rivista anarchica
anno 46 n. 411
novembre 2016


sport

Sport è rivoluzione

di Gabriel Kuhn


Sin dalle origini degli sport organizzati, c'è chi ha provato a creare ambienti caratterizzati da fair play, cooperazione e comunitarismo.
Nella convinzione che lo sport sia un importante campo di battaglia politico. Pubblichiamo uno stralcio del libro di Gabriel Kuhn.


Se negli ultimi anni lo sport ha ricevuto un'attenzione crescente da parte della sinistra – unitamente ad un accresciuto interesse per la cultura popolare in generale – i pregiudizi nei suoi confronti sono rimasti. L'illustre marxista Terry Eagleton ha dichiarato che “è lo sport, non la religione, ad essere ora l'oppio dei popoli” (in The meaning of life), mentre Marc Perelman, nel trattato anti-sportivo Barbaric Sport: A Global Plague, dichiara che “[...] non dovrebbe esserci alcuno sport”.
Criticare lo sport da una prospettiva di sinistra è facile. C'è parecchio bigottismo e machismo. L'amministrazione globale dello sport riflette l'eurocentrismo e il (neo)colonialismo, e il mercantilismo e il culto delle celebrità sono fuori controllo.
Lo sport è vincolato dalle peggiori tipologie di nazionalismo e sciovinismo; la competitività, forse l'ingrediente maggiormente cruciale della cultura capitalistica, diventa spesso la caratteristica più tangibile dello sport, usato per la propaganda politica, a volte da parte dei politici più disgustosi. Lo sport contribuisce, forse ironicamente, a ideali insalubri di bellezza e forma fisica e milioni di ragazzi sperimentano esperienze traumatiche durante “l'educazione fisica”. Ed è anche vero che lo sport serve da oppio per le masse. Tuttavia, quanto di tutto questo dipende dallo sport e quanto dalle contingenze sociali e culturali in cui lo sport viene oggi praticato? [...]
Lo sport è una combinazione di elementi – esercizio, gioco, catarsi e altro – che non sono vincolati a nessun marchio politico o sistema di valori. Il significato politico dello sport deriva dal modo in cui viene praticato e dalla posizione che occupa nella società. Tutto questo comunque ci sfida a prendere lo sport seriamente e a creare circostanze che ne tirino fuori il meglio, non il peggio.
La cosa più importante, forse, è che lo sport non andrà da nessuna parte. Nelle società più libere ed egualitarie le persone vorranno fare esercizio, giocare e liberare le proprie emozioni. Inoltre lo sport occupa le menti e i cuori di molte più persone rispetto a quanto non facciano le assemblee radicali o i dibattiti anti-capitalisti. Ignorare la questione, bollandola come mero lavaggio del cervello, è un atteggiamento pericolosamente paternalistico.
Così come abbiamo bisogno di creare forme liberate di produzione e distribuzione economica, di decisioni politiche, di ricerca scientifica e di espressione artistica, dobbiamo creare anche un mondo dello sport che rientri in questo profilo. I principi guida sono il “cameratismo”, il fair play, l'empowerment, l'apprendimento sociale e il fare comunità. Le persone hanno seguito questi principi e provato a creare ambienti corrispondenti sin dalle origini degli sport organizzati alla fine del diciannovesimo secolo. Alcuni capitoli di questa storia sono piuttosto conosciuti, ad esempio il rifiuto di Muhammad Ali di partire per combattere in Vietnam o il saluto a pugno chiuso di Tommie Smith e John Carlos alle Olimpiadi del Messico nel 1968; altri esempi sono quasi dimenticati, come il movimento sportivo dei lavoratori dei primi anni del ventesimo secolo, alcuni sono sempre rimasti sottotraccia come la rete globale di club sportivi di base.

La copertina del libro di Gabriel Kuhn Playing as if the world
mattered
edito dalla casa editrice indipendente PM Press
(Oakland - USA, 2015, pp. 160, $ 14,95) dal quale è stato
estratto l'articolo pubblicato in queste pagine.
www.pmpress.org - info@pmpress.org

Origini del movimento sportivo “proletario”

L'organizzazione degli sport in associazioni, leghe e tornei si è avuta alla fine del diciannovesimo secolo in seguito alla tendenza della borghesia a riempire il proprio tempo libero, recentemente acquisito, con delle attività. Quando anche i lavoratori europei ottennero un po' più di quel “tempo libero”, iniziarono a partecipare alle attività in numero crescente. Questo portò i leader del movimento dei lavoratori a preoccuparsi dell'influenza che i club sportivi borghesi potevano avere sui membri dei movimenti proletari e risposero fondando le loro organizzazioni sportive.
La Germania fu il paese dove per primo il movimento sportivo dei lavoratori prese vita. [...]
La Germania non fu però l'unico paese dove le organizzazioni sportive dei lavoratori vennero fondate e il fenomeno non riguardò nemmeno la sola Europa. In Argentina numerosi sport club furono istituiti dai socialisti, tra queste l'ancora esistente Argentinos Juniors (originariamente Màrtires de Chicago), El Porvenir e Chacarita Juniors. In Giappone il socialista Abe Isoo vide così tanto spirito comunitario nel baseball che portò avanti una campagna di successo per portarlo nelle università giapponesi – come risultato il baseball divenne uno dei giochi più popolari in Giappone e Isoo fu inserito postumo nella Hall of Fame del baseball giapponese. In Sudafrica il sindacalista Bernard Lazarus Sigamoney organizzò numerosi eventi sportivi di sport integrato nel tentativo di risolvere le divisioni razziali che affliggevano il paese.
L'Europa restò comunque il centro del movimento sportivo dei lavoratori. Alla sua base stava la lotta contro l'individualismo, la competitività e il mercantilismo. Per contro, veniva posto l'accento sui valori di comunità, salute e sportività. Le competizioni di corsa erano sostituite da escursioni in campagna, le gare di nuoto da corsi di salvataggio, i duelli di wrestling o di tennis da ginnastica e ciclismo non competitivo, i tornei dai festival sportivi, le squadre nazionali dalle federazioni, la mania della performance dall'esercizio fisico. Nel 1933 il socialdemocratico austriaco Hans Gastgeb riassunse così gli obiettivi dello sport operaio: “Per l'atleta operaio, lo sport di massa e l'educazione politica sono una cosa sola. Lo sport non è praticato per distrarsi, ma in quanto mezzo necessario per modellare un proletariato che è mentalmente e fisicamente in grado di sconfiggere il conservatorismo politico, economico e culturale e il capitalismo”. [...]

Come sarebbe il mondo dello sport ideale?

L'attuale industria dello sport sembra essere immensamente potente. Sfortunatamente, le proteste e le iniziative [...] sono fenomeni marginali nel mondo dello sport contemporaneo e molte persone, anche appassionati di sport, non ne sono informati. Non per questo però sono ininfluenti. In rare occasioni possono fare notizia, come il saluto a pugno chiuso di Tommie Smith e John Carlos o gli Ultras in Egitto contro i governanti e i loro lacchè. Le note critiche al Comitato Olimpico Internazionale (IOC) e alla FIFA sono in aumento. E la rete di club sportivi di base si espande costantemente. Un cambiamento nel mondo dello sport è imminente. È difficile da dire se saremo testimoni di un altro movimento di massa come quello esistito in Europa nei primi anni del Ventesimo secolo, ma non c'è niente di male a puntare in alto. [...]
Come sarebbe un mondo dello sport ideale? Non ci sarebbero più superstar, né contratti da miliardi di dollari, né infinite ore di sport televisivo o modelli di obiettivi da raggiungere per “superuomini” atletici, ecc. Al contrario, gli sport aiuterebbero le persone, fornendoci abilità relazionali, portando il divertimento nella nostra vita di tutti i giorni (non dimentichiamoci delle qualità artistiche e estetiche dello sport) e nutrendo la nostra mente e il nostro corpo. Ci sarebbe un posto per tutti negli sport, non solo per quelli che corrono più veloce, colpiscono più forte e saltano più in alto. I corpi normati saranno storia e il fair play sara il principio guida di tutti, esattamente come dovrebbe essere in generale nella società.
Non c'è bisogno che le persone non interessate inizino ad interessarsi di sport. Ma se qualcuno è interessato allo sport non significa che non possa essere un rivoluzionario. Lo sport è un importante campo di battaglia politico come un altro. Considerando l'importanza che ha nelle vite di molte persone, dovrebbe essere un campo di battaglia politico particolarmente rilevante. Immaginate i messaggi corretti mandati durante gli eventi sportivi invece della propaganda conservatrice e della schifezza commerciale. Sarebbe un grosso beneficio per tutti, che tu voglia guardare l'evento o meno.
L'obiettivo non è diminuire il divertimento dello sport dandogli un bagaglio morale e politico.
L'obiettivo è solo quello di non separare gli sport dai processi di liberazione. Alla fine, il divertimento ne uscirebbe duplicato.

Gabriel Kuhn

traduzione di Carlotta Pedrazzini