Rivista Anarchica Online
Conquiste del '68, addio!
di R. Brosio
Scuola: è in preparazione un progetto di riforma. Nonostante la cortina fumogena che impedisce per ora di coglierne tutti gli aspetti particolari, la
riforma scolastica Malfatti si va delineando come un momento fondamentale della restaurazione
nelle scuole medie e nelle università - La rivalutazione strumentale del lavoro manuale
La riforma della scuola media superiore e dell'università, è certo uno dei problemi che con maggior
urgenza, oggi, si pongono all'attenzione della classe dirigente. A parte le sfumature, questo è ormai
nell'opinione di tutti. Eppure, la soluzione di tale problema sta vivendo un clima di paradossale
"clandestinità". Infatti, mentre da un lato si sprecano le enunciazioni di principio di alti personaggi della
cultura, le inchieste giornalistiche sui mali delle strutture scolastiche e sui possibili rimedi, le analisi di
quanto succede negli altri paesi, dall'altro, sul fronte dei provvedimenti governativi (e qui sta il
paradosso) regna il silenzio più assoluto. Silenzio ufficiale, sia chiaro. In realtà, è noto a tutti che il
governo ha un suo progetto di riforma, ma quali contenuti, in concreto, esso è destinato ad avere, è cosa
al momento ancora sconosciuta per il grosso pubblico. In merito circolano illazioni, indiscrezioni,
opinioni personali più o meno qualificate, ma nessuna comunicazione ufficiale, niente che possa fornire
indicazioni esplicite sugli intendimenti di quanto si va approntando nei sotterranei del potere. È evidente
l'intenzione di non "bruciare", con frettolose presentazioni in pubblico, provvedimenti che, proprio per
queste cautele, si annunciano fin d'ora come delicati ed importanti. Come è evidente, del resto, la volontà
di controllare le reazioni alle voci "ufficiose", diffuse su tali provvedimenti, per limarne la forma e
renderli più "accettabili" prima della definitiva promulgazione.
In altri termini, il ministro Malfatti non ha intenzione di ripetere la gaffe della sua repentina proposta di
riforma della scuola media superiore che, nonostante sia stata presentata in sordina e senza eccessiva
pubblicità, ha scatenato quello scoppio di rabbia studentesca che è stato, in parte, l'innesco (Lama ne sa
qualcosa) di questa nuova contestazione giovanile, tanto difficile da contenere per il sistema. Così, il
progetto di riforma è stato ritirato, ed il suo posto è stato preso dal silenzio di cui si diceva poc'anzi. Un
silenzio sospetto e certo poco nobile, ma assai meno compromettente di qualunque dichiarazione in
merito alla qualità dei risultati in gestazione. In verità, è giunta la notizia di una commissione
interpartitica che starebbe lavorando per mettere a punto, di comune accordo, un nuovo modello di
riforma, ma questo significa soltanto che il governo è intenzionato a fare le cose di concerto con le altre
forze politiche istituzionali. Il silenzio, però, resta silenzio.
Lo stesso può dirsi dell'università. Anche qui, le linee direttrici di quello che sarà il nuovo assetto delle
strutture accademiche, e la funzione che esse dovranno svolgere, sono ben lontane dall'essere
ufficialmente svelate. Recentemente, i giornali hanno pubblicato un testo che è stato definito come il
progetto governativo di riforma universitaria. Ma era una definizione azzardata. Nella realtà, il vero
progetto Malfatti è, almeno ufficialmente (al solito), ancora un segreto, e quello di cui l'uomo della
strada ha potuto prendere visione era il frutto di una specie di "fuga di notizie", senza alcun imprimatur
ministeriale, senza alcuna garanzia di eventuali cambiamenti futuri, che in teoria potrebbero essere anche
sostanziali. Inoltre, questo testo non era che un condensato, privo di alcuni articoli di presumibile
importanza (regolamento interno delle Università, per esempio) e per di più non riguardava se non
l'aspetto meramente amministrativo della riforma, senza dire nulla sui rapporti tra università e studenti,
cosa che invece sarebbe assai utile per capire il ruolo che il nuovo assetto accademico è destinato a
giocare. Sul diritto allo studio, cioè sui meccanismi di ammissione e progresso negli studi, è detto
soltanto che verrà emanata una legge successiva (art. 57).
Insomma, che la scuola, prima o poi, sarà diversa da quella che è adesso, è certo. Cosa sarà, lo è assai
meno. O meglio, il governo, per il momento, non sembra intenzionato a dircelo. Sarà una sorpresa. Il
cittadino, lo studente, il futuro studente, non devono conoscere in anticipo le leggi ed i provvedimenti
che vengono studiati nelle "stanze dei bottoni". Per evitare pericolosi dissensi, è bene che tali leggi e
provvedimenti vengano fatti sapere solo a cose fatte, quando l'ira e il rifiuto degli scontenti non potrà
più accompagnarsi alla speranza di farli revocare. "Prima fare, poi parlare", ha detto qualche giorno fa
Andreotti, ed è significativo che si riferisse ai provvedimenti per l'ordine pubblico, che, insieme a quelli
per la scuola, rappresentano attualmente il terreno dove è più prevedibile la contestazione di una parte,
almeno, della popolazione.
Ma sono davvero così imperscrutabili, i disegni dei potenti? Già il mistero di cui si ammantano non lascia
presagire nulla di buono. In un momento in cui l'opinione pubblica studentesca, e para-studentesca, è
particolarmente attenta, poco disponibile ai sofismi e ai bluff della classe dirigente, se Malfatti esita a
"rivelarsi" è certo perché ha in serbo qualche boccone amaro, qualche rospo che prevede di non facile
digestione. E anche in minaccioso contrappunto che il rinnovato giro di vite repressivo va facendo al
rinnovato fermento del mondo scolastico, sembra annunciare che i tempi "felici" sono passati. Gli
studenti sono di nuovo in piazza, come nel '68, e ancora una volta sembrano scoprire in sé l'energia delle
grandi trasformazioni. Ma oggi non hanno di fronte paternalistici manganelli, bensì le autoblindo, la legge
Reale, condanne pesanti, la riforma carceraria sospesa. E fors'anche il fermo di polizia o il confino. Il
sistema non sembra disposto alle concessioni.
Al contrario. La stampa, specie quella abituata a fare da cassa di risonanza a tutti i propositi "innovatori"
della classe dirigente, si è ipocritamente appropriata della tematica emersa dalla crisi della scuola
(disoccupazione intellettuale, scadimento dei titoli di studio, ecc.) e ne va facendo il punto di partenza
per una campagna di restaurazione. Non abbiamo mai letto, come in questi giorni, dichiarazioni così
francamente reazionarie a favore del numero chiuso nelle Università, della selezione, della disciplina,
impensabili cinque o sei anni fa. Ma abbiamo letto anche articoli più subdoli, sulla "rivalutazione del
lavoro manuale", sulla necessità di insegnare ai giovani che "cultura" non vuol dire necessariamente
"lavoro direttivo", sulla preminenza dell'azione socializzante, educativa, della scuola su quella di
preparazione specifica professionale. È il suono del campanello di allarme, di una società che non può
più alimentare le illusioni di promozione sociale con le quali aveva finora spinto i giovani alla
scolarizzazione di massa. Una società che non può più sostenere la storiella del "Ragazzi andate a scuola
che diventerete importanti", perché i ragazzi si sono accorti che è una panzana. Anzi, proprio attraverso
la frustrazione del mancato inserimento nell'area del privilegio, stanno scoprendo altri valori, stanno
imparando a disprezzare la scala su cui il sistema li invita ad arrampicarsi. Cosicché, paradossalmente,
la scuola diventa un focolaio di ribellione, invece che una fabbrica di consenso.
La nostra scuola, in particolare quella superiore, mantiene ancora alcuni connotati tipici di un'istituzione
destinata a creare quadri dirigenti intermedi: la miriade di diplomi tuttora esistenti, tutti a netta
caratterizzazione professionale (geometri, ragionieri, periti, ecc.), non ha più alcuna attinenza con le
possibilità reali di impiego, ma proprio per questo funziona, di fronte all'opinione pubblica, da verifica
continua dell'inconsistenza delle promesse di chi, fino ad adesso, ha invitato i giovani al prolungamento
degli studi. Così, mentre da un lato è necessario "cambiare musica", inventando nuove giustificazioni alla
scolarizzazione, tali da non compromettere la credibilità del potere, dall'altro è ovvio che bisogna
eliminare quegli aspetti istituzionali che possono ostacolare, con la loro inattualità, questo processo di
recupero. In altre parole, lo Stato ha bisogno di mantenere la diffusione della scolarità perché questo è
uno strumento efficiente di condizionamento intellettuale, culturale, psicologico, dei giovani. Ma ha
anche bisogno di razionalizzare l'istituzione, perché, così come è adesso, serve male al suo scopo e,
spesso, ottiene risultati opposti a quelli sperati.
È molto probabile che i "bocconi amari" che Malfatti ha in animo di propinare agli studenti riguardino
proprio quest'opera di razionalizzazione. Ricordiamo che nel già citato progetto di riforma della media
superiore era prevista l'abolizione totale della pletora di indirizzi professionali e tecnici attualmente
esistente, e la sua sostituzione con pochi e generici indirizzi fondamentali, completamente svincolati da
qualunque possibilità di impiego, proprio per questa genericità (art. 2 e 3). Ricordiamo inoltre che
l'accesso all'Università veniva fortemente ristretto, con l'abolizione dell'attuale libertà di iscrizione a
qualsiasi facoltà e l'istituzione del principio secondo il quale ogni indirizzo permette l'accesso solo a
determinate facoltà, e tramite speciali esami di ammissione (art. 7 e art. 20). Il che non è solo un netto
arretramento, addirittura pre-sessantottesco, verso la selezione meritocratica, ma appare in sintonia con
l'idea di restituire all'università l'antico ruolo di scuola per privilegiati, lasciando alla media quello di
scuola "di tutti", cioè priva di qualsiasi funzione di promozione sociale.
Si obietterà che questo progetto, come d'altronde abbiamo notato anche noi più sopra, è stato ritirato.
Ma non è pensabile che il "nuovo" progetto, quello che uscirà dai lavori della commissione interpartitica,
possa contenere impostazioni nettamente opposte, completamente differenti. Cambierà la forma, o
qualche sfumatura, non certo la sostanza, che non può essere affidata alla sorte di una contrattazione
dell'ultimo momento. Tanto più che, significativamente, la medesima sostanza del progetto governativo
è riscontrabile (a parte, al solito, le sfumature) in quello presentato dal PCI (25 gennaio), che appare
forse più organico e più "intelligente", ma fa riferimento alla stessa concezione di scuola media generica
e aperta a tutti, con blocco finale limitante l'ingresso nell'università (art. 1, 7, 10 e art. 23). Insomma,
sembra verosimile ritenere che, comunque vadano le cose, la scuola media superiore diventerà una sorta
di prolungamento dell'attuale triennio post-elementare, perdendo ogni residuo carattere "informativo",
cioè di preparazione a questa o quella professione, e con l'esaltazione, invece, della sua funzione
"educativa", cioè di condizionamento e controllo del carattere dei giovani. Al suo termine, la strozzatura
degli esami di ammissione all'Università garantirà la selezione, riducendo (vedremo di quanto) il numero
di coloro che potranno adire a studi più approfonditi, a indirizzo più esplicitamente professionale. È
probabile, quindi, che la funzione che un tempo veniva svolta dagli istituti tecnici, sarà lasciata
all'Università. Non a caso il progetto governativo di riforma universitaria (quello che di recente è stato
"ufficiosamente" presentato in pubblico) prevede ben tre livelli di istruzione superiore: un diploma, una
laurea e un dottorato di ricerca (art. 6). Il che indica abbastanza chiaramente l'intenzione di utilizzare le
strutture accademiche per "spostare avanti" quella selezione meritocratica che non viene più esercitata
nei gradini precedenti. Per essere certi che pochi giungano al traguardo, viene allungato il percorso della
gara.
I tempi tecnici e i dettagli di questa operazione sono ben lungi dall'essere definiti, specie in questo
momento di transizione politica, oltre che di scarsa loquacità governativa. Crediamo tuttavia che la
sostanza della previsione sia esatta. D'altronde non ci vuol molto a constatare l'inefficienza, per le stesse
esigenze del potere, dell'attuale ordinamento scolastico: il sistema non ha bisogno soltanto di creare
cittadini remissivi ed ordinati, necessita anche di strutture che formino i quadri futuri della classe
dirigente. E queste strutture oggi non esistono, perché la scuola è stata trasformata, finora, solo per far
fronte alla prima delle due esigenze. È tempo che tali strutture vengano create. Le cautele del governo,
i temporeggiamenti, si spiegano allora assai meglio, sia perché una scuola selettiva ed elitaria è assai più
difficile da giustificare di fronte all'opinione pubblica, sia perché la sua efficienza è un problema di grande
importanza per il sistema, e deve quindi essere studiato con ogni attenzione.
Tutto ciò, per gli anarchici, è in buona parte scontato. Non è da ieri che l'esame dell'evoluzione
dell'ordinamento scolastico conferma le nostre considerazioni sul carattere reazionario dell'istruzione di
stato. Ma quanti hanno creduto (o credono tuttora) alle promesse del potere sul diritto allo studio e sulla
diffusione della cultura, avranno, nei mesi a venire, frequenti occasioni per riflettere. E per ricredersi,
speriamo.
| Milano, primavera '77: l'università Statale è di nuovo occupata dagli studenti, con una partecipazione
che ricorda le prime clamorose occupazioni di nove anni fa. La recente esplosione delle lotte
studentesche ha sorpreso un po' tutti, ma soprattutto ha contribuito a "destabilizzare" il sistema,
rifiutando la logica delle burocrazie (grandi e piccole, riformiste e "rivoluzionarie") e del
compromesso storico. La ripresa dell'iniziativa studentesca, al di là dei limiti e delle carenze che il
Movimento ha espresso, rappresenta un fenomeno decisamente positivo, destinato ad influenzare la
situazione politica più di quanto molti credono o vogliono credere. Indiani metropolitani, autonomi,
studenti in rivolta hanno spesso espresso ed esprimono alcuni contenuti libertari o potenzialmente tali. |
|