Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 7 nr. 57
maggio 1977


Rivista Anarchica Online

Conquiste del '68, addio!
di R. Brosio

Scuola: è in preparazione un progetto di riforma.
Nonostante la cortina fumogena che impedisce per ora di coglierne tutti gli aspetti particolari, la riforma scolastica Malfatti si va delineando come un momento fondamentale della restaurazione nelle scuole medie e nelle università - La rivalutazione strumentale del lavoro manuale

La riforma della scuola media superiore e dell'università, è certo uno dei problemi che con maggior urgenza, oggi, si pongono all'attenzione della classe dirigente. A parte le sfumature, questo è ormai nell'opinione di tutti. Eppure, la soluzione di tale problema sta vivendo un clima di paradossale "clandestinità". Infatti, mentre da un lato si sprecano le enunciazioni di principio di alti personaggi della cultura, le inchieste giornalistiche sui mali delle strutture scolastiche e sui possibili rimedi, le analisi di quanto succede negli altri paesi, dall'altro, sul fronte dei provvedimenti governativi (e qui sta il paradosso) regna il silenzio più assoluto. Silenzio ufficiale, sia chiaro. In realtà, è noto a tutti che il governo ha un suo progetto di riforma, ma quali contenuti, in concreto, esso è destinato ad avere, è cosa al momento ancora sconosciuta per il grosso pubblico. In merito circolano illazioni, indiscrezioni, opinioni personali più o meno qualificate, ma nessuna comunicazione ufficiale, niente che possa fornire indicazioni esplicite sugli intendimenti di quanto si va approntando nei sotterranei del potere. È evidente l'intenzione di non "bruciare", con frettolose presentazioni in pubblico, provvedimenti che, proprio per queste cautele, si annunciano fin d'ora come delicati ed importanti. Come è evidente, del resto, la volontà di controllare le reazioni alle voci "ufficiose", diffuse su tali provvedimenti, per limarne la forma e renderli più "accettabili" prima della definitiva promulgazione.

In altri termini, il ministro Malfatti non ha intenzione di ripetere la gaffe della sua repentina proposta di riforma della scuola media superiore che, nonostante sia stata presentata in sordina e senza eccessiva pubblicità, ha scatenato quello scoppio di rabbia studentesca che è stato, in parte, l'innesco (Lama ne sa qualcosa) di questa nuova contestazione giovanile, tanto difficile da contenere per il sistema. Così, il progetto di riforma è stato ritirato, ed il suo posto è stato preso dal silenzio di cui si diceva poc'anzi. Un silenzio sospetto e certo poco nobile, ma assai meno compromettente di qualunque dichiarazione in merito alla qualità dei risultati in gestazione. In verità, è giunta la notizia di una commissione interpartitica che starebbe lavorando per mettere a punto, di comune accordo, un nuovo modello di riforma, ma questo significa soltanto che il governo è intenzionato a fare le cose di concerto con le altre forze politiche istituzionali. Il silenzio, però, resta silenzio.

Lo stesso può dirsi dell'università. Anche qui, le linee direttrici di quello che sarà il nuovo assetto delle strutture accademiche, e la funzione che esse dovranno svolgere, sono ben lontane dall'essere ufficialmente svelate. Recentemente, i giornali hanno pubblicato un testo che è stato definito come il progetto governativo di riforma universitaria. Ma era una definizione azzardata. Nella realtà, il vero progetto Malfatti è, almeno ufficialmente (al solito), ancora un segreto, e quello di cui l'uomo della strada ha potuto prendere visione era il frutto di una specie di "fuga di notizie", senza alcun imprimatur ministeriale, senza alcuna garanzia di eventuali cambiamenti futuri, che in teoria potrebbero essere anche sostanziali. Inoltre, questo testo non era che un condensato, privo di alcuni articoli di presumibile importanza (regolamento interno delle Università, per esempio) e per di più non riguardava se non l'aspetto meramente amministrativo della riforma, senza dire nulla sui rapporti tra università e studenti, cosa che invece sarebbe assai utile per capire il ruolo che il nuovo assetto accademico è destinato a giocare. Sul diritto allo studio, cioè sui meccanismi di ammissione e progresso negli studi, è detto soltanto che verrà emanata una legge successiva (art. 57).

Insomma, che la scuola, prima o poi, sarà diversa da quella che è adesso, è certo. Cosa sarà, lo è assai meno. O meglio, il governo, per il momento, non sembra intenzionato a dircelo. Sarà una sorpresa. Il cittadino, lo studente, il futuro studente, non devono conoscere in anticipo le leggi ed i provvedimenti che vengono studiati nelle "stanze dei bottoni". Per evitare pericolosi dissensi, è bene che tali leggi e provvedimenti vengano fatti sapere solo a cose fatte, quando l'ira e il rifiuto degli scontenti non potrà più accompagnarsi alla speranza di farli revocare. "Prima fare, poi parlare", ha detto qualche giorno fa Andreotti, ed è significativo che si riferisse ai provvedimenti per l'ordine pubblico, che, insieme a quelli per la scuola, rappresentano attualmente il terreno dove è più prevedibile la contestazione di una parte, almeno, della popolazione.

Ma sono davvero così imperscrutabili, i disegni dei potenti? Già il mistero di cui si ammantano non lascia presagire nulla di buono. In un momento in cui l'opinione pubblica studentesca, e para-studentesca, è particolarmente attenta, poco disponibile ai sofismi e ai bluff della classe dirigente, se Malfatti esita a "rivelarsi" è certo perché ha in serbo qualche boccone amaro, qualche rospo che prevede di non facile digestione. E anche in minaccioso contrappunto che il rinnovato giro di vite repressivo va facendo al rinnovato fermento del mondo scolastico, sembra annunciare che i tempi "felici" sono passati. Gli studenti sono di nuovo in piazza, come nel '68, e ancora una volta sembrano scoprire in sé l'energia delle grandi trasformazioni. Ma oggi non hanno di fronte paternalistici manganelli, bensì le autoblindo, la legge Reale, condanne pesanti, la riforma carceraria sospesa. E fors'anche il fermo di polizia o il confino. Il sistema non sembra disposto alle concessioni.

Al contrario. La stampa, specie quella abituata a fare da cassa di risonanza a tutti i propositi "innovatori" della classe dirigente, si è ipocritamente appropriata della tematica emersa dalla crisi della scuola (disoccupazione intellettuale, scadimento dei titoli di studio, ecc.) e ne va facendo il punto di partenza per una campagna di restaurazione. Non abbiamo mai letto, come in questi giorni, dichiarazioni così francamente reazionarie a favore del numero chiuso nelle Università, della selezione, della disciplina, impensabili cinque o sei anni fa. Ma abbiamo letto anche articoli più subdoli, sulla "rivalutazione del lavoro manuale", sulla necessità di insegnare ai giovani che "cultura" non vuol dire necessariamente "lavoro direttivo", sulla preminenza dell'azione socializzante, educativa, della scuola su quella di preparazione specifica professionale. È il suono del campanello di allarme, di una società che non può più alimentare le illusioni di promozione sociale con le quali aveva finora spinto i giovani alla scolarizzazione di massa. Una società che non può più sostenere la storiella del "Ragazzi andate a scuola che diventerete importanti", perché i ragazzi si sono accorti che è una panzana. Anzi, proprio attraverso la frustrazione del mancato inserimento nell'area del privilegio, stanno scoprendo altri valori, stanno imparando a disprezzare la scala su cui il sistema li invita ad arrampicarsi. Cosicché, paradossalmente, la scuola diventa un focolaio di ribellione, invece che una fabbrica di consenso.

La nostra scuola, in particolare quella superiore, mantiene ancora alcuni connotati tipici di un'istituzione destinata a creare quadri dirigenti intermedi: la miriade di diplomi tuttora esistenti, tutti a netta caratterizzazione professionale (geometri, ragionieri, periti, ecc.), non ha più alcuna attinenza con le possibilità reali di impiego, ma proprio per questo funziona, di fronte all'opinione pubblica, da verifica continua dell'inconsistenza delle promesse di chi, fino ad adesso, ha invitato i giovani al prolungamento degli studi. Così, mentre da un lato è necessario "cambiare musica", inventando nuove giustificazioni alla scolarizzazione, tali da non compromettere la credibilità del potere, dall'altro è ovvio che bisogna eliminare quegli aspetti istituzionali che possono ostacolare, con la loro inattualità, questo processo di recupero. In altre parole, lo Stato ha bisogno di mantenere la diffusione della scolarità perché questo è uno strumento efficiente di condizionamento intellettuale, culturale, psicologico, dei giovani. Ma ha anche bisogno di razionalizzare l'istituzione, perché, così come è adesso, serve male al suo scopo e, spesso, ottiene risultati opposti a quelli sperati.

È molto probabile che i "bocconi amari" che Malfatti ha in animo di propinare agli studenti riguardino proprio quest'opera di razionalizzazione. Ricordiamo che nel già citato progetto di riforma della media superiore era prevista l'abolizione totale della pletora di indirizzi professionali e tecnici attualmente esistente, e la sua sostituzione con pochi e generici indirizzi fondamentali, completamente svincolati da qualunque possibilità di impiego, proprio per questa genericità (art. 2 e 3). Ricordiamo inoltre che l'accesso all'Università veniva fortemente ristretto, con l'abolizione dell'attuale libertà di iscrizione a qualsiasi facoltà e l'istituzione del principio secondo il quale ogni indirizzo permette l'accesso solo a determinate facoltà, e tramite speciali esami di ammissione (art. 7 e art. 20). Il che non è solo un netto arretramento, addirittura pre-sessantottesco, verso la selezione meritocratica, ma appare in sintonia con l'idea di restituire all'università l'antico ruolo di scuola per privilegiati, lasciando alla media quello di scuola "di tutti", cioè priva di qualsiasi funzione di promozione sociale.

Si obietterà che questo progetto, come d'altronde abbiamo notato anche noi più sopra, è stato ritirato. Ma non è pensabile che il "nuovo" progetto, quello che uscirà dai lavori della commissione interpartitica, possa contenere impostazioni nettamente opposte, completamente differenti. Cambierà la forma, o qualche sfumatura, non certo la sostanza, che non può essere affidata alla sorte di una contrattazione dell'ultimo momento. Tanto più che, significativamente, la medesima sostanza del progetto governativo è riscontrabile (a parte, al solito, le sfumature) in quello presentato dal PCI (25 gennaio), che appare forse più organico e più "intelligente", ma fa riferimento alla stessa concezione di scuola media generica e aperta a tutti, con blocco finale limitante l'ingresso nell'università (art. 1, 7, 10 e art. 23). Insomma, sembra verosimile ritenere che, comunque vadano le cose, la scuola media superiore diventerà una sorta di prolungamento dell'attuale triennio post-elementare, perdendo ogni residuo carattere "informativo", cioè di preparazione a questa o quella professione, e con l'esaltazione, invece, della sua funzione "educativa", cioè di condizionamento e controllo del carattere dei giovani. Al suo termine, la strozzatura degli esami di ammissione all'Università garantirà la selezione, riducendo (vedremo di quanto) il numero di coloro che potranno adire a studi più approfonditi, a indirizzo più esplicitamente professionale. È probabile, quindi, che la funzione che un tempo veniva svolta dagli istituti tecnici, sarà lasciata all'Università. Non a caso il progetto governativo di riforma universitaria (quello che di recente è stato "ufficiosamente" presentato in pubblico) prevede ben tre livelli di istruzione superiore: un diploma, una laurea e un dottorato di ricerca (art. 6). Il che indica abbastanza chiaramente l'intenzione di utilizzare le strutture accademiche per "spostare avanti" quella selezione meritocratica che non viene più esercitata nei gradini precedenti. Per essere certi che pochi giungano al traguardo, viene allungato il percorso della gara.

I tempi tecnici e i dettagli di questa operazione sono ben lungi dall'essere definiti, specie in questo momento di transizione politica, oltre che di scarsa loquacità governativa. Crediamo tuttavia che la sostanza della previsione sia esatta. D'altronde non ci vuol molto a constatare l'inefficienza, per le stesse esigenze del potere, dell'attuale ordinamento scolastico: il sistema non ha bisogno soltanto di creare cittadini remissivi ed ordinati, necessita anche di strutture che formino i quadri futuri della classe dirigente. E queste strutture oggi non esistono, perché la scuola è stata trasformata, finora, solo per far fronte alla prima delle due esigenze. È tempo che tali strutture vengano create. Le cautele del governo, i temporeggiamenti, si spiegano allora assai meglio, sia perché una scuola selettiva ed elitaria è assai più difficile da giustificare di fronte all'opinione pubblica, sia perché la sua efficienza è un problema di grande importanza per il sistema, e deve quindi essere studiato con ogni attenzione.

Tutto ciò, per gli anarchici, è in buona parte scontato. Non è da ieri che l'esame dell'evoluzione dell'ordinamento scolastico conferma le nostre considerazioni sul carattere reazionario dell'istruzione di stato. Ma quanti hanno creduto (o credono tuttora) alle promesse del potere sul diritto allo studio e sulla diffusione della cultura, avranno, nei mesi a venire, frequenti occasioni per riflettere. E per ricredersi, speriamo.

Milano, primavera '77: l'università Statale è di nuovo occupata dagli studenti, con una partecipazione che ricorda le prime clamorose occupazioni di nove anni fa. La recente esplosione delle lotte studentesche ha sorpreso un po' tutti, ma soprattutto ha contribuito a "destabilizzare" il sistema, rifiutando la logica delle burocrazie (grandi e piccole, riformiste e "rivoluzionarie") e del compromesso storico. La ripresa dell'iniziativa studentesca, al di là dei limiti e delle carenze che il Movimento ha espresso, rappresenta un fenomeno decisamente positivo, destinato ad influenzare la situazione politica più di quanto molti credono o vogliono credere. Indiani metropolitani, autonomi, studenti in rivolta hanno spesso espresso ed esprimono alcuni contenuti libertari o potenzialmente tali.