Rivista Anarchica Online
Antimilitarismo e potere statale
di P. F.
Intervista con Carlo Cassola. Impegnatosi recentemente nella lotta contro gli eserciti ed il militarismo, Cassola propone come
primo obiettivo l'abolizione unilaterale dell'esercito italiano - L'evoluzione del suo pensiero in
senso libertario - Dall'antimilitarismo all'antistatalismo: un passaggio inevitabile che Cassola non
ha ancora saputo compiere - Importanza e limiti del suo contributo alla lotta contro gli eserciti
Vi è un elemento, nella storia contemporanea, del quale mi pare che nessuno tenga sufficientemente
conto: la fretta.
Dopo il 6 agosto 1945, giorno in cui si verificò ad Hiroshima la prima utilizzazione bellica dell'energia
nucleare, le cose sono cambiate di molto: come già hanno detto Albert Einstein e Bertrand Russell in
una loro dichiarazione congiunta, o l'umanità distruggerà gli armamenti oppure saranno gli
armamenti a distruggere l'umanità. E poiché gli eserciti stanno necessariamente portando l'umanità
alle soglie della terza guerra mondiale, io sono convinto che è necessario aver fretta di bloccare questo
processo. Non ci restano certo più di una trentina d'anni per impedire un nuovo conflitto mondiale:
l'ultimo, senza dubbio, perché in esso troverebbe la sua fine l'umanità stessa. È indispensabile che tutti
si rendano conto di ciò e combattano con noi questa battaglia, perché questa volta la nostra sconfitta
rappresenterà la fine di tutto e di tutti - anche dei nostri "vincitori", che soccomberanno anch'essi nel
destino comune di morte e di distruzione generale.
Chi mi parla così, con tono fermo ma pacato, è Carlo Cassola, 60 anni, uno dei più affermati scrittori
italiani. Fra le sue opere principali si ricordano "Fausto e Anna" (1952), "La ragazza di Bube" (1960),
"Un cuore arido" (1961), "Il cacciatore" (1964), "Ferrovia locale" (1968), "Paura e tristezza" (1970),
"Monte Mario" (1973), "Gisella" (1974), "Troppo tardi" (1975). Eppure non è di questi suoi libri più
famosi che intendo parlare nel colloquio odierno, quanto piuttosto dei suoi ultimi due saggi "Ultima
frontiera" ed "Il gigante cieco", usciti rispettivamente nel maggio e nel dicembre dello scorso anno in
una collana economica dell'editore Rizzoli. Con la pubblicazione di questi due saggi, infatti, oltre che
con decine di conferenze e di dibattiti pubblici e con una serie di articoli pubblicati sulle colonne del
Corriere della Sera, Cassola ha iniziato ad occuparsi attivamente di questioni politico-sociali. In
particolare, Cassola si è gettato a capofitto nella lotta antimilitarista, individuando negli eserciti e nel
militarismo il pericolo più incombente per le sorti stesse dell'umanità. La sua netta scelta "di sinistra" -
Cassola ci tiene a sottolinearlo - l'ha già compiuta da decenni, come testimoniano la sua passata militanza
nelle file di Giustizia e Libertà prima, nel Partito Socialista dopo. "È stata la contestazione giovanile del
'68 a spingermi ad impegnarmi attivamente per la realizzazione delle mie idee, rifiutando quel ruolo
subordinato che molti intellettuali nostrani hanno sempre accettato, lasciando di fatto ai "politici", ed
al PCI in particolare, il compito di occuparsi delle cose pratiche. Quando ho visto che i giovani
studenti ed operai, in Italia come in Francia, non aspettavano il nulla-osta del partito comunista per
muoversi, ma anzi decidevano autonomamente che cosa fare; e quando soprattutto ho capito - afferma
Cassola - che non era necessario essere in maggioranza per poter incidere, per ribellarsi e per
affermare le proprie idee, allora mi sono progressivamente convinto della necessità di impegnarmi in
prima persona nelle lotte. E se ho scelto il terreno antimilitarista è perché sono quanto mai convinto
di quanto ti ho detto prima sulla necessità di distruggere innanzitutto gli eserciti. Per me questo
obiettivo dovrebbe essere prioritario rispetto a qualsiasi altro."
Contesto a Cassola la limitatezza, la settorialità della sua battaglia antimilitarista: d'accordo
sull'abolizione degli eserciti, come non rendersi conto però dell'impossibilità di raggiungere un simile
obiettivo senza la contemporanea abolizione degli Stati? Non si tratta di una questione puramente
teorica; la sempre più diffusa integrazione tra Stato ed esercito (oltre un terzo degli Stati sono oggi retti
da militari) non rende anche nella pratica inscindibile la lotta antimilitarista da quella antistatale (e quindi
anarchica per eccellenza)? È questa, essenzialmente, l'obiezione "classica" che gli anarchici muovono
a Cassola nel corso delle sue conferenze pubbliche: non gli è quindi difficile rispondermi, a modo suo.
Innanzitutto pone l'accento sulla fretta, sulla necessità cioè di privilegiare quell'aspetto del "nemico" che
più direttamente ci minaccia, per attaccarlo con tutte le nostre energie. In secondo luogo, Cassola
sostiene la necessità di fornire all'opinione pubblica un esempio concretamente realizzabile (come
appunto, a suo avviso, l'abolizione degli eserciti, ad iniziare da quello italiano) da contrapporre alle
realizzazioni (o presunte tali) degli "altri".
Se riusciremo a creare un vasto movimento che ottenga l'abolizione dell'esercito (italiano, innanzitutto
ed unilateralmente), puoi star certo che alla gente avremo offerto una prova importante delle
possibilità di realizzare "il diverso". Non si deve ignorare, infatti, che uno dei fattori più negativi per
coloro che vogliono far progredire la storia è la mancanza di fantasia, la sostanziale incapacità della
gente a staccarsi dal vecchio ed a concepire il nuovo. L'umanità oggi è al bivio: o il disastro o l'utopia.
La lotta per l'abolizione degli eserciti può aiutare molto nel cammino verso la salvezza dell'umanità.
Mi rendo conto perfettamente - sostiene Cassola, rispondendo ad una mia ulteriore critica - di sostenere
implicitamente, con questo mio discorso, due contraddizioni inconciliabili. Pensando infatti ad
un'abolizione degli eserciti, io postulo necessariamente un "qualcosa", cioè necessariamente un potere,
che attui questa abolizione: mi trovo così a postulare un potere "anarchico" ed un potere "transitorio".
Due cose teoricamente impossibili, dal momento che potere ed anarchia fanno a pugni e che il potere,
per la sua stessa natura, tende a perpetuarsi. Eppure io non vedo altra possibile soluzione: e neppure
mi spavento tanto di queste contraddizioni teoriche, dal momento che la storia è spesso andata avanti
proprio grazie a movimenti ed a lotte che teoricamente contenevano delle contraddizioni insanabili
ma che all'atto pratico hanno dimostrato di poter incidere positivamente nel senso del progresso.
E qui Cassola cita alcuni esempi, che francamente non riescono a diminuire la distanza che esiste tra il
suo pensiero in materia e quello certo più lineare dell'anarchismo.
Il pensiero di Cassola, comunque, è in evoluzione - come lui stesso riconosce e come dimostrano le
differenze tra i suoi due saggi, pur scritti a distanza di pochi mesi l'uno dall'altro. È un'evoluzione per
noi interessante, che lo ha sempre più avvicinato all'anarchismo, sulla cui storia e sul cui pensiero solo
negli ultimi tempi ha approfondito le sue conoscenze. A questo proposito Cassola ci tiene a precisare
che ormai anche alcune delle affermazioni contenute nell'ultimo dei suoi saggi debbano ritenersi superate.
Ne "Il gigante cieco", per esempio, ho parlato di Lenin e di Trotsky in maniera elogiativa, giudicandoli
dei validi rivoluzionari. Oggigiorno, dopo aver studiato meglio la storia della rivoluzione russa ed aver
letto del comportamento loro e dei bolscevichi nei confronti degli anarchici in Ucraina e dei marinai
di Kronstadt, quel giudizio va capovolto. La matrice liberticida dello stalinismo deriva direttamente
dal leninismo, come hanno sempre sostenuto gli anarchici.
Faccio presente a Cassola l'ambiguità del suo appello all'unità delle sinistre, sia in generale sia sul terreno
specificamente antimilitarista: un appello che viene più volte ripetuto nei suoi scritti. Il partito comunista
e quello socialista sono pienamente integrati nella logica statale e militare, difendono l'esistenza ed il
ruolo delle forze armate, fanno anche a gara nel piazzare alti ufficiali nelle loro liste elettorali; i gruppi
marxisti a sinistra del PCI lottano per "la democrazia" nelle caserme con obiettivi e mentalità riformisti;
i radicali (gli unici che continuano, seppure strumentalmente, a definirsi apertamente antimilitaristi)
hanno sempre più annacquato il loro antimilitarismo, limitandosi a battaglie specifiche (l'abolizione del
codice e dei tribunali militari, l'abolizione delle servitù militari, ecc.) senza più mettere in discussione
l'istituzione esercito (significativa in proposito la loro solidarietà con i movimenti dei sottufficiali e degli
ufficiali democratici). Questo, sinteticamente, il quadro delle posizioni presenti nella sinistra italiana
sull'antimilitarismo. Che cosa ne pensa Cassola? Quale unità va predicando? È poi ancora possibile
parlare di "sinistra", in termini così generali, così da "fronte unito"?
Debbo innanzitutto precisare che quando mi riferisco all'unità delle sinistre non penso ad un'unità dei
vertici: so che è impossibile e sarei comunque il primo a diffidarne. Penso invece all'unità dei
lavoratori su quei temi - come l'antimilitarismo, l'anticlericalismo e l'anticapitalismo - che sono sempre
stati patrimonio della "sinistra" e che oggi sono stati completamente rifiutati dal partito comunista e
dai suoi accoliti. In questo senso, il PCI e quelli che sostengono posizioni simili non possono nemmeno
esser considerati di sinistra. Più in generale condivido il tuo scetticismo di fronte all'uso dei termini
"sinistra" e "destra" e sono d'accordo che tra il regime di Pinochet e quello di Breznev non vi è alcuna
differenza sostanziale: a mio avviso, dovrebbero esser considerati entrambi regimi di destra. Per una
migliore comprensione del mio pensiero voglio ribadire quanto dissi in una recente conferenza a
Cesena, suscitando le ire di alcuni giovani marxisti-leninisti intervenuti che condividevano la mia
opinione sul carattere di destra del regime dittatoriale russo: anche la Cina comunista - è questo che
li fece saltar su - deve esser considerata alla stessa maniera. Gli eserciti e gli Stati svolgono ovunque
e sempre il loro ruolo oppressivo: è compito nostro combatterli senza distinzione alcuna.
Inevitabilmente si ritorna a discutere dell'anarchismo, al quale Cassola si dichiara estremamente vicino,
sostanzialmente d'accordo con i principi basilari. Non si può aspettare che la gente si convinca della
realizzabilità dell'utopia anarchica - sostiene ancora Cassola - è necessario impegnarsi in un'unica
battaglia specifica e puntare tutto su temi concretamente realizzabili.
Da questi temi la discussione si sposta sui problemi più generali del ruolo degli intellettuali, sul loro
impegno, sulla politica culturale del PCI, ecc. Cassola conosce molto bene l'ambiente degli intellettuali
di sinistra, il loro impegno spesso superficiale e non disinteressato, il loro ruolo di "spalla" alla politica
culturale del PCI. L'egemonia comunista nel mondo della cultura ha anticipato di non poco il progressivo
inserimento comunista nell'area di governo, grazie ad un'accorta politica culturale le cui fondamenta
erano già state gettate da Gramsci. Al di là dei suoi multiformi volti, ora dogmatici ora pluralisti, si è
confermata nel tempo la strutturale intolleranza dei comunisti e dei loro alleati per qualsiasi forma di
dissenso che metta anche solo in discussione la loro egemonia sulla "sinistra". Il sostanziale isolamento
nel quale l'intellighentsja "di sinistra" italiana ha lasciato Cassola da quando si è impegnato sul terreno
antimilitarista ne è una piccola ma significativa riprova. Se invece si fosse posto sotto le grandi ali di
mamma PCI e della cultura marxista, gli "amici", gli intellettuali, i "compagni" non lo avrebbero così
emarginato. Un motivo di più, questo, per seguire con simpatia la battaglia antimilitarista che Cassola
sta portando avanti, senza per questo tralasciare di criticarne gli errori e le carenze secondo il nostro
punto di vista anarchico.
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