rivista anarchica
anno 48 n. 423
marzo 2018


società

Quelle politiche liberiste

di Francesco Codello

In questa fase storica, tra le popolazioni occidentali, prevalgono alcuni sentimenti molto accentuati, magistralmente alimentati e nutriti da poteri molto incisivi, quali paura, insicurezza, diffidenza, incertezza, instabilità e soprattutto senso di impotenza e cinismo. E ad imporsi è la sola logica del consumatore.


Il panorama sociale, culturale, politico, che si palesa di fronte a noi induce, perlomeno in prima battuta, al pessimismo. Una serie di fatti e di tendenze in atto ci spinge a proporre alcune riflessioni che non lasciano apparentemente molte speranze. Pessimismo, rassegnazione, delusione? Forse sì, ma anche consapevolezza della necessità di essere onesti con noi stessi. Si tratta allora innanzitutto di osservare con estrema realtà quello che è evidente davanti ai nostri occhi per cercare di capire se, e in che modo, è pensabile una pratica libertaria e se, e in che termini, è pensabile una visione anarchica del futuro.
Per cercare di cogliere il più profondo senso di ciò che sta accadendo è innanzitutto indispensabile non soffermarsi in modo esagerato sui singoli fatti, sulle specifiche scelte politiche dei vari governi, sui singoli episodi della cronaca, ma tentare di andare oltre, con uno sguardo più distaccato dal pur spesso avvilente presente. Impresa non semplice perché si potrebbe correre il rischio di una eccessiva astrattezza, che non tenga conto di quanto in realtà proprio i singoli atti, le specifiche scelte, le particolari tendenze, prodotti dalle azioni governative nazionali e sovranazionali, siano determinanti. Compito arduo se si aggiunge anche la necessità di non farsi condizionare da sentimenti depressivi e, al contempo, non farsi illudere da stanchi e ripetitivi slogan rassicuranti.
Proviamo allora a riassumere: appare quanto mai chiaro che in questa fase storica tra le popolazioni occidentali prevalgono alcuni sentimenti molto accentuati, magistralmente alimentati e nutriti da poteri molto incisivi, quali paura, insicurezza, diffidenza, incertezza, instabilità e soprattutto senso di impotenza e una sorta di cinismo da auto-salvaguardia. Le elezioni statunitensi, la brexit, l'affermarsi di movimenti e partiti xenofobi e razzisti, il diffondersi di comportamenti e di piccole e quotidiane scelte molto discutibili, rappresentano in modo esplicito una caduta tendenziale delle relazioni civili. Ma sarebbe un errore tragico reagire (oltre naturalmente a un inevitabile sdegno) trincerandoci dietro la nostra superiorità e non cercare di capire più profondamente cosa sta accadendo. Per prima cosa dobbiamo capire che l'occidente ha prodotto per i suoi cittadini (a uso esclusivo direi) un livello di “benessere” medio decisamente alto, se paragonato anche solo a quello di cinquant'anni fa.
L'imporsi sempre più di una maggioritaria classe media nelle dinamiche sociali ha creato un consenso diffuso verso un modello di sviluppo che ha garantito, a questa parte del mondo, standard di benessere e agio a cui è difficile rinunciare, soprattutto se questa rinuncia avviene attraverso shock improvvisi e come conseguenza di ipotetiche minacce esterne. La straordinaria potenza delle politiche liberiste dei governi e delle agenzie internazionali ha fortemente indirizzato masse di cittadini assuefatti verso scelte culturali, prima che politiche, pesantemente condizionate da quelle paure e quelle fobie di cui abbiamo sopra parlato.

Politiche scellerate e discriminatorie

Così tra le persone scattano valutazioni immediate, si fanno previsioni minacciose, si producono comportamenti escludenti che concorrono a determinare un clima sociale estremamente preoccupante. Ma tutto ciò, per certi versi, è inevitabile, in un contesto quale quello nel quale viviamo, per moltitudini che sono state drogate da logiche di sviluppo e di produttivismo che hanno prodotto però delle fortezze di benessere diffuso per molti anni, rendendo le persone autoconvinte di meritarselo e quindi di doverlo proteggere a tutti i costi. Ciò che ormai prevale è la logica del consumatore, già schizofrenicamente separato dal produttore e quindi ciò che conta sono i propri immediati vantaggi e le proprie convenienze a prescindere dalle implicazioni che tutto ciò produce. Se traggo un vantaggio evidente, concreto, immediato, dal consumo di un prodotto, dall'utilizzo di un servizio, dal possedere un oggetto, non mi importa capire cosa sta dietro la produzione di quel bene, basta solo che mi convenga, che sia per me vantaggioso.
Il consumo, il poter usufruire di quel bene, è per me importante e non mi interessa se dietro quel bene ci sono sfruttamento, inquinamento, violenze, miserie, ecc. Se sono un essere che si afferma in quanto consuma, che si distingue dagli altri e si realizza per quanto e cosa consuma, chiaramente non mi interrogo su tutto il resto. Questa mi pare la più profonda rivoluzione che ha attraversato i nostri anni e che determina sempre più i nostri comportamenti sociali, producendo i nostri valori culturali. Allora tutto ciò che minaccia potenzialmente questo status, produce questi sentimenti negativi, che da un lato paralizzano le capacità riflessive e dall'altro stimolano comportamenti di rifiuto e di esclusione nei confronti degli altri che chiedono di partecipare a questo banchetto. Naturalmente tutto ciò è condito e orchestrato da politiche scellerate e discriminatorie da parte di governi autoritari che pensano di risolvere i problemi di migrazioni di massa con presunte politiche protettive, incapaci di mettere in discussione un modello di sviluppo ormai canceroso.
Il problema però, dopo un quadro pessimistico (direi realistico a questo punto) qui rappresentato, è pensare e proporre azioni e riflessioni che ci possano far uscire da questa gabbia oscura e farci intravedere possibili alternative. Naturalmente nulla di esaustivo mi frulla per la mente, sono sempre di più i dubbi e le incertezze che hanno il sopravvento, ma credo fortemente nelle potenzialità e nelle priorità che derivano da soluzioni libertarie rispetto a quelle autoritarie. Osservando un po' più a fondo i comportamenti sociali di uomini e donne quando si trovano di fronte a problemi difficili, persino drammatici, da risolvere, quando soprattutto il sistema di pensiero e di azione statuale non riesce a intervenire efficacemente e tempestivamente (il che succede di frequente), possiamo constatare quanta energia positiva si sprigioni da pratiche diffuse di autorganizzazione e quanto efficaci siano queste pratiche di mutuo aiuto. Solo una propaganda ferocemente discriminante, perpetrata da chi ha interesse a sottolineare i comportamenti negativi che scaturirebbero in assenza di un ordine gerarchico e autoritario, può ignorare la realtà di fatti e comportamenti virtuosi proprio perché libertari.
Non c'è spazio qui per raccontare ciò che è comunque evidente a tutti, purché si assuma uno sguardo obliquo di osservazione rispetto al potere. Ritengo però che il nostro sforzo debba essere proprio quello di raccontare e di praticare questi esempi di auto-organizzazione spontanea, orizzontale, libertaria che costituiscono in realtà quei «semi sotto la neve» che possono germogliare nonostante il dominio e lo sfruttamento.

Meglio le campagne

Infine vorrei evidenziare, molto sinteticamente, un altro aspetto che mi appare intrinsecamente legato a quanto detto finora. Proprio i recenti esiti di elezioni varie e di scelte politiche contemporanee che hanno prodotto la situazione richiamata all'inizio di queste note, hanno dimostrato, a mio parere, un'altra incontrovertibile realtà: esiste una frattura decisamente forte tra città e campagna, tra centro e periferie, tra luoghi di autocompiacimento e autoreferenziali e realtà delle popolazioni. Ne ho già parlato in questa rivista in precedenti articoli.
Le città, le grandi città, sono sempre più delle bolle di narcisistico specchiamento per élite sempre più autoreferenziali che inevitabilmente finiscono, anche quando animate da intenzioni positive, per confondere la propria condizione con la condizione di tutti. In provincia invece, nei paesi anche dispersi di questi nostri stati europei, insomma fuori dalle poche e grandi metropoli, bolle altro brodo, si agitano altri progetti, si dipanano altri scenari, non capiti da queste élite così troppo concentrate a beatificarsi di se stesse. Ed è proprio in questi ambiti e in queste realtà che si dovrebbe concentrare la nostra attenzione, è qui che bisogna incontrare gli uomini e le donne, è in questi luoghi che è importante, a mio parere, investire le nostre energie. La raffigurazione che abbiamo attraverso i media dei nostri Paesi è falsata da una precondizione di privilegio e distorta dalla mancanza di uno sguardo diretto e sincero della realtà.
Girando molto per l'Italia questa sensazione si sta sempre più affermando ai miei occhi. In campagna, in periferia, fuori dai simulacri del potere (come lo sono per certi versi le grandi città) si possono trovare ancora energie e autentici interessi al cambiamento. Naturalmente non è tutto oro ciò che luccica.

Francesco Codello