Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 7 nr. 59
estate 1977


Rivista Anarchica Online

AL CINEMA
a cura di Rozac

Padre Padrone
di Paolo e Vittorio Taviani

Sono sorte molte polemiche tra chi dedica la sua vita al semplice eloquio riguardo a questo film ma mai come questa volta simili critiche appaiono vuote: l'ultima fatica dei fratelli Taviani - dei quali dobbiamo ricordare due opere come "San Michele aveva un gallo" e "Allonsanfan" estremamente critiche verso le voci di sinistra estrema del passato (e quindi del presente) - resta tra i più bei film che questa stagione cinematografica potrà offrirci. Pellicola povera tratta dal libro di un povero - un pastore sardo analfabeta sino a venti anni - e girata con un rigore lirico tipico solo dei Taviani, è film da non perdere per molti motivi, primo tra tutti una regia che non manovra, si lascia manovrare dalla storia stessa, facendo ergere lentamente questo personaggio al suo vero rango, titano contro una società ostile, società che batterà e che mai ammetterà di essere battuta ma che da questa sconfitta imparerà a guardarsi dentro, a giudicarsi in silenzio. Cenno particolare merita l'uso del suono: si "sente" tutto il silenzio della campagna, si "sente" la fisarmonica che lacera un mondo taciturno e scorbutico da millenni, si "sente" la voce degli emigranti che urlano, cantano, la loro disperazione di braccia destinate al macello comunitario, nei campi, nelle miniere, nelle fabbriche di tutta Europa. Nulla è gratuito, nulla è lasciato al facile romanticismo e "strapaese" nel quale si sarebbe potuti facilmente cadere, tutto è rigoroso e le poche smagliature riscontrabili scompaiono dinanzi ad un prodotto che consacra - nonostante la brutta parola - i fratelli come i veri nomi nuovi della cinematografia italiana stanca di ciarpame miliardario e sempre alla ricerca del messaggio. Qui non vi è messaggio, vi è una storia vera, narrata, e basta: ma simile narrazione è ben più di un messaggio, è una accusa spietata ad un mondo, ad una ideologia che, difficilmente, ma si può e si deve battere.

Una giornata particolare
di Ettore Scola

Finalmente ci siamo riusciti: abbiamo fatto un film - in Italia - nel quale si vede il duce ed il suo alleato, l'assassino nazista, per quello che erano realmente, due tragici buffoni pieni di boria omicida, e, quel che più conta, li si vede per poco tempo e in filmati d'epoca, vere comiche finali. Mussolini e Hitler sono i protagonisti sonori della vicenda - durante tutta la giornata si ascolta la tronfia voce di un annunciatore che fa la radiocronaca di un loro storico incontro romano - ma i veri protagonisti sono la casalinga e l'omosessuale che si incontrano per caso e per caso passano una giornata insieme. L'Italia in camicia nera applaudiva, la vera Italia aveva ben altri problemi a cui pensare ed il lento cambiamento della casalinga Antonietta a contatto dell'annunciatore omosessuale allontanato dall'EIAR perché "vizioso e antifascista" è forse una delle pagine più belle che il nostro cinema abbia dedicato appunto a quest'altra Italia, nella quale le camicie nere se non facevano schifo poco ci mancava. La stupidità italica viene rappresentata con ferocia - magistrale è il progressivo, rapido svuotamento di un enorme palazzo per assistere alla parata dei due criminali - mettendo bene in risalto la volgarità omicida che aveva colpito l'intero paese: Antonietta e Gabriele ne sono immuni perché, seppur con enormi differenze tra di loro, sono due esseri pensanti e, soprattutto la donna, prende coscienza del suo ruolo, anche se alla fine abdica al suo destino di donna-madre-casalinga-fattrice di prole. La giornata particolare germoglierà nel ricordo della fine del "suo" Gabriele ed il seme gettato non resterà senza frutti, perché le si è schiuso dinanzi un mondo nel quale il duce mascelluto non è ombelico del mondo ma squallida comparsa in un dramma più grande di lui. Loren, Mastroianni magistrali, il fotografo De Santis decisamente nella sua forma migliore, il regista Scola calibrato, valentissimo e, quel che più conta, antifascista sul serio, senza camicie nere e sfilate, come tanti, troppi altri.