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                 La sensorialità del cibo 
                  
                testo e foto di Yuri Bussi 
                    
                Non servono grandi scoperte per salvare il mondo dalla fame, ma “piccoli” saperi e tanta resilienza. Attraverso il viaggio è possibile sfatare i dogmi sul consumo e sulla produzione di cibo, riscoprendo pluralità, sostenibilità e tecniche pratico-manuali. Per un sistema alimentare alternativo, contrario all'omologazione e all'uniformità.               
                  
                  Intere identità culturali si sono formate dalle necessità 
                  e dalle scelte ancestrali di addomesticamento della natura. 
                  Viaggiando si è portati a chiedersi molte cose, a scoprire 
                  a ritroso la propria cultura, a scoprire quei gesti che imbandiscono 
                  la propria tavola, e a sfatare miti cui si era fino un attimo 
                  prima portati a pensare come naturali o logici. 
                  Viaggiando talvolta s'impara anche a mangiare meno per risparmiare 
                  o a rimanere senza cibo, s'impara ad astenersi dai dolci per 
                  riprendersi prima da un infortunio o a fare economici antibiotici 
                  naturali. 
                  S'impara ad essere in grado di preparare qualcosa e sopratutto 
                  a portare la propria etica ovunque. È dalle differenze 
                  ed i limiti che s'incontrano, che si scopre e si potenziano 
                  la propria consapevolezza e le proprie azioni. 
                  Nella nostra vita, anche se è relativamente possibile 
                  non viaggiare, sicuramente è impossibile viaggiare senza 
                  mangiare. 
                  Il cibo è una chiave dalle infinite potenzialità 
                  di lettura per il viaggio, dato che oltre ai viaggiatori viaggiano 
                  anche i colonizzatori, i pastori nomadi, le multinazionali, 
                  i rifugiati, i turisti e i lavoratori. Le modalità, le 
                  mete, le possibilità insomma di un viaggio possono persino 
                  dipendere dal cibo, dalla cultura e dalla salute del viaggiatore. 
                  Letteralmente e metaforicamente, in viaggio si può scegliere 
                  di ricercare i propri sapori natali o di scoprirne di nuovi. 
                  Il cibo ricopre l'infinito ambito degli affetti, dei vizi, della 
                  spiritualità, dell'etica, dell'economia e delle relazioni 
                  della persona. 
                  Ogni persona crede di avere limiti personali e ambientali che 
                  spesso il viaggio svela essere solo regole sociali accettate 
                  inconsapevolmente, ma naturalmente inesistenti. 
                  Viaggiare nelle aree rurali, per esempio, permette di scoprire 
                  le azioni quotidiane che danno accesso alla comprensione di 
                  culture lontane ed ancestrali, ma anche di azioni perpetuate 
                  nel proprio territorio di cui si ignorava l'esistenza. 
                  Cucinare in cucine altre permette di risalire a regole 
                  e strutture altrimenti difficilmente svelabili. Ecco perché 
                  si può viaggiare anche “senza farlo”. 
                  Paradossalmente la maggior parte del cibo che viaggia industrialmente 
                  da una parte all'altra del mondo per servire sapori standardizzati 
                  non si sta muovendo più da un pezzo. 
                  Lo dice il corpo stesso che non metabolizza le farine industriali 
                  e non trova utili le sostanze uscite da formule di laboratorio. 
                  Viaggia invece, non “per” ma “con” noi, 
                  con le persone, il cibo che determina la nostra vita sociale, 
                  la nostra composizione biologica, e che viene scelto con i sensi, 
                  nella relazione col produttore, nell'applicazione di tecniche 
                  a regole d'arte e di nuove sperimentazioni e scoperte, non tecnico-scientifiche, 
                  ma pratico-manuali. 
                  Il viaggio rende evidenti realtà spesso scomode, porta 
                  a trovarsi in ricchissimi paradisi naturali dove c'è 
                  “inspiegabilmente” la fame mentre si sprofonda nell'obesità 
                  dove la natura è pressoché scomparsa. 
                   Non 
                  servono grandi scoperte per salvare il mondo dalla fame, anzi, 
                  servono “piccoli” saperi, tanta resilienza e un 
                  grande amore da diffondere nelle proprie comunità. 
                  Il cibo è vita, la vita movimento. 
                  E appunto, più che il cibo è un diritto... diritto 
                  al cibo! 
				Giungla guatemalteca 
                N. è stato mio nonno nella giungla, ho lavorato a stretto 
                  contatto con lui per un intero mese in una Comunità di 
                  rifugiati. Sta imparando a suonare la chitarra, ha il vaccino 
                  per ogni religione dato che nessuna lo ha mai convinto, crede 
                  solo nelle tradizioni ancestrali. Nella sua vita si è 
                  trovato a combattere più volte; alla sua tenera età, 
                  ha la fama di essere il più grande lavoratore della zona. 
                  L'ho visto salire su alberi alti 100 metri e portare tronchi 
                  che a malapena i ragazzi del luogo sarebbero riusciti a portare. 
                  La foto è fatta nella pausa pranzo mentre caricavamo 
                  le taniche, che una volta erano di benzina, d'acqua. La carica 
                  sulla fronte come lì si carica tutto, del resto. Intanto 
                  mangia canna da zucchero, sulla riva del fiume si vede in netto 
                  contrasto un sacchetto di sapone industriale, usato per lavare 
                  i panni nel fiume. In questo momento, uno dei suoi figli sta 
                  sicuramente girando a cavallo per la giungla con una maglietta “Made in Jail” fatta a Rebibbia che gli ho lasciato 
                  perché ne andava pazzo. Sulla maglietta oltre a una bandiera 
                  dei pirati c'è scritto: “La libertà è 
                  sempre un buon bottino”. 
				Livingstone, Guatemala 
                 M. 
                  è un pescatore Garifona che vive a Livingstone sulla 
                  costa Caraibica Guatemalteca. Ci sono arrivato attraversando 
                  tutto il Guatemala con altri 12 compagni ammucchiato su un furgone 
                  del KQDA (Kollettivo Che Da Allegria) con cui ho fatto corsi 
                  di Teatro degli Oppressi in tutto il paese. Questa comunità 
                  Garifona ha una lunga storia d'indipendenza e pirateria e ad 
                  oggi non v'è altro mezzo che la barca per raggiungerla. 
                  L'amico di M., personaggio simpaticissimo che sprizza allegria 
                  da tutte le parti, è stato per 4 anni a Fidenza (Parma), 
                  ma ad ogni domanda sul periodo passato là si intristisce 
                  e mi risponde che non vuole parlarne e non vuole saperne più 
                  niente. Anche quando gli chiedo di raccontarmi le storie di 
                  pirati dice che è meglio non ricordarsi il tempo che 
                  è stato. 
                   
                  Nella nostra vita, anche se è relativamente possibile 
                  non viaggiare, sicuramente è impossibile viaggiare senza 
                  mangiare. 
                  Mangia a malapena chi fa la fame attraversando un deserto ostile 
                  e sconosciuto, mangia il ricco manager che si sposta da un hotel 
                  all'altro. 
                  La vera ricchezza del viaggio sta però nel sapersi fermare 
                  ad osservare, ad imparare i nomi dei cibi gia conosciuti e a 
                  scoprire quelli nuovi, ad assorbire i piccoli e semplici (solo 
                  in apparenza) gesti che strutturano la routine quotidiana e 
                  a maneggiare le azioni più raffinate, gesti attraverso 
                  cui emergono universi culturali e tutte quelle necessità 
                  e scelte ancestrali di addomesticamento della natura. 
                  Al mondo ci sono centinaia di insetti e rettili commestibili, 
                  cibi impensabili fra una cultura e l'altra ed infiniti sono 
                  i modi di trattare gli ingredienti, sempre a ragione. Si è 
                  portati ad identificarsi fortemente con le poche colture ed 
                  allevamenti che nella storia i propri antenati hanno scelto 
                  per ragioni d'efficienza al punto che se ne teorizza in modo 
                  articolato la loro superiorità; il viaggio sfata inevitabilmente 
                  tutti questi dogmi essendo il mondo infinitamente variegato 
                  sotto ogni punto di vista. 
                  Come il guscio di una lumaca, nel viaggio ci si porta tutto 
                  quello che si è acquisito, ci si può trovare cosi 
                  ad inventare un nuovo tipo di pizza in mezzo ad una giungla 
                  o a preparare per il proprio coinquilino, una penicillina col 
                  mais nell'appartamento di un grattacielo nel bel mezzo di una 
                  grande metropoli. 
                  Se si è viaggiato veramente non si torna mai da dove 
                  si è venuti perché quando si torna cambia il proprio 
                  orto, la propria tavola, le proprie possibilità d'interagire 
                  con le persone, il proprio corpo, cambia il modo stesso di vedere 
                  le cose. 
                  
                 Certo ciò non è necessario e potrebbe apparire 
                  quasi controproducente visto che oggi si perdono i saperi, invece 
                  forse è un ottimo modo per riacquistarli e, per giunta, 
                  per arricchirli. 
                  Quante volte a distanza di pochi chilometri vengono coltivati 
                  gli stessi differenti prodotti da sempre? 
                  Chi ha detto che non si può viaggiare stando a casa propria? 
                  Ma sopratutto chi ha detto che non bisogna arricchire la propria 
                  tradizione? 
                  Le vie del cibo sono infinite e come si dice: l'appetito vien 
                  mangiando. 
                  
				Kovie Kopee, Kpallime, Togo 
                Dopo esser stato ricevuto dal Capo di un piccolo villaggio 
                  sulle montagne ed aver ottenuto il suo permesso per sostenere 
                  il loro progetto (pieno di arzilli giovani ragazze e ragazzi 
                  che nel tempo libero lavorano per la propria Comunità), 
                  l'anziano ha preso una bottiglia di Sodabi (chiamato anche Togogin), 
                  un distillato di palma, e ne ha versato un bicchiere per terra 
                  per ringraziare la terra e dare il mio benvenuto. Lui per primo, 
                  abbiamo tutti bevuto un bicchiere a testa. È una tradizione 
                  degli animisti locali per dare il benvenuto e portare fortuna. 
                  Dopo un'intensa mattinata di lavoro nella foresta ci siamo fermati 
                  per una pausa, ritrovando le energie e scambiandoci battute 
                  masticando la noce di cola (potente afrodisiaco usato anche 
                  come dote per il matrimonio). Durante il lavoro abbiamo trovato 
                  queste cinque lumache di due qualità diverse che mi sono 
                  state lasciate. Arrivato a casa la Maman che mi ospita (che 
                  non è solo una mamma ma anche un riferimento per tutta 
                  la comunità) ne era contentissima. 
                  
                ParadoMEssiCO 
                Il Messico, come ogni altro paese, offre una vasta gamma di 
                  originali paradossi. 
                  Infiltrato in un'area di conflitto dove erano appena stati fucilati 
                  dei contadini in pausa pranzo con ancora il proprio cibo fra 
                  le mani (colpevoli di aver cacciato dal proprio paese narcos 
                  e soldati), scoprii che al grido dei rivoluzionari “Ya 
                  Basta” corrispondeva anche il nome di una rivista del 
                  partito di governo... 
                  Ormai quotidianamente, dietro ogni certezza nazionale, rivoluzionaria, 
                  storica, identitaria, di lotta, andava rivoltato sempre tutto 
                  per ritrovare qualcosa di reale. 
                  Per fortuna in Messico non giacevano le mie ultime speranze, 
                  se no sarei rimasto probabilmente senza. 
                  
                  
				 Alla fine poco c'era da stupirsi quando vicino a una fabbrica 
                  della Coca Cola, dove le falde acquifere son state devastate 
                  dalla stessa, le bottiglie di Coca Cola venivano offerte ai 
                  morti il primo novembre ed avevano rubato il posto alle bevande 
                  sacre nei riti religiosi. 
                  D'altronde, se in giro per il mondo per il giorno dei morti 
                  ho sempre visto offrire bevande, cibo e balli nei cimiteri, 
                  da dove vengo si crea invece un traffico infinito di vecchiette 
                  truccate che odorano di chiesa e vanno a depositare finti e 
                  costosi fiori di cui poi vantano la spesa. 
                  Se le nuove chiese sono i centri commerciali, la Coca Cola (usata 
                  come medicina da veterinari e padri di famiglia in ogni angolo 
                  del mondo), è vino ed è pure acqua santa. 
				 Lake 
                  Macquarie, Australia  
                In Australia è in atto un piano che prevede l'uccisione 
                  di milioni di Canguri. Tante le tesi a sostegno di questa cosa: 
                  da “è un piano economicamente sostenibile e darà 
                  lavoro” alle leggende che “i Kangaroos sono troppi 
                  e vanno abbattuti per forza di cose”. La verità 
                  sicuramente è che i Canguri diventano crocchette per 
                  i nostri cani in Europa, vengono vendute le pelli e in Australia 
                  è una delle carni più economiche (ricordo al supermercato 
                  che, rispetto i prezzi inaccessibili delle altre carni per me 
                  giovane immigrato, gli hamburger di Kangaroo costavano solo 
                  1 dollaro l'uno!!). 
                  Uccidere i Canguri, un lavoro anche per tanti giovani immigrati 
                  che arrivano a migliaia ogni anno anche dal Belpaese (l'Australia 
                  fa i conti anche su di loro, ha un piano sistematico per tutto), 
                  spesso sottopagati e sfruttati. I canguri si uccidono sparando, 
                  ma per risparmiare colpi i piccoli vengono estratti dalla sacca 
                  e gli si può economicamente spaccare la testa con il 
                  calcio dello stivale. Ovviamente centinaia di organizzazioni 
                  sono attive per contrastare la cosa: in primis gli aborigeni, 
                  e cosi via le associazioni australiane ed internazionali. 
                  La foto è scattata nell'intorno di Morriset, un piccolo 
                  paese nel cui bosco vi è un ospedale psichiatrico letteralmente 
                  circondato da simpatiche bande di canguri in libertà. 
				 Il 
                  3 dei Saharawi  
                Verso la fine dell'800 è stato introdotto il tè, 
                  oggi rituale diffusissimo, ne vengono offerti tre per volta: 
                  il primo amaro come la vita, il secondo dolce come l'amore ed 
                  il terzo soave come la morte. 
                  Il numero tre torna spesso nella cultura popolare Saharawi. 
                  Tre sono le cose in cui l'uomo non deve riporre la fiducia: 
                  il tempo, la monarchia e le donne. 
                  Tre, dicono loro, come le cose che allontanano la tristezza: 
                  l'acqua, il verde ed il sorriso. 
                   
                  Nella nostra vita, anche se è relativamente possibile 
                  non viaggiare, sicuramente è impossibile viaggiare senza 
                  mangiare. 
                  Si puo viaggiare ricercando i propri sapori (rimanendo spesso 
                  delusi, a meno che per propri sapori non s'intendano quelli 
                  internazionalmente standarizzati) o spogliandosi dei propri 
                  abiti mentali alla ricerca di nuovi sapori. 
                  È buffo per un viaggiatore scoprire d'essere cresciuto 
                  “naturalmente” in una fitta rete di regole raffinatamente 
                  strutturate che regolano azioni storicamente e mondialmente 
                  accettabilissime e, anzi, spesso sane. 
                  Nonostante più della metà della popolazione mondiale 
                  sia stata “deportata” nelle città, la vita 
                  contadina continua a “dominare” il mondo. Quanti 
                  paradossi. 
                  Proprio laddove è tutto regolamentato e si viene decimati 
                  da tumori e malattie (che altrove non esistono) si vanta la 
                  presunta libertà storica e senza precedenti di poter 
                  mangiare nonostante non sia mai esistita tale trama di restrizioni 
                  di pratiche naturali represse anche in maniera coatta, è 
                  cosi divenuto illegale vendere verdure genuine che però 
                  non rispettano le dimensione imposte dal mercato internazionale, 
                  è divenuto illegale avere una gallina, preparare una 
                  bistecca, fare il liquore, e addirittura: cucinare. 
                  Mentre le vacche spariscono da interi territorio ne appaiono 
                  di artificiali che dispensano il latte. 
                  Gli adulti riprendono paternalmente quei bambini che credono 
                  che il latte venga dal supermercato insieme alle merendine, 
                  gli stessi adulti però non sanno piu come ricavare il 
                  seme di una pianta che coltivano in casa propria. 
                  Ci si ritrova cosi a socializzare con gli amici nei centri commerciali 
                  e si vive in quartieri privi di una propria economia domestica 
                  e di interazioni che legano le persone al cibo. 
                  Si sceglie un prodotto guardandone il prezzo, senza doverlo 
                  toccare e senza conoscerne il produttore. 
                  Si va alle feste dedicate al cibo e si visitano i musei dove 
                  si “conservano” le spoglie della propria cultura. 
                  
                 Quando si viaggia, sopratutto nel sud del mondo (che non è 
                  geografico come si crede), capita di incontrare persone che 
                  per interagire chiedono cosa si coltivi dal posto da cui si 
                  viene. 
                  Molti viaggiatori forse non sanno rispondere, ma almeno saranno 
                  incentivati ad interessarsene al proprio ritorno. In viaggio 
                  si possono incontrare persone particolarmente semplici in grado 
                  si svelare chiaramente meccanismi di dominio internazionale, 
                  oppure può capitare di conoscere persone di alte classi 
                  sociali che nel proprio paese non sarebbe possibile conoscere 
                  se non attraverso i mezzi di comunicazione. 
                  Dalle agende politiche e dalle richieste popolari sono spariti 
                  temi che avevano impreniato la storia di interi territori, come 
                  ad esempio la riforma agraria, e che a quanto mi risulta non 
                  sono mai stati né risolti né veramente affrontati. 
                  Viaggiando si rompe quella noiosa retorica caritatevole della 
                  povertà e la ricchezza, della fame e dell'abbondanza, 
                  costruendosi un'idea più articolata e più reale 
                  dei processi storici e culturali, e quindi si moltiplica la 
                  capacità di articolare le proprie azioni. 
				Bangkok, Thailand 
                 Lavorando 
                  a casa di una delle prime comunarde occupanti della Rainforest 
                  Australiana m'innamorai del machete thailandese e presi l'abitudine 
                  di docciarmi gettandomi gelide secchiate d'acqua sotto il sole. 
                  Il caso voleva che alcuni mesi prima avessi deciso di usare 
                  i miei risparmi per andare a lavorare gratis nella giungla thailandese 
                  proprio in quel periodo. A malincuore lasciai la foresta e volai 
                  a Bangkok accompagnato da una bella febbre. Decisi di dormire 
                  una notte in un ostello. Appena arrivato il proprietario mi 
                  avvertì degli scontri lì vicino, intimandomi di 
                  non mettervi piede. Posai lo zaino e arrivai giusto in tempo 
                  per vedere gli ultimi scontri in mezzo al fumo. Entrai nelle 
                  barricate e trovai ad attendermi una stupenda composizione di 
                  fiori e scudi della polizia. Una signora dietro una bancarella 
                  che vendeva cibo mi chiamò, scambiammo un pò di 
                  impressioni in francese, poi mi invitò a mangiare ed 
                  io accettai dicendo che era giusto quello di cui avevo bisogno. 
                  Tra i clienti in fila notai attivisti stranieri e barboni. Le 
                  tazze e le posate avevano lo stesso odore che ha un cane non 
                  pulito quando è bagnato. “Mi toccherà un 
                  pò di diarrea” pensai “tanto era in programma” 
                  (invece non fu così!). Mangiai un ottimo riso e del buon 
                  peperoncino mi fece sbloccare le narici. Ringraziai la donna 
                  e feci per pagare, quasi si offese, era assolutamente gratis 
                  ma non si poteva fare il bis. Le feci allora i miei complimenti 
                  per quel cibo che era squisito ma lei insistette “No eh! 
                  Se vieni a casa mia vedrai che son davvero brava a cucinare 
                  ma questo non è buono, questo è per tutti! Non 
                  posso fare del mio meglio quando cucino per tutti”. Me 
                  ne andai dicendole che “il mio primo pasto Thai non poteva 
                  essere migliore”. Il giorno seguente mi diressi nella 
                  giungla. 
                  Lo stesso anno avevo già festeggiato il capodanno gregoriano 
                  e quello cinese, lasciai la Thailandia il quinto giorni di festeggiamenti 
                  del suo capodanno...il terzo nel giro di 4 mesi!! Un vero e 
                  proprio festival dell'acqua dove ognuno tira secchiate e pistolate 
                  d'acqua e segna le persone con la calce!! 
                  Durante la mia permanenza in Thailandia passai due settimane 
                  in una zona dove non piove più da 30 anni ossia da quando 
                  è stata venduta la foresta considerata come legno da 
                  vendere. Uno scenario veramente desolante che mi mise in contatto 
                  con l'elemento dell'acqua anche durante due evacuazioni per 
                  incendio. Durante i festeggiamenti vedere così tanta 
                  acqua gettata per gioco mi fece riflettere, giocai e storsi 
                  il naso allo stesso tempo. Alla fine niente in paragone ai templi 
                  dell'acqua/parchi divertimento che sorgono con appalti mafiosi 
                  qui da noi. Una secchiata d'acqua è infinitamente più 
                  bella di uno scivolo di 30 metri. 
                   Qualche 
                  mese dopo in Togo scoprii che l'acqua può servire a placare 
                  una lite fra due persone, quando le parole si scaldano bisogna 
                  versarle nell'acqua e vomitare l'acqua per terra. 
                  Nel mondo ci sono così tanti calendari e modi di contare 
                  il tempo che non so nemmeno più qual è la mia 
                  età. 
                  È sempre il momento, anarchia al tempo. 
				Nong Bua Noi, Sikhui, Nakronrachisima, 
                  Thailand 
                Questa foto è stata scattata in Thailandia, in una fattoria 
                  dove stavo nella provincia di Si Kiuh. Quando questi insetti 
                  (di cui non ricordo il nome, ma a cui posso facilmente risalire) 
                  sono in amore, la sera, appena viene buio, escono tutti ad accoppiarsi 
                  sugli alberi. 
                  Ho spiegato a una signora che in Messico ho lavorato in un Parco 
                  Naturale dove il mio lavoro al mattino (quello principale era 
                  costruire abitazioni in Adobe) era cacciare i grilli per nutrire 
                  alcuni animali che erano lì ricoverati. Così sono 
                  stato invitato ad andare a cacciare questi scarafaggi con lei 
                  e tutti i suoi figli. 
                  Che onore. 
				  Ogni tanto anche ridendo a squarcia gola, ci avvicinavamo 
                  silenziosamente agli alberi con dei secchi pieni d'acqua per 
                  gettarci dentro più insetti possibili, il tutto tenendo 
                  le torce in bocca per fare un minimo di luce. La foto è 
                  stata scattata quando la caccia era finita. Il mattino dopo 
                  il mio risveglio mi sono trovato un bel piatto di scarafaggi 
                  fritti e mi sono state spiegate le varie proprietà delle 
                  diverse specie. 
                 Yuri Bussi 
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