Rivista Anarchica Online
Segregare e giustiziare
di Emanuela Scuccato
"Tutte le volte che ho ordinato un'esecuzione ho pregato per l'anima dei condannati come per quella degli uccisi"
(Bill Clinton)
"Waddel era morto da ventidue minuti esatti. Sentii l'odore del suo sudore,
dei suoi piedi sporchi e nudi, e un
leggero lezzo di carne bruciacchiata. La gamba destra dei pantaloni era sollevata sopra il ginocchio, lasciando
scoperto il polpaccio avvolto nelle garze applicate sulle ustioni dopo l'esecuzione." "Sì, certo. Gli
hanno dato due scariche. La prima volta ha emesso una specie di sibilo, come quando esce del
vapore sotto il radiatore della macchina, e da sotto la maschera gli è colato il sangue. Dicono che forse
qualcosa
dell'impianto non ha funzionato bene".
(Patricia Cornwell - Insolito e crudele)
Non abbiamo ragione di dubitare che Patricia Cornwell, famosissima autrice di bestseller come
Postmortem e La
fabbrica dei corpi, ideatrice di un personaggio come Kay Scarpetta, capo medico legale della Virginia e
suo alter
ego, ce la stia raccontando giusta. Chi meglio di lei, infatti, può sapere come vanno queste
cose? Per anni questa regina delle classifiche americane ha frequentato la Morgue di Richmond. La sua
escalation nel
mondo del delitto è di pubblico dominio: dapprima redattrice di un bollettino medico-legale, poi esperta
di
statistiche sulle morti violente, infine collaboratrice della polizia. Se il plot dei suoi gialli riguarda la sua indubbia
capacità di scrittore, si può stare certi che i particolari raccapriccianti che li infarciscono sono
rigorosamente
autentici. Come l'esecuzione di Ronnie Joe Waddel in Insolito e crudele, pubblicato per la prima
volta in Italia un anno fa,
dove il macabro rituale pre e post mortem è laconicamente e magistralmente reso. Patricia Cornwell
dichiara di essere "ipnotizzata dal delitto" e su quest'ossessione ha saputo costruire un mestiere.
Un pò stravagante forse, ma tant'è. Quello su cui invece le cronache sorvolano, preferendo
additare all'attenzione
del mondo i suoi favolosi contratti miliardari, è che la Cornwell è una fautrice della pena di
morte. "... Per loro la pena di morte è almeno un deterrente, e comunque vengono eliminati, non ti
minacciano più. Certo
che la pena di morte non risolve la questione, la rimuove e basta. Bisognerebbe affrontare la gente, dovremmo
spiegare che c'è qualcosa che non funziona, per esempio la gran quantità di armi da fuoco in
circolazione. Ma
io la mia arma la voglio, chiunque deve avere un'arma in casa. Io non mi sentirei sicura senza una pistola...",
afferma la scrittrice e fa specie che a tanto rigore logico nella elaborazione delle sue trame corrisponda poi tanta
e tale irrazionalità nelle prese di posizione pubbliche. Ma le affermazioni della Cornwell hanno
sicuramente un valore paradigmatico, almeno per quanto riguarda un
certo modo di pensare dell'"uomo della strada" americano. La pena capitale un deterrente per gli
omicidi? Tutte le statistiche mostrano semmai il contrario. "Tra il 1985 e il 1992", cioè in
concomitanza grosso modo con la recrudescenza nell'applicazione della pena di
morte, "la criminalità negli USA diminuisce tranne che per gli omicidi." "La pena di morte non fa
scendere l'aggressività, anzi la fa salire.", scrive la giornalista Maria Giovanna Maglie,
autrice di Vendetta di Stato, un libro-inchiesta appunto sulla pena di morte in America. "... tra
i ragazzi bianchi il numero di assassini è salito della metà, tra i neri è
triplicato." Dove invece "i sindaci hanno scelto di varare una qualche, sia pur discutibile, politica anticrimine"
i livelli di
violenza hanno subito una battuta d'arresto. È il caso per esempio di Houston, ci informa la Maglie,
con un 32% di omicidi in meno. Di Pittsburgh, meno
10%, Cleveland, Baltimora, Nashville, Los Angeles... Ma il problema della pena di morte non è un
problema soltanto americano. Quando il 9 dicembre 1994 l'Assemblea Generale dell'ONU respinse per soli
otto voti la bozza di risoluzione
per una moratoria sulle esecuzioni in tutto il mondo - presentata alle Nazioni Unite dall'Organizzazione
internazionale "Hands off Cain" ("Nessuno tocchi Caino"), dal Partito Radicale e dall'Italia - gli Stati Uniti ebbero
come partner nella loro folle ricusazione Paesi dai quali normalmente tengono molto a prendere le distanze. Paesi
come la Cina, per intenderci. E poi Libia, Sudan, Irak, Iran, Yemen, Algeria, Egitto... che si sono astenuti o hanno
votato contro. Ma cosa sta succedendo laggiù? ci si domanda. A cosa è dovuta questa
vertiginosa impennata delle condanne a
morte negli USA - 3150 nel '96? Per quale ragione gli Stati Uniti, che si ostinano pervicacemente a porsi
come il baluardo dell'Occidente con
l'ausilio di tutta la loro sperimentata prosopopea su Libertà e Democrazia, manifestano questa sete di
sangue come
panacea di tutti i mali? Un terzo dei senatori e deputati dei due partiti americani viene attualmente eletto
grazie ai soldi della National
Rifle Association (NRA), l'Associazione Nazionale dei Produttori di Armi. Quaranta milioni di voti - un
quarto degli elettori - sono poi nelle mani della Christian Coalition, una
potentissima organizzazione religiosa che può contare su centomila tra chiese e altri punti di riferimento,
nonché
su due milioni di militanti. Per il suo padre spirituale, il telepredicatore Pat Robertson, la decadenza morale e la
crisi sociale che investono la società americana non sono altro che "piaghe causate da una guerra che da
trent'anni
la sinistra radicale ha condotto contro la famiglia tradizionale e l'eredità religiosa dell'America". Il
risultato per la NRA sono trecento milioni di armi da fuoco piazzate in tutti gli States e leggi sempre più
permissive che consentono praticamente a tutti i cittadini di comprare una pistola spesso anche senza il porto
d'armi. La Christian Coalition può invece contare su un budget annuo di cinquanta milioni di
dollari. Sono solo alcuni dati, ma alquanto significativi per poter cominciare a contestualizzare il discorso
sulla pena di
morte. "Nello stesso Stato le vite di assassini uguali tra loro che commettono crimini praticamente identici,
vengono
valutate in modo completamente differente", scrive ancora la Maglie. Un bel paradosso, senza dubbio. Se
quando si arriva alla pena di morte il procuratore distrettuale di Filadelfia,
la democratica Lynne Abraham, afferma di "volerla appassionatamente", in modo del tutto opposto agisce invece
il suo collega di Pittsburgh. È davvero così, come siamo stati abituati a vederlo al
cinema. Tutte quelle tazze di caffè buttate giù tra pile di documenti da esaminare magari non
ci sono, ma la buona riuscita
di un caso, ossia la mancata condanna a morte di un uomo, dipende effettivamente dalla tenacia e
dall'abilità degli
avvocati difensori che, in caso di condanna in prima istanza, per la preparazione degli appelli non solo devono
scandagliare tutte le sentenze emesse precedentemente in casi analoghi e cercare le prove e i testimoni, ma devono
anche tenere conto della questione razziale e della situazione politica del momento... entro e non oltre i trenta
giorni dalla conclusione del dibattimento. Più spesso, quando si tratta di detenuti indigenti, tutto
questo non avviene affatto. E forse non avrà più la minima
possibilità di accadere, ora che Bill Clinton ha ratificato la legge approvata a grande maggioranza dal
Congresso
che taglia drasticamente i finanziamenti federali ai programmi di assistenza legale per gli appelli relativi alle
sentenze capitali. In Texas, lo stato che vanta il primato delle esecuzioni e il più affollato braccio
della morte degli Stati Uniti - circa
400 detenuti rinchiusi ad Huntsville in attesa della cosiddetta "iniezione della buona morte" -, si prevede che
grazie alle nuove norme gli avvocati a disposizione passeranno da 18 a 1. Se la signora Lynne Abraham
è un'aperta sostenitrice della pena capitale, quanto meno le va riconosciuta una
certa coerenza tra asserzioni e azioni conseguenti. Perché quel che si evince ripercorrendo le tappe
storiche dello
sviluppo giuridico della pena capitale è che spesso questa barbarie è stata ed è possibile
anche per la discrepanza
tra le dichiarazioni di principio e i fatti attuati dai politici di entrambi gli schieramenti, sia quello repubblicano
che quello democratico. Capita per esempio che il governatore dell'Arkansas in corsa per l'elezione
presidenziale del '92, il democratico
Bill Clinton, autorizzi l'esecuzione del nero Rickey Ray Rector con iniezione letale a dispetto di ogni
affermazione contraria alla pena di morte da lui stesso resa in diverse occasioni pubbliche. Rickey Ray Rector
è un handicappato mentale. I referti medici dicono che morirà dopo diciannove minuti di
agonia. È il 22 gennaio 1992. "Ha mandato a morte uno che aveva solo un pezzetto di cervello. Uno
più duro di così non lo troverete mai", è
il commento del responsabile della campagna democratica di New York David Garth. E in effetti il cadavere
di Ray Rector frutta a Clinton un recupero d'immagine insperato dopo le rivelazioni dell'ex
fotomodella Jennifer Flowers circa la vocazione all'adulterio del futuro presidente. Ma prima del fatidico 4
novembre 1992, prima cioè della definitiva conquista della Casa Bianca, Bill Clinton si metterà
"in sintonia con
l'opinione degli americani" (Houston Cronicle) autorizzando altre quattro esecuzioni. "... tutte le volte che
ho ordinato un'esecuzione ho pregato per l'anima dei condannati come per quella degli
uccisi.", dichiara Clinton a Washington di fronte ai democratici vicini a Jesse Jackson. La classica ciliegina
sulla torta, come da copione. E parliamo di tornaconti economici. Di denaro sonante. Quanto spende lo
Stato per uccidere un uomo? Il costo di un'esecuzione statale è negli USA di circa tre milioni di
dollari. "Mi sembra così semplice. Avere e usare la pena di morte è sempre più caro
che non averla, per la ragione
elementare che gli avvocati costano più delle guardie carcerarie.", afferma il direttore dell'Earl Warren
Legal
Institute dell'Università di Berkeley in California. Il costo di un'ora di lavoro di un avvocato della
Procura generale della California è di circa novantanove dollari. Nel 1994 gli avvocati della
summenzionata Procura hanno impiegato cinquantasettemila ore a preparare appelli
relativi a condanne a morte. L'ufficio di pubblica difesa che la California ha approntato per gli indigenti
reclusi nel locale braccio della morte
costa otto milioni di dollari l'anno. E poiché questo servizio risulta insufficiente occorre rivolgersi sempre
più
spesso ad avvocati privati che per ogni singolo caso presentano parcelle dai duecento dollari in su. Qualcuno,
come il giudice conservatore della Corte d'Appello di Los Angeles Alex Kosinsky, ha cominciato a
fare i conti e a optare per l'ergastolo, decisamente più economico (un terzo della spesa di
un'esecuzione). È una riflessione gretta, senza dubbio. Ma partire dalla battaglia sulla questione
dell'ergastolo e dell'istituzione
carceraria come luogo di rimozione collettiva sarebbe un enorme passo avanti rispetto alle continue ed estenuanti
campagne per l'abolizione della pena di morte. Per la "Society for the Abolition of Capital Punishment", la
prima associazione abolizionista americana fondata
nel 1845, e per tutte le altre associazioni abolizioniste dell'Unione si tratta di fronteggiare muri
invalicabili. "... quando le condizioni della battaglia si fanno più difficili [il movimento abolizionista
n.d.r.] accetta la
contingenza storica e ripiega sulla difesa dei casi singoli e sull'obiettivo minore del contenimento delle
esecuzioni.", afferma la Maglie ripercorrendo le vicende dei movimenti abolizionisti negli anni del New Deal,
gli anni di Roosvelt. È così anche oggi. L'aggravarsi della situazione impone ai movimenti
abolizionisti di fare delle scelte, delle
tragiche scelte nella loro strategia d'azione. Ecco allora rimbalzare sulle prime pagine di tutti i giornali del mondo
casi come quello di Paula Cooper, la quindicenne colpevole di aver ucciso per denaro un'anziana insegnante di
religione e condannata, nonostante la minore età, alla sedia elettrica; ecco la penosa vicenda di Susan
Smith, la
ventitreenne che ha lasciato che i suoi due bambini di diciotto mesi e quattro anni affogassero in un lago, dopo
averli rinchiusi in un'auto che lei stessa ha affondato; ecco il caso di Paul Rougeau, quello di Mumia Abu Jamal,
quello, più recente, di Joseph O'Dell. Casi eclatanti in grado di richiamare l'attenzione della gente su un
aspetto
particolarmente indebito di una condanna a morte; che sfruttando quelle stesse contraddizioni che il Sistema
produce inducano alla riflessione. Non è detto, infatti, che gli scrupoli di coscienza suscitati dalla
pubblicizzazione dell'esecuzione di un innocente
non possano dare i loro frutti anche per chi innocente non è. Dato che la battaglia per l'abolizione
della pena di morte non deve e non può, come qualcuno vorrebbe, riguardare
soltanto le vittime di errori giudiziari. Intanto, dal 1994, il clima politico in Italia è cambiato. Il
nostro Paese, tradizionalmente abolizionista, con l'ex Presidente del Consiglio Lamberto Dini si è giocato
una
solida reputazione. Dopo aver presentato e premuto per l'attuazione di una moratoria sulle esecuzioni in sede
ONU, l'Italia non ha
esitato a concedere alla Florida, proprio per mano di Lamberto Dini, l'estradizione del cittadino italiano Pietro
Venezia, ricercato in quello Stato con l'accusa di omicidio di primo grado. In Florida per questo tipo di
crimine viene comminata la pena capitale! L'estradizione è stata fortunosamente bloccata dal voto
contrario della Camera dei deputati e dalle manifestazioni
organizzate davanti a Palazzo Chigi dalla lega "Nessuno tocchi Caino" - il Senato della Repubblica aveva respinto
la richiesta americana già in precedenza. Ma Lamberto Dini, Ministro degli Esteri nell'attuale governo
Prodi, non ha mai gettato la spugna. Quali sono gli ideali e i principi che lo hanno indotto ad ingaggiare una
battaglia legale sia in Italia che a
Strasburgo per ottenere che Venezia venga comunque estradato? Si dice che il Ministro Dini goda di buone
entrature a Washington: che ci sia un nesso tra le sue influenti amicizie
americane e il caso Venezia? "... Soltanto con la pressione interna non ce la faremo mai noi poveri
abolizionisti americani, ma se riusciamo a
far votare la risoluzione dall'Assemblea Generale delle Nazioni Unite tutto sarà diverso.", ha detto Helen
Prejean,
la famosa Sister Helen autrice del libro Dead man walking, durante il congresso organizzato da
"Nessuno tocchi
Caino" nel dicembre '95 a Roma. Che ruolo potrà quindi esercitare l'Italia in quest'impresa, quale
potrà essere la sua credibilità ora, alla luce delle
ultime, sconcertanti, sortite internazionali? L'America non è poi così lontana...
Riferimenti b ibliografici:
- -Cornwell P., Insolito e crudele, "I Miti" Mondadori, Milano 1996
- -Bignardi I., Milioni di dollari sul tavolo dell'obitorio, intervista a Patricia Cornwell, "La
Repubblica"
inserto Cultura 12.02.1997
- -O'Dell, No alla pena di morte, "il Manifesto" 15.07.1997
- -Maglie M.G., Vendetta di Stato, Marsilio, Venezia 1996
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