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				 donne 
                  
                Su duce es ruttu! 
                  
                intervista di Julka Fusco a Marina Addis Saba 
                    
                “Il duce è caduto!”. Una studiosa sassarese, antifascista da sempre, femminista per scelta, si occupa delle donne nell'ambito della Resistenza. 
Ancora una volta, emerge la trasversalità della “cultura” maschilista. 
                  
                  Nella guerra di liberazione dal Fascismo, vi sono storie 
                  che mostrano l'importanza determinante delle donne, che, però, 
                  non hanno ottenuto alcun riconoscimento, non solo dalle istituzioni, 
                  ma nemmeno dalla società in generale. La resistenza, 
                  decisivo momento della storia del nostro Paese, tradizionalmente 
                  si correla all'immagine di uomini in armi. Nell'intervista con 
                  Marina Addis Saba, autrice del saggio «Partigiane. Le 
                  donne della Resistenza» si ha modo di restituire alla 
                  storia il giusto peso di queste donne coraggiose, che a partire 
                  da questa straordinaria esperienza hanno potuto anche ridisegnare 
                  il ruolo nella società moderna. Attraverso una rigorosa 
                  indagine storica fondata su documenti, memorie scritte e testimonianze 
                  orali, molte delle quali inedite, la studiosa, impegnata da 
                  sempre nel movimento femminista, specializzata in storia delle 
                  donne, discuterà in questa intervista di una lotta per 
                  la libertà che ancora non è finita. 
                   
                  Come sei diventata antifascista? 
                  Io sono un'antifascista da trauma! Sono nata in una famiglia 
                  antifascista, mio padre era medico universitario, e quando avevo 
                  9 anni, quindi verso gli anni '40, hanno fatto la legge per 
                  cui chi non aveva la tessera del partito veniva mandato via 
                  dal suo posto di lavoro. Parlano sempre dei professori universitari, 
                  che in Italia son stati undici, che non hanno voluto la tessera 
                  e se ne sono andati, non hanno giurato, sono famosi, ma non 
                  parlano mai di quelli che ancora non erano professori. 
                  È successo il finimondo in casa mia, ovviamente tutti 
                  i parenti venivano a convincere mio padre affinché chiedesse 
                  la tessera e lui si rifiutava, così come avevano fatto 
                  i suoi fratelli. Io soffrivo perché tutti dicevano “i 
                  bambini moriranno di fame” e io ci credevo! Così 
                  lo mandarono via dal suo posto di lavoro e lui decise di mettersi 
                  in proprio, diventando libero professionista e per fortuna continuò 
                  a lavorare. Ma i soprusi e le rappresaglie da parte dei fascisti 
                  furono veramente pesanti e continuarono incessantemente. Io 
                  sono diventata antifascista così, io odiavo Mussolini. 
                  Quando andai a fare la prima comunione, a confessarmi, dissi 
                  al prete: “Odio un uomo”, e lui mi fece una predica 
                  sul fatto che non bisognava odiare nessuno, mi chiese chi fosse 
                  quest'uomo, e io non gli risposi, allora mi mandò via. 
                  Non sapevo cosa fare, ci rimasi male, però questo prete 
                  poi si informò su chi fossi e scoprì che mi stavo 
                  riferendo al duce, quindi mi richiamò e dandomi l'assoluzione 
                  mi disse: “il Tiranno può essere odiato!!!”. 
                   
                  Cosa ti ricordi della guerra? 
                  Per fortuna Sassari non fu bombardata come Cagliari, durante 
                  la guerra eravamo sfollati in campagna da una mia zia. Per noi 
                  bambini era un gioco anche quello, anche se avevamo sempre fame. 
                  Un giorno mio padre, che era a letto con la febbre perché 
                  aveva la malaria, aveva fatto un sogno, aveva sognato Mussolini 
                  che piangeva. Dopo pochi minuti arrivò zio Felice, il 
                  contadino, e si rivolse a mio padre: “Prufissò, 
                  su duce es ruttu, es ruttu!” E mio padre: “È 
                  caduto? Cioè? Da dove è caduto? Da cavallo?”, 
                  “No è caduto, non c'è più!!! Lo dicono 
                  in tutto il paese!” Mio padre si alzò, ma mia madre 
                  riuscì a bloccarlo, allora mandò me e mio fratello 
                  in bicicletta in paese, per verificare cosa fosse realmente 
                  successo. Per strada trovammo i soldati, ci fecero grandi saluti 
                  e tutti contenti buttavano in aria il cappello, poi, quando 
                  arrivammo in paese, dove ci conoscevano tutti e sapevano che 
                  eravamo i figli del medico antifascista, ci invitarono ad un 
                  grande pranzo. E così, in mezzo alla festa generale, 
                  ci dimenticammo di tornare a casa, rientrammo solo dopo parecchie 
                  ore. Nel frattempo mio padre aveva saputo tutto da un amico, 
                  che era andato a raccontargli bene la caduta del duce e quando 
                  rientrammo ci disse: “Eccoli i lavativi, se aspettavo 
                  a voi!”. Comunque fu una felicità enorme, mio padre 
                  fu poi reintegrato, non gli diedero neanche una lira naturalmente, 
                  però, lo riassunsero nel suo posto di lavoro. 
				Dal disagio all'odio contro il regime 
                Antifascista da trauma e i tuoi primi studi storici riguardano 
                  proprio il fascismo, perché? 
                  Io ho studiato a Roma, una volta laureata sono tornata in Sardegna 
                  e a Sassari, la mia città, divenni allieva e amica di 
                  uno storico, che a suo tempo era stato fascista. Non riuscivo 
                  a capacitarmi di una cosa del genere, e spesso gli chiedevo 
                  come fosse stato possibile che lui, una persona così 
                  in gamba, fosse stato un fascista. Mi rispondeva sempre: “Studia 
                  e capirai, studia e capirai”. Fu così che mi misi 
                  a studiare il fascismo, volevo capire perché avesse avuto 
                  tanto consenso, soprattutto fra i giovani. Ho scritto il primo 
                  libro, I giovani del Littorio, dopo quattro anni di ricerche, 
                  analizzando i giornali scritti dai giovani universitari, i membri 
                  dei GUF, Gruppi Universitari Fascisti. Il regime, presso ogni 
                  Università, pagava un giornale dove ci scrivevano gli 
                  studenti, naturalmente ci scrivevano i più bravi ed essendo 
                  i più bravi erano anche i più fascisti. Erano 
                  nati dentro il fascismo, credevano nella rivoluzione fascista 
                  e tutte queste balle, che diceva il regime. A Sassari il giornale 
                  si chiamava Intervento, sono andata in giro per l'Italia 
                  per rintracciare questi giornali, non è stato facile 
                  perché, una volta caduto il regime, quelli che poi diventarono 
                  ex fascisti li fecero sparire quasi tutti, per non lasciare 
                  tracce dei loro scritti. 
                   
                  E dopo gli studi sul fascismo, la svolta femminista... 
                  Dopo il primo libro sui giornali dei GUF, ho scritto un libro 
                  sui Littoriali. Erano delle manifestazioni, roba che attirava 
                  molto i giovani, delle gare a tema che si svolgevano sempre 
                  nell'ambito universitario, e come premio i vincitori ricevevano 
                  una «M» d'oro, e robe del genere, questi giovani 
                  erano totalmente esaltati. In realtà avevo sempre in 
                  mente l'idea di parlare delle donne, perché mi sono accorta 
                  che le donne erano state cancellate dalla storia, se non erano, 
                  che ne so, la moglie di Mussolini, la madre di Mazzini, le regine 
                  e cose del genere, le donne non c'erano proprio. Allora mi sono 
                  auto specializzata nella storia delle donne, dico auto specializzata 
                  perché nessuno si era mai occupato di questo e ho iniziato 
                  a scrivere libri su questo tema. 
                
                   
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                    |   Porto Torres, 1 marzo 2014 - Presso il CSOA PANGEA un  incontro-dibattito con Marina Addis Saba sulle Partigiane  | 
                   
                 
                Le donne (partigiane)? Mettiamole in cucina 
                E quindi il tuo primo libro sulle donne, le Partigiane. 
                  Raccontaci delle donne che hanno fatto la Resistenza. 
                  Il disagio e lo scontento femminile rispetto alla guerra che 
                  era entrata nelle case portando morte e distruzione, divenne 
                  nelle masse femminili, a partire dall'inizio dei bombardamenti, 
                  un odio totale al regime che aveva portato alla guerra. 
                  E quando, dopo l'8 settembre, ci fu la confusione generale, 
                  le donne sembrarono le prime a capire che la guerra non era 
                  finita e che sarebbe stata guerra dura contro i tedeschi occupanti 
                  e i loro alleati fascisti. 
                  La ferocia dei tedeschi e dei loro complici della Repubblica 
                  di Salò, provocò in loro, non ingombrate dagli 
                  obblighi dell'onore militare e dalla vergogna di un giuramento 
                  tradito, una pronta ed efficace risposta: esse, infatti, spontaneamente 
                  e in ogni parte del paese, offrirono ai militari sbandati ogni 
                  sorta di aiuto. Si ebbe così una prima forma di organizzazione, 
                  e di lì a poco, quando si iniziarono a formare le prime 
                  bande, la presenza e l'appoggio delle donne fu determinante. 
                  Molte donne furono addette a guidare fuori dall'Italia ebrei, 
                  ex prigionieri o comunque persone in pericolo, prestando poi 
                  aiuto ai combattenti nelle città, sia nelle SAP, Squadre 
                  di Azione Patriottica, sia nei GAP, i Gruppi di Azione Patriottica. 
                  Nell'autunno del '43, le donne più consapevoli formano 
                  i GDD, Gruppi di Difesa delle Donne e assistenza ai combattenti, 
                  coinvolgendo tutte le donne, soprattutto quelle ignare di politica. 
                  L'estate del '44 fu tremenda, gli eserciti alleati sembravano 
                  procedere la risalita dell'Italia velocemente, mentre, in realtà, 
                  iniziarono i rastrellamenti dei tedeschi e dei fascisti, e l'inverno 
                  fu ancora più duro: nelle zone prima liberate, i partigiani 
                  dovettero disperdersi, le piccole provvisorie repubbliche organizzate 
                  dai ribelli furono spazzate via dalla reazione tedesca. 
                  Allora, nell'inverno più duro della guerra, mentre la 
                  speranza della liberazione si era allontanata e tutti erano 
                  sfiniti da anni di fatiche e privazioni, le donne moltiplicarono 
                  il loro impegno per aiutare i partigiani, nascosti nei paesi 
                  o ancora uniti in formazione. Questo impegno femminile si svolse 
                  in due direzioni: la più immediata e necessaria, quella 
                  di resistere e dare forza ai perseguitati con mille attività, 
                  dal reperimento del denaro necessario alla vita dei combattenti, 
                  alla cura dei malati dei feriti o all'attività del mercato 
                  nero. L'altra direzione fu decisamente politica: esse prepararono 
                  le giornate dell'insurrezione, assistendo e fornendo corsi di 
                  preparazione politica e tecnica, di specializzazione, per l'assistenza 
                  sanitaria, per la stampa dei giornali e dei fogli del CLN o 
                  dei partiti, per l'uso e il trasporto di armi. 
                  Poi ci sono aspetti più specifici, dei quali io ho dato 
                  un quadro, individuando varie figure, ci sono state prima di 
                  tutto le “prigioniere”, coloro che hanno iniziato 
                  la resistenza al fascismo ancor prima del regime, cioè 
                  manifestando il loro odio verso gli squadristi e le loro violenze.
                 
                   
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                    |   Porto Torres, Marzo 2014 - Locandina  degli eventi tenutisi al CSOA PANGEA  | 
                   
                 
                 Molte donne furono coinvolte in quanto parenti dei perseguitati, 
                  ma altre, come Bianca Ceva, si posero in lotta contro il fascismo 
                  per una loro scelta, affrontando poi il carcere e il confino. 
                  Durante la Resistenza si profilarono, invece, compiti più 
                  dettagliati, come quello delle “staffette” per esempio: 
                  queste donne dovevano mantenere i collegamenti e trasportare 
                  ogni sorta di beni necessari, dalle armi alle munizioni, dal 
                  cibo alle vesti e medicine. Andavano in giro dappertutto, attraversavano 
                  i villaggi, si arrampicavano per i monti, passando spavalde 
                  per i posti di blocco tedeschi e fascisti. Spesso avevano una 
                  bicicletta, ma anche più spesso erano a piedi, nella 
                  neve, nel fango o sotto il sole. Trascinavano carrette e carriole 
                  di fortuna, servendosi per il trasporto di astuzia e di arnesi 
                  femminili: grandi borse della spesa, pancere, giarrettiere, 
                  reggiseni, per nascondere la roba. Vi furono poi le “fattorine”, 
                  le donne specializzate nella diffusione della stampa clandestina. 
                  Ogni partito e ogni movimento ebbe, durante la guerra di liberazione, 
                  il suo organo di stampa, che andava diffuso il più possibile, 
                  e le donne, fra mille espedienti e complicità varie, 
                  furono delle specialiste. Infine, non mancarono quelle che decisero 
                  di imbracciare le armi, come desiderio di partecipazione totale 
                  e di vivere sino in fondo la loro scelta. Non poche partigiane 
                  raccontano che in brigata gli uomini tentarono di metterle in 
                  cucina o a lavare i panni, ma i partigiani impararono in fretta 
                  a vedere le donne della formazione che facevano i turni di guardia 
                  come loro, che smontavano e ripulivano le armi, sottostando 
                  alla medesima disciplina e partecipando, senza alcuna speciale 
                  tutela, agli assalti, agli scontri armati. 
                   
                  E poi, quando tutto finisce, queste donne verranno dimenticate... 
                  Già a partire dai festeggiamenti nelle giornate della 
                  liberazione, mentre sfilano per le città in festa le 
                  formazioni scese dalla montagna, le partigiane restarono nelle 
                  fabbriche o nelle case, oppure assistettero commosse tra la 
                  folla alle manifestazioni, per ordine dei Comandi, che non volevano 
                  esporle alle chiacchere e alle facili insinuazioni. 
                  Insomma viene imposto loro di non sfilare accanto ai partigiani, 
                  e molte obbediscono. Così, quasi inconsapevolmente, prepararono 
                  il loro ritorno al silenzio. 
                   
                  Cosa ne pensi del fatto che si parli poco di resistenza? 
                  Pare essere un discorso lontano, che non ci riguarda più... 
                  Sì se ne parla poco, però teniamo presente che 
                  prima se ne parlava anche di meno, quando c'era la democrazia 
                  cristiana, e poi, insomma, ci siamo fatti vent'anni di Berlusconi, 
                  è un miracolo che siamo qui, siamo conciati male, però 
                  siamo qui. Veramente gli italiani sono rimasti, secondo me, 
                  sempre un po' fascistoidi. 
                  Molto dipende dai giornali, dall'informazione, così è 
                  difficile capirci qualcosa. Anche perché è un 
                  fatto che i giornali hanno tutti un padrone. Chiediamoci chi 
                  furono i primi a diventare i fascisti, furono i giornalisti. 
                  Scrivono nel giornale del padrone, se vogliono lavorare, il 
                  giornalista normale scrive come gli dice il padrone. 
                   
                  Che messaggio vorresti dare alle donne di oggi? 
                  Studiate e siate indipendenti, sotto tutti i punti di vista. 
                  Si può essere liberi solo se non si dipende da nessuno, 
                  la lotta deve continuare, invece, dopo il Femminismo, è 
                  passato tutto. Dobbiamo continuare a lottare, per la nostra 
                  equivalenza, come diceva Ada Gobetti, uomini e donne non sono 
                  uguali, non dimentichiamocelo, ma siamo equivalenti, cioè 
                  abbiamo lo stesso valore. E dobbiamo lottare tutti, uomini e 
                  donne, per questo valore.  
                 Julka Fusco 
                
                   
                    Marina Addis Saba 
                        
                        Marina Addis Saba nasce il 18 marzo 1930, si laurea a 
                        Roma in Lettere Moderne, con Federico Chabod, e rientrata 
                        in Sardegna, sotto la guida di Antonio Pigliaru, inizia 
                        i suoi studi sul fascismo. Dallo studio del regime e dal 
                        suo impegno femminista, è portata a specializzarsi 
                        in Storia delle donne, su cui ha scritto vari saggi: questo 
                        campo è diventato l'ambito principale della sua 
                        ricerca, nell'ultimo periodo di attività, e tra 
                        i principali argomenti dell'insegnamento. Come visiting 
                        professor si è recata più volte a Madrid, 
                        a Barcellona, a Parigi, per tenere seminari su Donne e 
                        Fascismo, Le donne della resistenza. All'estero ha partecipato 
                        a convegni e seminari come quelli organizzati in Francia 
                        alla Maison d'Italie, con la relazione su Emilio Lussu 
                        e l'emigrazione sarda, e in occasione del centenario di 
                        Giuseppe Garibaldi, nel 1982 a Nizza, con la relazione 
                        Garibaldi e l'autonomia della Sardegna. Ha concluso la 
                        sua carriera nella Facoltà di Lingue e Letterature 
                        straniere dell'Università di Sassari, in qualità 
                        di insegnante di Storia dell'Europa e titolare dell'insegnamento 
                        di Storia Contemporanea. 
                        Tra le suo opere ricordiamo: Gioventù italiana 
                        del Littorio, 1973; Dibattito sul Fascismo, 1976; Emilio 
                        Lussu 1919-1926, 1977; Cultura a passo romano-storia e 
                        strategie dei Littoriali, 1983; Storia delle donne una 
                        scienza possibile, 1985; Gli studi delle donne all'Università, 
                        1986; La politica del regime fascista nei confronti delle 
                        donne, in Rivista Abruzzese di studi storici, 1985; Io 
                        donna-persona: Appunti per una storia della legge contro 
                        la violenza sessuale, 1985; La corporazione delle donne, 
                        1988; Anna Kuliscioff vita privata passione politica, 
                        1993; Le madri della Repubblica, le donne dell'Assemblea 
                        Nazionale Costituente, in Quaderno della Commissione Pari 
                        Opportunità, 1996; Partigiane. Le donne della Resistenza, 
                        1998; La scelta. Ragazze partigiane e ragazze di Salò, 
                        2005; Amorosi assassini. Storie di violenze sulle donne, 
                        2008; La farnesina. Giulia Farnese e papa Borgia, 2010; 
                        Berlinguer non era triste, 2013. 
                        
                          
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                    Volammo davvero sopra le case, 
oltre i cancelli, gli orti, le strade 
                       
                        Fabrizio De André 
                      chiusura 
                        sezione Donne 
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