rivista anarchica
anno 49 n. 436
estate 2019





“Saperci muovere e viaggiare, accogliere il nuovo”

intervista a Patrizia Laquidara

“Maria Pani, Maria Perda, Maria Pezza. Maria Manidipietra, assunta in terra.
Facci tu una carezza, Maria Blenda.
Santa Maria Minerale, Dura Madre, facci carezze con le tue mani belle, con le tue mani molli e profumate. Carezze a tutti gli uomini ostinati, che ne hanno bisogno.
Ora che nella terra non c'è niente. Ora che la miniera è in fondo a noi.”
Con questa giaculatoria si chiude uno dei racconti più significativi di Bruno Tognolini, “Madre nostra Maria Minerale.”
La dura condizione delle donne ai lavatoi delle miniere, le cernitrici, il sacrificio, la fatica, il dolore, l'amore, le rinunce, la rinuncia all'amore stesso, l'anelito alla mutazione che solo il mondo fiabesco o quello del mito potrebbe accogliere (in questo caso si tratta delle Janas della Sardegna).
Una giaculatoria che svela la potenza salvifica delle parole destinate a guarire, a trasformare le avversità, ad alleviare le sofferenze e che pone in risalto l'affascinante e misterioso lavoro di quelle donne che, con fatica e tenacia, esorcizzano distanze e attese costruendo un ponte tra la ricerca, lo studio e l'ascolto della parola e la trasmissione poetica e sonora delle trame orali e del senso che esse racchiudono.
Abile tessitrice penelopiana e portatrice sana di giaculatorie salvifiche lo è sicuramente Patrizia Laquidara, cantautrice e voce “misterica”.

Gerry – Patrizia, quante hai dovuto “sentirne” per poi “cantarne”?
Patrizia – Più che sentirle penso a un altro verbo che ha a che fare col vivere. E di avventure ne ho vissute tante in questi anni.

Per quanto tu abbia sperimentato linguaggi e progetti diversi, forse possiamo dire che da sempre canti perché “ora che nella terra non c'è niente...”
Due album fa cantavo una canzone (Nuove confusioni) dove dicevo: “È un immenso gioco in strada, di penisole e di terra, lo specchiarsi di continuo. Crocevia di strane genti, le parole senza peso, rimandare i gesti ad altro ho un po' di cielo in spalla, sotto i piedi solo terra, l'orizzonte è quasi aria, sotto i piedi terra calda.” Accennavo alla sensazione di disordine mondiale, di inquietudine a cui assistevo.
E nonostante io affermassi, in quella canzone, che non ha più nessun potere la parola sulla Terra, penso invece che nella terra ci siano tante cose e che queste cose necessitino di cura, di essere viste e di essere salvate.

Se dovessimo parlare di radici che si rinnovano nei luoghi in cui viviamo e di identità che si dissolvono, svelando le molteplici e non demagogiche “appartenenze”, le tue coordinate siculo-venete potrebbero essere una risorsa per un trattato antroposociale che confuterebbe in maniera ineccepibile la deriva etno-securitaria che stiamo vivendo, o meglio dire subendo.
So di poter dire, in questo momento della mia vita, che proprio queste due coordinate siano oggi una grande risorsa per me. Una risorsa umana ma anche creativa. Un modo altro di guardare il mondo, una finestra aperta su scorci che non avrei saputo vedere se non avessi sentito sulla mia pelle, anzi nella mia carne, queste due radici. E le ho sentite in maniera tanto forte che è stato necessario mescolarle, e ancor di più sradicarle a volte, per ripiantarle su un terreno diverso, innestarle l'una nell'altra in una continua ricerca di un'identità, la mia.
Sento in me i monti materni e il mare paterno e questo è ciò che ho di più caro e in questo sentire tanto della mia personalità si è formata, nutrita ed espansa.
Proprio oggi leggevo un libro incantevole di Romain Gray, che scrive: “Amo tutti i popoli, ma nessuna nazione. Sono un patriota, non un nazionalista. Che differenza c'è? Il patriottismo è amare la propria gente, il nazionalismo è odiare gli altri.”
Trovo inquietante, triste, pericoloso per tutti questa crescente ondata di nazionalismo a cui stiamo assistendo, o meglio, come dici tu, subendo.

A dispetto del fragilissimo e stucchevole mito del Nordest, miseramente sgretolato dalle miserie umane e dalle falle economiche, hai scelto Luna Nordestina per simboleggiare il tuo progetto artistico.
Credo di avere riassunto bene ciò che per me è il Nordest in cui vivo, in una canzone che si intitola Nordestereofonico. Proprio lì parlo di questo territorio come di un luogo che racchiude in sé aspetti tanto differenti, quasi come fossi davanti a uno stereo che da destra e sinistra rimanda suoni diversi che si mescolano. Del Nordest sono abituata a vedere i capannoni e la distruzione quasi seriale di un territorio, ma vedo anche i monti, le montagne, gli ossari, quei veri e propri musei all'aperto dove i partigiani hanno combattuto.
Vedo la durezza e la chiusura di un luogo e allo stesso tempo sento il mare di Venezia, che è stata città di scambi, assisto al rito dell'𔄢aperitivo euforico per transitare fino a un altro giorno”, ma ho conosciuto leggende antiche che mi hanno permesso di fare un disco su una di queste figure mitologiche che ha come emblema la riflessione sul tema del desiderio e ciò che meglio contribuisce a coltivarlo e nutrirlo.

Un dono cantato alla mia terra d'adozione. Perché si sappia che in Veneto c'è anche questo. In questo disco si parla di identità. Un'identità che non è fissa e immobile come vogliono farci credere. Ma, anzi, un'identità che si sposta, viaggia. Perché le culture popolari sono bastarde, meticce, migranti, impure, cacciatrici di miti. Viaggiano, si mischiano, si abbracciano e fanno nascere nuove culture, a volte anche con violenza. La lingua e la musica davvero contengono sempre e comunque le tracce di altri popoli. Il noi e il voi non esiste. Esiste il noi...”
Con Il canto dell'anguana eri già stata ampiamente chiara. Raccontaci quel tuo momento così fulgido, nitido, così fertile.
Nella scorsa domanda ho accennato a questo disco Il canto dell'anguana. È un album che mi ha dato la possibilità di riflettere sul territorio che abito. Una riflessione che è diventata un disco monografico e che poi ha avuto una scia, come dicevo prima, in Nordestereofonico, canzone presente invece nel mio ultimo album.
Io il Nordest l'ho cantato perché non è stato facile il trasferimento dalla Sicilia al Veneto.
Da piccola ho vissuto questa esperienza come una vera e propria deportazione. Pensa solo che per un anno intero ho balbettato. E proprio perché non è stato facile, (tra l'altro in quegli anni c'era molto razzismo, razzismo vero, nei confronti dei meridionali) ad un certo punto ho sentito che volevo cantare questa terra. C'è un detto che dice “una terra può essere vissuta e amata solo dopo che l'hai cantata”. E quindi Il canto dell'anguana è stato anche tutto questo, un atto d'amore tardivo ma necessario.

La Sicilia, invece, come si è sedimentata in te, con quale trama tessi la distanza e, semmai, la presenza e l'attesa di quella terra.
In Sicilia ci torno sempre più spesso, e negli anni ho collaborato spesso con artisti dell'isola. Penso a Tony Canto che è stato un mio collaboratore in tanti dischi, ma anche Mario Venuti, Kaballa, che hanno scritto per me Per Causa d'amore o Paolo Buonvino con cui ho scritto Noite Luar. Ma penso anche ai Lautari, a Carmen Consoli che ha sempre dimostrato stima e sostegno nei miei confronti.
La trama con cui tesso la distanza fisica con la Sicilia è la scrittura. Da ormai un po' di tempo scrivo racconti che diventeranno presto un libro.
In questi racconti, che sono i ricordi di quella bambina che sono stata, è davvero molto presente la Sicilia in maniera imponente e potente.

Riprendo il racconto di Tognolini: “Maria Pani venne presa dalle Janas cinque anni dopo. In quei cinque anni era passata dalla griglia all'insaccamento, sempre su sua richiesta: era stufa di starsene all'aperto, esposta alle intemperie. Ma anche al coperto si accorse presto che meglio non era: riempire sacchi da ottanta chili di minerale e caricarli sul camion in due era cosa da schiantare chiunque. E se i chili non erano ottanta, alla pesa il sorvegliante sgridava. Ma Maria Manidipietra non schiattò: divenne ancora più forte, più tarchiata e più brutta, con mani come le pale della ruspa. Aveva smesso di cercare il suo adorato, o qualche suo brano, fra i minerali rotti che passavano sui nastri.”
Ecco, da quale “cernita” della tua vita prende forma C'è qui qualcosa che ti riguarda, il tuo nuovo viaggio poetico-sonoro?

Mi riconosco in ciò che c'è scritto su Maria Manidipietra. Mi riconosco in quel suo non demordere, non “schiattare”, in quel suo diventare più forte, in quel suo portare pesi e scavare dentro la terra, quelle zone scure, che in maniera simbolica rappresentano anche le zone scure dell'anima, quelle zone di scarto in cui a volte è necessario calarsi per trasformare la materia grezza, ciò che è putrefatto e che quindi ci fa male, in oro.
Tutto questo non è altro che l'addentrarsi nell'ombra per poi riemergere alla luce.
Ecco credo che C'è qui qualcosa che ti riguarda arrivi proprio da quell'immersione, dopo un lungo processo in cui la cernita è stata gettare il superfluo, cercare le parole più adatte, i suoni più veri anche se questo voleva dire a volte rinunciare alla sicurezza di una voce forse più prestante o ammaliante per mostrarsi nuda, con le proprie fragilità, scrivendo ciò che è stato e ciò che si è, senza scuse né nascondigli.

Copertina di C'è qui qualcosa che ti riguarda

Raccontaci meglio nel dettaglio questo tuo nuovo capitolo, i temi, le storie, gli stati d'animo, i compagni di viaggio, del disco e le collaborazioni.
È stato un disco che ho covato a lungo, per cui mi sono messa in discussione, per cui ho pianto. Penso per esempio a quando credevo di non avere nulla da dire, niente da dichiarare. Ma poi le canzoni sono arrivate all'improvviso, come la gallina che cova dentro di sé le uova, che sono già formate da tempo e che necessitano solo di venire alla luce. Ecco quindi che le canzoni, le storie sono arrivate quando volevano loro e io ero lì, pronta a partorirle, così com'erano. Perché tante delle canzoni dell'album sono arrivate come se già fossero state scritte e io dovevo solo metterle su carta o suonarle. Soltanto dopo mi sono accorta che c'erano due temi centrali in questo disco che sono il femminile e la trasformazione.
Tante storie di donne, di donne ritratte nel quotidiano oppure donne totem, che rinascono dalle sconfitte, oppure il femminile rappresentato da una grande madre, che ci può nutrire come anche soffocare. Ecco, credo che questo disco sia soprattutto il mio omaggio al femminile e a ciò che esso rappresenta per la nostra società e umanità in questo momento. E quando canto “lì dove credi che tutto finisca, lì si ricomincia”, parlo di un nuovo mondo che avanza, che arriva proprio da dove noi non abbiamo guardato, da dove non ci aspettavamo. Tutto questo si riferisce chiaramente a un mondo nuovo dentro di noi ma anche in maniera più ampia e universale a tutto ciò che sta accadendo oggi in Europa, all'Africa. L'invito a guardare, a guardare davvero lì dove non abbiamo mai guardato.
In questo disco la collaborazione più importante è stata sicuramente quella con Alfonso Santimone, il produttore artistico, mio compagno da dieci anni, che ha reso tutto quel materiale sonoro diverso, eterogeneo, e gli ha dato una identità, ha saputo creare una visione sonora e artistica, ha dato insomma un suono al disco.
E lui, essendo artista di vasta cultura, e musicista di una certa genialità era l'unico che potesse raccogliere tutto quel materiale così vario e vasto e dargli compattezza. Ha saputo creare un disco a più dimensioni, che ad ogni ascolto rivela un mistero, un particolare diverso che prima non avevi sentito. Un disco moderno che suona classico. E poi ci sono state le collaborazioni con Joe Barbieri, con Luca Gemma, con Tony Canto coi miei musicisti a cui devo moltissimo perché sono compagni di viaggio essenziali per me.
Senza dimenticare il mio pubblico, che mi ha sostenuto nella campagna di Crowdfunding con una generosità e un coinvolgimento commovente per me.

A proposito di custode della parola, provo a definirti così, ti stai dedicando anche alla scrittura da un punto di vista letterario. Che tipo di progetto sarà?
Come ho già accennato prima, sarà un libro di racconti che potrebbero però facilmente diventare un romanzo. Quando ho cominciato a scrivere avevo davvero la sensazione forte di essere una custode, una custode delle impronte di chi era passato su questa terra prima di me.
Mi riferisco ai miei avi ma anche a quell'Italia “antica” che noi abbiamo sfiorato anche se non vissuto, ma che abbiamo visto e sentito. Ecco, questi racconti sono storie che danno una visione di quell'Italia ma non solo, danno voce a chi è arrivato e vissuto prima di me e poi a quella bambina che sono stata e che ad un certo punto si è trasferita con la sua famiglia dalla Sicilia al nord.
Parla di quei viaggi interminabili in sei su una 127, di quella bambina che vede la realtà così come è e la trasforma dentro di sé con una visione favolistica di ciò che la circonda. Perché se tutti noi abbiamo avuto il dono di un tempo favoloso quello è stato grazie all'infanzia.

Chiudo ancora con la Maria Minerale di Tognolini: “Maria Pani pervase la montagna. S'era compiuta in lei la mutazione. Intrise di sé ogni grano di roccia, ogni ruga, ogni faglia, per un raggio di miglia all'intorno. Fu scisto, basalto, granito, steatite nel Monte Arci, calcàre del Monte Albo, ossidiana nel Monte Gonare. Fu effige di donna impietrita, negli affioramenti: Madre Mediterranea steatopigica, Maria Pietra dell'antica fiaba sarda, statua di lutto nei camposanti, madonna ingioiellata che tentenna nelle processioni.
E fu Jana che ride spavalda con le sue compagne, con la gonna sgargiante a piegoline che lampeggia un istante agli occhi del mondo, e poi scompare.”
Cos'è quel “qualcosa che ci riguarda”, Patrizia, in questi strani tempi che ci pervadono? A quale mutazione dovremmo anelare? E soprattutto, ti piacciono le gonne sgargianti a piegoline?

Mi piacciono le gonne in genere, tanto meglio se sono sgargianti, ampie, morbide, da gitana.
Mi sento cosi, una gitana. Mi piace affacciarmi su altro, mi piacciono i gitani, i popoli nomadi, e forse, se a qualcosa dovremo anelare è proprio il saperci muovere e viaggiare, accogliere il nuovo, il diverso, dentro, fuori, non difenderci dietro a prese di posizione che nel tempo e nella storia si sono sempre rivelate mortifere.

Contatti: www.patrizialaquidara.it/official/

Gerry Ferrara