Rivista Anarchica Online
Quelli del braccio
di Emanuela Scuccato
In Italia ci sono circa duecento gruppo più o meno organizzati e singole persone che si battono contro la
pena di
morte. Ne incontriamo una, per capire come sia possibile fare concretamente qualcosa
Partiamo dal tuo impegno nel "Comitato Paul
Rougeau"... Il "Comitato Paul Rougeau", che si chiama così, ma è
un'Associazione vera e propria, regolarmente costituita,
è nato per caso, nel 1992, dalla collaborazione di alcuni italiani che avevano cominciato una
corrispondenza con
un condannato a morte americano che si chiamava appunto Paul Rougeau. Molti di loro erano iscritti ad Amnesty
International, altri no. Quest'Associazione ha uno scopo un po' diverso da quello di Amnesty. Mentre infatti
Amnesty lotta contro la pena di morte per motivi di principio e non si occupa dei casi singoli, se non quando il
condannato a morte ha una data di esecuzione fissata, nel qual caso interviene con le cosiddette "azioni urgenti",
mandando fax, lettere, petizioni..., l'Associazione Paul Rougeau si propone invece di fornire un'assistenza legale
a distanza al singolo detenuto "adottato", diciamo così, in modo che questi possa avere un processo equo
con un
avvocato davvero all'altezza della situazione.
Nato per sostenere Paul Rougeau, il Comitato è divenuto quindi un'Associazione che
continua a vivere
nonostante l'esecuzione di Paul... Sì, purtroppo due anni dopo la costituzione
dell'Associazione, Paul Rougeau è stato giustiziato. Dal carteggio
con i suoi corrispondenti italiani è stato ricavato un libro, Mi uccideranno in maggio, che
ha fatto conoscere
all'opinione pubblica la sua storia. Come Paul stesso voleva, l'Associazione ha però continuato a vivere.
Qualche
mese fa ha "adottato" un altro detenuto in condizioni economiche di assoluta indigenza, Jo Cannon, del quale
finanzia l'assistenza legale da parte di un avvocato privato. Jo Cannon è stato rinchiuso nel braccio
della morte di Huntsville quando aveva diciassette anni. Quest'anno ne
compie trentasette. Sono vent'anni che è rinchiuso là dentro e tra l'altro, per una serie di ritardi
burocratici
abbastanza inspiegabili, è solo a metà dell'iter giudiziario previsto dalla giurisprudenza
americana.
Come funziona concretamente l'Associazione Paul Rougeau? I soci versano
una quota annuale, naturalmente secondo le loro possibilità economiche, anche in maniera
estemporanea [normalmente la quota associativa è di £ 30.000 n.d.r.]. Poi c'è un gruppo di
cinque-sei soci più
attivi che mantiene i contatti con il Texas. Fin dai primi tempi del Comitato abbiamo avuto la fortuna di stabilire
un contatto duraturo con alcune persone che si trovano sul posto. La formula è sempre la stessa: noi da
qui
cerchiamo di raccogliere i fondi, loro là mantengono un rapporto presente e costante con gli avvocati e
con il
detenuto.
In questo modo le informazioni su cosa succede sono tempestive... Certo. I soci
attivi, oltre a svolgere un lavoro dal punto di vista operativo, in caso di bisogno si autotassano
ulteriormente. Il costo di una parcella di un avvocato dipende dalla sua capacità e dalla sua fama, ma
è sempre
piuttosto elevato. Si parla di cifre che tradotte in lire italiane possono variare da un minimo di cinquanta a un
massimo di duecentocinquanta milioni per ogni singolo caso. Per quanto riguarda Jo Cannon siamo riusciti a
trovare un avvocato, raccomandatoci dagli amici americani come persona valida, che ha accettato di rateizzare
le sue spettanze. Il che, per noi, è stato un bell'aiuto.
Per quanto riguarda, invece, tutti coloro che non sono iscritti all'Associazione Paul Rougeau e
a volte
neppure ad Amnesty, ma che si rivolgono a te da ogni parte d'Italia per sostenere moralmente e/o
economicamente alcuni detenuti rinchiusi nei bracci della morte, come è stato che sei diventato un po'
il
loro punto di riferimento? Tieni presente che pur facendo parte dell'Associazione Paul Rougeau,
io non ero tra i corrispondenti di Paul che
all'inizio hanno dato vita al Comitato. Ci sono entrato solo più avanti, dopo che ne avevo avuto notizia
dalla sede
di Amnesty International di Roma, quando ho preso contatti per avere un loro aiuto per un altro detenuto texano
col quale corrispondevo ormai da lungo tempo e al quale era stata fissata la data dell'esecuzione. Facendo un
passo indietro, molti anni fa, non so come, avevo ricevuto una cartolina da una suora cattolica americana, una
suora francescana, che cercava dei contributi anche piccoli per aiutare un detenuto condannato a morte nel suo
Paese. Le ho mandato qualcosa e poi questo detenuto americano mi ha scritto per ringraziarmi. Si è
stabilito così
un rapporto epistolare. All'inizio ero abbastanza curioso di scoprire che cosa poteva spingere una persona
condannata a morte a cercare un'amicizia che avrebbe potuto anche finire. Questa corrispondenza continua tuttora.
Ci sono state delle notevoli traversie perché in questi sette anni, dacché lo conosco, Gary [Gary
Graham n.d.r.]
si è visto fissare la data dell'esecuzione per ben quattro volte, tre delle quali nel corso dello stesso anno,
il '93. (Attualmente sta ancora aspettando l'esito di un ricorso presso la Corte Federale di Houston ed
è rinchiuso nel
braccio della morte di Huntsville dal 1981). È stato proprio nel '93 dunque, mentre cercavo aiuto per
bloccare la sua esecuzione, che ho conosciuto
l'Associazione Paul Rougeau. Facendo ancora un altro passo indietro, il mio amico Gary Graham, là
nel Texas, aveva intanto dato vita ad un
periodico, Endeavor, che redigeva insieme ad altri suoi compagni di prigione.
Come è stato possibile questo, dato l'assoluto divieto all'interno dei bracci della morte
di portare avanti
iniziative di qualsiasi genere? Difatti è proibito. Lui scrive articoli, qualcuno dei suoi
compagni fa anche dei disegni... Ce n'era uno molto bravo
nella grafica che purtroppo non c'è più perché è stato giustiziato. Questi
articoli vengono spediti per posta al di fuori della prigione, come qualsiasi altra corrispondenza, agli amici
americani che lo sostengono, i quali si occupano di stampare e diffondere il giornale dall'esterno. Quando ho
saputo di questo periodico mi sono abbonato e mi sono assunto il compito, per l'Italia, di inoltrare il giornale a
chi ne fa richiesta, di raccogliere i soldi degli abbonamenti e di spedirli in America.
Quanto costa abbonarsi? Quindici dollari l'anno, cioè £ 25.000, e gli
abbonati sono attualmente una trentina. Ecco, per ritornare alla tua
domanda sul perché vengo contattato anche da chi non fa parte dell'Associazione Paul Rougeau, la
pubblicazione
di Graham ha funzionato in questo senso come uno dei tramiti fondamentali per la diffusione del mio nominativo
e del mio indirizzo sia in numerosi penitenziari degli Stati Uniti che tra gli abolizionisti italiani.
E come te la cavi con i detenuti che ti scrivono dagli USA? Succede che la
prima volta rispondo a tutti consigliando di fare come aveva fatto Paul [Rougeau n.d.r.],
consigliando cioè di scrivere ad alcuni giornali di cui fornisco l'indirizzo...
Che sono... Di solito sono Avvenimenti, il
Manifesto, una volta c'era anche Epoca, che adesso non c'è più, La
Nazione di
Firenze... Insomma tutti quei quotidiani e periodici che al di là delle loro tendenze politiche sono disposti
a dare
spazio agli appelli dei condannati a morte. E devo dire che in questo modo diverse persone hanno trovato amici
in Italia. Senza dubbio. A questo punto, quando qualcuno vuole mandare soldi in America e scrive al detenuto
per sapere come fare,
capita che sia il detenuto stesso che lo indirizza a me. Lavorando poi proprio al Servizio Esteri di una banca e
quindi conoscendo bene anche tutte le procedure in merito, succede che mi scrivano da tutta Italia mandandomi
del denaro per i loro corrispondenti. [Il denaro viene inoltrato in America in dollari e depositato direttamente
sul conto del condannato a morte, al
quale però non vengono riconosciuti interessi nonostante che l'Istituto annesso ai penitenziari reinvesta
come
qualsiasi altra banca i fondi a disposizione n.d.r.] Naturalmente dopo aver compiuto le operazioni necessarie
invio sempre a chi mi ha spedito dei soldi la
documentazione che comprova che ciò è avvenuto.
Qual'è la tua opinione sul mondo abolizionista italiano? Penso che chi
si muove sia animato da grande entusiasmo, ma circondato da moltissima indifferenza. Sì, in Italia
qualche volta se ne parla di questo problema, ma forse perché si ritiene che nel nostro Paese l'abolizione
della
pena di morte sia un fatto definitivamente acquisito e irreversibile direi che alla stragrande maggioranza della
gente l'argomento non interessa più di tanto. Visto che la pena di morte esiste anche in tanti altri Paesi
del mondo, forse è il caso di spiegare perché si parla
sempre dei detenuti americani. Una ragione può essere senz'altro questa: se escludiamo l'Europa - ormai
anche
l'Europa orientale l'ha abolita quasi dappertutto e la stessa ex Unione Sovietica, seppur controvoglia, si sta
adeguando -, se parliamo quindi di Paesi occidentali, solo gli Stati Uniti applicano ancora la pena capitale.
Un'altra ragione invece è dovuta al fatto che diversamente dai Paesi del terzo e quarto mondo soltanto
con i
detenuti rinchiusi nei bracci della morte americani è possibile stabilire contatti diretti. Seguire il caso
di un condannato a morte cinese, per esempio, senza un supporto locale è praticamente
impossibile. E qualora si riuscisse a trovare un tramite, il regime non ci andrebbe certo leggero... In queste
circostanze si può agire soltanto a livello internazionale con l'ausilio di organizzazioni come l'ONU o
facendo
pressione sulla stessa CEE.
Hai notizia di altri Movimenti abolizionisti in Italia, a parte quelli già citati e sicuramente
più noti? I gruppi più o meno organizzati e i singoli che si muovono in
quest'ambito nel nostro Paese sono circa duecento.
Esiste una mappa di questa realtà? No, è un po' difficile
stabilire con certezza quanti sono i Movimenti. Si sa che sono circa duecento perché
Amnesty International, che mantiene a Genova un centro nazionale di coordinamento ["Coordinamento Pena di
Morte" n.d.r.] al quale spesso scrivono detenuti americani in cerca di aiuto, ha fornito privatamente a chi ne ha
fatto richiesta l'indirizzo di uno o più condannati a morte. Questo ha permesso di fare una prima stima
della
situazione. Alcuni di questi gruppi un po' più organizzati, che si conoscono l'un l'altro, si sono poi
incontrati
l'anno scorso a Napoli e hanno dato vita ad una "Coalizione italiana per l'Abolizione della Pena di Morte negli
USA", che si chiama così proprio per assonanza con quella National Coalition americana che si propone
lo stesso
scopo. Per ora questo è l'unico Organismo in Italia che coordina l'attività dei vari comitati e che
collabora il più
strettamente possibile con l'omonima organizzazione in Texas.
Le condizioni di vita di questi detenuti all'interno dei bracci della morte sono
spaventose... Sono indescrivibili. Anche se gli stessi condannati a morte ne parlano nelle loro
lettere, è ben difficile riuscire
a comprendere fino in fondo. Quando viene commesso un reato, gli scopi della giustizia dovrebbero essere
principalmente tre: la punizione del colpevole, impedire che questi commetta altri reati, il recupero del soggetto
alla società civile.
Io credo che il carcere, così com'è, non serva a niente... Certo,
io ora sto parlando molto in astratto. Prescindiamo un momento dalla situazione del carcere e dall'uso che
ne viene fatto attualmente nella realtà. I tre punti di cui parlavo prima - punizione, isolamento, recupero
- sono
visti in America secondo un'ottica molto particolare. Quando qualcuno commette un reato si usa dire che "ha
contratto un debito verso la società", debito che non si sa bene perché deve essere ripagato in
termini di sofferenza
personale. Di fatto nei penitenziari americani succede proprio così, come se venisse applicato questo
principio...
Quindi in prigione ti fanno stare male apposta. Cioè: se il cibo è immangiabile, tanto meglio; se
si verificano delle
sofferenze di tipo psicologico quando per esempio, per i motivi più banali o addirittura inesistenti,
all'ultimo
momento vengono vietate le visite periodiche dei famigliari, anche questo viene studiato prima e poi
applicato...
... una forma di tortura... Sì. Il debito contratto con la società
deve essere ripagato in termini di sofferenza fisica e psicologica. Questa è
la punizione.
Che naturalmente è a discrezione dei direttori dei singoli Istituti di
pena... Dato che i direttori delle singole prigioni hanno un larghissimo margine di
discrezionalità, le condizioni generali
dei detenuti variano moltissimo da un penitenziario all'altro, a seconda del tipo di gestione che viene portata
avanti. Esiste questa fama delle prigioni americane dove si sta malissimo, dove si sta un pochino meglio, dove
la detenzione può anche essere più sopportabile. Naturalmente le cose possono cambiare da un
giorno all'altro.
Un altro grosso margine di discrezione ce l'ha poi il secondino. Il secondino lavora senza che nessuno lo veda,
quello che dice lui è legge.
Questo lo scrivono i detenuti... E non ci sono possibilità di
controlli? Non ci sono possibilità di controlli, di nessun genere, perché non ci
sono testimoni. Anche quando il detenuto che
ha subito violenza decide di denunciare - perché almeno sulla carta la legge glielo consente -, se non riesce
a
provare la veridicità delle sue affermazioni, automaticamente scatta l'accusa di calunnia. Il che comporta
un'ulteriore condanna. Molti detenuti che subiscono delle violenze inaudite spesso preferiscono tacere per non
aggravare la loro posizione.
Si sa che molti di loro perdono letteralmente la testa... Teniamo presente una
cosa: la media di permanenza nel braccio della morte è di circa dodici anni. Si va cioè dai
quattro ai ventuno anni di un detenuto che si chiamava Granville e che è stato giustiziato il 29 febbraio
dell'anno
scorso. Questo periodo così lungo di detenzione comporta per i famigliari del condannato a morte
uno stress tale che
molti non riescono a sopportarlo e quindi la stragrande maggioranza dei condannati, dopo qualche anno, viene
definitivamente abbandonata dalla famiglia di origine. Il fatto che certe prigioni dotate del braccio della morte
- non è il caso di Huntsville, però è per esempio il caso
del penitenziario di Parchman, nel Missouri - siano ubicate in posti talmente isolati da essere addirittura tagliati
fuori dal servizio pubblico e che la legge preveda la possibilità, in caso di sovraffollamento delle carceri,
di
"appaltare" la custodia dei detenuti ad altri Stati dell'Unione più o meno vicini non favorisce certo la
continuità
dei rapporti tra i condannati a morte e i loro congiunti. Considerato che quasi tutte le condanne alla pena capitale
riguardano persone dei ceti sociali più bassi, diventa quasi impossibile per i parenti affrontare dei viaggi
del
genere per andare a trovare i loro famigliari in carcere. Se lo fanno, lo fanno una volta ogni chissà quanto.
Abbandonati dalle loro famiglie, i detenuti perdono qualsiasi rapporto con la realtà esterna. Perdono per
esempio
il senso del valore del denaro...
... il senso del tempo... ... il senso del tempo. Non capiscono più se
sono lì dentro da mesi o da anni.
Anche perché molti di loro all'interno del carcere non hanno neanche la
possibilità di avere
un'occupazione. A proposito del lavoro, anche lì dipende tutto dal direttore del carcere,
che può consentirlo, non consentirlo,
consentirlo oggi e cambiare idea domani. Se a qualcuno viene concesso di lavorare certo la dimensione del tempo
viene in parte recuperata, ma non dobbiamo dimenticare che quando i detenuti lavorano la loro paga oraria
è
bassissima.
Imprese non-governative sono state addirittura soppiantate da aziende statali divenute
concorrenziali sul
mercato proprio grazie al lavoro praticamente gratuito dei detenuti. Sembra il caso dell'UNICOR (settore
informatico), per esempio, "la quinta industria carceraria negli USA per
profitto". [vedi le testimonianze delle detenute del carcere di Marianna in
Florida] Tra l'altro le prigioni americane - quelle nuove tutte, le vecchie in numero
sempre maggiore - sono non solo
costruite, ma anche gestite da Società private, che tra poco, almeno le maggiori, saranno quotate in Borsa.
Presto
si potranno comprare azioni di Società la cui attività è quella di costruire e gestire
penitenziari con detenuti
condannati anche a morte.
Il famoso business carcerario... [vedi A-Rivista Anarchica
N.234] Sì, un vero e proprio business.
Ritornando un po' a monte, quanto incidono in questo momento i Movimenti abolizionisti
americani e
quanto conta l'appoggio esterno di altri Paesi come per esempio l'Italia? Ora come ora, la voce
dei Movimenti abolizionisti americani è di fatto inascoltata, anche perché non trovano
spazio all'interno dei normali media - i giornali più diffusi e la televisione. Quel poco che riescono a dire
lo
dicono attraverso i loro bollettini, i loro periodici, stampati naturalmente con le risorse economiche che riescono
a mettere insieme autofinanziandosi.
Politicamente, quindi, incidenza zero... Politicamente, incidenza quasi zero.
Siccome però anche gli abolizionisti votano, ci sono dei loro rappresentanti
al Congresso che si pronunciano contrari alla pena di morte. Si dicono contrari, ma intanto dobbiamo registrare
che fino a questo momento nessuna battaglia politica forte in questo senso è stata portata avanti.
E l'incidenza degli abolizionisti italiani? L'incidenza nostra comincia adesso
a farsi sentire appena appena. Il caso di O'Dell è stato significativo. I giornali
locali, in America, hanno parlato molto, oltre che di O'Dell, anche delle manifestazioni e delle iniziative che sono
state intraprese per l'abolizione della pena di morte qui da noi.
Qual'è ora la situazione dell'Italia in ambito internazionale, dopo la posizione assunta
dall'ex Presidente
del Consiglio Dini nel caso Venezia? Il Governo è caduto in una contraddizione davvero molto
forte... Sì, ma voglio sperare che sia una contraddizione che riguarda solo il singolo,
solo Dini intendo.
Come dire che i Presidenti del Consiglio e i Ministri cambiano, gli abolizionisti
restano. Ecco. Almeno spero che Dini, come attuale Ministro degli Esteri, non si muova in una
direzione opposta a quella
sostenuta ufficialmente dal nostro Governo.
Si disquisisce sempre molto intorno alle ragioni che inducono la maggior parte degli Americani
ad essere
favorevoli alla pena di morte - sotto gli effetti dell'attentato all'ufficio federale di Oklahoma City nel '95,
si è pronunciato a favore della pena capitale addirittura il 90% dell'opinione pubblica -, ma al di là
dei
condizionamenti economici e culturali che indubbiamente sottendono questo problema, che cosa, secondo
te, rende tanto ardua la battaglia degli abolizionisti? Il secondo obiettivo della Giustizia di cui
si parlava prima: impedire a chi ha commesso un omicidio di
commetterne degli altri. Nell'immaginario americano questo può realizzarsi con certezza solamente se
si mette
a morte il reo.
Perché questo terrore della "devianza"? Perché tutto l'apparato
pubblico - polizia, magistratura, il potere legislativo e quello esecutivo, i Governatori -
si muove in una direzione unica: quella della repressione. Il che influisce enormemente anche nello svolgimento
dei processi. Fino a non molto tempo fa la legge proibiva, per esempio, di avvertire la Giuria che in alternativa
alla pena di morte era possibile condannare l'imputato ritenuto colpevole all'ergastolo senza possibilità
di essere
liberato sulla parola. Di solito, infatti, in America succede che quelli che vengono condannati a scontare delle
pene detentive, ergastolo compreso, possono chiedere la libertà condizionata quando hanno scontato un
terzo della
pena. Nel caso dell'ergastolo, quindici anni. Quindi già da tempo esiste un'alternativa alla pena di morte...
Nel
corso dei processi viene poi sempre valutata la pericolosità sociale futura degli imputati. Vengono
chiamati a dare
il loro parere in merito periti di vario genere, psichiatri, psicologi... Se dalla loro perizia emerge che il soggetto
esaminato è un malato cronico, la condanna a morte si dà quasi per automatica. Questi, per dire,
sono i concetti
che informano la coazione a non ripetere il reato. D'altra parte, anche per quanto riguarda i sondaggi
d'opinione sulla pena di morte occorrerebbe fare qualche
distinguo. Alla domanda: siete favorevoli alla pena di morte?, il 70% degli Americani risponde di sì.
Però se si
permettesse loro di esprimersi come favorevoli o contrari sull'alternativa che il condannato lavori per risarcire
la vittima, per mantenere il sistema carcerario, per aiutare la sua famiglia di origine, visto che con la pena di morte
si creano anche degli orfani, forse le risposte sarebbero diverse. Oggi come oggi, ai politici torna comodo dire
che si inchinano alla volontà popolare.
Viste le premesse, il recupero alla società del condannato è un capitolo
inesistente... Inesistente. Preso in considerazione più volte, blandamente attuato in
qualche caso, questo discorso viene ben
presto accantonato da tutti. L'unica prevenzione riconosciuta ed esposta a chiare lettere da Governatori e direttori
di carcere è la repressione. Mi viene in mente un servizio televisivo trasmesso qualche sera fa, dove il
direttore
di un nuovo penitenziario costruito in pieno deserto in Arizona diceva che lì dentro i detenuti avrebbero
dovuto
stare tanto male da farsi passare qualsiasi voglia di tornarci, posto di riuscire ad uscirne. E forniva ulteriori
ragguagli, del tipo: i guardiani sono coadiuvati da cani addestrati, il cui costo è di un dollaro
al giorno; la spesa per il mantenimento di ogni singolo detenuto ammonta a 90 centesimi.... "Ma", spiegava il
direttore del penitenziario, "il cane non ha commesso nessun reato".
Il cinema e la letteratura ci hanno quasi sempre dato un'idea falsata delle esecuzioni. Anche nel
film di
Susan Sarandon e Tim Robbins, Dead man walking, tratto dall'omonimo libro, sembra che la
macchina
da presa risenta di tutti i nostri tabù, dei nostri sensi di colpa... La famosa "iniezione della buona morte",
sperimentata con giusta indignazione da parte degli animalisti sui maiali, non è affatto una "buona morte".
Non è sicura e non è indolore. Il condannato viene legato
strettamente a un lettino. La prima iniezione serve a lubrificare le vene mediante
una soluzione salina. Soltanto tre quarti d'ora dopo, mentre il condannato è ancora lì, ben vigile,
ad
aspettare, arrivano quasi contemporaneamente l'anestesia e il veleno. Scoppiano prima i polmoni, poi si
ferma il cuore. Cinque minuti, dicono, ma non sempre va così. L'"iniezione della buona
morte" non viene fatta da un medico o infermiere che sia. Un addetto infila tre aghi nel
braccio del condannato, ma il carnefice vero e proprio è una macchina comandata dall'esterno della
camera della
morte. La macchina ha due interruttori azionati da due boia diversi. Di questi due congegni solo uno può
realmente dare il via all'esecuzione. Quale? Non si sa.
Il tutto per tacitare le coscienze... Sì, questo per impedire che qualcuno,
a distanza di tempo, possa avere degli scrupoli di coscienza ed avere la
certezza di essere stato lui a mettere in moto la macchina della morte. L'esecuzione deve poi avvenire nel giorno
e secondo i modi stabiliti dalla legge. Se questo, per un qualsiasi motivo non accade, tutto viene rimandato fino
a che il metodo stabilito per legge può essere applicato. Si spiega così perché i detenuti
che hanno tentato il
suicidio sono stati portati in ospedale, rianimati, salvati e poi giustiziati. Inoltre, se tutte queste operazioni
sconfinano nelle ventiquattro ore successive, dal momento che non è più il giorno stabilito dalla
legge,
l'esecuzione deve essere rimandata a data da destinarsi.
Per quanto riguarda la sedia elettrica, usata ancora oggi, questa provoca sofferenze indicibili.
Quando
funziona, ustioni tremende, quando non funziona... In più di un'occasione
ci si è appellati all'Ottavo Emendamento della Costituzione americana in quanto
questi sistemi di morte - iniezione letale, sedia elettrica, camera a gas, impiccagione, fucilazione - sarebbero
da considerare come punizioni "crudeli e non comuni". E pertanto incostituzionali. Non è servito a
molto! Vorrei dire ancora una cosa. In America, contro un accertamento fiscale ritenuto ingiusto,
in poche parole una
visita della tributaria, si hanno sei mesi di tempo per fare ricorso. Per quanto riguarda invece il processo penale,
l'imputato ritenuto colpevole e condannato a una pena detentiva o a morte ha solo trenta giorni, dopo la
conclusione del dibattimento, per esibire in tribunale le eventuali prove che lo scagionerebbero. Se si va oltre
questo termine, non c'è più niente da fare. Dopo il processo vero e proprio e il primo appello con
Accusa e Difesa
in entrambi i gradi, gli appelli successivi, infatti, si limitano soltanto ad entrare nel merito della correttezza
dell'applicazione della procedura penale. Quindi, fino al trentesimo giorno dopo la fine del dibattimento si
è
innocenti, dal trentunesimo si è sempre colpevoli. (Così si impedisce anche la riabilitazione
degli innocenti). Oltre ai condannati a morte, ci sono persone che si fanno l'ergastolo nonostante che le prove
della loro innocenza
ci siano e siano state presentate a chi di dovere. Però... però sono arrivate troppo tardi. In Texas
si giustifica questa
procedura che ha dell'assurdo come il tentativo di impedire che con il passare del tempo vengano fabbricate delle
prove di innocenza fasulle. O le prove esistono, dicono, e quindi sono reperibili immediatamente, oppure se si
trovano a posteriori, vuol dire che sono false.
Una legislazione tagliata con l'accetta, senza vie di mezzo. Questo e il fatto
che i reati punibili con la pena di morte sono passati da due a circa sessanta; il fatto che sia stata
compilata una lista di reati cosiddetti "federali" - per esempio il traffico di stupefacenti -, per i quali può
essere
comminata la pena di morte anche se sono stati compiuti in Stati dell'Unione dove la pena capitale non è
in vigore
(12 Stati su 50 non la prevedono); l'ergastolo obbligatorio quando si è al terzo processo penale e si viene
condannati... Tutto questo fa sì che le carceri degli Stati Uniti siano al limite delle loro
possibilità.
Si legge che "la popolazione dei bracci della morte è settanta volte superiore alle
capacità di eliminazione
degli Stati". [Vendetta di Stato op.cit.]. Se ad una domanda corrisponde sempre un'offerta, siamo
autorizzati a pensare che si stanno aprendo al mercato nuovi "orizzonti" dorati... Mettendo
insieme un po' tutto, sembra proprio che in America gli scopi della Giustizia stiano venendo meno. La
pena? Il recupero? Ora come ora si preferisce "eliminare".
*Endeavor, periodico a cura dei detenuti del braccio della morte di Huntsville (Texas) [Per riceverlo
contattare Paolo Cifariello - Via P. Passeggio, 46 29100 Piacenza (L'abbonamento annuo è di £
25.000)] * Rougeau P., Mi uccideranno in maggio, Sensibili alle Foglie, Roma, 1994. * Voci di donne
dal carcere (Carcere Marianna - Florida, lettere tra il '90 e il '91) in Foglio Ribelle, numero zero,
Milano, Collettivi autogestiti delle donne. * Christie N., Il business carcerario, in A - Rivista anarchica N.
234 Christie N., Il business penitenziario - La via occidentale al gulag, Eléuthera, Milano 1997. *
Maglie Maria Giovanna,Vendetta di Stato, Marsilio, Venezia, 1996.
Paolo Cifariello, funzionario di banca nel piacentino, è il tesoriere
dell'associazione italiana "Comitato Paul
Rougeau/Ellis (One) Unit". Da vent'anni attivista di Amnesty International, socio della lega di cittadini e
parlamentari "Nessuno tocchi Caino", un'organizzazione internazionale che si propone l'abolizione della pena
di morte nel mondo entro il Duemila, Cifariello è inoltre il punto di riferimento concreto di molti degli
abolizionisti italiani che mantengono contatti con detenuti rinchiusi nei diversi bracci della morte degli Stati Uniti.
A lui ci si rivolge non solo per far pervenire piccole o grandi somme di denaro ai propri corrispondenti
d'oltreoceano, ma anche per conoscere meglio le procedure giuridiche americane, per stabilire contatti con gli
abolizionisti di quel Paese, non di rado per chiedere aiuto e conforto nei casi estremi, cioè quando la data
di
un'esecuzione è stata fissata e sembra non esserci più alcuna speranza. Ma il suo nome circola
anche in molti penitenziari dell'Unione. Come diffusore volontario per l'Italia di Endeavor, un
periodico fatto dai detenuti del braccio della morte di
Huntsville, nel Texas, e stampato fuori dal carcere da un gruppo di abolizionisti locali, Paolo Cifariello è
divenuto
nel tempo un punto di riferimento anche per i numerosi prigionieri che hanno accesso a questa
pubblicazione. Ogni settimana uomini e donne incarcerati negli USA gli scrivono cercando sostegno morale
ed economico. Lui
risponde a tutti, cercando di volta in volta, e per quanto è possibile, di indirizzare le loro richieste a chi
può, più
realisticamente, intervenire in concreto.
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