Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 7 nr. 57
maggio 1977


Rivista Anarchica Online

Tra neoriformismo e lotta armata
di Luciano Lanza

L'alternativa libertaria.
I gruppi neoparlamentari "coprono" a sinistra la strategia riformista del P.C.I., alcune organizzazioni rivoluzionarie si illudono invece di trovarsi in una fase pre-insurrezionale: l'importante funzione dei militanti anarchici.

I fatti accaduti nel mese di maggio sono sicuramente destinati a lasciare un segno profondo sulla politica italiana. Il susseguirsi incalzante di avvenimenti, di prese di posizione, di scomuniche ha determinato una situazione estremamente difficile che rischia di sviluppare processi degenerativi molto pericolosi. Le iniziative del ministro Cossiga sono qualitativamente rilevanti e denotano un'evoluzione totalitaria dello Stato italiano avvenuta anche senza modifiche istituzionali. La trasformazione del regime, oggi in fase accelerata, non è determinata da fenomeni contingenti ma segue una logica molto più profonda.

Questa trasformazione prende come pretesto l'accentuarsi degli scontri tra nuova sinistra e polizia, ma le origini, le motivazioni vanno ricercate nel nuovo assetto delle strutture socio-economiche caratterizzate dall'accentuata presenza dello Stato nella vita sociale.

Lo Stato tardocapitalista è essenzialmente uno Stato totalitario, in alcuni casi questo totalitarismo non si manifesta sotto forma violenta, cionondimeno l'intervento dello Stato diviene onnipresente, cioè totale.

L'Italia sta vivendo questo processo di "statalizzazione" e la crisi economica svolge un ruolo contraddittorio perché se da un lato accelera questa trasformazione, dall'altro crea un accentuarsi della dissidenza extraistituzionale formata soprattutto da coloro che sono sospinti ai margini del processo produttivo.

La criminalizzazione della dissidenza non è quindi un fenomeno accidentale, ma un elemento "fisiologico" dello Stato totalitario.

Il ruolo repressivo del P.C.I.

Nell'ambito di questo cambio di regime, il Partito Comunista svolge un ruolo di primaria importanza essendo contemporaneamente il detentore sia dell'ideologia della nuova dirigenza sociale sia il gestore della conflittualità istituzionale.

Nel momento in cui viene ad essere privilegiato il primo aspetto, i dirigenti comunisti devono eliminare dal contesto politico tutte quelle forme di dissenso che non rientrano nella strategia del loro partito, pena la perdita di credibilità nella base. In quest'ottica vanno viste le prese di posizione e l'azione del P.C.I. che si è assunto in prima persona il compito di reprimere (non solo a livello ideologico, ma anche fisico) tutti coloro che possono realmente mettere in discussione la sua linea politica. Così mentre nei confronti dei partitini neo-parlamentari il dissidio si mantiene in un ambito formalmente corretto - proprio perché queste organizzazioni non svolgono un'azione di reale alternativa al P.C.I., ma esprimono una linea politica funzionalmente complementare anche se apparentemente antagonista - rispetto alla nuova sinistra l'attacco è estremamente duro e violento.

Questo duplice atteggiamento ha prodotto l'effetto desiderato. Quasi tutti i gruppi neo-parlamentari si sono, di fatto, accodati alla linea del Partito Comunista emarginando e attaccando le frange estreme della sinistra, garantendo, in questo modo, un appoggio a sinistra al P.C.I., che gli apre maggiori spazi di manovra nelle trattative con la D.C.. non a caso, infatti, il Corriere della Sera, il 18 maggio in prima pagina, scriveva: "Resta da chiedersi, a questo punto, quali riflessi potrà avere sul piano politico l'atteggiamento di maggior cautela assunto dalla sinistra estrema nei confronti dei fautori della violenza. La svolta facilita l'intesa fra i partiti impegnati nel negoziato per concordare un programma comune, o alimenta nuove divergenze?"

Il disegno è chiaro, spingere verso la distruzione tutte quelle forze che possono in qualche misura "disturbare" il perfezionamento del compromesso storico.

La politica della chiave inglese

La repressione attuata dalle organizzazioni sedicenti rivoluzionarie nei confronti degli autonomi sta raggiungendo punte di estrema gravità. Milano, la sera del 14 maggio dopo l'uccisione dell'agente Custra, ha assistito ad una vera e propria caccia all'autonomo culminata in sanguinosi pestaggi. La polizia (quella di Stato) ha completato l'opera denunciando per rissa coloro che sono finiti all'ospedale. Il confronto politico si risolve a colpi di chiave inglese. Non è una pratica nuova, sappiamo tutti molto bene che coloro che si autoproclamano "avanguardie del proletariato" ritengono opera rivoluzionaria l'eliminazione, anche fisica, dei dissidenti. Questo stato di cose rischia di far degenerare ulteriormente una situazione già di per sé difficile. Bisogna ostacolare con la massima energia l'opera di quelli che credono di poter risolvere le divergenze politiche con le spranghe e le scomuniche.

Parallelamente si riscontra la necessità di un riesame critico delle esperienze di questi ultimi mesi.

La ventata extraistituzionale si sta sempre più isterilendo in una lotta senza prospettive che rischia di accelerare il processo di emarginazione voluto da Cossiga e alimentato dalle sinistre ufficiali (neoriformisti compresi). Si tratta di un processo estremamente pericoloso soprattutto per chi vuole creare una effettiva alternativa e che contribuisce a ritardare lo sviluppo di quell'opposizione operaia che lentamente sta prendendo piede in numerose fabbriche.

Periodo pre insurrezionale?

Uno dei principali errori commessi da molti autonomi (ci scusiamo per il termine che francamente oggi è poco significativo viste le differenti linee politiche che si muovono all'interno dell'area dell'autonomia) è stato quello di credere che il momento attuale, pur con tutte le sue contraddizioni, fosse un periodo pre-insurrezionale e che quindi era necessario innescare la miccia per fare esplodere un conflitto sociale di ampie dimensioni. I fatti ci hanno invece insegnato che governo, padroni e sindacati hanno avuto la capacità di recuperare, anche di fronte a una grave crisi economica e politica, la grande maggioranza degli sfruttati e che sono riusciti a coinvolgerli in un progetto di cogestione.

Invece di trarre insegnamento da questo elemento, molti si sono lanciati a capofitto verso quella emarginazione nella quale il potere voleva condurli. Solo in questi termini alcuni autonomi hanno fatto il gioco di Cossiga, cioè hanno accettato lo scontro sul terreno preparato e imposto dal potere e ne sono usciti sconfitti soprattutto politicamente.

Questo fatto ha altresì permesso che i neoriformisti potessero iniziare un'opera, contemporaneamente, di recupero e di emarginazione nei confronti degli autonomi, operando una separazione tra i "buoni" e i "cattivi". Significative, a questo proposito, sono le parole di Martucci, capo del servizio d'ordine del M.L.S., in una intervista rilasciata a "Panorama" (dopo aver guidato la caccia all'uomo nei giorni scorsi) afferma: "Quelli (i "buoni" n.d.r.) sono autonomi da rispettare e non da isolare, con i quali bisogna discutere e confrontarsi. Semmai spetta a loro per primi isolare le mele marce che nascono e proliferano nella cosidetta area dell'autonomia". Una sprangata e una strizzatina d'occhio.

L'alternativa libertaria

L'accentuarsi della repressione sia poliziesca sia ideologica rischia di compromettere e di sviare la volontà di lotta che nonostante tutto si va esprimendo. Un dissenso di natura libertaria è oggi presente in Italia, spesso assume forme e metodi difficilmente identificabili, ma spetta ai militanti anarchici galvanizzare questi embrioni di dissenso non egemonizzati dai comunisti autoritari.

Bisogna però saper resistere alla tentazione di creare un "orticello di intervento" così come fanno tutti i gruppi di estrema sinistra. Non è questo che ci interessa, soprattutto se ciò significa la perdita della nostra identità specifica. Al contrario il nostro intervento deve essere chiaro, preciso, decisamente qualificato. Proprio perché ad un'estensione quantitativa non caratterizzata è preferibile una presenza minoritaria ma carica di contenuti capace, quindi, di funzionare come punto di riferimento sia pratico sia teorico in grado di condizionare (per quanto possibile) lo sviluppo delle lotte nei vari settori di intervento.

Policlinico, 19 maggio

Milano, 19 maggio - In una città traboccante di poliziotti e di carabinieri un consistente numero di lavoratori degli ospedali milanesi hanno manifestato la loro volontà di lotta contro la politica dei sacrifici imposta dal governo e sindacati. Il 19 maggio era la prima festività soppressa nel tentativo di ridare fiato all'economia dei padroni. Il preventivato sciopero indetto dalle forze della nascente "opposizione operaia" era in pratica saltato. I lavoratori non hanno voluto cadere in uno scontro con il braccio armato dello Stato che avrebbe snaturato il significato della giornata di lotta e che avrebbe limitato tutto ad una lotta unicamente militare.

Al Policlinico di Milano i picchetti dei lavoratori ospedalieri sono stati duramente attaccati dalla polizia coadiuvata dai sindacalisti che hanno svolto un ruolo fiancheggiatore e di delazione indicando quali lavoratori (i più conosciuti per la loro opera all'interno del luogo di lavoro) dovevano essere colpiti con più violenza. Nonostante la "provocazione sindacale" i lavoratori si sono riuniti in assemblea all'interno dell'ospedale. Oltre ai lavoratori degli ospedali, hanno preso la parola delegati di altre fabbriche che in quella giornata avevano deciso di non lavorare. L'assemblea si è conclusa con una manifestazione che è sfilata nelle vie del centro. Una risposta limitata, ma qualificata contro la politica della cogestione imposta con la forza dall'asse governo-padroni-sindacati.