Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 7 nr. 59
estate 1977


Rivista Anarchica Online

Il binario morto del sindacato
di Alcuni compagni ferrovieri del Movimento Autonomo di Base - Compartimento di Torino

Contro la politica collaborazionista di CGIL-CISL-UIL ed il corporativismo dei sindacati "autonomi" i ferrovieri libertari del Movimento Autonomo di Base propongono la conflittualità permanente e l'autogestione delle lotte - L'esperienza degli organismi di base

Le recenti lotte dei ferrovieri, dall'occupazione spontanea della stazione di Napoli (la "settimana rossa" dei ferrovieri napoletani) alle varie forme di agitazione portate avanti dai cosiddetti "autonomi" della FISAFS, contro accordi tra Azienda e Federazione unitaria, hanno riproposto all'attenzione di tutti la situazione di questo settore che, anche se a stento, ribolle di sussulti come il resto del Pubblico impiego.

La massa dei ferrovieri, composta da 250.000 lavoratori in tutta Italia, nella sua componente più grossa (escludendo quindi la "categoria" dei capoccioni e degli alti dirigenti, è spezzettata in una miriade di livelli e qualifiche cui corrispondono altrettanti diversi tipi di retribuzione. Una cosa accomuna tutti, ed è il fatto di essere una tra le ultimissime categorie di lavoratori per quanto riguarda il reddito. Il mito che voleva nel ferroviere un lavoratore privilegiato è scomparso chissà da quanti anni, per lasciare il posto alla realtà di un ferroviere che non riesce a vivere col suo lavoro ed è quindi costretto al lavoro nero e ad altri lavori precari; per di più è inserito in un complesso di strutture (dalle mense, agli alloggi, ai dormitori) insufficienti e/o scadenti. Inoltre una buona parte (il personale viaggiante e quello di macchina) è sottoposto ad un servizio che rende la sua vita assimilabile a quella degli zingari: continuamente fuori dalla propria città, a dormire in posti diversi, a mangiare quando il lavoro lo permette. Altrettanto vale, nei compartimenti del nord, per tutta la grossa massa di meridionali, costretti a fare il concorso al nord per avere più certezza di essere assunti, e che, nei cinque anni e passa di ferma obbligatoria, sono relegati nei ghetti metropolitani in alloggi tanto piccoli quanto cari e sottoposti ad una vita fortemente irregolare. L'attuale attacco che tutta la classe lavoratrice sta subendo ha un particolare peso per i ferrovieri il cui salario oltre ad essere molto basso è agganciato a meccanismi come la contingenza, assolutamente inefficaci (scatta ogni 6 mesi e in misura inferiore a quella del settore privato). Una delle cause di ciò va ricercata nel fatto che lo Stato sottrae fondi a favore del Pubblico Impiego per finanziare la riconversione industriale.

Una prima risposta a questa condizione di sfruttamento fu data con le lotte spontanee scoppiate in quasi tutta l'Italia nell'agosto del '75, quando l'intera struttura aziendale andò in crisi; il Sindacato perse il controllo della base; e furono messe in discussione parecchie questioni, dal potere del sindacato al salario, alle condizioni di lavoro. Gli "autonomi" della FISAFS cercarono allora di cavalcare la tigre delle lotte, ma non ebbero un grande successo poiché la base se ne infischiò della loro improvvisa "conversione", limitandosi al massimo ad usufruire di certe sue strutture, come i locali, le coperture giuridiche degli scioperi, etc. Dalle lotte di agosto nacquero e si consolidarono in vari impianti Comitati Unitari di Base o di Lotta, Collettivi e Organismi che raggrupparono gli elementi più incazzati e nello stesso tempo più decisi a costruire delle lotte autenticamente antiriformiste e proletarie. Diversi di questi organismi, per via del camaleontismo e la confusione di Lotta Continua, dell'opportunismo dei neoriformisti di PdUP e AO, sono poi degenerati nel ruolo di sinistra sindacale; ma questo discorso lo riprenderemo più oltre.

Attualmente si cerca di far passare sulla nostra pelle un processo di ristrutturazione, appoggiato e in parte proposto dai sindacati unitari SFI-SAUFI-SIUF. Esso prevede - fra l'altro - un impiego maggiormente produttivo di una parte del personale (capi treno, aiuto macchinista, etc.) il cui lavoro è oggi ritenuto parassitario; quindi, attraverso un processo di "responsabilizzazione" ed un ampliamento delle sue capacità, la realizzazione della mobilità da una mansione ad un'altra, da una sede ad un'altra. Questo significherebbe per loro "dotare" di "maggiore professionalità" il lavoratore che, al contrario sarà "dotato" di maggiori rischi e sfruttamento, ricoprendo incarichi che potrebbero e dovrebbero essere riservati ai disoccupati. Per gli impiegati negli uffici è previsto il "responsabile" passaggio dalle attuali 36 ore di lavoro a 40!

Il servizio nella sua globalità dovrebbe perfezionarsi in modo da essere più produttivo ed efficiente e, rendendo così "fieri" i ferrovieri, permettere allo Stato di fare concorrenza ai trasporti privati su strada (?). Infine i livelli dovrebbero ridursi, ma mantenendo sempre - anzi accentuandole - le dovute differenze di stipendio; mentre (e come non poteva mancare!) un lungo periodo di tregua sociale, caratterizzato al massimo da richieste non salariali ma normative, concluderebbe il capolavoro.

Tutto ciò, collegato all'abolizione delle festività e al rafforzamento di istituti come lo straordinario e la trasferta, con i recenti aumenti in denaro concessi a questo riguardo, vuol solo dire un maggior carico di lavoro in condizioni più insopportabili e pericolose (è così che l'efficienza si raggiunge), mentre nel paese dilagano la disoccupazione ed il caro-vita.

I burocrati sindacali, facendosi paladini di questo progetto, si affannano nelle assemblee a giustificarlo dinnanzi ad una base sempre più distaccata e assente oppure riluttante, delusa, arrabbiata. La cogestione in atto, tra burocrazie sindacali e Azienda, non fa altro che accentuare il loro distacco da un sempre maggior numero di ferrovieri, disgustati dal modo con cui si stanno ricacciando indietro anni di affannosi piccoli passi avanti, nonostante i burocrati si ostinino a proporre l'attuazione (e in parecchi posti già esistono) dei delegati di reparto. È ormai chiaro a molti che i delegati assumono un ruolo a sé, istituzionale, lontano dalla base che - oggi più che mai - non si sente rappresentata da nessuno. Ora semmai si tratta di dare una fisionomia a questi atteggiamenti della base attraverso un dibattito e lo sviluppo di proposte e lotte all'interno della base stessa.

L'esperienza degli organismi di base finora, nonostante i tentativi, non è riuscita ad essere una proposta valida, sia per l'assenza di una struttura organizzativa a carattere nazionale capace di sopperire allo svantaggio derivante dalla ramificazione capillare delle ferrovie, sia per la mancanza di una prospettiva politica globale e chiara o perlomeno coerente. Su questi fattori ha giocato la FISAFS che raccoglie parte dei fuoriusciti dallo SFI, molti qualunquisti e gli aderenti agli ex sindacati corporativi di categoria (macchinisti, capistazione, manovratori, assistenti, verificatori, etc.) e si fa portavoce di richieste di base inserendole in un contesto - quello suo - corporativo, e funzionale in definitiva all'Azienda. Corporativo perché mai la FISAFS si è posta in un'ottica di solidarietà operaia, e del resto i suoi legami mafiosi e i democristiani che ne tirano le fila glielo impedirebbero; anzi ha sempre giocato sulla contrapposizione tra ferrovieri ed altre categorie di lavoratori (p.es. i tramvieri, gli elettrici, etc.). Essa viene usata dall'Azienda come arma di ricatto verso la triplice, affinché questa cali sempre più le braghe (nel senso di farle calare ai suoi scritti). Poi si batte anch'essa per la cogestione, un servizio più efficiente ed il mantenimento delle "giuste" differenze salariali tra i vari livelli, esclusi gli ultimi tre che andrebbero unificati. Il suo compito, nonostante le richieste di maggior salario, consiste nel recuperare possibili azioni della base svolte in senso realmente autonome, per spegnerle o spezzarle. In ogni caso bisogna dire che la sua opera di recupero del malcontento e di strumentalizzazione gli ha permesso di diventare il terzo sindacato nelle FS, scavalcando il SIUF-UIL.

Tornando ai Collettivi, attualmente i punti di maggiore presenza sono da considerare Firenze, Roma, Napoli, Milano, mentre altri gruppi esistono altrove (Torino, Ravenna, Alessandria, Genova, etc.). Le recenti assemblee nazionali dei delegati, da loro organizzate, sono rassomigliate al Lirico di Milano, tanto evidente è stata la volontà della maggioranza di far rientrare il sindacato dalla finestra dopo che è stato buttato fuori dalla porta. Così, mentre i compagni di Napoli e parte dell'assemblea propendevano per il rilancio immediato della lotta e la costruzione di una alternativa al sindacato, visto ormai come controparte, nella piattaforma si pongono solo questioni rivendicative (50.000 lire di aumento per tutti, riduzione massiccia dei livelli e passaggi automatici a quelli superiori, etc.) e soprattutto si insiste nel cercare di attuare la lotta in seno al sindacato per la costruzione di una forte sinistra sindacale. Non si vogliono, cioè, sciogliere i soliti nodi che ritardano l'inizio di lotte autenticamente autonome e contrarie ad ogni logica efficientista, opportunista e riformista.

Noi pensiamo e ci battiamo nelle ferrovie contro ogni tentativo cogestionale, contro la ristrutturazione ed il corporativismo, per la riduzione dell'orario di lavoro, forti aumenti salariali per tutti ed inversamente proporzionali alle retribuzioni attuali, contro straordinario-reperibilità-trasferta, per l'assunzione di nuovo personale, per un salario reale meno facilmente riassorbibile dall'inflazione (mense, asili, strutture per il tempo libero, etc.), per l'autentica autonomia della base in una logica di lotta al lavoro ed alla produttività borghesi attraverso conflittualità permanente ed autorganizzazione. Sappiamo di essere dalla parte del rifiuto totale, e che le nostre possono sembrare proposte troppo utopistiche, ma ci rendiamo conto - e l'esperienza e la situazione ce ne danno atto - che solo partendo da questo punto di vista è possibile porre le basi per un rilancio generale delle lotte - non solo quindi nella ferrovia - e per la crescita di una reale opposizione proletaria.

Il Nucleo Autonomo di Base è un organismo di lotta per la difesa dei ferrovieri che intende affermare il principio dell'autonomia della lotta. Per questo nega validità ai sindacati e denuncia la loro collusione col potere.

In base al principio dell'autonomia, il Nucleo Autonomo di Base afferma la necessità della conflittualità permanente all'interno della realtà produttiva e la necessità di esportare le caratteristiche essenziali della lotta verso l'interno, onde sfuggire alla chiusura corporativa. Gli obiettivi di questa comunicazione all'esterno sono l'utenza e i settori produttivi collaterali.

I metodi necessari alla realizzazione degli scopi di difesa degli interessi della categoria e quindi dell'intera collettività produttiva, sono scelti in armonia al principio di autonomia e di conflittualità permanente, restando inteso che l'utilizzo dello sciopero, come arma di lotta, va considerato criticamente; mentre, una grande attenzione va posta nella ricerca di altri mezzi di lotta più efficienti perché non facilmente controllabili da parte dell'Azienda.

Le prospettive del Nucleo Autonomo di Base sono quelle costanti della rivendicazione salariale e normativa, allo scopo di salvaguardare quel salario reale che è la base per ogni possibilità concreta di lotta da parte del lavoratore.