|   No Tav 
                  I tanti perché di una lotta 
                  testi del Controsservatorio Valsusa, 
                  di Livio Pepino e di Luca Perino 
                  foto di Luca Perino  
                
                Della più che ventennale 
                  lotta delle popolazioni della Valsusa contro la ferrovia ad 
                  alta velocità ci stiamo occupando fin dagli inizi e con 
                  una certa frequenza. Si tratta di un movimento “di massa”, 
                  multicolore, al cui interno confluiscono componenti politiche 
                  e “non-politiche” tra le più varie.  
                  In questo servizio riferiamo dell'attività del Controsservatorio 
                  Valsusa, un'associazione costituitasi in sostegno alla lotta 
                  No Tav. 
                  E pubblichiamo alcune delle fotografie realizzate da un valligiano, 
                  che per protesta contro le menzogne propalate dai mass-media 
                  si è messo a documentare, dal basso, le molteplici attività 
                  di chi a quel progetto faraonico, assurdo e inquinante, concretamente 
                  e quotidianamente si oppone. 
                  Come spiega lui stesso in un suo scritto. 
                
                Presidiare la 
                  democrazia 
                 
                del Controsservatorio Valsusa  C'è 
                  l'Osservatorio Valsusa, messo in piedi dalle istituzioni. Da 
                  qualche anno vi si contrappone il Controsservatorio Valsusa, 
                  che a partire da una scrupolosa attenzione per la legalità 
                  sviluppa un'intensa e documentata attività di controinformazione 
                  e di denuncia. Pubblichiamo l'appello da cui è nata l'associazione. 
                La vicenda della progettata costruzione della linea ferroviaria 
                  ad alta velocità Torino-Lione ha visto, negli ultimi 
                  mesi, un'offensiva senza precedenti contro il Movimento No Tav 
                  sul piano politico, su quello mediatico e su quello giudiziario. 
                  Ai ripetuti appelli alla razionalità e al confronto (unica 
                  strada utile per attenuare tensioni che hanno ormai raggiunto 
                  e superato il livello di guardia) la politica e le istituzioni 
                  hanno reagito in modo astioso, talora con insulti e false ricostruzioni 
                  della realtà. Alla protesta di un movimento popolare 
                  e democratico profondamente radicato nel territorio e duraturo 
                  nel tempo si sono opposte una delega incondizionata agli apparati 
                  repressivi, la militarizzazione della valle e la criminalizzazione 
                  del Movimento No Tav (a cui vengono disinvoltamente e apoditticamente 
                  attribuiti attentati e sabotaggi la cui matrice è tutta 
                  da accertare). 
                  
                 Mentre in tutti gli altri Paesi interessati è in corso 
                  una riflessione critica sull'utilità e la sostenibilità 
                  economica dell'opera (anche da parte di ambienti liberisti), 
                  in Italia queste doverose analisi sono state rimosse e sostituite 
                  con l'ossessiva ripetizione di luoghi comuni sulla necessità 
                  della nuova linea, sui benefici che la stessa determinerà, 
                  sul (supposto e inesistente) avanzamento dei lavori in altre 
                  realtà territoriali. Alla scelta della politica si è 
                  accodata la maggior parte della stampa, disinteressata a ogni 
                  approfondimento autonomo, concentrata sui soli aspetti scandalistici, 
                  sempre più impegnata nel presentare l'opposizione al 
                  Tav in termini di cronaca nera (enfatizzando anche fatti irrilevanti 
                  e stendendo, per contro, una cortina di silenzio su aggressioni 
                  e danneggiamenti in danno di esponenti o strutture No Tav). 
                  In questo contesto l'intervento giudiziario non si è 
                  limitato alla doverosa (e da nessuno contestata) attività 
                  di indagine e di equilibrata repressione dei reati ma ha assunto 
                  aspetti di diretto coinvolgimento della magistratura nella gestione 
                  dell'ordine pubblico (simboleggiata, in ultimo, dalla presenza 
                  di due pubblici ministeri nel teatro delle operazioni, in evidente 
                  continuum con le forze di polizia il cui operato dovrebbe, anch'esso, 
                  essere oggetto di controllo). Si collocano in tale dimensione 
                  alcune contestazioni abnormi (che hanno finanche evocato, con 
                  effetti dirompenti, i fantasmi del terrorismo), l'uso a piene 
                  mani della custodia cautelare, il ricorso alla tecnica dei processi 
                  “a mezzo stampa”, i ritardi e la prudenza a fronte 
                  di argomentate denunce provenienti dal Movimento No Tav e altro 
                  ancora. 
                  È questo insieme di elementi – e non una inesistente 
                  (pur se da taluno evocata) sottovalutazione della violenza – 
                  che alimenta il conflitto e accresce i rischi di un suo ulteriore 
                  aggravamento. La sopraffazione di un territorio e di una popolazione 
                  non cessa di essere tale se realizzata richiamando, impropriamente, 
                  la legalità, che, al contrario, si fonda sulla giustizia, 
                  sull'eguaglianza e sul rispetto dei principi costituzionali 
                  fondamentali (a cominciare da quelli di tutela dell'ambiente 
                  e della salute e di partecipazione dei cittadini alle scelte 
                  che li riguardano). 
                  L'aggravarsi della situazione, le strumentalizzazioni e le falsificazioni, 
                  l'inasprimento repressivo richiedono una risposta ferma e urgente. 
                  I cittadini devono sapere che cosa sta accadendo in Val Susa 
                  e chi ha a cuore la legalità. Di qui la necessità, 
                  anche a Torino, di un'opera di controinformazione puntuale e 
                  documentata e, in prospettiva, di un controsservatorio permanente 
                  sul punto. In quest'ottica intendiamo muoverci promuovendo in 
                  tempi brevi, unitamente alle realtà cittadine che condividono 
                  la nostra analisi, un dibattito sulle modalità con cui 
                  la questione Tav è affrontata dagli organi di informazione, 
                  un seminario sui caratteri della repressione giudiziaria in 
                  atto e un libro bianco sui principali profili implicati dalla 
                  questione Tav. 
                 Controsservatorio Valsusa 
                  www.controsservatoriovalsusa.org 
                
                Intanto il movimento 
                  è cresciuto 
                 
                del Controsservatorio Valsusa  Ecco 
                  una scheda illustrativa dell'esposto sulla situazione in valle 
                  che il Controsservatorio Valsusa ha presentato al Tribunale 
                  permanente dei Popoli (ex-Tribunale Russell). 
                Nello scorso mese di aprile il Controsservatorio Val Susa e 
                  un folto gruppo di amministratori locali hanno investito il 
                  Tribunale permanente dei popoli della situazione in Val Susa 
                  con richiesta di verificare se nelle questioni relative al TAV 
                  Torino-Lione siano stati rispettati i diritti fondamentali degli 
                  abitanti della valle e della comunità locale ovvero se 
                  vi siano state gravi e sistematiche violazioni di tali diritti. 
                  Di seguito si riportano, in breve, i termini del problema. 
                  La Val Susa collega l'Italia con la Francia mediante ben quattro 
                  valichi alpini ed è situata nella parte 
                  occidentale del Piemonte, a ovest di Torino. Essa comprende 
                  39 Comuni e conta complessivamente, in tutta la sua estensione, 
                  circa 97.000 abitanti. La valle è attualmente attraversata 
                  dalla ferrovia internazionale del Frejus (c.d. linea storica 
                  Torino-Bardonecchia-Modane-Lione), dalla parallela autostrada 
                  A32 (i cui lavori si sono conclusi nel 1994) e da due strade 
                  nazionali, oltre che da strade minori. 
                  Da venticinque anni, quando ancora non era ultimata l'autostrada 
                  che attualmente l'attraversa, essa è minacciata dal progetto 
                  di costruzione di una nuova linea ferroviaria per treni ad alta 
                  velocità/capacità, destinati al trasporto promiscuo 
                  di passeggeri e merci, della lunghezza di 270 chilometri, parte 
                  in territorio italiano e parte in territorio francese, comprensiva 
                  di un traforo di 57 km che dovrebbe bucare le Alpi alla quota 
                  di circa 600 metri. Ad oggi la costruzione del tunnel non è 
                  ancora iniziata ma in Francia sono stati realizzati, tra il 
                  2002 e il 2010, tre cunicoli esplorativi (future discenderie) 
                  mentre in Italia, alla Maddalena di Chiomonte, è iniziato 
                  nel 2012 lo scavo di un tunnel geognostico che dovrebbe essere 
                  ultimato nel giro di cinque anni. 
                  
                  
                 Sin dalla presentazione del primo progetto di nuova linea 
                  ferroviaria si è sviluppata in Val Susa una forte opposizione 
                  con il coinvolgimento massiccio della popolazione, di amministratori 
                  locali, di docenti universitari, di esperti di varie discipline 
                  che hanno evidenziato da subito molteplici aspetti critici. 
                  Le ragioni dell'opposizione riguardavano e riguardano: 
                  a)    l'impatto ambientale e i gravissimi rischi 
                  per la salute degli abitanti derivanti dallo scavo del tunnel 
                  in una montagna ricca di amianto e di uranio e dai relativi 
                  lavori preparatori, con diffusione nell'atmosfera delle polveri 
                  sollevate; 
                  b)    la conclamata inutilità dell'opera, 
                  voluta da grandi gruppi imprenditoriali e bancari, sia per la 
                  sufficienza della ferrovia già esistente (utilizzata 
                  oggi per meno di un quinto delle sue potenzialità) sia 
                  per la caduta verticale del traffico merci e passeggeri sulla 
                  direttrice est-ovest (in diminuzione anche su strada); 
                  c)    lo sperpero di denaro pubblico, ammontando 
                  i costi dell'opera, in base ai preventivi, a 26 miliardi di 
                  euro (in un contesto in cui, nelle grandi opere pubbliche, i 
                  costi finali, nel nostro Paese, superano mediamente di oltre 
                  cinque volte quello preventivato); 
                  d)    il mancato coinvolgimento del territorio, 
                  lo scavalcamento delle istituzioni locali e l'assenza di qualsivoglia 
                  meccanismo di consultazione o di partecipazione dal basso alle 
                  decisioni sia dalla fase iniziale (in cui è decisivo 
                  l'intervento delle popolazioni locali, anche alla luce della 
                  Convenzione di Aarhus del 1998). 
                  Nel corso degli anni il movimento di opposizione è cresciuto 
                  e ha organizzato manifestazioni con una partecipazione plebiscitaria 
                  della popolazione (fino a presenze di 70.000 persone), diventando 
                  un punto di riferimento nazionale e internazionale. A fronte 
                  di ciò i poteri economici interessati e, con essi, la 
                  grande stampa e la maggioranza della politica nazionale e regionale 
                  hanno fatto muro respingendo ogni proposta di reale dialogo 
                  e cercando di trasformare l'opposizione di una popolazione in 
                  problema di ordine pubblico da gestire con forze di polizia 
                  e militari (fino all'utilizzo di reparti dell'esercito già 
                  impiegati in Afghanistan). 
                  Il tema di cui l'esposto investe il Tribunale dei popoli travalica 
                  il caso concreto e pone questioni di evidente rilevanza generale: 
                  dalle crescenti devastazioni ambientali lesive dei diritti fondamentali 
                  dei cittadini attuali e delle generazioni future fino alla drastica 
                  estromissione dalle relative scelte delle popolazioni più 
                  direttamente interessate. Di tali questioni, comprensive del 
                  trasferimento a poteri economici e finanziari nazionali e internazionali 
                  di decisioni di primaria importanza per la vita di intere popolazioni 
                  e/o di quote significative di cittadini, il caso Val Susa è 
                  espressione e simbolo. Molte e crescenti, peraltro, ne sono 
                  le manifestazioni nel mondo e nel nostro Paese, a dimostrazione 
                  della loro centralità e attualità. Si tratta di 
                  situazioni in cui la violazione dei diritti fondamentali di 
                  persone e popolazioni avviene in modo meno brutale di quanto 
                  accaduto in altre vicende prese in esame dal Tribunale, ma che 
                  rappresentano – su scala locale e regionale – la 
                  nuova frontiera dei diritti a fronte di attacchi che mettono 
                  in pericolo lo stesso equilibrio (ecologico e democratico) del 
                  pianeta. 
                 Controsservatorio Valsusa 
                  www.controsservatoriovalsusa.org 
                 
                 
                   Un conflitto 
                  aperto 
                 
                di Livio Pepino  Ci sono segnali di 
                  grave involuzione in ampi settori degli apparati repressivi 
                  e della magistratura torinese. 
                  La denuncia del presidente del Controsservatorio Valsusa. 
                La Val Susa e il movimento di opposizione alla linea ad alta 
                  velocità Torino-Lione stanno diventando sempre più 
                  il crocevia di questioni fondamentali per la nostra democrazia: 
                  il tipo di sviluppo, l'informazione, i processi di partecipazione 
                  alle decisioni politiche ed economiche, il rapporto tra i margini 
                  e le istituzioni centrali, il senso della dialettica tra maggioranza 
                  e minoranze (1) e, da ultimo, anche gli 
                  orientamenti della giurisdizione di fronte al conflitto politico 
                  e sociale. Conviene partire dai fatti. 
                  C'è, in Val Susa, un movimento che dal 1989 si oppone 
                  alla costruzione della linea ferroviaria ad alta velocità 
                  Torino-Lione: una linea della lunghezza complessiva di 270 km, 
                  di cui 57 in galleria, che, in prospettiva, dovrà/dovrebbe 
                  sostituire la linea storica (attualmente utilizzata al 30 per 
                  cento delle potenzialità) correndo a lato di un'autostrada 
                  di recente costruzione (conclusa nel 1994) e di due strade nazionali. 
                  Le ragioni dell'opposizione riguardano la tutela dell'ambiente 
                  e della salute della popolazione (essendo la montagna da scavare 
                  ricca di amianto e di uranio), l'inutilità della nuova 
                  linea in considerazione della caduta verticale degli scambi 
                  di merci sulla direttrice est-ovest, lo spreco di risorse in 
                  periodo di gravissima crisi economica, il carattere autoritario 
                  della decisione di costruire l'opera, avvenuta scavalcando popolazione 
                  e istituzioni locali. Il movimento è profondamente radicato 
                  nel territorio (come avverte qualunque visitatore anche superficiale 
                  e come dimostra la partecipazione di massa ai momenti di mobilitazione), 
                  composito ed eterogeneo al suo interno, egualitario nei processi 
                  decisionali, dotato di grande capacità attrattiva anche 
                  fuori dalla valle. 
                  Per oltre vent'anni il conflitto apertosi in valle è 
                  stato del tutto pacifico e gli episodi di attrito tra il movimento 
                  e le forze dell'ordine sono stati quantitativamente e qualitativamente 
                  ridotti: e ciò anche nei momenti più aspri, come 
                  quelli di Venaus di fine 2005 (avvisaglia di quanto sarebbe 
                  accaduto sei anni dopo alla Maddalena di Chiomonte) (2). 
                  Ma in ultimo lo scenario è cambiato, proprio – 
                  e non casualmente – mentre nell'opinione pubblica e persino 
                  in settori della politica ha cominciato a crescere la consapevolezza 
                  dell'inutilità della nuova linea ferroviaria. Dopo un 
                  lungo periodo in cui il movimento è stato ignorato e 
                  trattato come un'armata Brancaleone composta da folkloristici 
                  montanari fuori dalla storia (moderni Obelix o Asterix) e nonostante 
                  l'atteggiamento di chiusura di tutta la grande stampa, il consenso 
                  nei confronti delle rivendicazioni No TAV si è, infatti, 
                  esteso, nel Paese, sino a toccare – secondo l'ISPO di 
                  Mannheimer per il Corriere della sera all'inizio del 2012 – 
                  il 44 per cento degli italiani. E, col tempo, hanno cominciato 
                  a prodursi significativi cambiamenti anche sulla scena politica: 
                  dopo l'irrompere della posizione nettamente contraria al TAV 
                  del Movimento 5 Stelle (giunto a chiedere una commissione parlamentare 
                  di inchiesta sul punto), sono emerse persino alcune incrinature 
                  all'interno del PD (è dell'8 marzo 2014 la dichiarazione 
                  del presidente della Regione Toscana Enrico Rossi, effettuata 
                  nell'assemblea della Rete dei comitati per la difesa del territorio, 
                  di aver “cambiato idea” sul TAV e di voler “dare 
                  battaglia” per cambiare destinazione ai relativi investimenti) 
                  e della CGIL (il cui congresso provinciale di Torino, lo stesso 
                  8 marzo, ha approvato, con 169 voti contro 82, una mozione in 
                  cui si afferma che «occorre riconsiderare, valutando attentamente 
                  le prospettive dei volumi di movimentazione delle merci in ambito 
                  transnazionale, l'opportunità, la praticabilità 
                  e i relativi costi delle grandi opere previste, a partire dalle 
                  opere costose come la TAV»). 
                  
                Scenari che cambiano 
                È in questo contesto che, nel 2011, lo scenario cambia, 
                  in concomitanza con la decisione di LTF (la società costituita 
                  per la realizzazione dell'opera) di iniziare, alla Maddalena 
                  di Chiomonte, lo scavo di un tunnel geognostico (necessario 
                  per verificare le caratteristiche del terreno su cui si dovrà 
                  realizzare il tunnel di base). Il movimento, come già 
                  sei anni prima a Venaus, costituisce in loco un presidio e occupa 
                  l'area per impedire lo scavo. 
                  Ma la mattina del 27 giugno un esercito di carabinieri e di 
                  agenti di polizia in tenuta antisommossa, con l'ausilio di ruspe 
                  e di altri mezzi da cantiere, procede allo sgombero del presidio 
                  con un intervento particolarmente violento, comprensivo dell'uso 
                  massiccio di gas per vincere l'opposizione e allontanare gli 
                  occupanti. Le tende del presidio vengono distrutte o imbrattate 
                  (vi si troveranno escrementi e urina) e scompaiono oggetti ed 
                  effetti personali degli occupanti. L'altopiano della Maddalena, 
                  sede di un importante sito archeologico e di una cooperativa 
                  di viticultori, viene trasformato in una sorta di base militare, 
                  con doppia recinzione e sorveglianza continua da parte di uomini 
                  armati. L'assessore alla cultura del Comune di Chiomonte (retto 
                  da un'amministrazione di destra favorevole al TAV...) si dimette 
                  tra le lacrime dichiarando: «La polizia si è piazzata 
                  lì, nelle stanze del museo, senza chiedere neppure il 
                  permesso. E lassù nei boschi della Maddalena c'è 
                  una devastazione vergognosa. È troppo». 
                  Il movimento No TAV, la popolazione della valle, gran parte 
                  degli amministratori locali vivono lo sgombero, la violenza 
                  impiegata, gli sfregi subiti come un sopruso e la temperatura 
                  si alza. Il successivo 3 luglio, domenica, circa 70.000 persone 
                  – abitanti della Val Susa e manifestanti giunti da tutta 
                  Italia – danno vita a un grande corteo che si conclude 
                  intorno alla base militare recintata. All'esito della manifestazione 
                  e fino a sera si verificano diffusi e violenti scontri di una 
                  parte dei dimostranti con le forze di polizia. Inizia, così, 
                  un conflitto aspro e apparentemente senza soluzione. Il movimento 
                  non disarma e intensifica le iniziative di disturbo nei confronti 
                  del cantiere al fine di tenere alta la tensione e l'attenzione 
                  dell'opinione pubblica. In occasione di alcune di tali iniziative, 
                  finalizzate a “tagliare le reti”, spezzoni più 
                  o meno ampi di dimostranti lanciano verso il cantiere oggetti, 
                  sassi e fuochi di artificio mentre le forze di polizia rispondono 
                  con gas lacrimogeni talora sparati ad altezza d'uomo (3). 
                  I danni alle persone sono per fortuna limitati: non si segnalano 
                  gravi lesioni a operatori di polizia mentre alcuni manifestanti 
                  colpiti da lacrimogeni riportano ferite con postumi permanenti. 
                  
                La costruzione del nemico 
                A fronte di ciò l'establishment pro TAV si scatena gridando 
                  alla guerra ed evocando, con irresponsabile reiterazione, il 
                  morto. Le forze politiche di governo rinunciano, in modo rigorosamente 
                  bipartisan, a ogni ricerca di dialogo e trasformano il conflitto 
                  in questione esclusiva di ordine pubblico, emanando comunicati 
                  prossimi a bollettini di guerra che criminalizzano l'intero 
                  movimento; il Parlamento vara (nel 2011 e nel 2013) leggi adhoc 
                  con cui il cantiere della Maddalena viene trasformato in «sito 
                  di interesse strategico» (con divieti penalmente sanzionati 
                  finanche di condotte ostruzionistiche, di riproduzione fotografica 
                  e via elencando); il territorio della valle viene militarizzato 
                  nel senso letterale del termine, addiritura con ricorso a forze 
                  armate già impiegate in missioni di guerra all'estero 
                  (4). 
                  A ciò fa da supporto una informazione embedded (assolutamente 
                  prevalente seppur non esclusiva) arruolata dapprima nella attività 
                  di propaganda e, poi, onnipresente partecipe delle operazioni 
                  di ordine pubblico al seguito delle forze di polizia anche dove 
                  è inibito l'accesso a ogni altro (compresi i giornalisti 
                  non accreditati). Strumenti di questa operazione sono, in particolare, 
                  le pagine locali dei grandi quotidiani diffusi in Piemonte (La 
                  Stampa e la Repubblica) e del Tg3, con i relativi siti, sempre 
                  più simili a mattinali della Questura o a uffici stampa 
                  della Procura, talora con manifestazioni grottesche come il 
                  precipitoso ritiro (dai siti) di articoli fuori linea. Inutile 
                  dire che quando, poi, si verificano incendi e attentati in danno 
                  di alcune ditte impegnate, in maggiore o minor misura, nei lavori 
                  per la linea ferroviaria e l'invio di un pacco bomba a un giornalista 
                  de La Stampa, politici e giornali si precipitano ad attribuirne 
                  la responsabilità al movimento No TAV. E ciò, 
                  dimenticando (fingendo di dimenticare) la complessità 
                  di un quadro in cui, pur in presenza di posizioni favorevoli 
                  ad atti di sabotaggio (peraltro limitati alle cose), i principali 
                  siti del movimento hanno respinto ogni coinvolgimento, che le 
                  prevaricazioni mafiose sono in valle una realtà risalente, 
                  che incendi e danneggiamenti toccano da anni presìdi 
                  No TAV e auto o beni di attivisti, che la storia del Paese ci 
                  ha abituati a una moltitudine di attentati simulati, che i gesti 
                  sconsiderati di chi è interessato a pescare nel torbido 
                  o di schegge impazzite di diversa estrazione non sono una novità 
                  (tutte circostanze che renderebbero quantomeno opportuna un 
                  po' di prudenza). È un'ipotesi quasi scolastica di costruzione 
                  del nemico, secondo uno schema ricorrente nella storia, soprattutto 
                  nei momenti di grave crisi economica e sociale, nei quali c'è 
                  bisogno, anche, di diversivi da assumere come bersagli. 
                  Un ruolo significativo in questa operazione ha l'intervento 
                  giudiziario, con effetti di sistema che vanno ben oltre il caso 
                  specifico. Ciò è in parte necessitato ché, 
                  in presenza di scontri e di reati di diversa natura, l'obbligatorietà 
                  dell'azione penale impone di procedere per tutti i reati, in 
                  qualunque contesto commessi: è un principio fondamentale 
                  dello Stato di diritto per garantire legalità e coesione 
                  sociale; di più, il criterio di valutazione di ogni intervento 
                  giudiziario non può essere la convenienza politica di 
                  questa o di quella parte, ma solo la conformità alle 
                  regole e l'attendibilità delle valutazioni effettuate. 
                  Ma non si tratta solo di questo. 
                  L'intervento giudiziario presenta sempre, per definizione, ampi 
                  margini di discrezionalità o di scelta. La gran parte 
                  delle misure cautelari è facoltativa (cioè legata 
                  alla valutazione del caso concreto) e, sempre, la scelta tra 
                  le misure (più o meno afflittive) va effettuata dal giudice 
                  tenendo conto della gravità del fatto e delle caratteristiche 
                  dell'imputato; i confini di molte fattispecie delittuose sono 
                  incerti e labili; le pene previste per i reati variano da un 
                  minimo a un massimo, spesso con una forbice assai ampia (5); 
                  esistono attenuanti e cause di esclusione della punibilità 
                  legate a valutazioni che è il giudice a dover formulare 
                  sulla base dei princìpi generali dell'ordinamento e via 
                  seguitando. La stessa interpretazione delle norme, lungi dall'essere 
                  un sillogismo formalistico simile a un gioco enigmistico, è 
                  un'operazione che implica giudizi di valore, bilanciamento di 
                  princìpi, opzioni culturali. Il riferimento alla discrezionalità 
                  sta a significare che i provvedimenti assunti e le interpretazioni 
                  adottate o le scelte operate nell'ambito di una pluralità 
                  di opzioni (talora, sul piano strettamente tecnico, ugualmente 
                  attendibili) conferiscono all'intervento giudiziario complessivamente 
                  considerato segni assai diversi. Lo ha scritto cinquant'anni 
                  fa, con la consueta acutezza, Achille Battaglia come premessa 
                  all'analisi del ruolo della giustizia nel difficile passaggio 
                  dalla caduta del fascismo alla attuazione della Costituzione:
                 
                   «Per comprendere veramente che cosa accada in una 
                    società durante un periodo di crisi poco giova l'esame 
                    delle sue leggi, e molto di più quello delle sue sentenze. 
                    Le leggi emanate in questi periodi ci dicono chiaramente quali 
                    siano state le volontà del ceto politico dirigente, 
                    i fini che esso si proponeva di raggiungere, le sue aspirazioni 
                    e le sue velleità. Le sentenze ci dicono anche quale 
                    sia stata la sua forza, o la sua capacità politica, 
                    e in che modo la società abbia accolto la sua azione, 
                    o abbia resistito» (6). 
                 
                 Orbene, è parso ad alcuni giuristi – non molti, 
                  in verità, avendo i più preferito un prudente 
                  silenzio – che, nell'esercizio della descritta discrezionalità, 
                  l'autorità giudiziaria torinese abbia impresso al proprio 
                  intervento in tema di TAV un carattere di diretta tutela dell'ordine 
                  pubblico, con significative sottovalutazioni del ruolo di garanzia 
                  che compete alla giurisdizione. Ne sono seguite critiche che 
                  hanno provocato nell'establishment giudiziario, politico e giornalistico 
                  delle reazioni spropositate e sopra le righe, quando non grottesche. 
                  È accaduto finanche che la competente Commissione della 
                  Corte d'appello di Torino abbia revocato l'autorizzazione, inizialmente 
                  concessa, all'uso di un'aula del Palazzo di giustizia per un 
                  convegno di studio, organizzato dall'Associazione giuristi democratici 
                  e rivolto prevalentemente agli avvocati, dedicato a «Conflitto 
                  sociale, ordine pubblico, giurisdizione: il caso TAV e il concorso 
                  di persone nel reato» (7), con la 
                  partecipazione di docenti universitari, magistrati, avvocati 
                  e operatori di polizia. 
                  Tali reazioni dimostrano la fondatezza delle preoccupazioni 
                  di chi vede segnali di grave involuzione in ampi settori degli 
                  apparati repressivi e della magistratura torinese. Per questo 
                  il Controsservatorio Val Susa – coerentemente con le sue 
                  finalità di controinformazione – ha ritenuto di 
                  inaugurare la propria collana di quaderni di documentazione 
                  con questo volume dedicato all'intervento repressivo in Val 
                  Susa. In esso l'analisi dei vari profili che caratterizzano 
                  gli interventi istituzionali è accompagnata dalla pubblicazione 
                  di materiali giudiziari, per lo più inediti, utili a 
                  dare tutti la percezione diretta del segno e delle caratteristiche 
                  degli stessi. 
                 Livio Pepino 
                 Tratto dal primo quaderno del Controsservatorio Valsusa 
                  Come si reprime un movimento: il caso Tav. 
                  
                
                   
                  Note 
                 
                  - Illuminanti, in proposito, le considerazioni di G. Zagrebelsky 
                    in Imparare democrazia (Einaudi, Torino, 2007): «La 
                    ragione d'essere e di operare delle minoranze è la 
                    sfida alla bontà della deliberazione presa, nell'aspettativa 
                    di prenderne un'altra diversa. Per questo, ogni deliberazione 
                    in cui una maggioranza sopravanza numericamente una minoranza 
                    non è una vittoria della prima e una sconfitta della 
                    seconda. È invece una provvisoria prevalenza che assegna 
                    un duplice onere: alla maggioranza di dimostrare poi, nel 
                    tempo a venire, la validità della sua decisione; alla 
                    minoranza, di insistere per far valere ragioni migliori. Ond'è 
                    che nessuna votazione, in democrazia (salvo quelle riguardanti 
                    le regole costitutive o costituzionali della democrazia stessa) 
                    chiude definitivamente una partita. Entrambe attendono e, 
                    al tempo stesso, precostituiscono il terreno per la sfida 
                    di ritorno tra le buone ragioni che possano essere accampate. 
                    [...] La massima: voxpopuli, vox dei è soltanto la 
                    legittimazione della violenza che i più esercitano 
                    sui meno numerosi. Essa solo apparentemente è democratica, 
                    poiché nega la libertà di chi è minoranza, 
                    la cui opinione, per opposizione, potrebbe dirsi vox diaboli 
                    e dunque meritevole di essere schiacciata per non risollevarsi 
                    più. Questa sarebbe semmai democrazia assolutistica 
                    o terroristica, non democrazia basata sulla libertà 
                    di tutti» 
                  
 - Il riferimento è all'intervento delle 
                  forze di polizia, la notte del 6 dicembre, per sgombrare un 
                  presidio organizzato dal movimento a Venaus per ostacolare dei 
                  sondaggi del terreno ivi programmati. L'intervento fu particolarmente 
                  brutale con quindici presidianti feriti (alcuni dei quali con 
                  lesioni serie) e distruzione delle tende. Scriverà, sul 
                  punto, il giudice per le indagini preliminari di Torino nel 
                  decreto di archiviazione 16 giugno 2009 (infra, p. 80 ss.) che 
                  «numerosi fatti costituenti i reati di lesioni personali 
                  volontarie (talora concorrenti con il delitto di violenza privata) 
                  e percosse sono stati perpetrati da operatori di polizia. Ciò 
                  risulta incontestabilmente dalla descrizione fornita dai manifestanti 
                  riscontrata dalle certificazioni mediche: infatti tra le 21 
                  persone che hanno presentato querela [...] e gli altri 
                  14 manifestanti identificati [...] ben 18 (la metà) 
                  risultano essersi recati in ospedale per ricevere cure ([...mentre] 
                  tutti gli agenti ai quali sono stati rilasciati i certificati 
                  medici allegati all'annotazione DIGOS Questura Torino – 
                  con cui sono stati trasmessi gli atti relativi allo sgombero 
                  del cantiere TAV di Venaus del 6 dicembre 2005 – risultano 
                  essere stati feriti in altre circostanze») e addirittura 
                  23 di essi riferiscono specificamente [...] di essere stati 
                  percossi dagli agenti, senza ragione, con manganellate, anche 
                  ripetutamente». Nei giorni successivi la valle si fermò 
                  e l'8 dicembre un corteo di 40.000 persone, partito da Susa 
                  sotto la neve, aggirò gli sbarramenti, arrivò 
                  a Venaus, abbattè le reti di recinzione installate dopo 
                  l'intervento della polizia e rioccupò l'area del cantiere. 
                  Interessante segnalare che i seguiti giudiziari furono pressoché 
                  inesistenti. Ci fu quasi l'impressione di una tacita compensazione 
                  tra l'impunità assicurata agli autori dei pestaggi di 
                  Venaus (di non impossibile identificazione) e l'inerzia nei 
                  confronti dei No TAV per le occupazioni e i danneggiamenti. 
                  Ma la vicenda lasciò il segno: da un lato rinsaldando 
                  il rapporto tra le diverse componenti (dai sindaci ai valligiani, 
                  dai centri sociali di Avigliana e Torino agli ambientalisti), 
                  dall'altro provocando sfiducia e diffidenza nei confronti delle 
                  istituzioni centrali e regionali e delle forze di polizia.
                  
 - La circostanza, attestata da numerosi articoli 
                  e filmati, risulta, in modo indiretto ma univoco, dalla stessa 
                  motivazione della misura cautelare 20 gennaio 2012 GIP Torino, 
                  in cui si legge: «Su via dell'Avanà, un grosso 
                  gazebo con scheletro metallico e tendaggi di colore bianco, 
                  veniva ribaltato a terra e utilizzato da decine di soggetti 
                  come scudo per avanzare verso lo sbarramento delle forze dell'ordine, 
                  riparandosi così dal lancio dei lacrimogeni» (vds. 
                  infra, p. 113).
                  
 - È del 1 novembre 2013 l'intervista 
                  rilasciata al quotidiano La Stampa dal generale Claudio Graziano, 
                  capo di stato maggiore dell'Esercito, per annunciare l'invio 
                  nel cantiere di Chiomonte di ulteriori «quattrocento soldati 
                  [...] tutti uomini di grande esperienza, che hanno prestato 
                  servizio all'estero, in Afghanistan, in altri scenari internazionali, 
                  alle prese con situazioni complesse e delicate».
                  
 - Basti segnalare, a mo' di esempio, che per 
                  il delitto di violenza a pubblico ufficiale la pena prevista 
                  dagli articoli 336 e 339 del codice penale varia da un minimo 
                  di quattro mesi (con la concessione delle attenuanti generiche) 
                  a un massimo di 15 anni (tenuto conto della aggravante della 
                  commissione del fatto in più di dieci persone riunite)...
                  
 - A. Battaglia, I giudici e la politica, Laterza, Bari, 
                    1962, p. 3. 
                  
 - Il convegno si è poi svolto, con 
                  grande partecipazione di pubblico, il 2 dicembre 2013 alla Galleria 
                  d'arte moderna di Torino e i relativi atti sono in corso di 
                  pubblicazione presso l'editore Giappichelli. Non è inutile 
                  segnalare che la gravità dell'intervento censorio dei 
                  vertici degli uffici giudiziari torinesi è stata sottolineata 
                  da centinaia di giuristi che hanno sottoscritto un documento 
                  in cui, tra l'altro, si legge: «La decisione ha dell'incredibile 
                  ché nessun intervento censorio di questo tipo risulta 
                  essere intervenuto dagli anni Settanta ad oggi. E ancor più 
                  indigna il fatto che ciò sia avvenuto con riferimento 
                  a un tema di grande rilevanza pubblica e in polemica con una 
                  associazione forense di solide e radicate tradizioni democratiche. 
                  In un assetto costituzionale in cui la giustizia è amministrata 
                  in nome del popolo i palazzi di giustizia sono per definizione 
                  la casa di tutti e non il fortilizio di alcuni. È assai 
                  grave che ciò sfugga ai vertici della giustizia torinese. 
                  La democrazia – per usare una felice espressione di Norberto 
                  Bobbio – «è il governo del potere pubblico 
                  in pubblico». È sorprendente che ciò venga 
                  ignorato da chi esercita la giurisdizione, che proprio dal dibattito 
                  e dal controllo pubblico trae alimento e credibilità. 
                  È una brutta pagina per Torino e per la giustizia. Come 
                  cittadini e come giuristi riteniamo doveroso denunciarlo pubblicamente 
                  auspicando che essa non passi sotto silenzio ma veda, al contrario, 
                  la ferma protesta di tutti i democratici».
  
                 
                  
                 Le 
                  mie fotografie contro la Menzogna 
                   
                  di Luca Perino 
                   
                  Un valligiano racconta perchè e in che modo ha saputo 
                  tradurre la propria rabbia per le continue bugie raccontate 
                  dai mass-media sulle lotte NoTav in una documentazione a tappeto, 
                  dal basso, delle azioni di chi a quel progetto si oppone. Quotidianamente. 
                  
                Sono ormai 5 anni che, in veste di fotografo freelance, seguo 
                  in modo costante il movimento NoTav e la galassia di movimenti, 
                  associazioni e semplici cittadini che si ribellano alla costruzione 
                  della linea ferroviaria ad alta Velocità Torino Lione. 
                  La molla che mi ha portato, nel tempo, alla realizzazione di 
                  alcune centinaia di reportage fotografici di cronaca è 
                  stata l'assoluta mancanza di verità oggettiva nelle notizie 
                  riportate dai maggiori mezzi di comunicazione mainstream nei 
                  riguardi dell'opposizione al Tav. Giornali e telegiornali hanno 
                  sempre evitato accuratamente di spiegare le motivazioni che 
                  hanno portato una valle intera a ribellarsi alle decisioni dei 
                  governi che si sono succeduti, mostrando unicamente immagini 
                  di violenti scontri con la polizia e prendendo sovente a prestito 
                  immagini di repertorio, talvolta anche riferite ad eventi non 
                  correlati con la notizia che stavano raccontando. 
                  Ho quindi sentito l'esigenza di impegnarmi in prima persona 
                  per tentare di ribaltare questa situazione trasformando, all'occorrenza, 
                  il mio hobby per la fotografia in un vero e proprio lavoro di 
                  fotoreporter. 
                  
                 La mia idea è quindi stata quella di colmare il vuoto 
                  della comunicazione con “fotoracconti”, ossia reportage 
                  minuziosi che seguissero tutte le fasi delle manifestazioni 
                  e degli eventi in un susseguirsi di fotografie che alla fine 
                  potessero dare l'impressione, anche a chi non era presente, 
                  di aver partecipato all'evento. Donne e bambini, giovani e anziani, 
                  passeggini e stampelle, tutti insieme con ogni mezzo disponibile 
                  per sfilare sotto le bandiere NoTav. 10, 20, 50 mila persone 
                  col sole, con la pioggia o con la neve, di giorno e di notte, 
                  per strade o sentieri, sempre in marcia per ribadire la propria 
                  contrarietà al progetto. Tutto questo e molto altro è 
                  ciò che ho provato a raccontare. Una goccia d'acqua nel 
                  mare dell'informazione che, grazie alla diffusione di internet, 
                  mi ha portato a pubblicare più di 13 mila fotografie 
                  e superare i 16 milioni di click con pubblicazioni su siti internet 
                  e riviste in diverse parti del mondo.  
                Luca Perino 
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