   
                 
                 
                  
                David e Boccaccio 
                  ovvero il Decameron di Riondino  
                Un geniale eclettico 
                David Riondino è un autore, cantante, attore e fantasista 
                  di cui troppo poco si occupano i critici letterari, musicali, 
                  teatrali e affini, eppure è uno a cui non solo la canzone, 
                  ma direi la cultura italiana in generale, deve e dovrà 
                  moltissimo. 
                    
                  Riondino è un eclettico impenitente, e degli eclettici 
                  si sa il nostro Paese non si fida, quasi che saper giocare con 
                  musica e versi non fosse una cosa seria e ci turbasse questo 
                  artista con molte, moltissime anime. 
                  Troppo nota la sua anima goliardica, parodistica e improvvisativa 
                  che negli anni '80 ha rischiato di fagocitare tutte le altre: 
                  il celebre Joao Mesquinho televisivo, ovvero la sua incarnazione 
                  in un musicista brasiliano in grado di commentare immediatamente 
                  ogni personaggio o racconto pescando una canzone a tema (in 
                  realtà inventandola sul momento) da un improbabile quanto 
                  sterminato repertorio. Negli anni settanta Riondino aveva però 
                  fatto parte, insieme alla sorella Chiara, del Collettivo Victor 
                  Jara, pilastro della canzone di protesta fiorentina. Poi si 
                  può dire che abbia cambiato stili e temi a ogni disco. 
                  Dischi equilibrati tra ballate serie e facete come “Boulevard” 
                  (1980) o “Racconti Picareschi” (1989), dischi cronachistici 
                  di commento alle vicende della politica come “Temporale” 
                  (1994), dischi-racconto millenaristici e filosofici, come “Tango 
                  dei Miracoli” (1987), “Non svegliate l'amore” 
                  (1991), operazioni editorial-discografiche come la “Cantata 
                  dei pastori immobili” (2004), “Dante inferno” 
                  (2002), ecc. 
                  Non trascuriamo poi la sua lunga lunghissima militanza per teatri, 
                  cabaret, cinema e radio, accanto a colleghi quali Paolo Rossi, 
                  Sabina Guzzanti, Dario Vergassola, Stefano Bollani. 
				Boccaccio's songs! 
                La letteratura, la poesia sono campi assai frequentati da Riondino, 
                  in grado di cantare Gozzano, Lorca o Milosz o di raccontare 
                  su un palco per esteso la storia della Signora Bovary. 
                  Nel 2016 dando concretezza sonora a un progetto già a 
                  lungo rappresentato dal vivo, Riondino ha pubblicato per l'etichetta 
                  Materiali Sonori un disco-capolavoro: “Bocca baciata non 
                  perde ventura...”, si tratta di una riduzione in ballate 
                  di un'antologia di novelle dal “Decamerone” di Giovanni 
                  Boccaccio. L'operazione ha dell'incredibile, non lettura ritmica 
                  né poesia musicata, questo disco è una vera traduzione 
                  in canzone di uno dei maggiori classici della letteratura mondiale, 
                  e della prosa per antonomasia fondativa della “volgar 
                  lingua”. Col Boccaccio e a braccetto di Riondino entriamo 
                  nella fucina in cui fu forgiato l'Italiano. Un'impresa da far 
                  tremare i polsi quella di provare a cantare il “Decamerone”, 
                  perché dietro ogni angolo si trovava in agguato l'insidia 
                  da una parte di sfrondare di tutta la sua bellezza la difficile 
                  comprensibilità dell'idioma trecentesco, dall'altra del 
                  rischio di fare il verso al Brancaleone di Monicelli e a tutto 
                  il medioevo da operetta. 
                  La grazia con la quale Riondino è invece riuscito a rendere 
                  non solo credibile, ma anche fluido questo linguaggio nelle 
                  sue ballate ha del miracoloso: perfettamente reinventato e del 
                  tutto aderente, questa è una delle più ardite 
                  operazioni della nostra canzone. Come nelle opere più 
                  mature non sapremmo dire se il racconto corre libero sulla sua 
                  lingua, o se le perle linguistiche s'inanellano a punteggiare 
                  il diadema del plot, di sicuro vi so dire che io mi son perso 
                  e ritrovato in ripetuti ascolti di questo disco raro, senza 
                  mai stancarmi di scoprirci nuovi particolari. 
                  Ricchezza nella ricchezza, non solo alcune delle più 
                  belle novelle di tutti i tempi trovano qui la loro versione 
                  ideale cantata, ma la cornice stessa dell'opera - i cavalieri 
                  e le dame che per sfuggire la pestilenza abbandonano Firenze 
                  e sfollano in campagna dove passano il tempo raccontandosi per 
                  l'appunto queste novelle - è ben presente nel disco, 
                  introduce e sottende al discorso o si fa foschissima visione 
                  nella canzone dedicata alla peste. E se da una parte l'autore 
                  “Messer Boccaccio” ha modo di dire la sua in forma 
                  di dedica e proemio o nella sua particolarissima invocazione 
                  alle Muse, così anche l'autore “David Riondino” 
                  interviene in una chiosa alla celeberrima storia di Federigo 
                  degli Alberighi che cuoce il suo nobile Falcone (unica ricchezza 
                  rimastagli) per offrire degno pranzo alla donna amata, prendendo 
                  il punto di vista del Falcone stesso per stigmatizzare il comportamento 
                  biecamente anti-animalista di “quello stronzo di Federigo”! 
				Questo tesoro della montagna 
                La più bella canzone del disco, posta esattamente al suo centro, è “Il professore e l'autografo del Boccaccio” dove la magia della letteratura che traluce dal prezioso manoscritto ingaggia singolar tenzone con i fatti minuti e le tragedie collettive del nostro tempo. 
Per il resto l'argutezza sensuale di “Madonna Filippa” che convince i suoi giudici non solo a risparmiarle l'orrenda fine prevista per le fedifraghe, ma anzi di plaudirla, la straziante storia d'amore e di morte di Tancredi e Gismonda, l'odissea erotica della bellissima saracina Alatiel, la beffa giocata ad Anichino ci fanno rivivere un medioevo meno gotico di quello cui siamo abituati, un medioevo giocoso e romantico, passionale e carnale. “Il monaco della Lunigiana”, “Frate Puccio”, la “Storia di una monaca” che si reca a rimproverare una novizia ancora troppo incline ai piaceri della carne con in capo al posto del velo le braghe di un amante, ci immergono in quel topos tutto boccaccesco che alimenterà per secoli il livore dei mangiapreti, innestandosi direttamente nel canzoniere laico e anarchico e nelle facezie anticlericali. 
Unico neo di questo CD bellissimo, certi arrangiamenti troppo affrettati, certi suoni troppo di plastica, dovuti probabilmente a una grave insufficienza di budget in fase di registrazione. Ciò ci riporta direttamente a notare quanto poco sia stato fatto per far conoscere questa operazione, che sarebbe utilissima a farci vedere con occhi puliti da ogni incrostazione scolastica uno dei tre classici maggiori della nostra letteratura delle origini. Ma le cose così stanno, e toccherà andare a scavare anche questo tesoro dalla montagna sorvegliata dal drago dell'indifferenza e della morta gora della nostra cultura popolare. 
                 Alessio Lega 
                    
                
                   
                    Un 
                        augurio e un nuovo libro 
                        per la nostra grande Giovanna 
                       Giovanna 
                        Marini, la nostra grande Giovanna, in piena forza e attività 
                        compositiva e concertistica, lo scorso 19 gennaio è 
                        arrivata a compiere 80 anni. 
                        Dire che Giovanna Marini sia un grande compositore, un 
                        musicista geniale e per soprammercato una donna di lettere 
                        e di poesia è cosa tanto scontata quanto necessaria. 
                        Che sia una persona coraggiosa, che è andata a 
                        testa bassa contro moltissime convenzioni, sconvolgendo 
                        il maschilismo, la melomania reazionaria, e irridendo 
                        tre o quattro ortodossie assieme è il minimo riconoscimento 
                        che le si possa fare. Che - nonostante il suo status universalmente 
                        riconosciuto - le abbiano dato il minimo possibile di 
                        allori e glorie è una vergogna che non riguarda 
                        lei, ma noi e il nostro provincialismo, la nostra paura 
                        dell'intelligenza femminile, il sospetto per gli artisti 
                        che si sono messi al servizio di una causa. 
                        Le legioni di allievi, di appassionati di musica popolare, 
                        di persone che hanno scoperto che passione, studio, rielaborazione, 
                        ricerca, umiltà, ascolto, originalità siano 
                        una sola rivoluzionaria essenza, sono il Teatro diffuso 
                        che non le hanno mai affidato, il Conservatorio che non 
                        le hanno fatto dirigere. Faccio i miei più sentiti 
                        auguri a questa donna straordinaria per aver cumulato 
                        centosessanta secoli di esperienza, canto e sapere e averceli 
                        raccontati come una fiaba, per noi e per chi verrà 
                        dopo. 
                        Voglio anche segnalarvi che di recente per i tipi di Castelvecchi 
                        è uscito un bel libro che rintraccia il suo percorso 
                        “Io Vorrei. La lezione di Giovanna Marini” 
                        del giornalista Paolo Crespi. È un'operazione onesta 
                        e che prova - con l'aiuto di alcuni testimoni “di 
                        lusso” quali Ovadia, Celestini, De Gregori, Capossela, 
                        Portelli, Colle, ecc. a colmare una lacuna indecente: 
                        una biografia artistica, pulita da incrostazioni militanti 
                        e non troppo rivolta agli addetti lavori come alcune (pur 
                        eccelse) produzioni editoriali precedenti. 
                      A.L. 
                          | 
                      | 
                   
                 
                
               |