Rivista Anarchica Online
Medicina sul territorio: un'arma a doppio taglio
di Stefania Orio
Se da una parte lo Stato ha tutto l'interesse a decentrare l'assistenza sanitaria, ciò provoca d'altra
parte l'apertura di nuovi spazi di intervento e di lotta per gli operatori sanitari - Come lo Stato
riesce ad espropriare la salute
Pongo questo problema ad un gruppo di compagni - anarchici e non - che, a diversi livelli, lavorano,
come me, nel settore medico. Mi rispondono un po' sfottenti. Per loro la medicina sul territorio è un
problema borghese. Non dobbiamo chiacchierare, mi dicono, non dobbiamo parlare di quest'ultima
trovata della riforma sanitaria mentre in un ospedale gli ausiliari continuano ad avere 104.000 lire di
stipendio base, mentre aumentano i prezzi della mensa, mentre inservienti e commessi degli Enti Locali
sono sempre a 2.100.000 di salario annuo.
Bisogna pensare ai loro stomaci, e poi alla rivoluzione, o a tutte e due le cose contemporaneamente, e
poi potremo occuparci della salute, roba di lusso: malato, ospedali, territorio, roba da intellettuali.
Sappiamo tutti che c'è un rapporto tra salute e politica - mi dicono - quando saremo in una società
diversa anche la salute sarà autogestita.
Forse sono più vecchia, forse sono davvero un'intellettuale, non so forse ho davvero torto, ma a me
sembra che non vada bene liquidare questa cosa in due righe. Non mi sembra che vada bene per tanti
motivi. Intanto credo che dobbiamo combattere i padroni "come siamo e dove siamo". Per questo non
sono partita anni fa per la Bolivia o altri posti dove si organizzava la guerriglia. E per questo, siccome
sono un'operatrice sanitaria e lavoro per un ente locale, lotto contro il mio padrone: l'Ente Locale. Il mio
padrone mi propone di fare della medicina sul territorio, non posso rispondergli solo di aumentarmi lo
stipendio. Segno il mio padrone mi dicesse di prendere una siringa e di uccidere tutti gli zingari o gli
ebrei, non potrei rispondergli di aumentarmi lo stipendio. Dovrei prendere la siringa, e uccidere lui. Devo
prendere la medicina sul territorio, e usarla contro il mio padrone. Visto che i compagni non ne vogliono
sapere, cerco aiuto in libri e riviste.
Leggendo, mi accorgo che ci sono varie proposte relative alla medicina sul territorio, e che dovrebbero
essere viste una per una, perché non sono proprio uguali. Prima di far questo, però, voglio capire perché
è venuta fuori, nelle sue linee generali, la proposta di non curare più il malato in ospedale se non in
situazioni gravi, e di istituire dei centri che prevengano e curino nel posto dove i malati abitano e
lavorano. Fino a qualche anno fa, questa proposta passava per rivoluzionaria, trovava da parte degli
organi ufficiali la più convinta opposizione. Come mai ora alcuni Enti stanno facendo proprio il
contrario, addirittura spingono con violenza i loro reticenti operatori a lavorare sul territorio? C'è stata
una democratizzazione degli Enti Pubblici? O le forze che richiedevano, per esempio, di curare il malato
nel suo letto invece che in ospedale, sono riuscite a strappare, con la loro pressione, una importante
conquista?
Non è successa in realtà né l'una né l'altra cosa. Solo è stato possibile trovare un punto in cui le richieste
degli operatori più critici, coscienti ed eversivi, si sono incontrate con due esigenze del potere, una
economica e l'altra politica, e sono state volte dal potere a suo vantaggio. L'esigenza economica è la più
facile da capire: anni fa c'era il famoso boom economico, c'era bisogno di manodopera, anche di donne,
che - diciamo fra il 1955 e il 1965 - erano anche pagate meno, e in genere più docili, meno combattive
degli operai maschi. Molte donne non andavano a lavorare perché non sapevano dove mettere il vecchio
padre con l'asma, la vecchia madre malata di cuore, il bambino spastico, il figlio adolescente
tubercolotico: e gli ospedali si aprirono in modo insolito a tutte queste categorie. Ospedali come ghetti,
con suore sfruttate 16 ore su 24 per settant'anni e più della loro vita, infermieri con - se andava bene -
la quinta elementare, medici che comparivano ogni tanto (come succede adesso che c'è il tempo pieno,
ma che, allora, erano...), pagati per quando comparivano e li chiamavano consulenti. Mettere un vecchio
lì, facendosi dare la sua pensione, e garantirsi il pieno sfruttamento della sua figlia o della sua nuora,
tutto sommato conveniva al potere.
Oggi quegli anni sono lontani, passati. La gente, ospedali così non li vuole nemmeno dipinti, protesta,
vuole il medico sempre, infermiere qualificate, basta con le suore. Oggi la donna costa come l'uomo,
anzi, di più, perché fa più assenze. Oggi, poi, di posti di lavoro ce ne sono meno, anzi, bisogna far
decidere un po' di gente a stare a casa da lavorare. Mettere in ospedale il vecchio, il bambino, il malato
non conviene più al potere. Deve trovare un'altra soluzione: ci sono anche motivi politici che gli fanno
dire "riforma, riforma! Nuova gestione della salute!". Sono tanti. Eccone alcuni: il voto del 20 giugno,
quelle famose amministrative che han fatto prevalere in molti luoghi le amministrazioni rosse o rosa.
Amministrazioni comunali, provinciali, regionali di sinistra devono pagare le rette di ricovero. Non si
può dar più la colpa ai nemici degli operai se le cose vanno male, se l'ospedale ti rifiuta il nonno, se la
provincia non ti paga la retta del bambino, la vergogna non è più delle clientele pretesche: è dei
compagni comunisti, dei compagni socialisti, che fino a ieri avevano promesso: "Vota per noi che
cambieremo tutto". Non si può dire di no a tante richieste di cura: bisogna promettere qualcosa,
promettere di cambiare. "No, compagno, non ti metto il nonno in ospedale, povero vecchio, che muoia
nel suo letto, ma ti manderò a casa medici e infermieri, non è meglio così?". E questo è un motivo.
Un altro è il continuo aumento di richieste di ospedalizzazione. Ormai, con la mania dei capitalisti di fare
persone ultrasuperspecializzate, di medicina non ci capisce più niente nessuno, o, anche se qualcuno non
superspecializzato capisce qualcosa, ha una tal paura di sbagliare che non fa, non cura, non si pronuncia:
meglio andare in ospedale a farsi fare gli esami.... L'ambiente in cui viviamo scade, diventa sempre meno
sano, ma invece di cambiare l'ambiente corriamo dal medico, che invece di cambiare l'ambiente ci manda
in ospedale.... Tutti dunque, o per disturbi, o per esami, o per paura, o per prevenire, finiscono
all'ospedale. Si può continuare così? Non si può, l'ospedale scoppia. Bisogna ristrutturare tutto, per non
farlo scoppiare. E questo è un secondo motivo. Un terzo motivo è il bisogno di controllo su tutto quanto
riguarda la salute di tutti i cittadini dello Stato. Il cittadino, si sa, è dello Stato, gli appartiene, non si
appartiene. Dunque, questa macchina statale deve essere oliata, curata, sotto controllo, perfetta rotellina
dell'ingranaggio. Nascite, aborti, tonsilliti, appendiciti, tumori, pazzia, epilessia, vecchiaia: esistono pure,
ma pianificate. Prima di fare un figlio, consultiamoci con il Potere, o almeno chiediamo la sua illustre
opinione. Ammaliamoci solo quando e come il potere lo desidera. La pazzia, poi! Solo nei luoghi e nelle
forme previste, se non è pericolosa, mette in crisi il sistema. Può l'attuale sistema ospedaliero, così
lontano dalle fabbriche, dalle scuole, dalle stesse abitazioni di chi si fa ricoverare, garantire un controllo
della malattia? Non può. E allora ecco gli ambulatori di zona, i servizi di igiene mentale di zona, gli
operatori socio-sanitari del territorio. C'è un quarto motivo, ancora politico fra quelli di cui voglio
parlare: il potere ci tiene a mettere bene in testa al cittadino che, comunque, la salute non è di sua
competenza: competente è lo Stato. Lui, cittadino, non è che un ignorante. Solo i tecnici dei pubblici
poteri, a ciò delegati, sanno quando una persona è sana o malata, sanno che cosa fare per non ammalarsi
e che cosa fare per guarire. Lui, il cittadino, è in buone mani. Non si preoccupi: deleghi. A lui, piccolino,
penserà Mamma Sistema. Distrutta l'Autorità Paterna, direttamente repressiva, così la piovra del potere
cerca di allettarci con le sue maglie suadenti, che diventano tenaglie di ferro o soffocante tela di
contenzione non appena dissentiamo. Davvero tutto questo non ci interessa? Davvero è roba da
intellettuali?
A me sembra di no. Per questo vorrei trovare il modo di rispondere. Intanto, non lasciando cedere le
contraddizioni dell'ospedale, ma tenendo ben presente che, se l'ospedale scoppia, i centri territoriali sono
ormai pronti a raccoglierne i cocci. Occorre quindi lottare contemporaneamente nei centri territoriali.
Finché l'ospedale non sarà definitivamente scoppiato, o finché non ci cacceranno via da questi centri, essi
sono, credo, uno strumento che possiamo adoperare anche noi, uno strumento che in mano nostra può
diventare diverso da come l'ha immaginato il potere, uno strumento eversivo.
Certo, i soli centri territoriali non faranno la rivoluzione. Ma possono farne una parte. Possono impedire
che allo sfruttato venga alienata la gestione del proprio corpo, del proprio cervello, della propria salute.
Possono sottrarre ai medici le conoscenze e distribuirle fra tutti, così che ciascuno, e non i soli addetti
ai lavori, giudichi se e come impedire che l'ambiente diventi nocivo, se e come fare interventi di
profilassi, se e come curare. Tutti medici dunque? Al contrario: pochi medici, molto controllati da tante
persone coscienti, processate da queste persone al minimo sgarro, se occorre, puniti da queste persone
con la denuncia pubblica e l'inevitabile, successivo isolamento conseguente ai loro errori. I centri
territoriali possono diventare un momento in cui gli abitanti di un quartiere si riuniscono per individuare
la nocività del territorio, in cui i giovani affrontano in gruppo il problema della sessualità e della
procreazione, della follia e della droga, senza per questo essere schedati: un momento di individuazione
delle contraddizioni, delle violenze presenti sul territorio, e di lotta contro di esse. È chiaro che un centro
territoriale di questo tipo non avrà lunga vita, ma, dove si sarà per un po' attuato, io credo che lascerà
il segno.
Forse però sbaglio tutto, forse non ho capito niente. Compagni che lavorate nel settore della medicina,
perché non apriamo una discussione? Dico di voi che non avete scelto come unica alternativa la lotta
armata e clandestina. Quella, lo so, è un'altra scelta, e ha tutto il mio rispetto. Ma se voi siete negli
ospedali, vuol dire che per la maggior parte della giornata maneggiate cartelle cliniche e non proclami,
padelle e pappagalli e non mitra; siringhe e non pistole. E nelle otto ore in cui esprimete la vostra
solidarietà allo sfruttato-malato, non pensate che si possa fare qualcosa per la rivoluzione?
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