rivista anarchica
anno 47 n. 416
maggio 2017


storia

Gli anarchici romani
nella lotta contro il fascismo

di Valerio Gentili


La Resistenza anarchica ha avuto a Roma una sua particolare presenza, ben radicata soprattutto in alcuni quartieri, in diretta continuità con una tradizione di presenza popolare evidenziata da alcune figure particolarmente note e apprezzate a livello locale.
Dalla prima opposizione alla montante marea fascista nei primi anni '20 al lungo ventennio nero fino all'occupazione nazista (con presenza di anarchici anche alle Fosse Ardeatine), le anarchiche e gli anarchici hanno combattuto il fascismo in gruppi specifici, in formazioni gielline, in “Bandiera rossa” (alla sinistra del PCI), ecc.
In coda, quattro biografie di militanti anarchici attivi a Roma.


Come in Italia anche a Roma il socialismo nacque anarchico ma contrariamente all'indirizzo generale, nella capitale continua ad essere tale per interi decenni. Il sindacalismo rivoluzionario di matrice anarchica, infatti, contende ad armi pari il primato tra i lavoratori al socialismo parlamentare e alla sua appendice sindacale riformista.
La classe operaia capitolina appare fin da subito come soggettività altra rispetto al disciplinato proletariato di fabbrica del nord Italia tutto inquadrato nei gangli di partito. Un unicuum del quale la storiografia si è assai scarsamente occupata come testimoniato dai lunghi decenni di silenzio sull'esperienza eterodossa degli Arditi del popolo e sul secolare ribellismo sociale del caratteristico proletariato romano fatto di facchini, manovali, precari d'antan e varia umanità lumpen così lontana da quelle categorie nobilitate come rivoluzionarie dal materialismo dialettico di matrice marxista. Espunto dai manuali della storia mainstream, il movimento anarchico romano, tuttavia, ha potuto godere a lungo di un seguito attivo, numericamente consistente e ben radicato nel tessuto sociale della città.

Il fondatore degli Arditi del Popolo Argo Secondari, a sinistra
in divisa da allievo ufficiale e famiglia

Finita la Grande Guerra, con l'avvento dello squadrismo fascista, il movimento fornisce un gran numero di quadri e militanti agli Arditi del popolo. Negli anni bui del ventennio, una repressione durissima colpisce gli anarchici capitolini, costringendo i numerosi gruppi di quartiere allo scioglimento coatto, la Camera del lavoro rivoluzionaria a chiudere i battenti, i militanti migliori a lunghi, interminabili anni scanditi da confino, galera, internamento ed ammonizioni. Pur tra mille peripezie, i superstiti continuano la lotta stringendosi attorno ai perseguitati e consegnando alla storia figure impavide e generose come Lucetti, Schirru e Sbardellotto.
Dopo l'8 settembre '43, gli anarchici della capitale sono parte attiva della Resistenza al nazifascismo. Diversamente da esperienze affini nel Nord Italia, tuttavia, nella Roma occupata, non vi sono formazioni partigiane combattenti di matrice esclusivamente anarchica. Ciò ha comportato, ex post, grosse difficoltà per quei pochi che, in sede di rielaborazione storiografica, hanno cercato, tra mille peripezie, di ricostruire peso, numero, qualità e quantità del contributo fornito dagli anarchici alla lotta di Liberazione nella capitale.
Innanzitutto, va ricordato che il contributo dato dagli anarchici romani alla Resistenza occorre misurarlo nell'azione di piccoli gruppi e singoli contributi inquadrati in formazioni di altro orientamento politico. Partecipi a pieno titolo nella storia e nelle vicende del Movimento Partigiano Romano, essi hanno militato nelle squadre di Giustizia e Libertà, nei GAP comunisti e socialisti, in Bandiera Rossa, la principale artefice della Resistenza nelle borgate romane. La mancanza di una struttura autonoma combattente non deve indurre, altresì, a sottostimare il contributo degli anarchici capitolini alla lotta armata contro il fascismo. Un esempio: il primo caduto della Resistenza romana è proprio un anarchico, Riziero Fantini fucilato a Forte Bravetta il 31 dicembre 1943 e partigiano in una formazione del partito comunista operante nel quartiere di Montesacro. Diversi anarchici ricoprono importanti ruoli di comando militare tra le fila partigiane, come nel caso di Aldo Eluisi, già tra i capi – un ventennio innanzi – degli Arditi del popolo e poi capitano delle squadre romane di Giustizia e Libertà. Catturato a seguito di una delazione, Eluisi cade fucilato alle Fosse Ardeatine assieme agli anarchici Giulio Roncacci ed Egidio Renzi, anch'essi partigiani nei ranghi azionisti ed Umberto Scattoni1, prima collegato al Pci poi a Bandiera Rossa. Di quest'ultima formazione, il responsabile militare per il quadrante San Lorenzo è l'anarchico – già tra i leader degli Arditi del popolo – Renato Gentilezza. Il responsabile militare di Bandiera Rossa, la formazione nata dalle ceneri di Armata Rossa dopo l'eccidio delle Ardeatine, è l'anarchico – già Ardito – Celestino Avico.
Diversi anarchici, inoltre, vittime dei ripetuti rastrellamenti nazifascisti nei primi giorni del gennaio 1944, sono deportati nei campi di concentramento tedeschi senza fare ritorno. Tra questi: Albero Di Giacomo, detto il Moro, Giovanni Gallinella, Raffaele Lello Lotti, Gino Bianchedi, Renato Tombelli, Giulio De Giuli, Adolfo Bianchini, Federico Umberti, Guido Cimaroli.
Lotti, Di Giacomo e Gallinella – quest'ultimi due già membri di rilievo degli Arditi romani – sono arrestati il 4 gennaio '44, nel corso di un'operazione di polizia avente il fine di:

Effettuare larghi rastrellamenti di pregiudicati, sovversivi, disoccupati ed elementi antisociali [...] In seguito al verificarsi di gravissimi episodi di delinquenza comune e politica [...] D'accordo con le autorità germaniche si è poi proceduto a un accurato esame della posizione dei fermati e gli elementi più pericolosi, sia dal punto di vista politico che sociale, sono stati già inviati in Germania2.

Partiti dalla capitale, assieme ad altri trecento romani, a bordo del treno 64155, dalla stazione Tiburtina con tanto di vagone piombato e ufficialmente avviati «al servizio di lavoro obbligatorio in Germania» giungono l'11 gennaio a Dachau per raggiungere, poi, col trasporto n. 16 il campo di concentramento di Mauthausen, dove trovano, tra atrocità e sofferenze, la morte3.
Alcuni anarchici, come nel caso di Menotti Banci, scampano alla deportazione in Germania e ad una quasi sicura morte, sottraendosi rocambolescamente alla retata di arresti del 4 gennaio '44. Banci, nel secondo dopoguerra animatore del gruppo anarchico «Errico Malatesta» al Trionfale, è stato, nel Biennio rosso, segretario della Federazione dei lavoratori della fornace e compagno, di lavoro e lotta, di Alberto Di Giacomo4.
Come già detto, l'opera di ricostruzione storiografica della partecipazione degli anarchici alla Resistenza romana è resa particolarmente difficoltosa dalla scarsità di fonti non solo coeve ma anche posteriori agli avvenimenti presi in esame. Dall'attenta analisi della pubblicistica anarchica nel secondo dopoguerra non emergono che radi, scarni, lacunosi e talvolta imprecisi elenchi nominativi dei caduti partigiani. Completamente assenti, scritti più corposi di taglio discorsivo e memorialistico od elencazioni di azioni svolte. Sicuramente, inoltre, sulle numerose imprecisioni nel ricordo dei singoli, ha influito la militanza «irregolare» dei partigiani anarchici nelle formazioni politiche altrui, militanza non di rado, in uno slancio unitario pronto ad accantonare le differenze ideologiche, divisa addirittura tra più formazioni di diverso segno politico. Abbiamo già citato il caso dell'anarchico del Trionfale Alberto di Giacomo, ex capo squadra del battaglione rionale degli Arditi del popolo e partigiano – molto probabilmente – sia nelle fila gielliste, che in quelle comuniste, prima di cadere prigioniero dei nazifascisti ed essere deportato nel lager di Mauthausen. Ciò, infatti, spiegherebbe la duplice rivendicazione di questo caduto partigiano avanzata sia dai comunisti dell'ANPI che dalla FIAP azionista.
Tornando alle notizie riguardanti i caduti partigiani anarchici nella Resistenza romana, cito qui gli elenchi nominativi pubblicati da «Il Libertario» (Roma, n. 1 settembre 1944) e da «L'Impulso» (periodico dei GAAP, 15 aprile 1955).
Il primo presenta diverse imprecisioni, viene, infatti, riportato nell'elenco anche il nome del vecchio sindacalista anarchico Spartaco Stagnetti (in realtà, morto al confino nel 1928) e del socialista Luigi Castellani.
Risulta più preciso, invece, il secondo elenco, inoltre più ricco di informazioni e cenni biografici rispetto al precedente. Proprio ad alcuni dei caduti citati da «L'Impulso», per quanto l'estensore della lista si premuri di precisare si tratti di «un elenco assolutamente incompleto», è dedicata la parte conclusiva di questo articolo, con le loro biografie, qui ricostruite, principalmente, attraverso i fascicoli del Casellario politico centrale e della Questura romana.
L'elenco de «L'Impulso»: Giovanni Gallinella, Alberto di Giacomo, Raffaele Lello Lotti (morti in data imprecisata a Mauthausen). Giulio Roncacci, Aldo Eluisi, Umberto Scattoni (caduti alle Fosse Ardeatine), Riziero Fantini (fucilato a Forte Bravetta il 31 dicembre 1943).

Valerio Gentili

  1. Le poche e obsolete armi, fatte giungere dal generale Carboni, per lo più moschetti modello '91 in dotazione all'esercito regio nella prima guerra mondiale, ai partigiani romani l'8 settembre sono nascoste nella carrozzeria dei fratelli Scattoni: Umberto ed Ugo.
  2. Circolare ai prefetti in ACS, MI, PS, a g e ris. 1943-45 RSI, b.1.
  3. Dagli elenchi dell'ANED dei deportati italiani nei campi di concentramento.
  4. In ACS, MI, PS a g e ris. B. 79.

Vincenzo Baldazzi


Quattro biografie di anarchici morti contro il nazi-fascismo

Giovanni Gallinella: di Pio e Assunta Capannini, nato a Roma il 14 marzo 1903, fabbro residente a Trastevere in via Del Mattonato. Anarchico, aderisce al locale battaglione degli Arditi del Popolo diventando caposquadra. Nei giorni del congresso di fondazione del PNF, nel novembre 1921, si distingue al comando di azioni particolarmente efficaci nel respingere gli attacchi delle squadracce sul Lungotevere. È tra i principali organizzatori della difesa militare del rione Trastevere durante la Marcia su Roma. Negli anni del ventennio in quanto elemento pericoloso per l'ordine nazionale dello stato viene ripetutamente sottoposto ai provvedimenti di ammonizione, confino e internamento carcerario. Nel 1925 è denunciato per oltraggio e ribellione agli agenti di forza pubblica, ammonito nel 1930, il 27 gennaio dell'anno successivo viene condannato a tre mesi di carcere per contravvenzione all'obbligo di ammonizione. Scontata la pena è trattenuto agli arresti perché sono in corso le pratiche per la sua assegnazione al confino. Il 27 aprile viene inviato nell'isola di Ponza per una durata di tre anni. Il 3 settembre 1931 il direttore della colonia lo denuncia per manifestazione sediziosa e contravvenzione all'obbligo di confino. Sconta quattro mesi di carcere a Poggioreale. Terminata la detenzione è rinviato a Ponza, fino al luglio del 1934. Scaduti i termini fa ritorno a Roma. Ma nel dicembre del 1936, accusato di svolgere opera di propaganda attiva contro il regime, viene nuovamente riassegnato dalla commissione regionale al confino per una durata di 4 anni da scontare nella colonia di Ventotene. Qui mantiene i contatti con altri confinati antifascisti. Da una nota del questore di Roma alla sezione prima, confino politico, del ministero degli Interni, in data 10 gennaio 1937, si legge che Gallinella, nonostante arresti e confino: «Insieme con Gioacchino Gabrielli e Alfredo Simmi (entrambi avevano militato negli Arditi del Popolo) svolge un'intensa propaganda antifascista, i tre hanno contatti con il repubblicano Dante Giannotti, uno dei dirigenti del gruppo Giustizia e Libertà scoperto nella capitale nel 1932». Punito per la sua condotta, nel 1939, Gallinella viene trasferito nella colonia delle Tremiti, dove è internato in seguito alla sua instancabile propaganda antifascista. Trasferito a Pisticci, vi resta fino alla fine dell'agosto 1943, quando, revocato il provvedimento di confino fa ritorno a Roma. Qui riprende da subito la lotta politica. Dopo l'8 settembre partecipa alla resistenza partigiana operando, probabilmente, in collegamento con le squadre cittadine di Giustizia e Libertà. Il 4 gennaio 1944, nel corso di rastrellamenti a tappeto operati dalla polizia per tutta la città, viene nuovamente arrestato. Inviato, insieme ad altri 300 uomini, pregiudicati politici e comuni, al servizio di lavoro obbligatorio in Germania, con un treno piombato partito dalla stazione Tiburtina, arriva a Mauthausen il 13 gennaio. In questo campo di concentramento muore in data imprecisata.
Fonti: ACS, CPC,ad nomen. Archivio di Stato di Roma, Questura di Roma A/9,ad nomen. ACS, MI, PS, a. g. e ris. 1943-1945 RSI, b.1, f.Situazione politica nelle provincie, relazioni giornaliere, f.Elenchi di persone rastrellate e arrestate per essere avviate al servizio del lavoro. Elenchi ANED (Associazione nazionale ex deportati politici) degli internati nei campi di concentramento tedeschi.

Alberto Di Giacomo detto il moro: di Andrea e Paolina Bini, nato a Magione, in provincia di Perugia, l'8 gennaio 1886, risiede fin da giovanissimo a Roma, nel rione del Trionfale. Operaio alle fornaci di Valle Aurelia, è schedato dalla questura come anarchico, attentatore, confinato politico pericoloso. Dal 1911 al 1920 è tra gli esponenti di punta della frazione più agguerrita nel consiglio della Lega dei fornaciai. Nel 1921 aderisce agli Arditi del Popolo, a fine luglio entra a far parte del Direttorio cittadino dell'organizzazione, in quanto esponente di punta del battaglione Trionfale. Nel 1923 viene arrestato per: lesioni e ingiurie a danno di fascisti. Arrestato nuovamente nel settembre 1926 con l'accusa di progettare un attentato contro il regime. Nel giugno del 1931 con un'ordinanza della commissione provinciale di Roma è assegnato al confino di polizia per la durata di tre anni da scontare nella colonia di Lipari. Nel novembre del 1932, in occasione del decennale della vittoria fascista, viene prosciolto dal restante periodo di detenzione. Tornato nella capitale, D.G. riprende da subito la lotta in opposizione al regime subendo un nuovo provvedimento d'ammonizione in maggio. In una nota del questore di Roma, risalente al dicembre 1934, viene definito: «Uno dei più pericolosi anarchici residenti nella capitale per cui è stato incluso nella I categoria dei sovversivi da arrestarsi in determinate circostanze e viene strettamente vigilato da questo ufficio». Nel giugno 1935 è colpito da un ulteriore provvedimento d'ammonizione. Nel 1940 viene assegnato a un nuovo triennio di confino. Torna a Roma dopo il 25 luglio 1943. Opera nel movimento resistenziale cittadino in collegamento con la compagine giellista. Arrestato, come Gallinella, il 4 gennaio 1944, viene prelevato in massima segretezza dal carcere di Regina Coeli e deportato in Germania, insieme ad altri trecento, col treno n. 64155. Muore a Ebensee (Mauthausen) il 5 maggio 1945.
Fonti: ACS, CPC,ad nomen. MI, PS, a. g. e ris. 1943-1945 RSI, b.1, f.Situazione politica nelle provincie, relazioni giornaliere, f.Elenchi di persone rastrellate e arrestate per essere avviate al servizio del lavoro. «L'Impulso», organo periodico dei GAAP, 15 aprile 1955. Elenchi ANED (Associazione nazionale ex deportati politici degli internati nei campi di concentramento tedeschi).

Alberto Di Giacomo, detto er moretto,
fornaciaio anarchico, prima Ardito del
Popolo poi partigiano, deportato
nel gennaio 1944 a Mauthausen

Aldo Eluisi: di Romolo e Pasqua Marchetti, nasce a Venezia l'11 dicembre 1898. A tre anni lascia con la famiglia la città veneta per stabilirsi nella capitale. Risiede nel distretto di Ponte e lavora fin da giovanissimo come pittore edile. Dopo l'entrata in guerra dell'Italia, partecipa al primo conflitto mondiale nei reparti d'assalto dell'esercito regio. Nei giorni della disfatta di Caporetto si distingue in operazioni particolarmente audaci ricevendo dai comandi una proposta per il conferimento di medaglia al valore. A guerra finita torna nella capitale diventando da subito una delle figure più in vista della locale sezione dell'associazione tra gli Arditi d'Italia. Partecipa all'impresa fiumana. Anarchico e convinto antifascista, nell'aprile del 1921, viene eletto consigliere all'interno del nuovo comitato d'azione della sezione romana dell'ANAI. Pochi mesi dopo è, insieme agli ufficiali Secondari e Pierdominici, tra i fondatori degli Arditi del Popolo. Membro del Direttorio cittadino dell'organizzazione, in qualità di capo della centuria del rione di Ponte, è alla guida della resistenza militare organizzata dagli Arditi in risposta agli attacchi squadristi, nel novembre 1921, nell'aprile 1922, nel maggio e nell'ottobre dello stesso anno. Arrestato una prima volta il 20 agosto del 1921, l'anno seguente è nuovamente incarcerato: «Per aggressione a danno di fascisti». In seguito alla vittoria mussoliniana, viene pugnalato, nel 1923, da una squadraccia durante una rissa alla trattoria Masseroni, in piazza Fiammetta. Arrestato nel 1928 per possesso illegale di armi da fuoco, nel 1930, in seguito «Ad agitazione fra gli Arditi», viene diffidato dallo svolgere attività non consentita in seno alla mussoliniana FNAI. L'anno successivo gli viene imposto l'obbligo di munirsi di carta d'identità. Dopo l'8 settembre 1943 partecipa alla sfortunata difesa di Roma dall'occupazione delle divisioni tedesche, battendosi con onore a Porta San Paolo e alla Madonna del Riposo. Nei mesi dell'occupazione è insieme a Vincenzo Baldazzi, incaricato dal CE del partito d'azione, in assenza di Bauer, di dirigere il movimento resistenziale, alla testa delle formazioni gielliste, con la qualifica di comandante equiparato al grado di capitano. Colpito da mandato di cattura, in novembre, sfugge a un primo tentativo d'arresto da parte delle SS tedesche ma tradito da un delatore viene, in seguito, arrestato. Torturato per giorni alla pensione Jaccarino dalla banda di Pietro Koch senza cedere mai, cade fucilato nel marzo 1944 alle Fosse Ardeatine. Il 5 marzo 1945 è commemorato al cinema Altieri per iniziativa del Partito d'azione. Nel 1947, su proposta del comitato provinciale dell'ANPI, gli viene conferita la medaglia d'oro al valore militare alla memoria. La sua figura rimane una delle più belle, delle più gloriose del movimento di resistenza romana.
Questo il suo epitaffio nel medagliere d'oro al valore militare:
Comandante di una squadra di Arditi del Popolo combatté valorosamente a porta San Paolo e alla Madonna del riposo fugando il nemico. Ricercato e arrestato dalla polizia nazifascista riusciva audacemente a eludere la vigilanza e a conquistare la libertà per riprendere il suo posto nella lotta. Tradito da vile delatore e sorpreso durante un convegno con altri partigiani, dopo fiera colluttazione veniva immobilizzato e, benché ferito, trasportato nelle camere di tortura ove aveva inizio il suo calvario. Per 18 giorni soffrì le più efferate torture e lo scempio del corpo; tradotto alle Fosse Ardeatine si univa nella morte agli altri eroi che hanno bagnato col loro sangue quella terra divenuta sacra alla Patria.
Fonti: Archivio di Stato di Roma, Questura A/8ad nomen.Le medaglie d'oro al valore militare conferite a militari ed a civili, Roma, 1965.

L'anarchico Aldo Eluisi, legionario fiumano, dirigente degli Arditi del Popolo
poi della Resistenza romana, fucilato alle Fosse Ardeatine

Riziero Fantini, di Adolfo nato a Coppito (AQ) il 6 aprile 1892, anarchico. Domiciliato in via Prati Fiscali, muratore. Molto attivo tra gli anarchici capitolini, secondo la PS tiene, inoltre, una corrispondenza epistolare con i più noti dirigenti del movimento anarchico marchigiano. É collaboratore dei giornali: «Umanità Nova», «La Frusta» e «Libero Accordo». Nel biennio 1921-'22, figura come relatore in alcune conferenze tenutesi nella capitale e nelle Marche in sostegno di Sacco e Vanzetti (che R. aveva personalmente conosciuto nel corso dei dieci anni passati da lavoratore immigrato a Boston). Segnalato dalle autorità come iscritto al partito anarchico è per questo motivo costantemente vigilato ed iscritto nel registro delle persone da arrestare in determinate circostanze. Attivo nella Resistenza romana tra le fila comuniste, secondo una circolare del prefetto Caruso, in data 27 dicembre 1943, risulta essere stato fucilato dai tedeschi (dopo l'arresto, tortura e processo sommario) sugli spalti di Forte Bravetta insieme ai comunisti Italo Grimaldi e Antonio Feurra in quanto «responsabile di violenza contro quelle forze armate».
Fonti: Acs, Cpc,ad nomen, Biografie dell'ANPI.

Valerio Gentili