rivista anarchica
anno 48 n. 423
marzo 2018


dibattito anarchismo

Per una trasformazione anarchica

di Andrea Papi

Non sono pessimista, afferma il nostro collaboratore. Nonostante le difficoltà, i possibili ruoli delle anarchiche e degli anarchici ci sono e affondano le loro radici nel sociale. Tramontata la classica, otto-novecentesca ipotesi di insurrezione/rivoluzione, oggi si aprono nuove prospettive di impegno sociale. Forse bisognerebbe approfondire e indicare quali vie concrete si intravvedano. O...


Quali prospettive può avere nella fase attuale un pensiero anarchico che voglia seguitare a porsi quale propulsore di un cambiamento radicale della società? La domanda, nient'affatto retorica, sorge spontanea di fronte alla continua mutazione del panorama socio/politico/economico, sia nelle singole situazioni territoriali sia a livello globale. La risposta non è affatto scontata. A vari livelli, infatti, si continuano a riscontrare un insieme di modificazioni comportamentali e dell'immaginario rispetto, per esempio, agli anni settanta e ottanta del secolo scorso. Per molti versi indicano una vera e propria mutazione antropologica in atto.
Stiamo parlando di modi d'essere e pensare e di scelte appariscenti che denotano cambiamenti d'epoca. Per dare un'idea di massima, ecco alcuni esempi divenuti ormai stereotipi che qualificano la fase che stiamo vivendo.
La maggioranza attuale di quella che un tempo era pensata e vissuta come classe operaia tende a votare ed agire secondo modi d'essere da destra politica. Nelle periferie, nelle banlieue a ridosso delle grandi città, dove si trovano insediati gli ultimi, i più reietti a latere del mondo sociale, la sinistra è percepita come “roba da ricchi e da fighetti” (espressione usata durante un'intervista televisiva), mentre le formazioni di estrema destra sono vissute e percepite come una specie di schieramenti di ispirazione e vocazione sociale.
Secondo gli ultimi dati di varie ricerche sociologiche, ben oltre la metà dei giovani oggi non è interessata alla politica, perché convinti che non valga la pena di essere seguita. Quando ero giovane, al di là delle singole idee, c'era invece una convinzione diffusa che la politica fosse comunque molto importante e tra chi se ne occupava in prima persona c'era il convincimento che tutto, compreso il privato, fosse politica.
Il contesto lavorativo ed economico in generale è in una profonda fase di mutazione, dovuta soprattutto all'invasività dirompente delle nuove tecnologie informatiche e computerizzate. Stiamo così assistendo a una progressiva completa sostituzione della manodopera operaia umana con elementi di produzione robotica automatizzata. Non passerà molto tempo che, come paventano diversi esperti del settore, col progredire incalzante dell'intelligenza artificiale anche i livelli progettuali e probabilmente dirigenziali della produzione industriale globale saranno affidati ad algoritmi e sistemi computerizzati.

Sopra a tutto, il potere

Stiamo marciando a vele spiegate verso un mondo completamente computerizzato e interconnesso, che sta portando a cambiamenti radicali e irreversibili del rapporto uomo/macchina, dove l'elemento macchina non è com'era stato ipotizzato quando se ne è cominciato a parlare, cioè struttura essenzialmente meccanica. Le “macchine” che stanno progressivamente entrando a far parte in modo invadente della nostra vita sono complessi informatici e cibernetici da cui dipenderemo sempre di più sia nell'ambito del fare sia nella ricerca intellettuale, a differenza delle macchine meccaniche che erano pensate e impostate come supporto al nostro pensare e agire.
Sopra ogni altra cosa il potere, nelle forme e nelle capacità di dominare, non è più localizzabile in nessun posto particolare. La miriade di spietati tiranni e di alti dirigenti che continuano a costellare ogni parte del globo, in una gamma ampia e molto varia che comprende dal magnate illuminato al dittatore crudele e sanguinario, sono solo aspetti specifici di singoli territori, parte di un gioco enormemente più grande perché globale. Il potere vero, quello che condiziona pesantemente le nostre vite non è concentrato nei palazzi né incarnato da despoti particolari, mentre agisce al di sopra degli stati e dei territori, condizionandoli pesantemente fino a soggiogarli.
In linea di massima questo è il panorama presente e futuro che si sta prospettando, destinato ad esasperarsi e da cui quasi sicuramente non riusciremo ad esimerci. Il tutto corroborato da un aspetto crudele che ci avvolge come fosse una “spada di Damocle”: è dilatata all'inverosimile, praticamente senza possibilità di ridurla, la forbice che separa i pochi, ormai pochissimi, che detengono grandi ricchezze e dispongono di possibilità inimmaginabili per le persone comuni, dai moltissimi che sono oppressi da stenti, preoccupazioni e difficoltà di ogni genere, fino a situazioni di povertà e miseria enormemente diffuse.
Di fronte a tutto ciò, che si presenta quasi fosse una fatalità ineludibile e che sta soggiogando e seducendo sempre più persone di varia estrazione sociale e di differenti culture e religioni, quali possibilità si offrono per chi, come anarchici e libertari, ancora sogna un mondo emancipato dalla disuguaglianza, dall'ingiustizia, dallo sfruttamento, dalla sottomissione e dalla violenza del potere? Ci sono ancora speranze di riuscire in qualche modo ad imboccare una strada che ci avvicini alla realizzazione di quegli ideali di libertà sociale e comunitaria cui ci sentiamo ancora legati?

Quella rivoluzione violenta e inutile

Personalmente sono convinto che nulla sia veramente perduto. Allo stesso tempo non ritengo però più concepibile una trasformazione radicale della società tutta insieme e in breve tempo, magari in seguito a un rivolgimento sociale. Non ha più senso coniugare le prospettive che vogliamo divulgare attraverso le forme immaginative e le modalità d'intervento politico che s'impostarono nell'ottocento e nel novecento. Certamente è ormai impensabile anche solo supporre che si possa attuare una trasformazione sociale di portata radicale come quella anarchica, riuscendo ad imporsi con un ribaltamento completo tutto d'un botto rivoluzionario, un'azione magicamente taumaturgica che riesca a impossessarsi dei palazzi del potere (vedi Palazzo d'Inverno del '17 in Russia) per abbatterli, come si è sempre sostenuto, e di lì dare avvio d'incanto alla nuova società. Una simile rappresentazione, sulla quale hanno sognato per decenni generazioni di nostri compagni e compagne, oggi appare talmente obsoleta che rischia di apparire una caricatura.
Certamente dovremmo abbandonare ogni illusione di intervento violento risolutivo, perché la violenza, fra l'altro sempre più efferata, è ormai diventata esclusiva prerogativa dei poteri di turno e dei vari militarismi che sotto molteplici aspetti costellano il pianeta. Se si è aggrediti è sacrosanto difendersi in qualsiasi modo risulti adeguato, se necessario anche violento.
Ma l'uso di qualsiasi mezzo utile per ragioni di difesa, al fine di non essere sottomessi, è cosa ben diversa dall'uso violento per attaccare e vincere il nemico di cui vogliamo liberarci. La lotta armata, la spinta insurrezionale di una minoranza che si ritiene cosciente, quali strategie belliche per combattere i poteri di turno: oltre ad innestare processi di sopraffazione difficilissimi da contenere, sono sistematicamente destinate a far soccombere i perdenti, come la storia ci mostra con chiarezza. Quando si ha ragione degli avversari con la forza, chiunque ne risulti vincente invece di aprire le porte a situazioni liberanti innesta percorsi d'imposizione di nuovi poteri.
L'anarchia, o comunque una società d'impostazione libertaria non sorge d'incanto, quasi per magia di natura. Per essere attuata ha bisogno che la si voglia. È la ragione principale per cui non può essere imposta. Non si può costringere a vivere in anarchia, perché nel momento in cui si è costretti smette di esser tale. Né può sorgere in seguito a una vittoria militare, intendendo ogni intervento di tipo bellico comprese le guerriglie e le formazioni miliziane di resistenza. Un potere sconfitto da un'opposizione armata viene destituito, ma alla sua scomparsa non si forma d'incanto e tout-court una situazione anarchica. Anzi! La storia c'insegna che in seguito a vittorie rivoluzionarie si creano situazioni di ridefinizione di un nuovi poteri, in alcuni casi più efferati di quelli sconfitti, com'è successo in Russia nel 1917 e precedentemente in Francia nel 1789. In pratica ci si è liberati del dispotismo dell'aristocrazia e dello zar, ma non ha preso piede la libertà, bensì un nuovo dispotismo “rivoluzionario”.

Liberi accordi rispettati, se no l'autorità

L'anarchia, proprio per le caratteristiche che la contraddistinguono, autogestione orizzontale e assenza di governo centrale, va costruita cooperativamente dall'insieme sociale che la compone. Per sua natura, ha bisogno della compartecipazione degli individui che ne fanno parte e, affinché ciò si verifichi, è indispensabile che i suoi fautori ne siano convinti e la desiderino. L'anarchia bisogna costruirla mutualmente e solidalmente, sperimentando che nell'agire insieme ci si auto/educa reciprocamente per far sì che riesca a prender corpo in modo efficiente e coerente.
La ragione principale di questa impostazione deriva dal fatto che, scegliendo di fare a meno di ogni autorità costituita, di ogni forza di controllo e repressione, di ogni struttura di governo e di comando dall'alto, bisogna dimostrare innanzitutto a se stessi che non ce n'è bisogno perché siamo in grado di decidere senza nessuno che imponga cosa vada fatto. Per far ciò bisogna che tutti siano responsabili.
Dal momento che al posto delle decisioni del governo si stipulano liberi accordi, è indispensabile che gli accordi liberamente presi vengano rispettati, perché se al contrario si inganna, si truffa e non si rispettano i patti, diventa di conseguenza indispensabile una forma d'autorità che non permetta un tale caos sociale.
Gli anarchici di oggi, lungi dal continuare a spendersi illusoriamente per una rivoluzione otto-novecentesca ormai impensabile e improponibile, con una consapevolezza etica marcatamente volta a forme di libertà radicale, dovrebbero impegnarsi in molteplici ambiti del sociale, cercando di attivare situazioni e comportamenti autonomamente responsabili, volutamente autogestiti. Non si dovrebbe neppure disdegnare di collaborare con chiunque si mostri disponibile a vivere e sperimentare momenti autonomi di solidarietà relazionale, tendenzialmente disponibile ad attivare spazi di alternativa sociale di tipo libertario.
Non più militanti dunque di una presunta ideologia anarchica che pretende di diventare egemone per riuscire ad esser vittoriosa, ma attivisti di impostazioni culturali, di pratiche, di mentalità ed etiche volte a vivere e realizzare nel modo più diffuso e molteplice i valori e i presupposti che danno senso a visioni anarchiche, senza autorità di nessun tipo, senza gerarchie, autonomamente liberi di relazionarsi e di accordarsi nel rispetto reciproco di chiunque non voglia imporsi e prevaricare.

Noi amanti della libertà (e della natura)

Ritengo inoltre importante studiare e spendersi nei vari campi del sapere, comprese le nuove conoscenze tecnologiche informatiche. Come tutti i saperi, anche queste sono potenzialmente indirizzabili in maniere differenti, addirittura opposte, da quelle ora impiegate.
Dal momento che la loro diffusione è destinata a diventare sempre più capillare e invasiva, bisognerebbe cominciare a pensare di agire per la diffusione e la condivisione di questi saperi estesi a tutti/e, agendo e lottando con determinazione perché uso e applicazione delle nuove tecnologie cessino di essere mezzi di oppressione e sfruttamento, come sono ora.
Noi amanti della libertà e di un rapporto armonico con la natura, dovremmo cominciare a pensarli e costruirli come strumenti del benessere collettivo e individuale, oltre che della tutela dei contesti e dei territori.

Andrea Papi
www.libertandreapapi.it