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 La lotta per il diritto alla festa. Storia del movimento rave 
 
                  intervista a Tobia D'Onofrio 
 Nell'arco di un trentennio, la scena dei rave e del movimento 
                  free tekno ha forgiato nei circuiti underground generi musicali 
                  innovativi come jungle, grime, dubstep. Nonostante la natura 
                  utopica, questa cultura pirata, tra azione diretta, neotribalismo 
                  e cyberpunk, si è concretizzata in un crogiolo di istanze 
                  politico-esistenziali, unendo in una danza collettiva sognatori 
                  di comunità liberate, sperimentazione artistica, lotte 
                  per i diritti dei gay e controvertici.
  Il 
                  libro di Tobia D'Onofrio, Rave new world (Agenzia 
                  X, nuova edizione 2018) raccoglie le testimonianze e gli spunti 
                  più interessanti degli studiosi e dei protagonisti a 
                  livello internazionale, offrendo al lettore un'inedita panoramica 
                  storica che include le numerose idee realizzate, i punti critici 
                  e le possibili prospettive di una delle ultime controculture. 
                  Ci siamo incontrati per discutere quelli che secondo me sono 
                  i temi centrali della sua ricerca. 
 Da antropologo sono molto interessato ai rituali 
                  della cultura underground, nel tuo libro analizzi in un interessante 
                  paragrafo la ritualizzazione nel mondo raver. Puoi approfondire 
                  questa tematica?
 Ci sono alcuni rituali che sono necessari affinché la 
                  magia della festa rave funzioni al punto di generare nella mente 
                  del raver una sorta di epifania, che spesso coincide con l'incontro 
                  con la trance, che è un particolare stato alterato 
                  di coscienza, un'esperienza totalizzante. Ho scoperto, ad esempio, 
                  dopo anni di rave, che è impossibile riprovare le stesse 
                  emozioni e sensazioni all'interno di una discoteca. I motivi 
                  sono molteplici e legati probabilmente alle aspettative del 
                  soggetto, al set and setting, fino alla presenza inibente 
                  dei buttafuori, ai drastici orari di chiusura, ma forse il più 
                  importante di tutti è che manca la caccia al tesoro per 
                  scoprire dov'è la festa segreta: la rituale attesa in 
                  compagnia di amici, di sabato sera, il passaparola, il trillo 
                  di telefoni, i preparativi, la scelta di vestiti creativi e 
                  adatti ad affrontare l'apocalisse, la carovana di macchine e 
                  camion tra le campagne o nelle zone industriali, la ricerca 
                  sempre inebriante del capannone in cui si terrà la festa, 
                  il tutto vissuto con l'imprevisto sempre dietro l'angolo.
 Questa parte del rituale rave è quella fondamentale in 
                  cui la coscienza inizia a destrutturarsi, predisponendosi al 
                  salto nella trance che avverrà più tardi 
                  sulla pista da ballo. Ma andando a scavare ancora più 
                  in profondità, potremmo dire che tutto, nello spazio 
                  rave, viene poi ritualizzato: l'assunzione di sostanze psicoattive 
                  diviene spesso e volentieri una cerimonia collettiva di piccoli 
                  gruppi di affinità; montare il sound system e le scenografie 
                  è anch'esso un rituale a cui è dedita la tribù 
                  che organizza la festa; ripulire lo spazio dall'immondizia alla 
                  fine del party è un altro momento collettivo intenso 
                  che di solito coinvolge buona parte dei partecipanti e aiuta 
                  nella ristrutturazione della coscienza; la danza liberatoria 
                  sotto il muro di casse è quasi sempre una celebrazione 
                  tra amici e creature simili consapevoli di condividere un mondo 
                  segreto “altro“, precluso ai più.
 
 Quali sono gli antenati di questo movimento? Ci sono 
                  dei riferimenti? Ci puoi fare una panoramica quasi archeologica?
 Partendo dall'esplosione della acid house inglese di fine anni 
                  '80, che rappresenta la miccia che ha fatto esplodere il fenomeno 
                  rave per come lo conosciamo oggi, si può procedere a 
                  ritroso, sempre nel Regno Unito, incontrando i free festival 
                  organizzati nelle campagne dai traveller nomadi, che 
                  dagli anni '70 fino al 1985, ogni estate si riunivano per settimane 
                  attorno al circolo dei megaliti di Stonehenge, danzando al ritmo 
                  della psichedelia ipnotica degli Hawkwind e del punk rock di 
                  Clash e Crass.
 Poi troviamo alcune emanazioni della cultura punk/industrial 
                  dei primi anni '80 e infine la nascita di house e techno in 
                  America negli anni '70, fino a risalire ai primi circoli privati 
                  di musica disco. Stiamo parlando di musica con presenza di beat 
                  ripetitivi, ideale per ricercare la trance nel ballo 
                  e a questo punto includerei nell'elenco alcuni festival anni 
                  '60 a base di musica beat/rock psichedelica. Tornando ancora 
                  indietro nei decenni, fino agli anni '50 in Salento incontriamo 
                  la tradizione del tarantismo che ruotava attorno al ballo della 
                  pizzica, una sorta di danza di possessione che coinvolgeva intere 
                  comunità, anche qui per giorni. In altre parti del globo 
                  si ritrovano cerimonie collettive di trance e possessione 
                  nelle danze degli Gnawa in Marocco, nello stambeli in Tunisia, 
                  nel vudù in varie parti dell'Africa e dell'America, nelle 
                  cerimonie tradizionali sudamericane con l'hayahuasca, nella 
                  macumba brasiliana e così via fino ad arrivare all'antica 
                  Grecia con le celebrazioni dei culti bacchici e dionisiaci e 
                  dei cosiddetti Misteri, in particolare quelli eleusini che, 
                  a detta di autorevoli testimoni come Platone, Aristotele e Cicerone, 
                  duravano per giorni, riunivano migliaia di persone tra musica, 
                  danze e sostanze psicoattive. L'iniziato avrebbe dovuto mantenere 
                  il segreto su quanto appreso, anche lì una sorta di epifania, 
                  ovvero una visione estatica che lo avrebbe liberato dal timore 
                  della morte.
 Una via d'uscita al sistema Che influenza hanno avuto la teorizzazione di Hakim 
                  Bey e il suo libro TAZ su questi movimenti?Credo che specialmente nel nostro paese l'influenza sia stata 
                  enorme. Già nei primi anni '90 in alcune realtà 
                  italiane di provincia, lo spazio underground dei centri sociali 
                  era già saturo, oppure era già stato in qualche 
                  modo neutralizzato dal sistema, al punto da non rappresentare 
                  più una reale alternativa. Per un adolescente alla ricerca 
                  di avventure, invece, con in mente l'idea di un totale drop-out 
                  dalla società, l'idea di una forza collettiva in 
                  grado di dileguarsi e riapparire al momento opportuno era proprio 
                  una salvezza, oltre che nuova strategia di lotta.
 La TAZ rappresentava la via d'uscita da un sistema di repressione 
                  che andava a toccare le occupazioni illegali e il camper/casa 
                  mobile era la soluzione logistica ideale per chi celebrava il 
                  nomadismo psichico, prima ancora che fisico. Si parlava di una 
                  scena e una prospettiva internazionaliste. Era, ed è 
                  stata per molti, la via della liberazione dal capitalismo globalista. 
                  Fu questa la visione rivoluzionaria di Hakim Bey, oltre ad aver 
                  annunciato la rivoluzione telematica in arrivo e indicato la 
                  strada della lotta per il diritto alla festa. E gli esempi che 
                  venivano offerti nel libro come ispirazione non erano niente 
                  male: “i raduni tribalisti stile anni Sessanta, i conclavi 
                  forestali degli eco-sabotatori, l'idillico Beltane dei neo-pagani, 
                  le conferenze anarchiche, i circoli gay fairy... Le feste in 
                  affitto di Harlem degli anni Venti, nightclub, banchetti, i 
                  vecchi picnic libertari, dovremmo capire che tutte queste sono 
                  già “zone liberate“, o almeno potenziali 
                  TAZ.
 
 Crescita e commercializzazione Parlo di movimenti perché non possiamo usare 
                  il singolare, concordi? Ci puoi raccontare qualche differenza 
                  che si è mossa all'interno della grande casa dei 
                  raver?La frammentazione sociale prodotta dal sistema in cui viviamo non poteva non colpire anche il movimento dei raver. Varie spaccature si sono create nella scena nel corso degli anni, prima di tutto per questioni strettamente musicali, visto il continuo ingresso sulla scena di generi sempre nuovi, dall'hardcore alla jungle, dalla drum'n'bass al dubstep, ognuno che si portava dietro un immaginario ben definito con dei codici di vestiario, di comportamento, eccetera. Il tormentone di questi ultimi anni, per farti un esempio, è quello della divisione techno con la “h“ contro tekno con la “k“. Grossomodo, diciamo che la tekno è quella più underground e massimalista dei rave, mentre la techno è quella più hipster e minimale che va per la maggiore nei club.
 Allo stesso modo, negli anni '90 c'era questo neanche troppo celato snobismo da parte dei raver che vivevano su quattro ruote nei confronti dei raver che vivevano in case occupate, considerati meno “tosti“. Fino ai primi anni del duemila, inoltre, la scena era totalmente spersonalizzata e i dj non avevano neanche nomi d'arte. Con la crescita e la commercializzazione del fenomeno, invece, molti hanno cominciato a tenere i piedi in due scarpe e suppongo che l'ingresso del fattore economico/lavorativo non abbia fatto bene al movimento.
 Anche le droghe hanno creato divisione, penso alla fine degli anni '90 quando in Inghilterra alcune tribe tentavano di organizzare party senza ketamina, perché ritenevano che avesse distrutto la vibrazione positiva dell'ecstasy... Infine una grossa spaccatura è quella che ha diviso, seppur non in compartimenti totalmente stagni, la scena dei classici teknival illegali (i grossi festival con più sound system che suonano anche generi differenti) da quella dei festival psy-trance, o goa-trance, più fricchettona, più solare, se vogliamo, almeno nella scelta delle scenografie e delle musiche, ma forse anche meno nichilista e più “consapevole“ in merito all'utilizzo di sostanze.
 Tarantismo e ballo della pizzica Eccoci al tema che non poteva mancare, che rapporto 
                  c'è tra sostanze, musica e questa controcultura? 
                  Nel tuo testo parli di riduzione del danno...Per quanto abbia conosciuto molti raver che non fanno uso di droghe, è fuori da ogni dubbio il ruolo fondamentale che queste hanno come acceleratore del processo di trance. Credo che quella dell'approccio responsabile alle sostanze sia un'eredità degli hippy degli anni '60.
 Anche nei party londinesi di fine anni '90, in cui si respirava un'atmosfera molto dark e violenta, i banchetti di riduzione del danno con foglietti informativi sulle sostanze, o le cartine al tornasole per testare le pastiglie di ecstasy, erano spesso offerti dai freak del Rainbow Gathering. Sembra paradossale che pratiche salvavita collaudate a livello internazionale siano ancora criminalizzate qui da noi in Italia. Nel libro ho fatto una panoramica insieme a Max del Lab57 di Bologna per evidenziare quanto sia importante la libertà d'informazione in questi contesti. Per fortuna in Italia gruppi di coraggiosi volontari continuano a svolgere un lavoro prezioso almeno sulla scena dei rave illegali.
 
 Come ti sei mosso per la ricerca sul campo? Quanto 
                  eri o sei coinvolto in questo movimento? Come hai strutturato 
                  le interviste?
 Dalla fine degli anni '90 sono stato coinvolto nel movimento, specialmente negli anni degli squat londinesi, fino al 2007. Poi mi sono allontanato dalle feste illegali per ricominciare a frequentarle qualche anno fa. Quello che avevo in testa erano anni di ricordi annebbiati e parlare con i vecchi amici è stato il primo passo per riattivare la memoria. Mi ero riaccostato alla musica elettronica dalla porta del giornalismo musicale e la prima intervista la feci ad Alec Empire degli Atari Teenage Riot dopo un concerto a Milano.
 Gli dissi che volevo scrivere un articolo che raccontava dell'esodo del movimento rave dall'Inghilterra al resto dell'Europa. Poi è rimasto nel cassetto per un annetto, fino a quando ho proposto a Philopat di scrivere un libro con Agenzia X. Così ho iniziato a contattare gli Spiral Tribe e le persone che ritenevo testimoni importanti, a partire dai Mutoid che sono andato a trovare a Santarcangelo, fino al critico Simon Reynolds, raver della prima ora, del quale avevo già il contatto mail per un'intervista di qualche anno prima. Volevo intervistare anche il prof. Piero Fumarola, sociologo e compagno di ricerche di Georges Lapassade, protagonisti della stagione dei rave in Italia che ebbi modo di conoscere in Salento a metà anni '90, quando teorizzarono e lanciarono la cosiddetta techno-pizzica. Ma lui mi ha fatto piuttosto da guida spirituale fornendomi consigli preziosi e diversi libri da leggere dalla sua biblioteca. Avevo intenzione di sviscerare ogni aspetto dell'esperienza rave. Ho cercato di coinvolgere molti amici, ma è stato impossibile convincerli tutti a partecipare al libro, anche perché c'è gente che ha cambiato totalmente vita e non ha voglia di guardare indietro.
 L'avvento del digitale Il movimento rave è morto? Se non lo è, 
                  cosa è cambiato?È vivo e vegeto. Ci sono ancora rave bellissimi, non tutti ovviamente, ma purtroppo gli impegni di lavoro non mi permettono di parteciparvi con l'assiduità di un tempo. Molti personaggi della vecchia guardia sono ormai impegnati lavorativamente nei festival di mezzo mondo. I giovani, invece, hanno sempre più sete di feste illegali. Purtroppo a volte è necessario spiegar loro che non dovrebbero postare i video del rave in diretta su facebook. L'avvento del digitale, oltretutto, ha stroncato il fiorente mercato di vinili e cassette autoprodotti. Un limite di molte feste odierne, forse, risiede nel fatto che il format, ormai collaudatissimo, sia una sorta di upgrade potenziato del classico teknival anni '90. È un po' come se non fosse rimasto molto altro da inventare e spesso manca l'aspetto performativo dirompente. Come se lo sguardo fosse comunque volto indietro a ricercare i momenti d'oro, anziché essere proiettato in avanti, a immaginare un nuovo futuro, un rave totalmente altro, folle e imprevedibile, come quando ancora questa controcultura non era stata decodificata.
 Andrea Staid |