rivista anarchica
anno 47 n. 418
estate 2017


intervista

Ma geografia fa rima con anarchia?

intervista della redazione di “A” a Federico Ferretti


Dal 21 al 23 settembre si tiene a Reggio Emilia il primo incontro internazionale su geografia e anarchia, con un denso programma e decine di relazioni, quasi tutte in inglese. Ne parliamo qui con un geografo reggiano, anarchico, tra i promotori e organizzatori dell'incontro.


Quali punti di incontro ci sono storicamente tra anarchia e geografia?
Moltissimi e difficili da sintetizzare in poche righe. Intanto, possiamo dire che alcuni tra i “padri fondatori” dell'anarchismo sono anche annoverati tra i “padri fondatori” della geografia moderna (per quanto questa terminologia sia altamente contestabile) ed è specialmente il caso di Elisée Reclus (1830-1905) e Pëtr Kropotkin (1842-1921).
Gli accademici, che sono spesso ignoranti e ancora di più quando si tratta di anarchismo, hanno faticato per molti anni (in buona o cattiva fede) a trovare una spiegazione alla coesistenza di brillante fama scientifica internazionale da una parte e di solforoso anarchismo intransigente dall'altra nelle loro biografie. Uno dei miei argomenti principali di ricerca per molti anni (dottorato a Parigi e postdoc a Ginevra) è stato esattamente lavorare sul fatto che questa coesistenza non fosse un caso, e che i legami (innanzitutto storici) tra geografia e anarchismo fossero molto più profondi di quello che l'apparenza suggeriva.
Dapprima, lo studio delle corrispondenze inedite tra Reclus e i suoi collaboratori nella redazione della monumentale Nouvelle Géographie Universelle in 19 volumi (1876-1894) ha permesso di decostruire i miti romantici sul “geografo eroico” che, esule in Svizzera dopo la sua partecipazione alla Comune di Parigi, avrebbe scritto la sua grande enciclopedia geografica, solo e isolato sulla sua montagna.
Lo studio delle corrispondenze e delle relative reti di sociabilità scientifica e politica ha rivelato intanto che Reclus non era affatto solo nella sua redazione: nonostante il lavoro fosse firmato solo da lui per ragioni editoriali, Reclus riceveva un budget mensile dal suo editore Hachette con il quale retribuiva una vera e propria équipe di ricerca. Il secondo aspetto è che i componenti di questa équipe redazionale, di cui alcuni a tempo pieno, erano tutti anarchici. Tra i collaboratori principali annoveriamo per qualche tempo Kropotkin, ma soprattutto Léon Metchnikoff (1838-1888), esule russo, informatore scientifico di Reclus e precursore della teoria del mutuo appoggio; Charles Perron (1837-1909), internazionalista svizzero, amico di Bakunin e poi cartografo di Reclus; Mikhail Dragomanov (1841-1895), federalista proudhoniano ucraino e studioso di tradizioni popolari; Gustave Lefrançais (1826-1901), mitico agitatore del proletariato parigino, primo presidente della Comune nel 1871 e primo presidente del Congresso di Saint-Imier del 1872, a sua volta esiliato in Svizzera dove lavora diversi anni come segretario di redazione di Reclus mentre in Francia pende nientemeno che una condanna a morte sulla sua testa per le sue “malefatte” rivoluzionarie.
La storia di questo gruppo di geografi si intreccia con quella della Fédération jurassienne, la prima organizzazione anarchica della storia e la prima, assieme alla federazione italiana dell'Internazionale antiautoritaria, ad adottare la definizione di “comunisti anarchici”. Reclus, Perron, Kropotkin, e in maniera più defilata Metchnikoff e Lefrançais sono tra i membri più eminenti di questa federazione, e la sezione di Vevey edita nel 1877-78 un giornale anarchico internazionalista, Le Travailleur, il cui comitato di redattori e collaboratori è praticamente lo stesso della Nouvelle Geographie universelle. Su questo giornale si trattano alcuni dei temi che erano contemporaneamente in pubblicazione per la NGU, come i materiali di Dragomanov sulla lotta per la liberazione dei popoli dell'Est europeo, un tema che caratterizzava il movimento anarchico del momento, il quale sperava che le lotte di liberazione nazionale in corso sprigionassero energia per le future lotte di liberazione sociale, come si era tentato di fare nel Risorgimento italiano e nel Sexénio Democrático spagnolo e si tenterà poi di fare nell'ambito delle lotte anticoloniali nei Paesi extraeuropei.

Pëtr Kropotkin (1842-1921)

I geografi anarchici? Contrari alla violenza

A proposito di ambiti extraeuropei, il lavoro di Metchnikoff sulle lotte sociali in Giappone e in Cina e gli articoli dei fratelli Reclus sulla solidarietà tra lavoratori europei ed extra-europei contro la xenofobia (ad esempio contro la concorrenza dei lavoratori cinesi) che toccava alcuni settori del movimento operaio, dimostrano l'importanza della geografia per comprendere popoli differenti e realizzare una solidarietà non solo internazionalista, ma anche cosmopolita perché basata su valori universali ma rispettosa ed empatica nei confronti delle culture locali. C'è una vecchia vulgata del marxismo terzomondista che ha accusato l'anarchismo storico di essere eurocentrico: mille ricerche in corso sull'anarchismo transnazionale all'età degli Imperi stanno dimostrando che questa favola è completamente falsa. Se qualcuno fu colonialista ed eurocentrico questi fu Marx, mentre i militanti anarchici di origine europea furono i primi a fraternizzare con movimenti indigeni e culture diverse, e nella maggior parte dei casi in regioni come l'Asia orientale e l'America latina i primi militanti socialisti furono anarchici.
Dunque la geografia si lega all'anarchia dapprima come strumento per mettere in discussione l'assurdità delle frontiere statali, coloniali e amministrative (il che è evidente nella NGU) e per appoggiare discorsi federalisti e successivamente de-coloniali; nell'affermarsi come strumento per la fratellanza tra i popoli e non per la formazione degli Stati e degli eserciti (di qui la critica delle nomenclature, delle carte topografiche e delle geografie della burocrazia amministrativa); nella costruzione di strumenti scientifici come il mutuo appoggio per dare una interpretazione solidaristica della scienza evoluzionista contro il cosiddetto “darwinismo sociale”; in una geografia della popolazione e delle risorse creata appositamente per contrastare i seguaci di Malthus che affermavano l'ineluttabilità della povertà.
Secondo Reclus e gli altri, uno studio razionale della popolazione e delle risorse dimostrava “scientificamente” che la causa della miseria non era la crescita della popolazione o la pretesa povertà naturale di alcune regioni, ma una società ingiusta. A livello planetario, ieri come oggi ci sarebbero state risorse per tutti a patto di produrle per i bisogni reali e non per il mercato, e di spartirle equamente.
Dall'altro lato, la geografia ha grandemente contribuito a costruire l'immaginario di un mondo differente che ha caratterizzato generazioni di militanti anarchici. Ad esempio, nel caso della Rivoluzione Spagnola del 1936, geografi come Myrna Breitbart hanno dimostrato che le collettività si reggevano sulle stesse idee di decentralizzazione produttiva di Reclus e Kropotkin che le avevano direttamente ispirate.
Se sul contributo strettamente militante di Reclus e Kropotkin ci sono controversie e molto lavoro storico è ancora da fare su alcuni aspetti, una cosa è chiara: i geografi anarchici sono sempre stati dalla parte dell'anarchismo sociale e comunista. Avversi al principio della violenza, essi hanno sempre rifiutato le nefaste tendenze individualiste ispirate da autori come Stirner e Nietzsche, ossia ciò che Fabbri e Malatesta hanno dimostrato essere influenze borghesi sull'anarchismo, totalmente estranee alla tradizione proletaria della Prima Internazionale.

Perché è importante occuparsi di geografia oggi?
Perché la geografia è fondamentale per comprendere il mondo e perché il pensiero critico è necessario a rifondare la geografia come disciplina. Come ai tempi di Reclus la geografia mainstream collaborava con gli stati e con gli eserciti (di qui anche la critica reclusiana delle carte geografiche come strumento degli eserciti e della pianificazione dello Stato), oggi la geografia, universitaria e non, è infestata da tecnocrati, opportunisti accademici e persone che hanno un interesse essenzialmente utilitaristico per i lati strategici e monetizzabili della geografia (usi militari, pianificazione, servizi tecnici...). Dunque quello che è necessario è un grande sforzo volontaristico (questo convegno ne è una prova) per riportare la geografia alle sue radici sociali, umanistiche e libertarie.
Questa geografia serve a maggior ragione oggi, quando il cosiddetto Spatial Turn delle scienze umane e sociali ha riportato alla ribalta il problema del ruolo dello spazio nella produzione dei rapporti sociali a tutti i livelli e in tutte le discipline, sia nello studio del potere sia nello studio dei movimenti di contestazione. Dunque la geografia è sempre più un punto di vista privilegiato per portare uno sguardo critico sulla società e per capire il funzionamento del mondo.
Bisogna poi sottolineare che c'è stato negli ultimi anni un revival anarchico in tutte le scienze umane e sociali: ci sono circuiti di storici anarchici, di antropologi anarchici, di sociologi, filosofi e politologi anarchici, anche di archeologi anarchici: con questi ultimi (e con gli antropologi) alcuni geografi lavorano per contestare le letture stataliste di civiltà antiche o dei cosiddetti popoli indigeni, letture che spesso proiettano uno sguardo anacronistico o aspaziale su società diverse per non ammettere che lo Stato non è qualcosa di “naturale” o “ineluttabile”, ma un fenomeno molto circoscritto nella storia e geografia del genere umano.
Dico questo perché si parla di geografia, ma il nostro sguardo resta interdisciplinare o “indisciplinato”, perché una rigida separazione tra le discipline è a sua volta il frutto storico di una istituzionalizzazione del sapere che è sempre servita più al potere delle baronie e alla loro gestione di concorsi e finanziamenti che non alla reale comprensione dei problemi. Quest'ultima non necessita né dell'iperspecializzazione né del generalismo (come nel caso della vecchia figura del geografo “tuttologo”) ma del concorso di diverse specialità. Se poi ci andiamo a vedere si scopre che ci sono molti anarchici, libertari o simpatizzanti che lavorano nelle cosiddette scienze dure, ad esempio fisica e biologia: anche questo non è un caso, perché assistiamo oggi a un ritorno di vecchie teorie usate dalle religioni e dal potere per giustificare il dominio, come il creazionismo, il maltusianismo e il determinismo climatico.
La scienza si rivela dunque ancora una volta un terreno di scontro tra autoritari e libertari come ai tempi di Kropotkin, che elaborando teorie come quella del mutuo appoggio aveva esattamente questo problema: combattere il potere smontando (oggi si direbbe “decostruendo”) le pretese basi scientifiche su cui si fondano le ideologie dominati. Se il creazionismo giustifica l'impostura religiosa e il darwinismo sociale giustifica la competizione capitalista, l'evoluzionismo solidarista dei geografi anarchici è uno strumento concettuale per smontarli entrambi.

Che differenza c'è tra la geografia del potere e quella anarchica? Hanno una base comune o sono totalmente divergenti?
Come diceva Reclus, la geografia è una delle scienze più “pericolose”, perché fa presto a ridursi a una semplice tecnica, dunque a qualcosa che non necessita di strumenti critici ma solo di essere applicata e venduta al migliore offerente (stato, esercito, amministrazione...). Secondo Reclus, questo si associa alla pigrizia intellettuale delle discipline insegnate nelle scuole di stato, che non richiedono curiosità e originalità ma solo l'acquisizione di saperi e abilità tecniche per fini utilitari senza chiedersi troppi perché.
Detto questo è difficile definire la geografia in maniera ristretta e tracciare precise frontiere (ironia della parola) tra diverse geografie: se lavori in un dipartimento di geografia puoi citare autori e concetti usati anche da colleghi che non hanno niente a che vedere con approcci impegnati, ma questo accade perché penso che oggi si sia dimenticato molto del valore strategico che hanno avuto e che hanno certi concetti. Ad esempio oggi trovo molto sovversive le frasi di uno degli ispiratori di Reclus, il geografo greco Strabone, che duemila anni fa diceva che “nessuna scienza più della geografia è affare dei filosofi” e che la finalità ultima della geografia è comprendere “la grande arte di vivere bene ed essere felici”.
Queste poche parole demoliscono decenni di egemonia tecnocratica, positivista e utilitarista sulla geografia: la geografia anarchica è esattamente questo: capire il mondo per trasformarlo e vivere più felici.

Elisée Reclus (1830-1905)

Il rischio degli accademici

È ancora più problematico tracciare una separazione netta tra una “geografia anarchica” e una “geografia del potere”. Primo perché la “geografia anarchica” non esiste: noi siamo contro l'idea di intellettuale organico dunque non vogliamo una geografia che rappresenti un partito. Si parla invece di “geografie anarchiche” al plurale come di diverse esperienze di studio e attivismo che si richiamano in diversi modi alla geografia e all'anarchismo. A livello storico bisogna essere ancora più precisi e parlare piuttosto di “geografi anarchici” visto che al tempo di Reclus e di Kropotkin la definizione di geografie anarchiche non esisteva. Certo, a molti dei loro lavori si può attribuire retrospettivamente questo concetto, ma sempre facendo attenzione all'anacronismo.
Se poi lavori in ambiti accademici o comunque istituzionali è chiaro che devi fare i conti con il potere, che è dappertutto non perché l'ha detto Foucault (gli anarchici “storici” ci sono arrivati molto prima) ma perché se vivi in questa società devi trovare dei modi per fare la tua parte in contesti che non sono esattamente amichevoli. In geografia uno è aiutato dal fatto che in circuiti come quello anglofono e quello latinoamericano le tendenze “radicali” sono di moda dunque l'anarchismo ha diritto di cittadinanza (almeno per il momento) in molti dibattiti accademici, ma dall'altra parte questo si mescola all'opportunismo, e il limite tra critica sincera e riproduzione delle gerarchie accademiche è molto labile. Basti pensare a quanti baroni cosiddetti “alternativi” e “di sinistra” (fortunatamente non anarchici a mia conoscenza, almeno per ora) si dedicano alle più meschine pratiche di nepotismo e gestione personale del potere accademico (l'Italia è ahimè un triste caso di studio a livello internazionale in questo).
Gli anarchici che si trovano a lavorare o studiare nelle accademie (che peraltro possono essere occasione per una ampia circolazione delle nostree idee) devono essere i primi a sfidare queste tendenze in tutte le maniere possibili dentro e fuori dalle istituzioni di insegnamento. È per questo che dico che un sincero interesse per la ricerca che sia anteposta al conformismo, all'arrivismo e al lecchinaggio, ora più che mai è un valore rivoluzionario.

Del programma di questo incontro, quali sono le tematiche secondo te più stimolanti?
Parafrasando un po' au pif il grande Gaber, direi “specialmente tutte”! Scherzi a parte, il primo punto che vorrei sottolineare è l'internazionalismo: le persone che animano oggi il circuito delle cosiddette “geografie anarchiche” vengono da decine di Paesi differenti e anche se per la maggior parte lavorano in ambito accademico (il che implica qualche adattamento a sistemi nazionali e a contesti accademici particolarmente nazionalisti o conservatori) una delle prime sfide che ci siamo posti è di superare le barriere linguistiche e culturali che esistono a livello accademico (e a volte anche a livello militante) ad esempio tra il circuito anglofono, il circuito francofono, il circuito latino-americano ecc. Questo incontro è uno dei primi tentativi di fare questo e il luogo scelto è significativo perché l'Italia è marginale rispetto a questi circuiti, dunque si valorizza la periferia, e Massenzatico, sede della prima casa del popolo italiana, è un luogo estremamente simbolico.
Il primo tema (cronologicamente) è storico: la ricerca internazionale sui legami storici e concreti tra geografia e anarchismo è in corso in tutto il mondo a livello sia locale sia transnazionale e rivela cose sorprendenti che parlano sempre ai dibattiti attuali. Poi di ordine teorico: si rifletterà sul significato di fare “geografie anarchiche” oggi e sulle loro relazioni con le linee teoriche che ispirano oggi la ricerca geografica molte delle quali, come il poststrutturalismo e i suoi derivati, hanno preso in prestito gran parte della tradizione anarchica, senza però pagare tributo all'anarchismo.
Dunque mentre da un lato la geografia marxista che si affermò negli anni '60 e '70 è ormai morente in seguito alle note vicende storiche, le nuove tendenze critiche e radicali dei geografi assumono l'ambiguità delle varie teorie “post”, che pur presentando contributi interessanti su una vasta gamma di problematiche devono passare al vaglio di una seria critica libertaria. Tra i diversi approcci da discutere quello del genere e del femminismo (o femminismi) giocherà ovviamente un ruolo centrale.

A Reggio si parlerà anche del Rojava

Una parte sarà poi dedicata allo studio degli spazi di una serie di situazioni di lotta dallo squatting ai movimenti indigeni a lotte sociali di vario genere, coerentemente con l'idea, fortunatamente condivisa con gran parte della ricerca “radicale” in geografia, che la geografia come scienza non deve essere “neutrale” come ancora alcuni pretendono in nome di una inesistente “oggettività” scientifica, ma prendere parte ai movimenti e alle lotte. Insomma il ricercatore non è più qualcuno che guarda una situazione “dall'alto” con implicita pretesa di “superiorità” (di classe, di etnia, di genere, etc.), ma assume che per comprendere i problemi bisogna tentare di esservi il più possibile dentro e dunque come si dice oggi “essere parte del problema” per tentare di risolverlo.
Tra i casi di studio, un compagno curdo ci parlerà dell'esperienza del Rojava, che è una delle situazioni “di terreno” attuali più vicine alla tradizione anarchica, e contiene molta geografia reclusiana: l'idea di confederalismo, la possibilità che la rivoluzione si ispiri non solo a tradizioni di origine europea, ma anche alle culture di altri popoli, la storia dei popoli senza governo e senza stato, le tradizioni libertarie dei popoli montanari (o di origine montanara) nel bacino del Mediterraneo e altrove.

Federico Ferretti, militante storico del gruppo di Reggio Emilia della Federazione Anarchica Italiana (FAI-IFA),
è stato un operaio autodidatta che ha cominciato tardi a frequentare l'università, poi ci ha preso gusto e non ha smesso più.
Dottore di ricerca a Bologna e a Paris 1 (Panthéon-Sorbonne), dopo esperienze di insegnamento e ricerca in Italia, Svizzera,
Francia e Brasile, è attualmente Lecturer in Human Geography all'University College Dublin dove si occupa
di geografie anarchiche, di studi postcoloniali e di America Latina.



Piccola bibliografia su geografia e anarchismo

F. Ferretti, 2007, Il mondo senza la mappa. Élisée Reclus e i geografi anarchici, Milano, Zero in Condotta.
F. Ferretti, 2011, Anarchici ed editori. Reti scientifiche, editoria e lotte culturali attorno alla Nuova Geografia Universale di Élisée Reclus (1876-1894), Milano, Zero in Condotta.
P. Pelletier, 2013, Géograpie et anarchie: Reclus, Kropotkine, Metchmikoff, Paris. Editions du Monde Libertaire.
E. Reclus, 1984, Geografia sociale, Milano, Franco Angeli.
M. Schmidt di Friedberg (ed.), 2007, Elisée Reclus, natura e educazione, Milano, Bruno Mondadori.
S. Springer, 2016, The anarchist roots of geography, Minneapolis, Minnesota University Press.

Più materiali disponibili sul sito: http://raforum.info/reclus/.