Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 27 nr. 239
ottobre 1997


Rivista Anarchica Online

Segregare e giustiziare
di Emanuela Scuccato

"Tutte le volte che ho ordinato un'esecuzione ho pregato per l'anima dei condannati come per quella degli uccisi" (Bill Clinton)

"Waddel era morto da ventidue minuti esatti. Sentii l'odore del suo sudore, dei suoi piedi sporchi e nudi, e un leggero lezzo di carne bruciacchiata. La gamba destra dei pantaloni era sollevata sopra il ginocchio, lasciando scoperto il polpaccio avvolto nelle garze applicate sulle ustioni dopo l'esecuzione."
"Sì, certo. Gli hanno dato due scariche. La prima volta ha emesso una specie di sibilo, come quando esce del vapore sotto il radiatore della macchina, e da sotto la maschera gli è colato il sangue. Dicono che forse qualcosa dell'impianto non ha funzionato bene".

(Patricia Cornwell - Insolito e crudele)

Non abbiamo ragione di dubitare che Patricia Cornwell, famosissima autrice di bestseller come Postmortem e La fabbrica dei corpi, ideatrice di un personaggio come Kay Scarpetta, capo medico legale della Virginia e suo alter ego, ce la stia raccontando giusta.
Chi meglio di lei, infatti, può sapere come vanno queste cose?
Per anni questa regina delle classifiche americane ha frequentato la Morgue di Richmond. La sua escalation nel mondo del delitto è di pubblico dominio: dapprima redattrice di un bollettino medico-legale, poi esperta di statistiche sulle morti violente, infine collaboratrice della polizia. Se il plot dei suoi gialli riguarda la sua indubbia capacità di scrittore, si può stare certi che i particolari raccapriccianti che li infarciscono sono rigorosamente autentici.
Come l'esecuzione di Ronnie Joe Waddel in Insolito e crudele, pubblicato per la prima volta in Italia un anno fa, dove il macabro rituale pre e post mortem è laconicamente e magistralmente reso.
Patricia Cornwell dichiara di essere "ipnotizzata dal delitto" e su quest'ossessione ha saputo costruire un mestiere. Un pò stravagante forse, ma tant'è. Quello su cui invece le cronache sorvolano, preferendo additare all'attenzione del mondo i suoi favolosi contratti miliardari, è che la Cornwell è una fautrice della pena di morte.
"... Per loro la pena di morte è almeno un deterrente, e comunque vengono eliminati, non ti minacciano più. Certo che la pena di morte non risolve la questione, la rimuove e basta. Bisognerebbe affrontare la gente, dovremmo spiegare che c'è qualcosa che non funziona, per esempio la gran quantità di armi da fuoco in circolazione. Ma io la mia arma la voglio, chiunque deve avere un'arma in casa. Io non mi sentirei sicura senza una pistola...", afferma la scrittrice e fa specie che a tanto rigore logico nella elaborazione delle sue trame corrisponda poi tanta e tale irrazionalità nelle prese di posizione pubbliche.
Ma le affermazioni della Cornwell hanno sicuramente un valore paradigmatico, almeno per quanto riguarda un certo modo di pensare dell'"uomo della strada" americano.
La pena capitale un deterrente per gli omicidi?
Tutte le statistiche mostrano semmai il contrario.
"Tra il 1985 e il 1992", cioè in concomitanza grosso modo con la recrudescenza nell'applicazione della pena di morte, "la criminalità negli USA diminuisce tranne che per gli omicidi."
"La pena di morte non fa scendere l'aggressività, anzi la fa salire.", scrive la giornalista Maria Giovanna Maglie, autrice di Vendetta di Stato, un libro-inchiesta appunto sulla pena di morte in America.
"... tra i ragazzi bianchi il numero di assassini è salito della metà, tra i neri è triplicato."
Dove invece "i sindaci hanno scelto di varare una qualche, sia pur discutibile, politica anticrimine" i livelli di violenza hanno subito una battuta d'arresto.
È il caso per esempio di Houston, ci informa la Maglie, con un 32% di omicidi in meno. Di Pittsburgh, meno 10%, Cleveland, Baltimora, Nashville, Los Angeles...
Ma il problema della pena di morte non è un problema soltanto americano.
Quando il 9 dicembre 1994 l'Assemblea Generale dell'ONU respinse per soli otto voti la bozza di risoluzione per una moratoria sulle esecuzioni in tutto il mondo - presentata alle Nazioni Unite dall'Organizzazione internazionale "Hands off Cain" ("Nessuno tocchi Caino"), dal Partito Radicale e dall'Italia - gli Stati Uniti ebbero come partner nella loro folle ricusazione Paesi dai quali normalmente tengono molto a prendere le distanze. Paesi come la Cina, per intenderci. E poi Libia, Sudan, Irak, Iran, Yemen, Algeria, Egitto... che si sono astenuti o hanno votato contro.
Ma cosa sta succedendo laggiù? ci si domanda. A cosa è dovuta questa vertiginosa impennata delle condanne a morte negli USA - 3150 nel '96?
Per quale ragione gli Stati Uniti, che si ostinano pervicacemente a porsi come il baluardo dell'Occidente con l'ausilio di tutta la loro sperimentata prosopopea su Libertà e Democrazia, manifestano questa sete di sangue come panacea di tutti i mali?
Un terzo dei senatori e deputati dei due partiti americani viene attualmente eletto grazie ai soldi della National Rifle Association (NRA), l'Associazione Nazionale dei Produttori di Armi.
Quaranta milioni di voti - un quarto degli elettori - sono poi nelle mani della Christian Coalition, una potentissima organizzazione religiosa che può contare su centomila tra chiese e altri punti di riferimento, nonché su due milioni di militanti. Per il suo padre spirituale, il telepredicatore Pat Robertson, la decadenza morale e la crisi sociale che investono la società americana non sono altro che "piaghe causate da una guerra che da trent'anni la sinistra radicale ha condotto contro la famiglia tradizionale e l'eredità religiosa dell'America".
Il risultato per la NRA sono trecento milioni di armi da fuoco piazzate in tutti gli States e leggi sempre più permissive che consentono praticamente a tutti i cittadini di comprare una pistola spesso anche senza il porto d'armi. La Christian Coalition può invece contare su un budget annuo di cinquanta milioni di dollari.
Sono solo alcuni dati, ma alquanto significativi per poter cominciare a contestualizzare il discorso sulla pena di morte.
"Nello stesso Stato le vite di assassini uguali tra loro che commettono crimini praticamente identici, vengono valutate in modo completamente differente", scrive ancora la Maglie.
Un bel paradosso, senza dubbio. Se quando si arriva alla pena di morte il procuratore distrettuale di Filadelfia, la democratica Lynne Abraham, afferma di "volerla appassionatamente", in modo del tutto opposto agisce invece il suo collega di Pittsburgh.
È davvero così, come siamo stati abituati a vederlo al cinema.
Tutte quelle tazze di caffè buttate giù tra pile di documenti da esaminare magari non ci sono, ma la buona riuscita di un caso, ossia la mancata condanna a morte di un uomo, dipende effettivamente dalla tenacia e dall'abilità degli avvocati difensori che, in caso di condanna in prima istanza, per la preparazione degli appelli non solo devono scandagliare tutte le sentenze emesse precedentemente in casi analoghi e cercare le prove e i testimoni, ma devono anche tenere conto della questione razziale e della situazione politica del momento... entro e non oltre i trenta giorni dalla conclusione del dibattimento.
Più spesso, quando si tratta di detenuti indigenti, tutto questo non avviene affatto. E forse non avrà più la minima possibilità di accadere, ora che Bill Clinton ha ratificato la legge approvata a grande maggioranza dal Congresso che taglia drasticamente i finanziamenti federali ai programmi di assistenza legale per gli appelli relativi alle sentenze capitali.
In Texas, lo stato che vanta il primato delle esecuzioni e il più affollato braccio della morte degli Stati Uniti - circa 400 detenuti rinchiusi ad Huntsville in attesa della cosiddetta "iniezione della buona morte" -, si prevede che grazie alle nuove norme gli avvocati a disposizione passeranno da 18 a 1.
Se la signora Lynne Abraham è un'aperta sostenitrice della pena capitale, quanto meno le va riconosciuta una certa coerenza tra asserzioni e azioni conseguenti. Perché quel che si evince ripercorrendo le tappe storiche dello sviluppo giuridico della pena capitale è che spesso questa barbarie è stata ed è possibile anche per la discrepanza tra le dichiarazioni di principio e i fatti attuati dai politici di entrambi gli schieramenti, sia quello repubblicano che quello democratico.
Capita per esempio che il governatore dell'Arkansas in corsa per l'elezione presidenziale del '92, il democratico Bill Clinton, autorizzi l'esecuzione del nero Rickey Ray Rector con iniezione letale a dispetto di ogni affermazione contraria alla pena di morte da lui stesso resa in diverse occasioni pubbliche.
Rickey Ray Rector è un handicappato mentale. I referti medici dicono che morirà dopo diciannove minuti di agonia. È il 22 gennaio 1992.
"Ha mandato a morte uno che aveva solo un pezzetto di cervello. Uno più duro di così non lo troverete mai", è il commento del responsabile della campagna democratica di New York David Garth.
E in effetti il cadavere di Ray Rector frutta a Clinton un recupero d'immagine insperato dopo le rivelazioni dell'ex fotomodella Jennifer Flowers circa la vocazione all'adulterio del futuro presidente. Ma prima del fatidico 4 novembre 1992, prima cioè della definitiva conquista della Casa Bianca, Bill Clinton si metterà "in sintonia con l'opinione degli americani" (Houston Cronicle) autorizzando altre quattro esecuzioni.
"... tutte le volte che ho ordinato un'esecuzione ho pregato per l'anima dei condannati come per quella degli uccisi.", dichiara Clinton a Washington di fronte ai democratici vicini a Jesse Jackson.
La classica ciliegina sulla torta, come da copione.
E parliamo di tornaconti economici. Di denaro sonante.
Quanto spende lo Stato per uccidere un uomo?
Il costo di un'esecuzione statale è negli USA di circa tre milioni di dollari.
"Mi sembra così semplice. Avere e usare la pena di morte è sempre più caro che non averla, per la ragione elementare che gli avvocati costano più delle guardie carcerarie.", afferma il direttore dell'Earl Warren Legal Institute dell'Università di Berkeley in California.
Il costo di un'ora di lavoro di un avvocato della Procura generale della California è di circa novantanove dollari.
Nel 1994 gli avvocati della summenzionata Procura hanno impiegato cinquantasettemila ore a preparare appelli relativi a condanne a morte.
L'ufficio di pubblica difesa che la California ha approntato per gli indigenti reclusi nel locale braccio della morte costa otto milioni di dollari l'anno. E poiché questo servizio risulta insufficiente occorre rivolgersi sempre più spesso ad avvocati privati che per ogni singolo caso presentano parcelle dai duecento dollari in su.
Qualcuno, come il giudice conservatore della Corte d'Appello di Los Angeles Alex Kosinsky, ha cominciato a fare i conti e a optare per l'ergastolo, decisamente più economico (un terzo della spesa di un'esecuzione).
È una riflessione gretta, senza dubbio. Ma partire dalla battaglia sulla questione dell'ergastolo e dell'istituzione carceraria come luogo di rimozione collettiva sarebbe un enorme passo avanti rispetto alle continue ed estenuanti campagne per l'abolizione della pena di morte.
Per la "Society for the Abolition of Capital Punishment", la prima associazione abolizionista americana fondata nel 1845, e per tutte le altre associazioni abolizioniste dell'Unione si tratta di fronteggiare muri invalicabili.
"... quando le condizioni della battaglia si fanno più difficili [il movimento abolizionista n.d.r.] accetta la contingenza storica e ripiega sulla difesa dei casi singoli e sull'obiettivo minore del contenimento delle esecuzioni.", afferma la Maglie ripercorrendo le vicende dei movimenti abolizionisti negli anni del New Deal, gli anni di Roosvelt.
È così anche oggi. L'aggravarsi della situazione impone ai movimenti abolizionisti di fare delle scelte, delle tragiche scelte nella loro strategia d'azione. Ecco allora rimbalzare sulle prime pagine di tutti i giornali del mondo casi come quello di Paula Cooper, la quindicenne colpevole di aver ucciso per denaro un'anziana insegnante di religione e condannata, nonostante la minore età, alla sedia elettrica; ecco la penosa vicenda di Susan Smith, la ventitreenne che ha lasciato che i suoi due bambini di diciotto mesi e quattro anni affogassero in un lago, dopo averli rinchiusi in un'auto che lei stessa ha affondato; ecco il caso di Paul Rougeau, quello di Mumia Abu Jamal, quello, più recente, di Joseph O'Dell. Casi eclatanti in grado di richiamare l'attenzione della gente su un aspetto particolarmente indebito di una condanna a morte; che sfruttando quelle stesse contraddizioni che il Sistema produce inducano alla riflessione.
Non è detto, infatti, che gli scrupoli di coscienza suscitati dalla pubblicizzazione dell'esecuzione di un innocente non possano dare i loro frutti anche per chi innocente non è.
Dato che la battaglia per l'abolizione della pena di morte non deve e non può, come qualcuno vorrebbe, riguardare soltanto le vittime di errori giudiziari.
Intanto, dal 1994, il clima politico in Italia è cambiato.
Il nostro Paese, tradizionalmente abolizionista, con l'ex Presidente del Consiglio Lamberto Dini si è giocato una solida reputazione.
Dopo aver presentato e premuto per l'attuazione di una moratoria sulle esecuzioni in sede ONU, l'Italia non ha esitato a concedere alla Florida, proprio per mano di Lamberto Dini, l'estradizione del cittadino italiano Pietro Venezia, ricercato in quello Stato con l'accusa di omicidio di primo grado.
In Florida per questo tipo di crimine viene comminata la pena capitale!
L'estradizione è stata fortunosamente bloccata dal voto contrario della Camera dei deputati e dalle manifestazioni organizzate davanti a Palazzo Chigi dalla lega "Nessuno tocchi Caino" - il Senato della Repubblica aveva respinto la richiesta americana già in precedenza.
Ma Lamberto Dini, Ministro degli Esteri nell'attuale governo Prodi, non ha mai gettato la spugna.
Quali sono gli ideali e i principi che lo hanno indotto ad ingaggiare una battaglia legale sia in Italia che a Strasburgo per ottenere che Venezia venga comunque estradato?
Si dice che il Ministro Dini goda di buone entrature a Washington: che ci sia un nesso tra le sue influenti amicizie americane e il caso Venezia?
"... Soltanto con la pressione interna non ce la faremo mai noi poveri abolizionisti americani, ma se riusciamo a far votare la risoluzione dall'Assemblea Generale delle Nazioni Unite tutto sarà diverso.", ha detto Helen Prejean, la famosa Sister Helen autrice del libro Dead man walking, durante il congresso organizzato da "Nessuno tocchi Caino" nel dicembre '95 a Roma.
Che ruolo potrà quindi esercitare l'Italia in quest'impresa, quale potrà essere la sua credibilità ora, alla luce delle ultime, sconcertanti, sortite internazionali?
L'America non è poi così lontana...

Riferimenti b ibliografici:

  • -Cornwell P., Insolito e crudele, "I Miti" Mondadori, Milano 1996
  • -Bignardi I., Milioni di dollari sul tavolo dell'obitorio, intervista a Patricia Cornwell, "La Repubblica" inserto Cultura 12.02.1997
  • -O'Dell, No alla pena di morte, "il Manifesto" 15.07.1997
  • -Maglie M.G., Vendetta di Stato, Marsilio, Venezia 1996