Rivista Anarchica Online
A nous la libertè diario a cura di Felice Accame
L'ultima puntata
Questa rubrica è durata fin troppo. Dai miei archivi risulta che è nata nel n. 162 di A,
pubblicato nel marzo del
1989 - con un articolo dedicato all'allora in auge Roger Rabbit che, fin dal titolo, mi permettevo di ridurre alle
condizioni più terrene di Coniglio Ruggero. Mia intenzione, allora come adesso, era di cavare dal cinema
elementi
di critica della cultura che il cinema produce e, in particolare, di anatomizzare il cinema - come forma di narrativa
fra le altre - nei suoi elementi costitutivi mostrandone la setticità ideologica. Dunque, mi son sempre ben
guardato
dal classificare film e dal contribuire anch'io all'andazzo dell'antologizzare in nome di criteri nè dichiarati
nè ben
dichiarabili perchè non chiari già a chi li applica. Se i miei giudizi, qua e là, facevano
capolino innanzitutto lo
facevano in virtù di criteri espliciti e, poi, del discorso mai erano la pietanza, bensì il contorno
(a volte perfino
il dessert). Dalla critica come categoria sociale vorrei continuare a mantenere le distanze: ho parecchio da dire
sul come è nata e sul come parassitariamente ha vissuto, sul modo in cui si è ritagliata una fetta
di potere e sullo
pseudosapere che accampa come giustificazione di sè. Parecchio da dire di negativo - come sugli
intellettuali in
genere. In più, ho in uggia la sua strategia imperialistica con cui si è impadronita di ogni
giornale o rivista che sia. Ne
viene convalidata la rappresentazione di un mondo dove tutto è bello e incasellato, dove si può
dire questa è la
vita, questa è la politica, questa è la cronaca, questa è letteratura, questa è arte,
questa è scienza e questo è cinema.
E di questo mondo il giornale - come uno specchio "fedele", "obiettivo" - non dovrebbe dimenticare
alcunchè per
adempiere alla sua sacra missione di servire il lettore di barba e capelli. Ci sarà, allora, l'articolo di fondo,
quello
di politica (corrente), quello di politica (stagnante), quello di "cultura", l'angolino della nostalgìa,
ahimè, e le
"famose rubriche". "i giornali hanno con la vita all'incirca lo stesso rapporto che hanno le cartomanti con la
metafisica", diceva Karl Kraus. Bene. Ho vissuto qualcosa in più di cinquant'anni senza guadagnarmi
né un'arte né tantomeno una parte e vorrei
continuare così, mettendo al bando gli equivoci. Non sono un "critico cinematografico" e non sono
neppure uno
"specialista di cinema". Ogni tanto vado al cinema - meno spesso di quanto vada in bagno e più spesso
di quanto
vada in vacanza. Guardo, osservo, analizzo, mi faccio delle opinioni, ma non vorrei mai che il mio atteggiamento
critico avesse a che fare con questioni di pertinenze disciplinari. Faccio il metodologo, espressione semiumoristica
per dire che mi occupo della via - di qualsiasi via - che porta al risultato - a qualsiasi risultato. Sono convinto da
anni che se l'umanità acquistasse in consapevolezza a proposito delle cose che fa e del come le fa, meno
lutti e
più tolleranza avrebbero reso la storia del mondo più digeribile. Anche quando andiamo al cinema
sarebbe bene
esser più consapevoli di come ci costruiamo dei giudizi e di come c'inducono a costruirceli. In tutti questi
anni,
sulle pagine dell'unica rivista che (forse) potrebbe parteciparne radicalmente, ho tentato di diffondere queste
poche idee ed ho tentato di farne risaltare qualche risultato conseguente alla loro applicazione. A
nous la liberté era il titolo di un film che Renè Clair ha girato nel 1932, nell'anno,
cioè, in cui Hitler si
avvicinò sensibilmente al potere in Germania. In Italia era stato sagacemente tradotto A me
la libertà e ciò,
ancora una volta, dimostra come i padroni della comunicazione sappiano fare il loro sporco mestiere - anche con
minimi ritocchi a semplici pronomi. Quel titolo, quello originale, mi è sembrato - e mi sembra tuttora -
un grido
appropriato. Aveva colpito la mia fantasia di adolescente triste e topino di ambienti che finissero in -eca prima
che venisse inventata la discoteca: me lo son portato dietro. E ora me lo riprendo per intero o, meglio, mi riprendo
integralmente il diritto che, testualmente, rivendica: trarrò le mie riflessioni da checchessìa,
cinema incluso e non
obbligatoriamente cinema - ma anche cronaca spicciola, chiacchera, sistemi filosofici, ideologia scientifica e
paccottiglia "alternativa", comunicazione e mercato linguistico, protervia libresca e protervia di strada. Gli imperi
centrali della coercizione costituiscono essenzialmente quotidianità ed è nella critica della
quotidianità che i
minuscoli focolai della resistenza devono sapersi orientare. Sapremo fare a meno, dunque, di un "diario
cinematografico".
P.S.: Mi domando se A saprà fare a meno di un "diario cinematografico". Non sarà che la
mia sola presenza - in
quanto occupante di un posto canonico - impediva l'arrambante avanzata della critica ? Non sarà mica
che stuoli
di recensori attendevano impazienti alla porta il mio canto del cigno ? Attenti, perchè il regime è
ovunque - e per
regime intendo la subordinazione al sapere di classe. Beh, nel caso, si sappia che sono pronto a tornare.
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