre ben guardato dal classificare film e dal contribuire anch'io all'andazzo dell'antologizzare in nome di criteri nè dichiarati nè ben dichiarabili perchè non chiari già a chi li applica. Se i miei giudizi, qua e là, facevano capolino innanzitutto lo facevano in virtù di criteri espliciti e, poi, del discorso mai erano la pietanza, bensì il contorno (a volte perfino il dessert). Dalla critica come categoria sociale vorrei continuare a mantenere le distanze: ho parecchio da dire sul come è nata e sul come parassitariamente ha vissuto, sul modo in cui si è ritagliata una fetta di potere e sullo pseudosapere che accampa come giustificazione di sè. Parecchio da dire di negativo - come sugli intellettuali in genere.
In più, ho in uggia la sua strategia imperialistica con cui si è impadronita di ogni giornale o rivista che sia. Ne viene convalidata la rappresentazione di un mondo dove tutto è bello e incasellato, dove si può dire questa è la vita, questa è la politica, questa è la cronaca, questa è letteratura, questa è arte, questa è scienza e questo è cinema. E di questo mondo il giornale - come uno specchio "fedele", "obiettivo" - non dovrebbe dimenticare alcunchè per adempiere alla sua sacra missione di servire il lettore di barba e capelli. Ci sarà, allora, l'articolo di fondo, quello di politica (corrente), quello di politica (stagnante), quello di "cultura", l'angolino della nostalgìa, ahimè, e le "famose rubriche". "i giornali hanno con la vita all'incirca lo stesso rapporto che hanno le cartomanti con la metafisica", diceva Karl Kraus.
Bene. Ho vissuto qualcosa in più di cinquant'anni senza guadagnarmi né un'arte né tantomeno una parte e vorrei continuare così, mettendo al bando gli equivoci. Non sono un "critico cinematografico" e non sono neppure uno "specialista di cinema". Ogni tanto vado al cinema - meno spesso di quanto vada in bagno e più spesso di quanto vada in vacanza. Guardo, osservo, analizzo, mi faccio delle opinioni, ma non vorrei mai che il mio atteggiamento critico avesse a che fare con questioni di pertinenze disciplinari. Faccio il metodologo, espressione semiumoristica per dire che mi occupo della via - di qualsiasi via - che porta al risultato - a qualsiasi risultato. Sono convinto da anni che se l'umanità acquistasse in consapevolezza a proposito delle cose che fa e del come le fa, meno lutti e più tolleranza avrebbero reso la storia del mondo più digeribile. Anche quando andiamo al cinema sarebbe bene esser più consapevoli di come ci costruiamo dei giudizi e di come c'inducono a costruirceli. In tutti questi anni, sulle pagine dell'unica rivista che (forse) potrebbe parteciparne radicalmente, ho tentato di diffondere queste poche idee ed ho tentato di farne risaltare qualche risultato conseguente alla loro applicazione.
A nous la liberté era il titolo di un film che Renè Clair ha girato nel 1932, nell'anno, cioè, in cui Hitler si avvicinò sensibilmente al potere in Germania. In Italia era stato sagacemente tradotto A me la libertà e ciò, ancora una volta, dimostra come i padroni della comunicazione sappiano fare il loro sporco mestiere - anche con minimi ritocchi a semplici pronomi. Quel titolo, quello originale, mi è sembrato - e mi sembra tuttora - un grido appropriato. Aveva colpito la mia fantasia di adolescente triste e topino di ambienti che finissero in -eca prima che venisse inventata la discoteca: me lo son portato dietro. E ora me lo riprendo per intero o, meglio, mi riprendo integralmente il diritto che, testualmente, rivendica: trarrò le mie riflessioni da checchessìa, cinema incluso e non obbligatoriamente cinema - ma anche cronaca spicciola, chiacchera, sistemi filosofici, ideologia scientifica e paccottiglia "alternativa", comunicazione e mercato linguistico, protervia libresca e protervia di strada. Gli imperi centrali della coercizione costituiscono essenzialmente quotidianità ed è nella critica della quotidianità che i minuscoli focolai della resistenza devono sapersi orientare.
Sapremo fare a meno, dunque, di un "diario cinematografico".

P.S.: Mi domando se A saprà fare a meno di un "diario cinematografico". Non sarà che la mia sola presenza - in quanto occupante di un posto canonico - impediva l'arrambante avanzata della critica ? Non sarà mica che stuoli di recensori attendevano impazienti alla porta il mio canto del cigno ? Attenti, perchè il regime è ovunque - e per regime intendo la subordinazione al sapere di classe. Beh, nel caso, si sappia che sono pronto a tornare.