Massenzatico (Re)/ 
                  La prima conferenza internazionale di geografie e geografi anarchici 
                Beh, arrivare in auto lungo la strada principale di Massenziatico, frazione a 7 chilometri da Reggio Emilia, e vedere qualche bandiera rossa e nera con la A cerchiata che sventola sulla recinzione delle Cucine del Popolo fa una bella impressione. L'occasione per essere lì è stata la prima Conferenza internazionale delle geografie e dei geografi anarchici ICAGG 2017 (International Conference of Anarchist Geographies and Geographers): l'uso del plurale non solo è voluto, ma vuole proprio sottolineare una delle particolarità sia di questa conferenza sia dell'approccio anarchico in geografia: quello multiplo dello spazio e quello multiplo dei singoli approcci. 
Le ambizioni degli organizzatori anch'esse erano molteplici per la prima conferenza internazionale geografica dichiaratamente anarchica: una partecipazione numerosa, una ampiezza geografica della partecipazione, una buona qualità degli interventi, l'opportunità di un primo incontro che possa diventare l'inizio di una rete di contatti. E infine che fosse un incontro piacevole. Personalmente non avevo idea di quanto interesse potesse suscitare a livello internazionale una iniziativa del genere. Anche se da almeno 20 anni, cioè dalla prima (di 7 ormai) conferenza di Geografia Critica tenutasi a Vancouver nell'agosto del 1997, l'approccio critico e radicale in Geografia ha avuto un seguito importante e crescente. L'approccio anarchico e/o libertario era presente, ma l'uso esplicito dell'aggettivo anarchico come riferimento centrale per una conferenza geografica non c'era ancora stato. 
Nella fase di raccolta delle adesioni più di 60 si sono mostrati  interessati e infine il programma definitivo prevedeva 52 interventi nell'arco di tre giorni. Come sempre ci sono state defezioni all'ultimo momento e concretamente sono state fatte 44 presentazioni. Europa e Americhe (Nord e Sud) sono stati i due continenti  da cui sono arrivati il maggior numero di partecipanti. Personalmente lo trovo un grande successo. Che però ha posto agli organizzatori il problema dei tempi e degli spazi. La scelta di non fare sessioni parallele, ma di usare una sala unica per permettere a tutti di sentire e discutere con tutti ha necessariamente irrigidito le possibilità di scelta dei temi e del numero dei presentatori, come pure ha vincolato la decisione circa i tempi e le modalità delle presentazioni. E questo ha suscitato qualche malumore in alcuni, soprattutto giovani, per le caratteristiche poco anarchiche di tale impostazione. 
La gran parte dei presentatori a vario titolo lavorano nell'accademia a livello universitario; nel programma finale hanno effettivamente parlato 40 di questi e solo 4 che si sono definiti studiosi indipendenti e/o attivisti. Certo è stata una conferenza intellettualmente impegnativa per chi ha cercato di seguire tutti gli interventi. L'uso dell'inglese, lingua “coloniale”, è stato un vincolo che ha creato, comprensibilmente, qualche difficoltà ad alcuni ed ha suscitato anche un confronto vivace in parallelo alla già citata questione organizzativa della conferenza. 
Oltre al successo numerico, a mio giudizio, un grande risultato è stato quello della partecipazione non solo geograficamente ampia, ma anche di una larga maggioranza di giovani di ambo i sessi; direi in maniera sostanzialmente egualitaria per il genere. Folto il gruppo dei giovani francesi stimolato dall'attivismo di Philippe Pelletier dell'università Lione 2. Lascia ben sperare per il futuro delle geografie anarchiche. 
L'appartenenza all'accademia di molti giovani presentatori non ha impedito loro di scegliere casi “spaziali” molto concreti, vicini a tipologie di attivismo politico o esplicitamente a casi di lotta o uso alternativo di spazi. Questo è stato l'aspetto più dinamico e molto interessante della conferenza. Cioè il tentativo di leggere con un approccio libertario una serie di iniziative concrete che usano lo spazio, lo reinterpretano, lo modificano oppure lo “reinventano”.  
Sono stati analizzati casi di lotta urbana o di riuso di spazi abbandonati oppure di spazi pensati per un uso diverso da quello progettato dall'alto. I casi concreti analizzati si trovano in America Latina (dal Cile al Brasile e al Messico) e in Europa (dall'Irlanda a Lovanio, da Barcellona e alla Grecia) e si va dallo spazio verde utilizzato ecologicamente agli edifici occupati per attività sociali o di sostegno a emarginati, anziani o migranti. Anche la questione dei confini è stata oggetto di studio con la riflessione su dinamiche geograficamente localizzate, dal confine USA-Messico ad alcuni tratti di confini europei legati ai recenti movimenti (2015-2016) di migranti. 
In effetti i presentatori più maturi si sono dedicati maggiormente a riflessioni di tipo teorico, ma anche qualche giovane vi ci si è avventurato. Il livello è certo stato buono, ma talvolta troppo accademico. Questa dicotomia teoria-prassi è stata, forse, l'aspetto più significativo, e per questo utile, della conferenza. Evidenziare il salto generazionale dell'approccio allo spazio con un maggior attivismo dei giovani e una maggiore riflessività dei meno giovani. Col rischio di un auto confinamento spaziale localistico degli uni a fronte del distacco intellettuale della teoria. La prossima conferenza internazionale, se e quando ci sarà, potrà dare indicazioni in tal senso e si potrà verificare l'utilità di questa prima di Reggio Emilia. 
Le Cucine del Popolo sono state un supporto non semplicemente fisico alla conferenza. Al primo piano il salone per le presentazioni e al piano terra il salone dei pranzi e delle cene come pure per il divertimento serale: musica e, una sera, un “poeta” locale certo fuori dagli schemi. Il bel sole, gli spazi a disposizione hanno contribuito a favorire gli incontri personali e a garantire spazi individuali e di gruppo per smussare tensioni e incomprensioni che una iniziativa così intellettualmente valida, ma impegnativa, non può che suscitare. Anche questo, alla fine, vissuto “anarchicamente”. 
Fabrizio Eva 
                  
  
                   
                Nonviolenza e anarchia/ 
                  Un confronto in Sardegna 
                Alla Casa per la Pace di Ghilarza, in Sardegna, si è svolto dal 21 al 25 di giugno il seminario di studi su “Nonviolenza e Anarchia”, condotto da Alberto L'Abate e con la facilitazione di Carlo Bellisai. Nella struttura del Movimento Nonviolento per cinque giorni i tredici partecipanti hanno vissuto in autogestione, dedicandosi alla lettura collettiva di testi e alla discussione su temi specifici.  
                  Da un'idea condivisa con lo studioso e attivista nonviolento 
                  Alberto L'Abate, è nato all'interno del Movimento Nonviolento 
                  Sardegna un gruppo di studio che ha preparato e posto le basi 
                  per il seminario su nonviolenza e anarchia, lavorando alla ricerca 
                  delle affinità e delle differenze fra il pensiero e la 
                  prassi della nonviolenza e dell'anarchismo. Questo attraverso 
                  la lettura, sintesi e schedatura di testi, ma anche tramite 
                  il confronto diretto e il dibattito fra i partecipanti. L'obiettivo 
                  prefissato era quello di provare a dare una risposta a queste 
                  domande:
 
- Quali aspetti sembrano avvicinare il pensiero anarchico a quello nonviolento? O viceversa il pensiero nonviolento a quello anarchico?
 - Quali sono gli aspetti che sembrano dividerli, o comunque distanziarli?
 - Su quali basi sembrano possibili confronti, collaborazioni, visioni e azioni comuni?
  
Probabilmente ci siamo riusciti solo in parte, sia per i pochi giorni a disposizione, sia per le defezioni dell'ultim'ora – per altro ampiamente giustificate – di diversi degli iscritti al seminario, in particolare di alcuni di quelli provenienti dall'area anarchica. Ad ogni modo ci sembra giusto e sensato condividere le conclusioni (parziali e provvisorie) cui siamo giunti, insieme a parte del materiale da noi stessi elaborato prima e durante le giornate di studio. 
Ecco la mappa di sintesi conclusiva: punti in comune e divergenze tra nonviolenza e anarchia.
  
                Nonviolenza e anarchia/i punti in comune 
                
- L'antimilitarismo. Tutte le guerre sono ingiuste, senza distinzioni. Obiezione di coscienza (totale e/o servizio civile).
 - L'educazione antiautoritaria. La pedagogia tolstoiana come ponte. Ma anche Danilo Dolci e altri.
 - L'assertività. Il potere di tutti e la responsabilità individuale.
 - La connessione tra pace e giustizia. L'ingiustizia sociale non porterà mai ad una vera pace. Le stesse guerre sono spesso il frutto avvelenato di gravi situazioni di ingiustizia.
 - L'insopportabilità dell'ingiustizia. Davanti ad ingiustizie e soprusi è impossibile restare indifferenti.
 - La lotta contro la violenza strutturale. La violenza delle istituzioni e della cultura dominante va svelata e combattuta.
 - Il metodo del consenso. Rifiuto della democrazia delle maggioranze: rispetto del dissenso e delle minoranze.
 - Gruppi di affinità. Per una costruzione condivisa, appassionata, conviviale, aperta del futuro.
 - Rispetto delle differenze. Le diversità come arricchimento del gruppo. Concordanza mezzi-fini.
 - Organizzazione dal basso. I Centri di Orientamento Sociale (COS di Capitini), il municipalismo libertario (Murray Bookchin), l'autogestione (Colin Word), come pratiche alternative dal basso di erosione dello Stato e di presa in mano diretta.
 - Ricerca interiore. Importanza dell'autostima e della forza interiore: integrazione tra personale e politico.
 - Internazionalismo. Superamento dei nazionalismi, per un mondo senza frontiere e muri.
 - Primato della coscienza. L'uomo non è solo un essere economico. Siamo anche coscienza, natura, cultura, sentimenti.
 - Federalismo. Per un superamento d'ogni organizzazione centralista, che porta inevitabilmente all'abuso di potere e al dominio dell'uomo sull'uomo.
 - Boicottaggio e sabotaggio. Tra le forme di lotta usate, in certe circostanze, da entrambi.
   
                Nonviolenza e anarchia/le differenze 
                (linee di faglia) 
                   
Oltre alle affinità, sono state individuate alcune differenze difficilmente ricomponibili, delle vere e proprie linee di faglia che separano nettamente le due scuole di pensiero su alcuni temi rilevanti. 
 
Rapporto con lo stato e le istituzioni 
                 Rifiuto della legge, 
                abbattimento. 
                 Trasformazione, 
                superamento della legge. 
                  Disobbedienza. 
 
Controllo dal basso 
                 Nella transizione 
                verso una società anarchica: controllo del popolo sui portavoce-rappresentanti, 
                a rotazione e sempre revocabili. 
                 Una prassi da 
                attuare nella società attuale, per permettere ai cittadini 
                di esercitare un qualche controllo sull'operato delle istituzioni. 
 
Azione diretta 
                 Azione diretta anarchica. 
                È contemplata la possibilità di esercitare una violenza 
                difensiva. 
                 Azione diretta 
                nonviolenta. Solo forme di autodifesa nonviolente. 
                 Il ruolo corrompe 
                irrimediabilmente la persona. Il poliziotto e il militare come 
                servitori dello Stato. 
                 Fiducia nella 
                persona oltre il ruolo. Il poliziotto e il militare come potenzialmente 
                “convertibili” alla causa. 
 
Antigerarchia 
                 Radicalità. 
                Astensionismo elettorale. 
                 Gradualità. 
                Possibilità di voto consapevole. 
 
Religione 
                 Fede, spiritualità, 
                laicità, ateismo, rispetto. 
                 Ateismo. Anticlericalismo. 
                 
Queste differenze di approccio nei confronti di temi importanti marcano probabilmente alcuni tratti fondamentali delle identità nonviolente e anarchiche. Né d'altra parte era nostro intento quello di cercare di omologare le due scuole in un unico sistema di pensiero. Siamo consapevoli che proprio le diversità vanno mantenute e rese il più possibile chiare, pena l'inaridimento del confronto che – questo sì – non deve mai venir meno.
a cura del Gruppo dei partecipanti al seminario di Ghilarza (21-25 giugno 2017) 
                  
  
                   
                Trieste/ 
                  Ricordando Paola Mazzaroli 
                Paola Mazzaroli del Gruppo Anarchico Germinal di Trieste ci 
                  ha lasciati/e il 22 dicembre scorso dopo una lunga malattia. 
                  Aveva 62 anni. Le molteplici attività di Paola mi inducono 
                  a riflettere sui molti modi possibili e concreti di vedere, 
                  e vivere fino in fondo, l'Anarchia. 
                  Talvolta diceva: “Cosa sarebbe stata la mia vita se non 
                  avessi incontrato l'Anarchia?”. In effetti le si addiceva 
                  bene una visione decisamente antiautoritaria del mondo, un approccio 
                  al di fuori di schemi istituzionali gerarchici e inevitabilmente 
                  oppressivi. 
                  Una costante del suo atteggiamento libertario è stata, 
                  per decenni, un'attitudine all'allegria. Trovava motivi per 
                  ridere e per scherzare in molti aspetti della vita quotidiana 
                  e della stessa militanza. Vedeva elementi di contraddizione 
                  e di riso in tante situazioni sociali e individuali. Con la 
                  sua grande amica Patrizia Cocevar, che l'aveva introdotta nel 
                  mondo anarchico, trovava aspetti umoristici negli argomenti 
                  e nelle frequentazioni che si affrontavano spesso nel Gruppo 
                  Germinal. 
                
                   
                     | 
                   
                   
                    |   Trieste, 
                        Primo Maggio 2017, Paola Mazzaroli  | 
                   
                 
                 Il suo carattere, non sempre facile, comprendeva l'immediata 
                  simpatia per certe persone, un sentimento che si poteva accompagnare 
                  a quello dell'antipatia subitanea verso altre. Se qualche interlocutore 
                  non le piaceva, e non la convinceva, non aveva remore a comunicare 
                  la propria sensazione. Talora l'impressione iniziale, positiva 
                  e o negativa, permaneva nel tempo, al di là di eventi 
                  che avrebbero potuto cambiarla. La sua sensibilità la 
                  spingeva ad esprimere sia grandi affetti sia rigetti totali. 
                  Paola era spontaneamente portata al riconoscimento dell'eguaglianza 
                  quale base fondamentale dei rapporti umani. Perciò comunicava 
                  in modo naturale con gli studenti, quando lavorò (negli 
                  anni Ottanta) come docente in un istituto tecnico, o con i “pazzerelloni” 
                  (verso la fine degli Anni Settanta) al tempo dei contatti con 
                  il mondo del disagio mentale quando a Trieste si stavano aprendo 
                  le porte dell'Ospedale Psichiatrico mettendo alla prova la tolleranza 
                  cittadina. 
                  La sua inclinazione lavorativa ruotava attorno alla valorizzazione 
                  dell'attività manuale, concreta, tangibile. Così 
                  si esaltava per la lavorazione della pietra carsica, per la 
                  raccolta delle erbe selvatiche, per la pittura informale, per 
                  la cucina sempre diversa. Anche su questo ultimo punto scrisse 
                  delle pagine originali e molto vive. 
                  Il rifiuto della logica burocratica e delle scadenze formali 
                  la spinse ad abbandonare un lavoro a tempo indeterminato nella 
                  scuola dove, al di là dell'impegno didattico, trovava 
                  motivi di profonda tristezza e il rischio del senso del vuoto, 
                  l'anticamera della depressione. Un modo per resistere all'ambiente 
                  scolastico era quello di aderire alle commissioni d'esame per 
                  studenti del suo ramo d'istituto tecnico e spostarsi in altre 
                  città italiane, soprattutto del Sud. 
                  Si trovò benissimo a Bari e a Napoli. In particolare 
                  sotto il Vesuvio godette pienamente dello spirito creativo e 
                  irregolare dei partenopei di cui ammirava il gusto di vivere 
                  e di arrangiarsi in ogni situazione. Parlava spesso, e con enorme 
                  contentezza, delle uscite in mare con un compagno d'Ischia con 
                  problemi fisici: insieme vogavano e ridevano delle proprie difficoltà. 
                   
                  Per non sottostare alla gerarchia istituzionale o produttiva, 
                  aveva quindi scelto la modalità artigianale con tutte 
                  le conseguenze stimolanti e da queste traeva la forza per superare 
                  gli ostacoli relativi. Alla ricerca di spazi di vita libera 
                  e solidale, aveva avuto una lunga esperienza all'interno della 
                  comune Urupia, non a caso nel Sud Italia e dedita alla produzione 
                  agricola. Qui aveva conosciuto un ambiente nel quale gli ideali 
                  si facevano quotidianità effettiva e affettiva. Una realtà 
                  che l'attirava anche se la lasciò dopo alcuni mesi, ma 
                  che costituì un riferimento fondamentale per gli anni 
                  successivi. E diventò un riferimento stabile per la diffusione 
                  dei prodotti di Urupia, risultato di idee solidali e libertarie, 
                  un ambiente dove sembrava possibile superare i condizionamenti 
                  dello Stato e del mercato. 
                  Analogamente strinse rapporti stretti con una realtà 
                  di sostegno finanziario alle attività autogestite, la 
                  MAG 6 di Reggio Emilia. Anche qui Paola costituì un punto 
                  importante per il sostegno a progetti di base, proposti da gruppi 
                  o singoli con la finalità di sperimentare modalità 
                  economiche non competitive e non speculative. Grazie al suo 
                  stimolo, il Gruppo Germinal chiese e ottenne dalla MAG6 un grosso 
                  prestito a lunga scadenza per l'acquisto della sede nella quale 
                  ci troviamo e operiamo. 
                  L'allergia verso le scadenze e le ritualità istituzionali 
                  la portò a respingere senza incertezze l'invito a partecipare 
                  ad un matrimonio di compagni del 2004. Disse: “Se fosse 
                  solo una festa, sarei senz'altro venuta e avrei collaborato”. 
                  Un atteggiamento che si può comprendere all'interno di 
                  una visione radicalmente antagonista ed estrema contro lo Stato. 
                  Un punto di vista pregiudiziale che molti di noi hanno avuto 
                  negli anni Settanta, periodo di grazia dello scontro a tutti 
                  i livelli e della contestazione profonda. Per lei quegli anni 
                  rappresentavano l'”iniziazione” all'anarchismo e 
                  il contesto nel quale il conflitto antiautoritario era vero 
                  e sentito. Non a caso, l'anno scorso, in occasione del quarantennale 
                  del 1977, avrebbe voluto che lo si ricordasse con la dovuta 
                  attenzione. Il Settantasette, momento della rottura più 
                  decisa con lo Stato e che vide un movimento estraneo e contrario 
                  a ogni gestione partitica, fece intuire una società davvero 
                  alternativa, un progetto globale che non si poteva certo esaurire 
                  né riassumere in una lotta armata di avanguardia. 
                  Mentre le Brigate Rosse, nella primavera del 1978, sequestravano 
                  e uccidevano uno dei principali esponenti politici italiani, 
                  e parte dei movimenti rivoluzionari ammiravano la “geometrica 
                  potenza” esibita dal partito armato, qui a Trieste il 
                  gruppo Germinal apriva, con un paio di simpatizzanti, una libreria. 
                  Utopia 3, situata nel portone a fianco dell'attuale sede, rappresentò 
                  un impegno totale per Paola (come per altri compagni), che si 
                  dedicò quasi ogni giorno per tre anni a far funzionare 
                  questa sfida culturale ad una città sostanzialmente nostalgica 
                  e qualunquista. Qui si inaugurarono le presentazioni di libri 
                  a Trieste (una quarantina), qui si misero in circolazione libri 
                  e riviste che offrivano una lettura libertaria per militanti 
                  e per bambini. E anche Paola resistette, nel 1981, alla chiusura, 
                  in sostanza causata da motivi personali, di questo spazio e 
                  riprese le attività centrate nella sede di via Mazzini 
                  11.  
                  In questo periodo funzionò pure un'altra esperienza di 
                  comunicazione alternativa: Radio Libertaria, poi Radio Onda 
                  Libera. Paola vi collaborava con entusiasmo e costanza e riteneva, 
                  molto giustamente, che si trattasse di uno strumento di seria 
                  propaganda delle idee, della storia e delle iniziative alternative 
                  in corso. E riconosceva, come tutti, che la stessa esistenza 
                  della Radio dimostrava come fosse possibile organizzarsi senza 
                  avere alle spalle sponsor di alcun tipo: bastava la “utopia 
                  concreta” di un compagno tecnicamente molto preparato 
                  e generosamente disponibile, per farsi ascoltare con mezzi del 
                  tutto autoprodotti e indipendenti. Anche questa esperienza finì 
                  in modo conflittuale, ma non dissuase Paola, e pochi altri, 
                  dal continuare nella militanza. 
                  Le lotte antimilitariste e antibelliciste la videro in prima 
                  fila, animatrice di mobilitazioni puntuali, più o meno 
                  coinvolgenti di settori giovanili e cittadini. Il suo impegno 
                  ecologista si concretizzò nelle proteste contro la catastrofe 
                  nucleare di Chernobil nel 1986 i cui effetti disastrosi si fecero 
                  sentire anche nella regione mentre le autorità locali 
                  negavano l'esistenza del pericolo. Poco dopo partecipò 
                  a un movimento spontaneo contro il progetto di insediare nell'area 
                  triestina una grande centrale a carbone. Stavolta l'obiettivo 
                  fu raggiunto grazie anche alla frenetica attività dei 
                  militanti del Collettivo Energia Ecologia. 
                  Il suo interesse principale, che maturò negli anni Novanta, 
                  derivò dalla scoperta delle innovazioni, teoriche e pratiche, 
                  portate dal femminismo. Vi vedeva forti affinità con 
                  la lotta antiautoritaria a tutti i livelli, perciò pure 
                  nei rapporti interpersonali e nelle relazioni di genere. Il 
                  suo femminismo spiccatamente extraistituzionale valorizzava 
                  specialmente le affinità individuate nei nuovi movimenti 
                  delle donne curde che non si limitano certamente all'inevitabile 
                  lotta armata, ma stanno contribuendo alla nascita di una nuova 
                  società basata sull'uguaglianza tra le persone, la laicità, 
                  l'attenzione ecologica, l'autonomia federale. 
                  La sperimentazione e la curiosità erano due pilastri 
                  della sua vita. Perciò realizzò molti viaggi con 
                  il semplice, ma assai sentito, intento di conoscere altri modi 
                  di vivere, altri ambienti naturali, altri contesti sociali. 
                  Con Clara Germani consolidò, nei frequenti viaggi, un'amicizia 
                  che rafforzò il comune impegno nel Gruppo e nel movimento. 
                   
                  Negli ultimi tempi, com'è naturale, lo spirito anarchico 
                  di Paola aveva dovuto fare i conti con una condizione personale 
                  di debolezza fisica, ma lei reagì insistendo nell'impegno 
                  in modo quasi disperato. Ancora la vediamo al corteo del Primo 
                  Maggio scorso diffondere il “Germinal” n. 125, in 
                  pratica l'unica voce di dissenso e critica superstite della 
                  dozzina circolante a Trieste nel Primo Maggio degli anni Settanta. 
                  Per diversi anni lei si concentrò a preparare e presentare 
                  il nostro foglio come risultato di un lavoro di coordinamento 
                  fra gruppi e singoli. Le fasi finali del “Germinal” 
                  in sostanza ruotavano attorno alla sua persona. 
                  Nella sua intensa partecipazione agli appuntamenti degli anni 
                  più recenti e nelle riunioni di riflessione interna del 
                  Gruppo, emergeva talvolta qualche insoddisfazione per ciò 
                  che sarebbe stato doveroso fare e ciò che di fatto si 
                  riusciva a concretizzare. Più volte proponeva di scendere 
                  immediatamente in piazza per rispondere ad una nuova guerra 
                  o ad una repressione statale. E accettava con difficoltà 
                  la limitatezza delle forze del Gruppo, da qualche anno costituito 
                  da diversi compagni e compagne e quindi più forte di 
                  quando si teneva aperta e attiva la sede di via Mazzini praticamente 
                  in tre militanti.  
                  In generale la sua critica, che ripeteva di frequente, era quella 
                  della carenza di un'identità anarchica specifica che 
                  emergesse con un chiaro inequivocabile discorso sia teorico 
                  che pratico. Secondo lei, l'identità particolare del 
                  Gruppo rischiava di venir sacrificata dalla partecipazione a 
                  movimenti più settoriali, per quanto interessanti e propositivi. 
                  Invece questo tipo di iniziative di base non avrebbero dovuto 
                  esaurire le potenzialità speciali del movimento anarchico 
                  specifico, della FAI e non solo. 
                  Queste posizioni erano comunque affiancate da un grosso lavoro 
                  sostenuto con tenacia per aprire la nuova sede, dove per anni 
                  si era dedicata a risolvere i complicati lavori tecnici per 
                  la ristrutturazione. Paola ha voluto collaborare, spesso promuovendole, 
                  a realtà vicine nelle quali, come nel caso del Coro delle 
                  Voci Arcutinate, convogliava il proprio desiderio di liberazione 
                  completa con il piacere di espressione artistica. 
                  Grazie Paola, per il tuo contributo generoso e originale, per 
                  le discussioni sincere e animate, per la pronta risposta alle 
                  mille provocazioni del dominio autoritaritario disumano e soffocante. 
                  P.S. Mandiamo un abbraccio solidale alle sorelle Betta e Chiara 
                  che l'hanno sostenuta durante la lunga e logorante malattia. 
Claudio Venza 
                  
  
                   
                Palermo/ 
                  Ricordando Antonio Cardella 
                Antonio Cardella (Palermo, 1930 / 2017), l'amico affettuoso, 
                  l'ineguagliabile compagno anarchico, non è più 
                  tra noi. Quella sua cera cordiale, ridente e rasserenante, s'era 
                  sforzato di regalarcela quasi fino all'ultimo, più tribolato 
                  e dolorosissimo, passo della sua vita. Lo ricorderemo sempre 
                  per la sua lucida capacità di analisi, per la sua intelligente 
                  facoltà di progettazione, per le sue acute e spiccate 
                  intuizioni, per la sua alta concezione di un'anarchia dell'oggi 
                  e del domani, di un'anarchia socialmente e politicamente inclusiva, 
                  praticabile e vivibile, ma soprattutto per la intransigente 
                  qualità dei rapporti umani, e di noi in relazione all'ambiente 
                  che ci ospita. 
                  Fin da ragazzino, durante la guerra, andava maturando l'intenzione 
                  di partecipare all'occupazione delle terre; questa attenzione 
                  al mondo contadino lo ha accompagnato per tutta la vita, sia 
                  in ambito politico che a livello culturale/antropologico. 
                
                 Giornalista dall'ironia sferzante nei confronti di ogni forma 
                  di potere, fu corrispondente dall'Indocina per “Il Mondo” 
                  di Pannunzio e collaborò sempre con testate anarchiche 
                  quali il settimanale della Fai (Federazione Anarchica Italiana) 
                  “Umanità Nova”, “L'Internazionale”, 
                  “A Rivista Anarchica”, “L'Agitazione del Sud”. 
                  Conobbe il mondo dell'Algeria in lotta per l'indipendenza dal 
                  dominio coloniale francese, così come la rivolta del 
                  '56 in Ungheria contro la repressione sovietica, nonché 
                  le rivolte dei minatori nelle miniere delle Asturie nella Spagna 
                  franchista.  
                  Spesso lontano da Palermo per motivi professionali e politici 
                  legati alla sua attività di giornalista e alla sua militanza 
                  nella Fai, fu attivo negli anni della protesta sessantottina. 
                  A Palermo fu tra i fondatori del circolo culturale “65 
                  A” e, in seguito alla “caccia agli anarchici” 
                  successiva alla strage di Piazza Fontana, nel '69 finì 
                  in carcere all'Ucciardone di Palermo, per poi essere scagionato 
                  in breve tempo. 
                  Successivamente, per incarico della Fai, contribuì alla 
                  costituzione del Comitato Politico-Giuridico di Difesa (al quale 
                  aderirono alcuni legali quali Di Giovanni, F. Piscopo, G. Spazzali, 
                  R. Ventre e altri). Tale Comitato, assieme a Soccorso Rosso 
                  Militante (di Franca Rame e Dario Fo), alla Federazione Anarchica 
                  Italiana, a Lotta Continua e a Camilla Cederna de “L'Espresso”, 
                  fu determinante non solo per la difesa dei compagni anarchici 
                  ingiustamente arrestati per gli attentati del 12/12/'69, ma 
                  anche per la mobilitazione su tutto il territorio nazionale 
                  (sua l'idea del Processo Parallelo nelle piazze e nelle strade) 
                  di una opposizione che riuscì a smontare le false ricostruzioni 
                  degli apparati polizieschi e dei servizi segreti dello Stato, 
                  tese a colpevolizzare gli anarchici. 
                  Fervido militante della Fai, a partire dagli anni'50, all'interno 
                  di essa ricevette e portò a buon fine, assieme ad altri 
                  militanti, diversi incarichi di notevole responsabilità 
                  quali la redazione di “Umanità Nova”, la 
                  Commissione di Corrispondenza, il Crifa (Commissione Relazioni 
                  Internazionali Federazioni Anarchiche), il Cad (Comitato Anarchico 
                  di Difesa). 
                  A Palermo, infine, fu cofondatore, dalla fine degli anni '60, 
                  dei gruppi anarchici “Nestor Makhno”, “Federazione 
                  Anarchica Palermitana”, fino all'attuale Gruppo “Alfonso 
                  Failla”. 
                  Studioso delle tradizioni popolari siciliane, nel settembre 
                  del '76 curò la prima edizione di “Sicilia e le 
                  Isole in bocca”, per la casa editrice palermitana Il Vespro. 
                  Dato il grande successo del libro (caratterizzato dall'utilizzo 
                  inconsueto della carta paglia, da una copertina coloratissima 
                  di cartone pressato nonché da un apparato iconografico 
                  prodotto da noti pittori), seguirono numerose ristampe a cura 
                  di altre case editrici fino a pochi anni fa. 
                  Appassionato di musica classica (faceva parte del Direttivo 
                  dell'Associazione Siciliana “Amici della Musica”, 
                  della quale fu socio sin dagli anni '60; su sua sollecitazione 
                  il Gruppo Makhno riscoprì l'attualità, anche sotto 
                  il profilo musicale, della lezione di T.W. Adorno, filosofo 
                  da lui particolarmente amato), fu scrittore eclettico e poliedrico. 
                  Fra le sue pubblicazioni: l'intervista a Cassola del 1977 (Conversazione 
                  su una cultura compromessa), il saggio antropologico Santi, 
                  riti e leggende del popolo siciliano (2002), la rievocazione 
                  della storia della Fai dal 1970 al 1980 (Anni senza tregua, 
                  2005) insieme a Ludovico Fenech, il volume collettivo Il 
                  buco nero del capitalismo del 2012 (con A. La Via, A. Tirrito 
                  e S. Vaccaro). Del 2017 è L'anarchismo di Elio Vittorini, 
                  riedizione per “I Quaderni di Libert'Aria” di un 
                  suo saggio pubblicato nel 1967 su “Umanità Nova”. 
                  Antonio Cardella è stato, per le generazioni dagli anni 
                  '60 in poi, punto di riferimento per la sua visione laica e 
                  aperta della politica e dell'etica sociale, per la sua capacità 
                  di mantenere e praticare gli ideali anarchici anche nei rapporti 
                  privati e negli affetti. 
Gli anarchici e i libertari di Palermo 
La redazione di “A” si associa al dolore delle compagne e dei compagni palermitani. Due i momenti principali della nostra collaborazione: la mobilitazione sulla Strage di Stato e la sua intensa collaborazione ad “A” nella fase conclusiva della sua vita. Con le sue caratteristiche personali di militante aperto e attento agli altri, colto, curioso e affabile è stato per noi un caro amico, così i suoi famigliari Giovanna, Igor e Valentina. E la comune stima per l'anarchico siracusano Alfonso Failla (cui è intestato il gruppo anarchico cui Antonio apparteneva) ha fatto da ulteriore collante tra di noi. Nel solco di quell'umanità e di quell'umanesimo anarchico che sono stati la cifra della sua vita. 
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