rivista anarchica
anno 48 n. 427
estate 2018




Tra Uruguay e Cilento

intervista a Angel Luis Galzerano

“Nel mio quartiere, nella prima casa della nostra via, a Montevideo, c'era una falegnameria dove viveva e lavorava un falegname italiano di cui ricordo il volto ma non il nome, e, nonostante il tempo trascorso, in me è rimasto presente il suo lavoro più originale.
Lentamente, tra un lavoro e l'altro, asse dopo asse prese forma davanti alla sua falegnameria una splendida barca che copriva l'intera facciata dell'officina.
E così, nel giro di poco tempo, il nostro quartiere diventò “el barrio del barco”, una indicazione precisa per chi volesse trovarci.
Molte volte quella barca dai colori vivaci e sgargianti, diventava, nella nostra immaginazione e nei nostri giochi, il mezzo con cui partivamo per ignote destinazioni, combattendo pirati crudeli e inseguendo mitici mostri marini.
Usurata dal tempo, il sole e la pioggia la resero un'immagine malinconica, quasi una metafora della vita, un mancato appuntamento con ciò che avrebbe giustificato la sua esistenza: il mare. Nessuno seppe mai perché il falegname la costruì.
A me piace credere che il suo costruttore abbia pensato di poter un giorno prendere il largo con la sua barca e far ritorno a quel luogo che, nella sua giovinezza, lo aveva visto partire.”

Basterebbe questo breve racconto da solo (La barca) a tracciare le rotte senza mappe del viaggio del suo autore Angel Luis Galzerano. Cantautore, narratore e scrittore, Angel è completamente immerso nella contemporaneità del suo tempo e perennemente “adescato” dalle sirene del suo passato. Il Cilento, l'Uruguay, Montevideo, Brescia... che se non trasformi il faticoso e incerto migrare in una sorta di clandestina creatività, rischi di restare naufrago nella deriva umana che la Storia senza memoria ha generato.

Gerry Ferrara - Angel, raccontaci, il tuo “mondo nuovo, le origini, e soprattutto la musica, tua compagna fedele. La storia dei tuoi genitori, anche loro emigranti, e il vero protagonista di questa storia, il viaggio, metafora della nostra esistenza.”
Angel - Arrivo da un particolare paese, l'Uruguay, meta di emigranti di molte nazioni nel dopo guerra ma in particolare di italiani e spagnoli. Popolato da poco più di 3 milioni di abitanti, in un territorio che è metà di quello italiano. Circa la metà si concentra nella capitale, Montevideo. È una nazione chiamata la Svizzera di America per le sue dimensioni e per il suo benessere raggiunto in passato, per le sue leggi e lo stato sociale di una socialdemocrazia avanzata (anche per il suo sistema bancario...).
Quando tutte queste cose sono state oscurate dalla terribile dittatura militare negli anni '70 non c'era molto altro da fare che andarsene. Ed è stato naturale partire per l'Italia, paese di cui parlavano sempre i miei con grande nostalgia. La musica è una di quelle cose che mi sono portato dietro con me quando ho lasciato l'Uruguay. Ne sono stato da sempre appassionato. Avevo un amico nel mio quartiere che poteva permettersi di pagare lezioni di chitarra e che condivideva ciò che imparava con me. Fu così che iniziai a sperimentare questo strumento con il quale musico le mie storie e con cui oggi mi guadagno da vivere. I miei genitori erano italiani, per la precisione salernitani, di un piccolo paesino del Cilento, Campora. Sono emigrati in Uruguay negli anni '50. Ma in famiglia avevamo già un precedente in questo senso, la mia nonna paterna, Giulia, emigrata nel Brasile a inizio novecento. Il viaggio, quindi, ineludibile. Ho sempre pensato al viaggio come metafora delle nostre vite, gli incontri, il passare attraverso i fatti e il tempo che ci tocca vivere.

Una sorta di mosaico il tuo percorso, hai dovuto necessariamente “scomporre” destrutturare i pezzi delle tue “tante vite” per meglio comprendere il senso stesso del mosaico e la direzione da prendere per non restare ingabbiati nelle complicatissime reti delle radici.
Ho cercato di decodificare il senso del viaggiare, le sensazioni e i sentimenti del essere emigrante e far sì che tutte queste cose potessi raccontarle nei miei libri, nelle mie canzoni. Oggi cerco di andare oltre e di non fare l'emigrante a vita anche se è stata una tematica forte che mi ha molto segnato. Nel mio caso, per pacificarmi sia con il mio paese d'origine sia con quello che mi ha accolto, ho dovuto creare un territorio che comprendesse entrambi per creare così una mia “nazione ideale”. Nella mia musica oggi si possono ascoltare tracce del Sud America e del Mediterraneo che convivono in forma del tutto naturale. Mi affascina la multicultura.

Hai lasciato l'Uruguay vittima di una feroce dittatura e arrivi in un'Italia catapultata nella deriva degli anni '80...
Il contrasto è stato molto forte. Arrivavo da una situazione dove si era al limite della sopravvivenza, all'epoca si diceva che l'Uruguay era un carcere a cielo aperto per il gran numero di prigionieri politici, e di colpo approdo nell'Italia modello “Milano da bere”. Oltre questo c'erano tante altre cose per me difficili da decifrare. L'aereo di Ustica, un Mig libico caduto sulla Sila, la bomba alla stazione di Bologna, il socialismo Craxiano (io avevo il ricordo di Salvador Allende come socialista...).

Angel Luis Galzerano

Qualcosa di diverso da proporre

Operazione complessa anche quella di dipanare la matassa di un vissuto sociale molto intenso, figlio di emigranti e attivista politico, con la necessità e l'urgenza di esprimere, soprattutto con la chitarra, il suo pensiero e la sua visione del mondo.
Ho sempre pensato che un artista deve raccontare ciò che vede intorno, elaborare un pensiero ed essere in qualche modo antenna del tempo che gli tocca vivere. In questi anni c'è stato un lavaggio celebrale fatto dai media per far passare il messaggio che l'arte serve soltanto per fare divertire, ma non è cosi. La musica è un veicolo straordinario per fare arrivare, a chi lo vuole sentire, un concetto, un'idea, il malessere sociale, la poesia. Oggi è diventato difficile persino parlare di queste cose ma noi continuiamo a crederci, e anche se può suonare retorico, continuiamo a credere che un altro mondo è possibile e a dirlo con le nostre canzoni, nelle nostre azioni.

Dalle luci e dal fermento sociale di Montevideo alla solitudine della grigia e “metallurgica” pianura padana. In che modo sei riuscito a metabolizzare un cambiamento così radicale.
La musica ha aiutato... cercavo di compensare con la musica. Ho iniziato da subito a lavorare in fabbrica e se dovessi indicare un colore per definire il periodo della fabbrica, quel tempo per me fu il tempo grigio. Ma per fortuna abbiamo creato, assieme ad altri due connazionali, un gruppo “modello Inti-Illimani” con il quale suonavamo molto. Musicalmente non era esattamente ciò che volevo fare visto che volevo scrivere brani miei ma è servito per lasciare la fabbrica ed entrare nel circuito della musica politica. L'essere riuscito a girare in lungo e in largo l'Italia con questo gruppo è stato un grande privilegio. Il dato positivo è stato l'aver avuto qualcosa di diverso da proporre che qui non c'era o se c'era non era così diffuso: la musica d'autore sudamericana.
Forse la solitudine di cui parli è stato ciò che mi ha spinto a iniziare a comporre i miei brani, nati nella pianura padana guardando al di là del oceano. Hanno aiutato anche gli amici, quelli che non s'identificavano con la Milano da bere con i quali condividevo musica, libri e voglia di cambiamento. C'è da dire che il paese che lasciavo culturalmente era l'ombra di ciò che era stato in passato e qui la mia nuova situazione volgeva verso la possibilità di diventare musicista di professione, che era ciò che desideravo di più. Ma comunque non è stato facile.

Come spesso accade, si ritrovano parti di noi stessi in qualsiasi luogo riusciamo a tener viva quella curiosità e quella capacità di andare “dietro l'angolo” per annusare il battito della vita. Per te è successo con il progetto Canto Libre, una sorta di ponte sonoro tra i tuoi due mondi, fisici e metaforici...
Con il progetto Canto Libre sono riuscito a realizzare un sogno: fare incontrare i miei due mondi musicali e diffondere musica e poesia con i versi dei poeti latinoamericani narrati insieme alle mie canzoni. È stato un bellissimo progetto che era partito con due musicisti e alla fine siamo arrivati ad essere sette/otto, con un ventaglio di strumenti che andavano dal Bandoneon al Sax. Il repertorio era formato per lo più da brani scritti da me, musica afroamericana popolare, milongas, musica andina, pizziche salentine.
Facevamo incontrare, tramite la musica, le diverse culture musicali del mondo facendo convivere nello stesso brano una pizzica e un brano di musica andina. Anche con Canto Libre abbiamo viaggiato portando nei teatri, biblioteche e piazze la mia musica.
Uno dei nostri concerti migliori è stato fatto a Roma, in una rassegna di musica del mondo alla quale siamo stati invitati attraverso la Ambasciata Uruguaya, nel teatro di costruzione romana Di Marcello. La nostra proposta musicale sempre è stata accolta molto positivamente ovunque andavamo. Poi arrivò la crisi, diventò difficile far suonare gruppi con tanti integranti e ognuno di noi ha percorso altre strade. Fu un peccato perchè era un progetto che senza saperlo anticipava ciò che sarebbe stato il futuro culturale e musicale di questa nazione, visto i grandi flussi migratori di questi ultimi anni. Di questa esperienza è rimasto come testimone il nostro cd “Canto Libre live” e diversi video nella rete.

Mi sento più cantautore che scrittore

Canto politico, di protesta, di festa e di lotta, tue composizioni, riflessioni sulla vita e sull'uomo, letteratura, chitarra, voce, armonica... una sana solitudine che ti ha permesso di incontrare luoghi e genti e di raccontare tante storie. A volte da solo, appunto, altre con voci e suonatori che hanno saputo dialogare con la tua poetica e la tua visione sociale. Il disco che prende il tuo nome è anche questo.
Con la mia musica parlo di ciò che conosco, dei miei incontri, dei miei libri, delle mie esperienze appunto. Sarò sempre in debito con la musica per avermi fatto incontrare persone straordinarie che mi hanno donato musica e amicizia. Tutto questo viene fagocitato dal mio sentire e musicato con la mia compagna di sempre, la chitarra, ed è cosi che nascono le canzoni. Il disco “Angel” è stato elaborato dopo il periodo con Canto Libre, che è stato corale.
Quando è finito il ciclo con questo grande gruppo sono ripartito ed è nato questo disco solista dove, prima da solo e poi coinvolgendo altri musicisti amici, sono riuscito a dare forma alle mie nuove storie ed emozioni facendo ripartire questo meraviglioso viaggio.

Ti sei poi cimentato anche come scrittore, hai realizzato libri importanti sulle questioni migranti e delle migrazioni dell'anima (Oltremare, Cronache sentimentali di un italiano a metà, Di qui e d'altrove) che, attraverso la tua storia, hanno provato a raccontare la storia di molti, dei migranti di ieri e di quelli di oggi...
La mia esperienza come scrittore nasce in modo casuale. Alcune delle storie che avrei voluto mettere in musica erano troppo lunghe per diventare canzoni e naturalmente diventarono racconti. Al momento mi sento più cantautore che scrittore anche se mi è sempre piaciuto raccontare storie. Piccole storie. Nella letteratura latinoamericana il racconto breve occupa un posto di rilievo. I miei libri parlano della migrazione italiana verso Uruguay e Argentina.
Ci tenevo a raccontare le storie di persone come noi che hanno cercato un luogo dove potessero essere accolte, dove poter fuggire dalla miseria del dopo guerra in Italia. Persone come i miei genitori, Angelina e Carmine e come tanti altri. Persone come i migranti che oggi arrivano fuggitivi d'altre guerre, come sono arrivato io cercando di lasciarmi alle spalle la dittatura uruguaiana, e ho provato a raccontare e cantare affinché restasse qualcosa che parlasse di loro.

È stato quindi inevitabile, naturale approdo, per stare in tema, dare alla luce il tuo diario di viaggio che al meglio traccia le tue rotte di navigante sui fondali della musica e della letteratura, “Storie lunghe una canzone”. Passato e presente si annullano e diventano orizzonte costante per il viaggio stesso.
“Storie lunghe una canzone” inizialmente doveva chiamarsi “Mosaico”. Il motivo sta nel fatto che, in definitiva, siamo la somma dei nostri incontri, dei libri letti, dei disincanti e degli incanti, delle “inconsapevoli complicità. E poi la musica, i brani ascoltati infinite volte. Il nome del progetto divenne poi, appunto, “Storie...” che mi sembrò più adatto e che, in qualche modo, racchiudeva il senso del mosaico.
Ho voluto raccontare le storie che mi hanno segnato e collegarle a brani e musica che hanno fatto da colonna sonora se non addirittura determinato le storie stesse. Storie del passato e del presente che hanno in comune la nostra umanità, la nostra forza e la relativa fragilità e una canzone a sancire il tempo e lo stato d'animo delle vicende vissute. Il mio modo di vedere il mondo passa attraverso la musica ed è ciò che volevo arrivasse al lettore.
L'altra cosa era stimolare chi legge a scoprire musicisti, brani e personaggi che possano diventare anche essi parte di noi, brani e personaggi che possano resistere alla usura del tempo. Quelli che ci servono per il nostro, perenne, viaggio.

Francesco Mastrogiovanni ucciso in un ospedale psichiatrico

Hai anche scritto della storia incredibile di tre marinai italiani e di un vascello da loro costruito, protagonisti nel 1880 di una traversata dall'Uruguay all'Italia. La storia del leone di Caprera, il risorgimento, Garibaldi, la retorica per i 150 anni dell'unità “italiota”, ma soprattutto storie e uomini semplici “olvidati” dalla storia cosiddetta ufficiale e che hanno ritrovato dignità grazie ad una pubblicazione del tuo omonimo e conterraneo Giuseppe Galzerano.
Un giorno ricevetti una telefonata e dall'altra parte sento qualcuno che mi dice “ciao, sono l'editore Giuseppe Galzerano; ogni volta che scrivo il mio nome nelle ricerche mi appari tu allora mi sono chiesto se siamo parenti, lo siamo?” È stato così che conobbi il grande Giuseppe. Oltre che essere una bella persona incarna l'idea dell'editore puro di un tempo che fu. Ci siamo incontrati e ho avuto modo di vederlo immerso tra i libri della sua bancarella (che promuove personalmente).
Mi fece dono di quella meravigliosa testimonianza di bella follia avventuriera che è il diario Dall'America all'Europa (viaggio attraverso l'Oceano) di Vincenzo Fondacaro, perla letteraria da lui ritrovata e da lui edita. Ho condensato la storia, ingiustamente poco conosciuta, di questi temerari italiani in un piccolo racconto. Questo è stato il mio piccolo contributo per farla conoscere di più. È bellissimo vedere lo stupore delle persone quando, nella presentazione di “Storie...”, vengono a sapere di questa storia dei loro connazionali raccontata da un uruguaiano...
Riguardo a Giuseppe non so se siamo parenti, ma mi piace pensare di sì...

Tra l'altro, proprio grazie all'editore cilentano e al Comitato verità e giustizia per Franco, nel 2010 hai cantato a Vallo della Lucania per ricordare Francesco Mastrogiovanni, il “noto anarchico”, ucciso all'ospedale psichiatrico di Vallo esattamente un anno prima...
In quell'occasione Giuseppe fece da tramite per farci partecipare a quella iniziativa per ricordare la dolorosa vicenda di Francesco Mastrogiovanni, pagina vergognosa della sanità italiana, e noi, che eravamo nel sud per altre tappe del mio viaggio musicale, abbiamo partecipato in modo spontaneo e con molta emozione. Ogni volta che il mio linguaggio può diventare megafono o strumento per evidenziare le ingiustizie sento e trovo il senso del fare il musicista.

Che cosa ha voluto dire per te tornare in Cilento?
È difficile definire ciò che sento quando arrivo al paesino dei miei genitori, Campora. È stato sempre così, anche dalla prima volta, era strano vedere luoghi e persone di cui da piccolo avevo sentito parlare, era tanta la familiarità che mi sembrava di esserci già stato anche se avevo vissuto a Montevideo fino a quel momento. Sembrava in qualche modo di tornarci e per un momento ho pensato che chi tornava era mia madre deceduta a Montevideo e non io. Incontrare e conoscere la mia famiglia italiana e in particolare i miei nonni materni fu un'esperienza straordinaria.
È capitato spesso di tornarci per fare concerti o per la presentazione di un mio libro ed è stato bellissimo vedere tra il pubblico le sorelle di mia madre, i miei zii, i cugini. Un sogno. Ancora oggi fatico a decifrare tutti i sentimenti ad ogni mio ritorno, vedere le strade che hanno percorso i miei genitori, la terra che lavorava mia madre. L'unica cosa che mi è chiara è che appartengo anche a questo posto.

Nuovo libro, nuovo disco

Forse anche da questo tuo “ritornare e andare” nasce l'ultimo lavoro “Por vivir”. Raccontaci la genesi e alcune canzoni, alcune storie del disco.
“Por Vivir” è nato come un chiaroscuro che prende forma lentamente; è il disco dove si incontrano il Rio de la Plata e i miei Sud, Sud America e il Mediterraneo ed era proprio quello che volevo realizzare, continuare quella strada iniziata con “Canto Libre”.
C'è un tango dedicato a mio padre “Plegaria para un hombre solo” dove ho inserito la sua voce presa da una vecchia cassetta dove mi mandava un saluto registrato, (e che mi emoziona ogni volta che lo ascolto...) una tarantella da me composta assieme al flautista Enzo Santoro “De Sud a Sur”, c'è “Emigrante” scritta a quattro mani con il cantautore Alan Zamboni, “Celeste Uruguay” un inno alla nazionale uruguaiana, la samba “Sola en la noche”, “De ida y vuelta”... sono tutti brani che nascono dalla serenità di accettare quello che sono, figlio del Sud America e del Mediterraneo e dal sapere che non c'è contraddizione in questo.
Un disco registrato a casa mia dove ogni volta che passava a trovarmi un amico musicista mi faceva dono di un suo intervento con il suo strumento. Ed è per questo che ci sono tanti suoni e colori che vanno dal bandoneón al sax, dall'arpa al pianoforte. Penso sia uno dei miei lavori migliori.

Angel, la barca del falegname di Montevideo che fine ha fatto? E il tuo viaggio che acque prevede?
La barca del falegname italiano a Montevideo non si sa che fine ha fatto. Ci sono diverse storie a riguardo. Si dice non abbia mai visto il mare, che sia stata data via come pagamento per un debito del falegname, ma nel frattempo è scomparso anche lui. Per cui nulla vieta pensare che sia stato informato della traversata del Atlantico dei tre italiani e che anche lui abbia voluto provarci per tornare in quel posto da dove era partito tanti anni prima... Il mio viaggio ha ripreso con nuovi racconti che presto saranno parte del mio nuovo libro.
Nel frattempo sto registrando anche il nuovo disco con brani composti e suonati con nuovi strumenti e quando approderò a destinazione sarai il primo a saperlo!

Mail: angelluisgalzerano@gmail.com
facebook: Angel Galzerano

Gerry Ferrara