rivista anarchica
anno 48 n. 429
novembre 2018





Teatro degli Zingari/
Bresci chi?

Un'accogliente radura nel bosco, abbarbicata sulle alture di Sussisa, una frazione di Sori, comune di Genova, fa da perfetto e suggestivo scenario allo spettacolo teatrale dedicato alla storia di Gaetano Bresci, nota di certo in ambito anarchico ma forse sconosciuta ai più. All'imbrunire di una bella domenica d'estate, l'associazione che porta il nome della brigata partigiana del luogo e che ha preso in gestione una casetta nel bosco con natura annessa, la Sap470, organizza la messa in scena della bella pièce della compagnia del Teatro degli Zingari, all'aperto e con un pubblico attento e variegato, in totale ascolto dei poliedrici attori che si alternano su un palco di prato, alberi e un'intelligente scenografia leggera ma funzionale allo svolgersi di una storia non semplice da raccontare.

Il momento del processo a Bresci
Foto di Gaia Raimondi

A Milano, nel maggio del 1898, l'esercito guidato dal generale Bava Beccaris spara sulla folla, da giorni in protesta contro l'aumento dei prezzi, per la mancanza di lavoro che spingeva ad emigrare e per l'assenza di diritti civili e politici. I morti furono più di cento. La notizia arrivò a Patterson, negli Stati Uniti, dove si erano trasferiti molti emigranti italiani per lavorare nelle fabbriche tessili. Due anni dopo, un operaio toscano varcò l'oceano per tornare in Italia con una pistola e un'idea: quella di vendicare i morti di Milano e della repressione sabauda.
Quell'uomo si chiamava Gaetano Bresci. Gaetano era anarchico perché aveva in odio le leggi che rendevano l'uomo schiavo all'uomo, che mantenevano sfruttamento, povertà ed ignoranza; era anarchico perché amava la libertà, la giustizia e l'umanità. È per amore, oltre che per odio, che mise in gioco la sua vita, è per amore e per odio che premette il grilletto della sua pistola per uccidere non “un re, ma un principio”. Bresci, personaggio principale, non ha un attore che lo interpreti, bensì viene raccontato da più voci, dagli sguardi di coloro che l'hanno incontrato, anche per puro caso, sul tragitto esistenziale delle proprie vite, chi sulla nave di rientro in Italia, chi durante la sua permanenza nel carcere di massima sicurezza di Ventotene, dove morirà in circostanze sospette dopo il regicidio.

Tutti gli attori in scena (Foto di Gaia Raimondi)

Lo spettacolo non è solo un'indagine su un fatto di cronaca, nonostante ci siano più momenti di sinergica rappresentazione dei luoghi e fatti, racconti in forma collettiva, polifonica, dal basso, quanto piuttosto un viaggio in una storia italiana poco conosciuta, che prima di essere storia politica è storia umana. In questo viaggio ci si sofferma a riflettere sul confine tra vendetta e giustizia, sui meccanismi del potere di allora e di oggi, sorprendendo lo spettatore a constatare le numerose analogie con i tempi attuali. Il gruppo di attori e attrici si alternano sulla scena, interpretando tutta la cornice storico-politica che fa da sfondo alla sete di giustizia del personaggio principale della storia, filo rosso sottile e al contempo grande assente proprio per permettere all'immaginario dei fruitori di leggere analogie con vicende più contemporanee e oltremodo attuali.
Il Teatro degli Zingari è nato dall'incontro di persone che hanno attraversato, vissuto e si sono impegnate all'interno della Comunità di San Benedetto al Porto di Genova fondata da don Andrea Gallo e che hanno scelto il teatro come strumento di espressione e di inclusione sociale. Dal 2000 ad oggi il collettivo teatrale ha portato sulla scena letture della resistenza e delle pagine di Eduardo Galeano, ha affrontato attraverso spettacoli teatrali i temi delle migrazioni e dei beni comuni, ha realizzato concerti e serate culturali, ha dato vita ad un laboratorio permanente condotto da amici registi e attrezzato la vecchia falegnameria di San Benedetto a sala polifunzionale. Proprio perché questa storia parla di un vissuto collettivo, la compagnia aveva attivato una raccolta fondi tramite di crowdfunding “raccogli tutto” (ovvero raccogliere i fondi e portare a termine il progetto anche se il budget previsto non fosse totalmente coperto), affinché tutti potessero contribuire alla sua realizzazione.
I fondi raccolti in questa campagna sono stati necessari per coprire spese già sostenute, per retribuire in parte il lavoro di professionisti (regista, tecnici) che stanno aiutando gratuitamente e per la realizzazione delle scene e dei pochi costumi. Lo spettacolo è attualmente in tourneé in diverse città italiane e cerca diffusione e sostegno, assolutamente meritati per l'originalità e la pregnanza nella narrazione di una triste vicenda quantomai contemporanea.

Gaia Raimondi




USA (e Argentina)/
Le cooperative di lavoro “recuperate” dagli operai

Il Congresso degli Stati Uniti ha approvato la prima normativa nazionale riguardo alle cooperative di lavoro. “Si tratta di un'opportunità straordinariamente importante per i lavoratori e le imprese che hanno bisogno di un efficace piano di successione. Questa normativa è una tappa importante per il nostro lavoro, teso a far progredire le imprese cooperative di proprietà dei lavoratori e gestite da lavoratori. Riteniamo che una più ampia consapevolezza della proprietà dei dipendenti cambierà le cose all'interno delle piccole imprese americane”, ha dichiarato Esteban Kelly, direttore esecutivo della Federazione statunitense delle cooperative di lavoro.
Il Main Street Employee Ownership Act è la prima legge bipartisan a livello federale che punta sulle cooperative di lavoro, che sosterrà le piccole imprese, salverà posti di lavoro e promuoverà salari equi. Questa normativa migliora l'accesso al capitale e l'assistenza tecnica per le imprese di proprietà dei lavoratori, aiutando notevolmente le cooperative di lavoro. La federazione americana delle cooperative di lavoro (USFWC) è l'organizzazione nazionale di base per le cooperative di questo tipo. Vi aderiscono centri di lavoro democratici, sviluppatori, organizzazioni e individui che supportano le cooperative di lavoro. L'USFWC promuove i luoghi di lavoro di proprietà dei lavoratori, gestiti e governati attraverso la formazione cooperativa, le azioni di sensibilizzazione e lo sviluppo delle attività imprenditoriali.
Le cooperative che fanno parte della Federazione, che vanno da 2 a 2.000 soci, sono presenti in tutto il paese e riguardano decine di attività industriali, con diverse strutture di gestione e di governance. Con circa 200 (delle quasi 400) cooperative di proprietà dei lavoratori e membri dell'organizzazione che rappresentano quasi 4.000 lavoratori (8.000 in tutto) in tutto il paese, l'USFWC sta creando un movimento dinamico per la proprietà democratica dei lavoratori.

Il dossier curato da Enrico Massetti

Da azienda tradizionale a proprietà cooperativa: Select Machine, Inc.
Fondata nel 1994 da Doug Beavers e Bill Sagaser, Select Machine vende e distribuisce prodotti lavorati e attrezzature per l'installazione di macchinari per la costruzione e la demolizione. Quando i soci fondatori iniziarono a cercare di cedere l'attività, emersero diversi potenziali acquirenti interessati, ma tutti volevano acquistare l'attività per il suo portafoglio clienti e i macchinari, in modo da consolidare la produzione in strutture sottoutilizzate altrove. Chiudere gli impianti e lasciare i dipendenti senza lavoro non era un risultato accettabile per i soci fondatori, che hanno quindi cominciato a esplorare alternative a una vendita tradizionale. Dopo la ricerca, hanno deciso che una cooperativa di lavoratori era l'opzione migliore per la loro azienda e nel 2011 sono passati alla nuova forma societaria.

Una nuova cooperativa nata dalla lotta di classe: New Era Windows
Nel 2008 il titolare decise di chiudere una fabbrica di finestre su Goose Island e licenziare tutti. Nel 2012 i lavoratori decisero di acquistare la fabbrica e licenziare il capo. Ora possiedono insieme l'impianto e lo gestiscono democraticamente. Questa è la loro storia.
Nel 2008, dopo molti decenni di attività, Republic Windows and Doors era fallita e venne chiusa. Quando arrivò l'annuncio di chiudere lo stabilimento, fu comunicato ai dipendenti che il lavoro sarebbe stato interrotto immediatamente e che non avrebbero ricevuto il pagamento o la liquidazione stabilita contrattualmente. I dipendenti decisero di occupare la fabbrica in segno di protesta e la collettività manifestò con numerose iniziative per sostenerli.
Tutti dissero di averne abbastanza. Se volevano mantenere una produzione di qualità all'interno della comunità, avrebbero dovuto affidarsi a coloro che erano più interessati a conservare quei posti di lavoro. Cominciò così il progetto per l'avvio di una nuova cooperativa di proprietà dei lavoratori. I lavoratori chiesero aiuto alla United Electrical Workers Union, che era stata al loro fianco fin dall'inizio, a The Working World, che aveva lavorato con decine di fabbriche controllate dai lavoratori in America Latina e al Center for Workplace Democracy, una nuova organizzazione di Chicago impegnata a sostenere il controllo dei lavoratori.
Con un enorme appoggio da parte della collettività, The Working World ha raccolto gli investimenti necessari perché i lavoratori acquistassero la fabbrica, e ora la cooperativa garantisce utili.

Investire nelle cooperative - The Working World
Nel 2003, un decennio di riforme economiche e il conseguente crollo finanziario avevano reso il settore industriale argentino un guscio vuoto e portato quasi metà della popolazione al di sotto della soglia di povertà. Con le spalle al muro, molti lavoratori cominciarono a prendere in mano il proprio destino, occupando aziende precedentemente fallite e abbandonate e riaprendole come cooperative di lavoratori gestite e amministrate democraticamente. Queste aziende sono ora note come le empresas recuperadas - le imprese recuperate. Di fronte a tremende difficoltà, questi lavoratori hanno cominciato a ricostruire l'economia argentina dal basso.
Dopo aver appreso delle attività recuperate, il fondatore di The Working World, Brendan Martin, decise di lasciare Wall Street per trovare un modo per sostenere il nascente movimento cooperativo. Nel 2004, dopo aver contattato Avi Lewis in occasione di una proiezione di The Take, un documentario sul movimento operaio, ha individuato la soluzione. Come tutte le altre imprese, quelle recuperate avevano bisogno di finanziamenti per sostenere la loro crescita. In realtà, ciò di cui avevano bisogno – ciò di cui il mondo aveva bisogno – era di reinventare la finanza, per mettere i bisogni delle persone davanti ai profitti. Poco dopo l'incontro, Brendan e Avi fondarono The Working World, per fornire i capitali di investimento indispensabili alle cooperative dell'Argentina.
The Working World è un fondo di investimento che costruisce imprese cooperative per comunità a basso reddito, utilizzando un modello rivoluzionario che combina finanza non estrattiva con un sostegno su misura all'impresa. Le finanze sono affidate ai lavoratori senza far loro depositare garanzie o assumere l'onere del debito che potrebbe mettere a rischio le loro condizioni di vita. Lo fa promuovendo una forma più inclusiva di proprietà – le imprese che sono gestite collettivamente, di proprietà di chi ci lavora e della comunità – e vincolando i rendimenti dei prestiti al successo del progetto, per minimizzare il rischio, sia per i fondi sia per le imprese da questi aiutate a prosperare.
Agire come partner permette di concentrarsi su ciò che è veramente importante: la stabilità e la crescita delle imprese che hanno sede in quartieri a basso reddito e sono costruite per essere al loro servizio.
Significa anche che i fondi non attingono mai dalle persone con cui lavorano, ma solo dagli utili che hanno contribuito a generare. Nessuna comunità quindi verrà mai resa più povera lavorando con questi fondi.
Dal 2004, The Working World ha sostenuto più di 800 progetti con oltre 200 imprese, erogando prestiti per più di quattro milioni di dollari e creando centinaia di posti di lavoro.

Enrico Massetti

traduzione di Guido Lagomarsino




Comune Urupia/
Dove fortunatamente ci sono i campi, ma non c'è campo

Domenica sera il Festival delle Terre è in chiusura, anche se molta gente è già andata via ci sono ancora parecchie persone e dalla veranda dove sto discutendo di sud e di estremo nord con uno sconfortato emigrante ne possiamo vedere una cinquantina che chiacchierano, bevono, fumano sparse nella penombra.
A un certo punto, mentre parliamo di nuove tecnologie, gli indico i vari gruppetti con età variabili tra zero e settant'anni e mi rendo conto che siamo proiettati in una scena d'altri tempi, antichissima: nessuno, neanche gli adolescenti, è contrassegnato dalla luce di un telefonino nel buio. Niente uozap, feisbuc, svistagram – una specie di miracolo. Appena possibile chiedo consulenza alla mia esperta in problematiche giovanili che mi disillude solo in parte: a Urupia non c'è molto campo e in effetti con alcuni operatori non si riesce a fare un granché, però è anche vero – precisa – che quando sei qui “non ti viene tanto” di stare incollata per ore intere a uno schermetto.

Oscar Agostoni monologa, il pubblico ascolta rapito
Foto di Giuseppe Aiello

È il sesto anno che la Comune ospita la versione estiva e campagnola del Festival delle Terre, nato quasi venti anni fa a Roma ad opera della “associazione di solidarietà e cooperazione internazionale” Crocevia, ma che qui ha assunto caratteristiche proprie legate all'identità del luogo e del territorio, ospitando, oltre alle proiezioni dei film presso il lussuoso cinema all'aperto nel cortile interno, ben ventilato e privo di zanzare (si vocifera che le panche di legno degli ultimi posti siano state importate da Sparta ai tempi di Leonida, ma nessuno si è lamentato), testimonianze dirette e variegate su progetti di diversa natura, ma sempre legati alla relazione tra umani e pianeta, rapporto che anno dopo anno non sembra semplificarsi affatto.
Una finestra che Urupia si concede durante l'affollata estate, apparentemente il peggior periodo per atterrare nella comune salentina, quando l'invasione di vecchi amici e parenti induce a disincentivare gli arrivi di visitatori estemporanei e fulminei passanti. Al contrario, durante quei tre giorni sta diventando piccola tradizione che, previo gentile preavviso e opportunamente muniti di tenda, ci si stringa un po' e si faccia spazio per tutti, viandanti, curiosi ma soprattutto quelli che aspettavano un pretesto per andare a vedere com'è la “comune anarchica” (ricordo che la denominazione continua a non essere ufficialmente accettata, anche se negli anni l'attribuzione sta spontaneamente diventando più diffusa). Come assaggio va più che bene, basta che non si pretenda di aver capito cos'è Urupia dopo un atipico fine settimana come questo. Già arrivando un paio di giorni prima o restando dopo si ha il tempo di fare una vendemmia che è breve, rilassante e ricreativa ma richiede sveglia presto, in quanto, mi spiegarono qualche anno fa, tra le precauzioni necessarie per fare il vino buono c'è anche quella di non portare uva calda in cantina; e ad agosto dopo le nove il sole in Salento picchia forte.
A proposito – chiedo a Carlotta – non è una scelta un po' ardita quella di mettere il festival, e quindi aprire la comune, proprio tra una vendemmia e l'altra?
Carlotta – Ma non è che avevamo previsto che le date coincidessero con la vendemmia, ci aspettavamo una pausa tra quella dello Chardonnay e il Primitivo, però vista la pioggia che è arrivata si è incasinato tutto e quindi ci troviamo a raccogliere l'uva quasi in contemporanea. Poi non è che per questa iniziativa ci siano molte date disponibili; proiettare i film all'aperto è una cosa che puoi fare solo d'estate, già a settembre di sera fa troppo freddo. Poi, per aprire la comune a tutte, noi da sole non ce la faremmo, abbiamo bisogno delle amiche che vengono ad agosto, che vengono da anni o da decenni e che sanno come muoversi qui e che ci aiutino. Questo si può fare solo ad agosto.

Gioventù impegnata in una discussione su argomenti misteriosi
Foto di Giuseppe Aiello

Ci piace moltissimo aprire la Comune”
La meteorologia con noi è stata gentilissima, potenti scrosci pomeridiani fino a giovedì e poi dal lunedì, ma nel fine settimana clima perfetto. In questo modo il capannone, che porta questo nome in memoria del suo umile passato, ma oggi è una nobile sala che introduce alla scuola, poteva essere usato di pomeriggio per le presentazioni e la sera lasciato agli infanti con proiezioni più adatte a loro, che se li fai crescere a filmati sulle devastazioni operate dalle compagnie minerarie rischi che vengano su davvero con una visione del mondo eccessivamente fosca.
A proposito di cinema: come cronista faccio veramente pietà; per intero non ho visto quasi niente a parte il film di Danilo Licciardello sulle New Breeding Techniques (i nuovi Ogm), ma solo perché è un amico e non voglio fare poi brutta figura quando qualcuno mi chiede com'è il suo nuovo documentario. Vista l'eclatante parzialità non ne faccio elogi e mi limito a dire che ha un andamento lieve di gusto pop ed è pieno di informazioni che mi erano totalmente sconosciute, quindi di per sé visione utilissima.
Poi ho seguito El secreto de la belleza - Pueblos en defensa de la tierra di Néstor Jiménez che narra dei tentativi di resistenza delle popolazioni del Chiapas all'assalto del sistema Stato-multinazionali alle sue risorse creando potere e soldi per pochi e povertà e desertificazione per chi su quelle terre ci ha sempre vissuto. Molto ben realizzato, anche dal punto di vista dell'immagine: se riuscissimo a far vedere alla gioventù cose del genere al posto del mefitico calcio benzodiazepina di cui si nutrono i popoli lobotomizzati, magari faremmo anche qualche passo avanti invece della retromarcia spedita alla quale assistiamo con un filo d'ansia.
Ciò vale anche per gli altri documentari – tra i quali Mal d'Agri (1 & 2) sulle estrazioni petrolifere in Basilicata; Entroterra, che parla dello spopolamento delle aree appenniniche e forse più di tutti per il lungometraggio argentino Chaco a proposito dei nativi sudamericani – dei quali ho visto poco; me li sono fatti raccontare ed erano tutti realizzati benissimo, anzi fin troppo bene, e la verità è che riesco a tollerare la documentazione sull'umana scelleratezza quando ce l'ho su carta, ma a vederla proiettata su schermo mi avvilisco.
Ho partecipato invece a quasi tutto il resto, a cominciare dal pre-festival di Oscar Agostoni che giovedì sera ha presentato il suo monologo Controcanto in un tempo ostile, che si interroga a venti anni di distanza (a noi sembra ieri, ma indispensabile per chi a quei tempi andava all'asilo) sulle mai chiarite vicende che circondarono e provocarono la morte di Maria Soledad Rosas ed Edoardo Massari. Non c'è bisogno di motivare perché Oscar abbia voluto essere presente qui, mentre si può spiegare meglio le ragioni per le quali le comunarde si imbarcano nell'impresa. Quali sono le ragioni principali per cui decidete di interrompere tutte le attività e vi dedicate a questa iniziativa?
Daniele – Perché ci piace moltissimo aprire la Comune per discutere e confrontarci con gente che viene da posti diversi su tematiche di interesse per tutti. Sono magari persone che colgono questa occasione per conoscerci e venire qui per la prima volta.
Gianfranco – In realtà se ricordo bene la prima volta che lo abbiamo fatto sono state proprio delle persone di Crocevia a proporci di fare una rassegna che portasse i loro film anche qui, in zone e ambiti nei quali sono poco conosciute. La cosa andò bene e abbiamo continuato. Per Urupia è molto stimolante che ci vengano delle proposte dall'esterno, ci fa sempre piacere. Poi ovviamente non siamo poi in grado di accoglierle tutte, anzi, la maggior parte non ce la facciamo a farle e dobbiamo dire di no, però è comunque importante.

Presentazione di Enoize, prima dell'attesa degustazione
Foto di Giuseppe Aiello

Una visione troppo economicista
Ora, visto che sul manifestino c'è il logo di Crocevia che è una Ong che sul suo sito riporta: “Le nostre fonti di finanziamento sono e sono state quelle messe a disposizione dal Ministero agli Affari Esteri, dall'Unione Europea, dalle Agenzie ONU, dagli Enti locali, dalle Fondazioni e dai privati cittadini”, viene spontanea la domanda: a voi chi vi finanzia? Comune? Provincia? Regione?
Mi guarda stortissimo; alla sua torva occhiata rispondo – “Dai fammi fare l'intervistatore scemo...”
Nessuno.
Daniele, appena meno laconico, precisa: – Ci finanziano le compagne e i compagni che vengono qui e lasciano un contributo per l'iniziativa, quello è il “finanziamento”.
Oltre a quello di Crocevia sul manifestino c'è il logo di Genuino Clandestino, come mai?
Gianfranco – Perché siamo tra gli organizzatori e ospiti del prossimo incontro di GC, a ottobre, e sarà uno degli argomenti centrali anche in questi giorni. Si tratta di mettere in connessione il nostro agire qui, in questo posto, con il tutto, con quello che ci circonda e che sta fuori di qui. Noi non siamo “ambientalisti” – cioè quelli che si occupano della tutela dell'ambiente – casomai siamo “ecologisti”, è l'intero ambiente di cui facciamo parte che ci riguarda.
E della ormai non così breve storia di GC, che finalmente va a tornare a sud dopo parecchi anni, e delle sue prospettive si è parlato a lungo di domenica con Movimento Terre, al quale fanno riferimento lavoratrici e lavoratori della terra della Puglia e della Lucania. Su un piano parallelo si muovono le Cucine in Movimento di Roma, che cercano di mettere in relazione città e campagna affrontando tra l'altro le spinose questioni che riguardano la qualità del cibo e la sostenibilità economica dei prodotti non avvelenati per i detentori di portafoglio leggero.
Ciò che mette in connessione il tutto è stato sottolineato da Agostino quando, prima di una illuminante lezione di Vitale Nuzzo sulla coltivazione della vite che ha messo in discussione molte certezze date per acquisite, ha affermato (cito approssimativamente) che l'intera iniziativa è rivolta a documentare e denunciare l'aggressione che il capitalismo opera quotidianamente ai danni delle terre e dell'ambiente in generale e ad affrontarla non solo in forma oppositiva ma anche con intenti propositivi. Il giorno dopo gli ho chiesto se ritenga che questo termine – “Capitalismo” – sia adeguato per descrivere le forze, il sistema al quale cerchiamo di opporci. Agostino mi ha risposto che il capitalismo è l'organizzazione basata sul riconoscimento della proprietà e quindi sull'accumulo del capitale e che tutto ciò che ci troviamo davanti – sfruttamento, guerre, distruzione del territorio e così via – è fondato sul principio per il quale si può possedere, qualcosa può essere proprietà di qualcuno.
La mia obiezione è che una visione di questo tipo è fortemente economicista, non descrive le molteplici, fluide e articolate dinamiche del dominio e mostra tutti i limiti di una lettura marxista della società. La replica è stata che non si tratta di una visione marxista perché questa delinea l'economia come struttura e il resto come sovrastruttura, mentre i diversi aspetti sono connessi in modo indissolubile. Come si può immaginare potrei continuare ad argomentare lungamente per motivare il mio profondo dissenso verso un'analisi di questo tipo, ma già intravedo lettori dotarsi di lamette a uso taglio vene e quindi magnanimamente soprassiedo. Per scelta e per fortuna ci sono stati interventi dedicati al puro piacere consapevole del vino con raffinati interventi storico-antropologici (Flavio Castaldo), edonistico-ricreativi (Michele Marangio) e, ideale punto d'arrivo (ma solo per ripartire) del nostro microviaggio, la presentazione di Enoize.
La psicologa-sommelier Gabriella Rubino e il bevitore-hacker Dario Biagetti hanno condotto una degustazione “naturalmente contro il fascismo” con una definizione che poteva sembrare retorica, e che invece parte da una storia brutta e pesante e cerca di muoversi in territori nei quali, ci hanno spiegato, negli ultimi anni si sta sviluppando una grottesca ideologia nazionalista e identitaria. Iniziando anche simbolicamente da Lucca, dove i nipotini di Benito alle elezioni hanno preso otto punti percentuali.
In definitiva – come sempre qui – molta legna sul fuoco, di storie vissute e dette, in pubblico e in privato; tra queste alcune che riporterei volentieri ma, siccome fanno parte delle narrazioni personali, mi autocensuro. Un buon posto per parlare e per ascoltare. Meno male che a Urupia ci sono i campi ma non c'è campo, o almeno non tanto, non abbastanza.

Giuseppe Aiello




Sulle orme di Amedeo ed Eduardo


foto di: Roberto Gimmi

Marghera (Ve), Ateneo degli Imperfetti, 15 settembre - Un'ottantina di persone
hanno partecipato al seminario organizzato dal Laboratorio Libertario/Ateneo degli Imperfetti
di Marghera e dal Centro studi libertari/Archivio Giuseppe Pinelli di Milano a partire
dalle riflessioni e dalle biografie di due militanti anarchici scomparsi di recente,
Amedeo Bertolo ed Eduardo Colombo. Numerosi gli interventi e le relazioni, vivace il dibattito.





Massenzatico (Re)/
Tra cappelletti e cultura libertaria


Massenzatico (Reggio Emilia), 5-7 ottobre 2018 - Tre giornate di grandi mangiate, musica, cultura, libri, dibattiti, vaccinazione antiautoritaria, critica dell'Onu, gastronomia nigeriana e sinta, poesie, torneo di calcetto senza il balilla, macchina infernale e tante altre diavolerie. Un migliaio le persone passate al convegno “Cucine senza confini” e alle iniziative collaterali, presso il circolo Arci “Cucine del Popolo”.


Per saperne di più e contattarli:
www.cucinedelpopolo.org
cuocarossonera@gmail.com.