Rivista Anarchica Online
Tutto quello che direte...
di Cristiano Draghi
Il Centro Studi Libertari di Milano ha in preparazione due seminari molto
pratici che, grazie
all'apporto di "esperti del settore", si propongono di chiarire quali siano le modalità più consone
per
agire in due ambiti la cui frequentazione - più o meno voluta in un caso, del tutto subita nell'altro -
risulta inevitabile. Si tratta dei rapporti con i media e dei rapporti (di norma univoci) con forze
dell'ordine e apparati giudiziari. Il primo seminario - che si terrà sabato 25 ottobre 1997
con inizio alle ore 14.30 presso la sede del
Centro Studi Libertari (Via Rovetta 27, fermata Turro della metropolitana) - verte sui media. A
condurlo è Cristiano Draghi, fiorentino trapiantato a Milano dove lavora come giornalista presso la
testata "Prima Comunicazione", che qui ci spiega brevemente l'impostazione generale del primo
seminario. Il secondo seminario, sul quale ritorneremo, si terrà invece sabato 22
novembre 1997 e sarà condotto
da Sergio Onesti che, manco a dirlo, di professione fa l'avvocato.
"Avete il diritto di non parlare,
ma se lo farete, ogni cosa che direte potrà essere usata contro di voi".
La frase da poliziesco americano si adatta bene alla comunicazione con giornali quotidiani e periodici,
agenzie di informazione, radio e tivù. Perché se una persona o un gruppo di persone -
può essere quindi anche il caso di un gruppo anarchico
- decide per un motivo qualsiasi di entrare in contatto con i giornalisti, si tolga dalla testa ogni controllo
su ciò che sarà pubblicato o mandato in onda: né sulla lunghezza dell'articolo e il suo
titolo, né sulla
sua collocazione, né sulle foto, né sulle frasi riportate, né sui commenti e tantomeno sui
tocchi di colore
- le descrizioni di ambiente - che l'autore deciderà di inserire. Perché, dal momento in cui
avrà concluso la raccolta dei dati che gli fornirete, sul lavoro del giornalista
influiranno elementi che con voi non hanno nulla a che vedere: le sue capacità professionali e le sue
idee, il tempo a disposizione per scrivere, le aspettative dei capiservizio, dei capiredattore, del direttore
e quelle del suo pubblico, il lettore o ascoltatore-tipo a cui si rivolge. E perché non avrete mai davanti
un monoblocco "stampa", ma un insieme di individualità e di diversi mezzi di comunicazione. Ciascuno
con le sue particolarità. Ma sulla frase iniziale "avete diritto di non parlare..." sarà bene fare
un corollario: anche il silenzio è
una forma di comunicazione e potrà essere utilizzato dalla stampa. Immaginiamo un fatto di cronaca,
come se ne sono verificati anche di recente, che abbia coinvolto gli anarchici. E immaginiamo che il
caposervizio mandi uno dei cronisti davanti alla sede di un gruppo per raccogliere pareri, impressioni,
chissà...Ebbene, basta questo perché il cronista sia obbligato a scrivere: gli ordini sono ordini, la
cronaca è la cronaca. E se è un collaboratore, è pagato, come si dice, a borderò,
quel servizio è anche
denaro. E più ore passano, più prezioso diventa il tempo che gli resta, più necessaria la
notizia a cui la
pianificazione su carta, radio o tivù avrà destinato un determinato spazio. Che farà il
cronista? Scriverà
comunque. Per esempio: "Sede di via tal dei tali. La porta è sbarrata. Sui muri, vecchi manifesti e alcune
scritte, firmate con la caratteristica A cerchiata. E' in corso una riunione, che dura a lungo. Si
percepiscono voci concitate: si discute certamente di quello che è successo. C'è tensione. Dopo
un'attesa
di ore si apre uno spiraglio e infine i membri del gruppo escono alla spicciolata. I volti sono tesi,
accigliati: 'Non c'è niente da dire, non parliamo con la stampa', sibila uno di loro". E scrivo "tensione",
"voci concitate", "tesi e accigliati", "sibila" a bella posta: lì infatti può stare la tensione accumulata
dal
cronista, magari la sua sensazione di essere stato snobbato, incompreso, che gli si sia fatto correre il
rischio di una brutta figura verso i suoi superiori. E può ben rappresentare gli effetti disastrosi che la
non comunicazione può avere e le possibilità zero che si avranno di replicare. Nessuna rettifica
è
possibile di fronte a qualcosa che sta, giusto o ingiusto che sia, nella libertà di espressione del
cronista. Sintetizziamo. La comunicazione può essere innescata per due motivi: 1) si
desidera fare sapere qualcosa: dare pubblicità a una iniziativa, esprimere il proprio parere su
un determinato argomento; 2) si è costretti a rispondere agli organi di informazione che per un
qualsiasi motivo hanno
focalizzato la loro attenzione su di voi. In entrambi i casi sarebbe meglio, molto meglio, essere pronti.
Pianificando le mosse da fare,
l'atteggiamento da tenere e le frasi da dire. Seguendo la legge di Murphy: "Se qualcosa potrà andare
storto, lo farà". Spiega nel suo "Nuovo libro della pubblicità" lo spagnolo Luis Basset:
"L'importante è essere pronti.
Sapere che cosa può accadere e che cosa dovremo fare se accadrà. Questo è ciò
che nelle relazioni
pubbliche si chiama crisis management. Consiste fondamentalmente nell'immaginare a quali rischi
si
può andare incontro e stabilire in anticipo quali persone agiranno come portavoce e con quale criterio
lo faranno". In conclusione: la controinformazione si fa conoscendo i meccanismi che regolano
l'informazione. E'
come nel calcio, per giocare bene bisogna averne imparato i fondamentali: come si prepara un
comunicato stampa, come si organizza una conferenza stampa, chi contattare, come si gestisce una
situazione di crisi, chi sono i giornalisti, qual è la loro organizzazione del lavoro e quali le loro
motivazioni personali e collettive. Il che vale sia quando si desidera parlare che quando si è spinti a
parlare da circostanze esterne. Perché anche una conferenza stampa indetta con le migliori intenzioni,
può avere effetti scarsi o negativi: dopo l'evento, il momento delimitato dalla comunicazione, non si
avranno altri spazi di parola, mentre i giornalisti avranno il coltello dalla parte del manico: i loro
giornali, le loro radio e le loro tivù.
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