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				 pedagogia libertaria 
                  
                L'educazione che ribolle 
                  
                di Maurizio Giannangeli 
                    
                Il coordinatore per la Lombardia della rete per l'Educazione Libertaria analizza la situazione della scuola, alla luce di alcuni cambiamenti in atto nel rapporto tra istituzioni e società. E nel prossimo numero metterà in relazione questi cambiamenti con alcune pratiche ed esperienze educative relativamente nuove per il nostro paese. 
                 
                  Nel 2009 a Verona, presso Villa Buri, si tenne il primo convegno nazionale della Rete per l'Educazione Libertaria. All'epoca chi dette vita alla REL lo fece anche nella convinzione che in Italia desideri, bisogni e esigenze riferiti all'educazione stessero cambiando. Da allora ad oggi anche solo navigando nel web troviamo informazioni, racconti, pubblicizzazione di esperienze che a diverso titolo si dichiarano prossime ai principi dell'educazione libertaria e, soprattutto, distanti da quanto le esperienze di educazione scolastica statale e privata attuano. 
A tale proposito non intendo qui tracciare una mappa né offrire un primo bilancio, cose ad oggi ancora difficili da definire con la dovuta esattezza. Piuttosto cercherò di individuare alcuni cambiamenti in atto nel rapporto tra istituzioni e società, in questa prima parte, per poi, in un secondo momento, mettere in relazione questi cambiamenti con alcune pratiche ed esperienze educative relativamente nuove per il nostro paese. 
L'articolo sarà quindi composto di due parti separate per comodità di esposizione, ma comunque legate da un unico ragionamento. L'una e l'altra insieme dovrebbero mostrare, con la maggior chiarezza possibile, come il bisogno di educazione in Italia non sia più rappresentabile con un modello di Scuola unico e come al contempo nel panorama della pratiche che potremmo dire antistatali, aperte alle esigenze di apprendimento di bambini e ragazzi, vi siano differenze e approcci non sempre assimilabili tra loro. I due processi così intrecciati sono già da oggi una rinnovata risposta al complesso bisogno socio-politico di educazione nel nostro paese. 
                  Crisi delle istituzioni e istanze sociali 
                Prima di iniziare il nostro viaggio nella 'galassia educativa' 
                  mi soffermo sulla crisi della scuola di Stato. Ritengo questo 
                  un passaggio utile per produrre successivamente, grazie a un 
                  quadro di sfondo definito, una lettura attendibile delle esperienze 
                  educative in atto e delle loro reciproche differenze. Occorre 
                  quindi, come premessa, sviluppare una riflessione che consenta 
                  di cogliere cosa comporta e a quale ordine di discorso faccia 
                  riferimento il formarsi del bisogno di educazione oggi. 
Parto dal dato di fatto che il sistema scolastico nazionale dominante si trova messo sotto accusa da diversi punti di vista e da più parti, e non mi riferisco solo alle esperienze educative ispirate o prossime alla pedagogia libertaria. 
                  Risulta evidente che un conto è criticare i “sistemi 
                  scolastici dominanti” in quanto sistemi che trasformano 
                  “i giovani da soggetti a oggetti”, che preparano 
                  “le nuove generazioni alla consapevolezza e alla accettazione 
                  del proprio valore in termini di «capitale umano» 
                  attraverso la logica della meritocrazia” fornendo così 
                  “al mercato del lavoro globalizzato e fluido soggetti-oggetti 
                  malleabili e utilizzabili in contesti diversi, privi di contenuti, 
                  ma ricchi di capacità di adattamento psicologico e professionale”1, 
                  pronti ad entrare in modo acritico nel mondo così come 
                  è. Altra cosa è assumere un punto di vista diametralmente 
                  opposto, che privilegia le osservazioni, reiterate da più 
                  di vent'anni, di chi ha gestito e gestisce a vario titolo la 
                  cosa pubblica per altro senza fare mai alcuna autocritica: «Essa 
                  (la scuola) non può più continuare ad essere un'organizzazione 
                  impegnata soltanto a perpetuare se stessa ingoiando energie, 
                  risorse, intelligenza a dispetto dei risultati e del particolarissimo 
                  prodotto che dovrebbe realizzare. [...] Corriamo almeno due 
                  rischi strettamente intrecciati: di continuare ad alimentare 
                  una macchina inutile, un sistema educativo sempre più 
                  sfasato rispetto al mutare della società, del lavoro, 
                  della politica, dell'economia, con il risultato di produrre 
                  una specie di nuovo analfabetismo di massa.».2 
                  Diverso ancora è rivendicare la centralità della 
                  famiglia e dei genitori quali titolari esclusivi dell'educazione 
                  dei propri figli, seppur con motivi e aspettative assai differenti: 
                  da un lato chi ritiene la scuola statale troppo autoritaria, 
                  irregimentata e poco adatta al libero e autonomo sviluppo di 
                  bambini e ragazzi3, dall'altro 
                  chi vede invece nella laicità della scuola di Stato una 
                  minaccia dalla quale difendersi4. 
                  Altra cosa ancora è considerare la scuola statale insoddisfacente 
                  per la mancanza di un progetto educativo e pedagogico chiaro 
                  ed evidente. In questo caso alcuni genitori scelgono di non 
                  mandare i propri figli nella scuola di Stato preferendo ad essa 
                  contesti che si rifanno a teorie e a pratiche educative consolidate, 
                  a insegnamenti di noti filosofi e pedagogisti5 
                  oppure ad esperienze più recenti che adottano ad esempio 
                  i principi della comunicazione non violenta6 
                  o dell'educazione biocentrica7. 
                  Tanti soggetti diversi realizzano così esperienze di 
                  educazione in scuole non sempre parificate, con le modalità 
                  dell'educazione attiva, in forma di laboratori, centri estivi 
                  o giardini di infanzia. Queste realtà sono accomunate 
                  dal principio di avere come proprio riferimento metodi educativi 
                  e sistemi filosofico-pedagogici conosciuti e codificati che 
                  consentono, per chi vi si rivolge, di riconoscersi e quindi 
                  di affidarsi ad esse. 
Il fatto che approcci e visioni così diversificati e talvolta divergenti assumano spesso la critica al sistema scolastico statale come punto di partenza per dare ulteriore leggitimità al proprio percorso ritengo sia indicatore interessante di quanto accade nel mondo dell'educazione in Italia. 
Le critiche al sistema scolastico nazionale oscillano dall'attribuizione di gravi responsabilità alle azioni di governo, nazionale e sovranazionale, in merito alle politiche scolastiche, alle accuse di incapacità e obsolescenza rivolte tanto al personale della scuola quanto all'organizzazione della stessa come alla scarsità delle risorse disponibili. 
                  Nella rappresentazione corrente la Scuola è spesso descritta 
                  come inadeguata a soddisfare al presente i bisogni di chi la 
                  abita e la fequenta quotidianamente e, per ciò che concerne 
                  il futuro, incapace a garantire le aspettative di rinnovamento 
                  e di crescita sociale e culturale che la società sempre 
                  più debolmente le affida.8 
Che i diversi governi abbiano dato corso ad una errata interpretazione della funzione sociale della scuola, a politiche scolastiche sbagliate, ad una cattiva gestione delle risorse frutto anche di una generale insipienza di quanti e quante si sono succeduti/e nella direzione della cosa pubblica è indubbiamente vero. Che a questo si aggiunga un'evidente incapacità di cogliere le trasformazioni di un mutato bisogno sociale in ambito educativo che richiede forme di organizzazione delle realtà scolastiche meno mortificanti per i soggetti che le abitano è altrettanto condivisibile. Né si può affermare che le politiche scolastiche abbiano reso un servizio utile agli obiettivi di efficacia e di efficienza che gli stessi governi dichiaravano di perseguire fingendo di legare la funzione della scuola ai destini di crescita economica, sociale e culturale del paese. 
                  Tutto vero, eppure a mio giudizio non si tratta qui solo di 
                  incapacità politica o, all'opposto, di una precisa scelta 
                  politica di asservimento all'unica logica del mercato e del 
                  lavoro precarizzato, in un'economia capitalista orientata al 
                  moloch del consumo e strutturata nella forma totalitarista 
                  e pervasiva della società dello spettacolo integrato. 
                  Questa interpretazione possibile indica cose di per sé 
                  vere, elementi che di fatto agiscono nella direzione di una 
                  erosione del senso dell'esperienza educativa che non fanno altro 
                  che far girare a vuoto ogni tentativo di 'riforma' senza arrivare 
                  mai a trovare il bandolo della matassa. A mio giudizio però 
                  non sono queste le cause principali della crisi del sistema 
                  scolastico istituzionale. 
                  Che cosa possiamo credere 
                Credo che in gioco vi sia, più radicalmente, il fatto 
                  che la società stessa non sia più in grado di 
                  definire adeguati bisogni socio-politici e non riesca di conseguenza 
                  ad attribuirli ed allocarli in modo efficace. Questa mancata 
                  identificazione di un progetto sociale condiviso determina per 
                  buona parte il fallimento della possibilità che, a livello 
                  istituzionale, si trovino forme e risposte adeguate in grado 
                  di soddisfare bisogni individuali e soggettivi molto differenti 
                  tra loro. In assenza di un'azione sociale in grado di definire 
                  natura e carattere dei propri bisogni, il livello istituzionale 
                  non si trova più nelle condizioni e nella posizione di 
                  svolgere la funzione che ha ereditato dalla modernità, 
                  ossia quella di dare risposte “facendo scaturire un'identità 
                  a prescindere dalle differenze”9, 
                  di individuare un'opinione prevalente che risulti massimamente 
                  accettata e che consenta di identificare una compiuta realizzazione 
                  formale che le corrisponda. 
                  “Il credere si mantiene tra la riconoscenza di un 'alterità 
                  e l'istituzione di un contratto, sparendo nel caso in cui uno 
                  dei due termini viene meno.”10 
                  Le istituzioni sono da anni in crisi e mancano di credibilità 
                  proprio perché si sono di fatto ritrovate separate e 
                  distanti dalla società che dovevano rappresentare disvelando 
                  l'illusione del contratto sociale. Questa separazione e questa 
                  disillusione si è potuta definitivamente compiere anche 
                  perché la società, nel suo complesso, si è 
                  dimostrata sempre meno capace di esprime conflitti portatori 
                  di istanze chiare, autorevoli e destinate ad imporsi. 
                  In epoca premoderna “a svolgere la funzione del garante 
                  poteva essere la semplice circolazione, entro il circuito sociale, 
                  di ciò che è verosimile, di ciò che viene 
                  “preso per vero” dai più - o dai “saggi”, 
                  dagli individui, cioè, che godono di una stima incontrovertibile.”11 
                  Tempi più recenti hanno generato la società di 
                  massa ed in essa i totalitarismi del XX secolo e più 
                  avanti la società dello spettacolo integrato costruendo 
                  nel tempo ben altri meccanismi per la produzione del consenso. 
                  Giunti ad oggi sarebbe persino ridicolo rinnovare la denuncia 
                  di un “tradimento dei chierici”. Non è un 
                  caso che il tentativo di ripristinare una forma di endoxa 
                  premoderna attuato dal ministro Luigi Berlinguer istituendo 
                  una commissione di Saggi sia finito con un nulla di fatto. Ciò 
                  ha reso ancor più evidente l'impossibilità da 
                  parte delle istituzioni di adempiere un compito che, separato 
                  dal riconoscimento sociale, è divenuto di fatto interdetto 
                  e che può essere ripristinato solo in una forma distorta, 
                  ossia attraverso l'esercizio della propria autorità in 
                  modo unilaterale. 
Nella storia ancora recente le istituzioni formali si sono invece spesso composte attraverso un processo istituente che ha visto da un lato una società che, attraverso processi simbolico politici costati anche forti e aspri conflitti, è riuscita ad esprimere opinioni prevalenti ed autorevoli - quelle opinioni notevoli o riconosciute e comunemente accettate dotate di forte autorità collettiva - e dall'altro lato un ceto politico amministrativo che non poteva far altro, pur dentro interessi contradditori e divergenti, che operarsi per tradurre quelle stesse opinioni, espresse dalla società in bisogni socio-politici, in istituzioni in grado di soddisfare nel modo più compiuto possibile i bisogni stessi. 
                  Vale la pena ricordare che “la scuola italiana non è 
                  sempre stata statalista e «unica». In passato, all'origine 
                  del movimento operaio e delle associazioni di autodifesa e riformatrici, 
                  era un concetto importante quello dell'autonomia dell'educazione, 
                  e dunque della scuola dallo Stato, dalla confessione religiosa 
                  dominante, dai sindacati, dall'industria e dal grande capitale. 
                  Lo statalismo fascista e poi le leggi concordatarie [...] erano 
                  visti [...] come il nemico da battere. L'antifascismo si occupò 
                  però poco della scuola e dell'educazione [...] e gli 
                  anni della riscossa e della nascita di una nuova Italia videro 
                  l'illusione [...] di un'unità attorno allo Stato, di 
                  una presa di possesso dello Stato cui delegare tutto o quasi 
                  il progetto pedagogico, diventato «per tutti» secondo 
                  una convinzione e un'eredità che erano, a ben vedere, 
                  più dello Stato fascista che dello Stato unitario.”12 
                  Tra fine anni Cinquanta e inizio anni Sessanta questo processo 
                  porterà poi “lo statalismo e centralismo della 
                  scuola italiana” al loro apice.”13 
                  A metà anni Settanta a testimonianza della conflittualità 
                  sociale, oltre al vissuto personale di ognuno e ognuna di noi, 
                  per chi c'era, si possono anche rileggere le proposte di legge 
                  per la «riforma della scuola superiore» che le forze 
                  politiche parlamentari presentarono. Tali proposte articolavano 
                  i piani di studio divisi in tre aree dove l'ultima area, la 
                  terza, detta elettiva, si svolgeva, per un 10 per cento dell'intero 
                  impegno scolastico settimanale, “in attività libere, 
                  prevalentemente autogestite dagli alunni con l'assistenza di 
                  docenti ed eventuali esperti.” 14 
Criticammo allora, giustamente, proposte di riforma inaccettabili perché blandivano richieste ben più radicali. In ogni caso rileggere oggi quelle proposte restituisce il clima e il senso di un impegno collettivo portatore di istanze condivise. 
Tornando ad oggi quindi non si tratta forse dell'incapacità di leggere le trasformazioni sociali, quanto del fatto che tali trasformazioni sono esse stesse il segno di una modernità oramai conclusa e dell'avvento di un nuovo evo al quale più non appartiene la capacità di co-istituire narrazioni nuove altrettanto forti e unificanti quanto quelle che la modernità ha visto nascere e morire. 
                  Purtroppo questa situazione di divaricazione oramai insanabile 
                  tra soggetti istituzionali e società ha portato i primi, 
                  venuta meno la loro funzione storica, così isolati dal 
                  tessuto sociale, a divenire sempre più autoreferenziali, 
                  sempre più presi da meccanismi e procedure di tipo normativo 
                  e burocratico che, quando va bene, assolvono una funzione meramente 
                  autoreplicante.15 Quando invece 
                  va male, l'impossibilità delle istituzioni di riconoscersi 
                  quale forma compiuta ed adeguata di bisogni reali espressi dalla 
                  società ha contribuito a produrre, senza comunque esserne 
                  giustificazione, quella cattiva gestione che, nella più 
                  totale autoreferenzialità, è divenuta frequentemente 
                  dolosa, figlia del malcostume o comunque del prevalere dell'interesse 
                  privato anche nella gestione della 'cosa pubblica'; forme 
                  queste alle quali spesso si imputa la responsabilità 
                  del fallimento dell'azione dell'istituzione stessa. 
L'evidenza di questo stato di cose è confermato non solo dalle condizioni in cui versa l'istituzione scolastica (basti pensare ai problemi che affliggono l'edilizia scolastica) ma anche dalla condizione di analogo dissesto, a vari livelli, dell'amministrazione pubblica e della rappresentanza politica parlamentare. 
                  In questo senso oggi le istituzioni formali, e tra queste vi 
                  sono sicuramente oltre la scuola anche i partiti politici, la 
                  previdenza sociale e più in generale il welfare così 
                  come l'abbiamo conosciuto nel xx secolo (ma anche le istituzioni 
                  in senso proprio, ossia cosa è oggi “il linguaggio, 
                  la religione, il potere; [...] ciò che è l'individuo 
                  [...] l'uomo e la donna”16), 
                  non possono che essere espressione dell'enorme fatica che la 
                  società stessa compie nell'attribuire ai suoi componenti 
                  le proprie 'esigenze', i propri bisogni socio-politici. 
                  Come per altri ambiti anche il 'discorso' circolante sull'educazione 
                  non può essere più ricomposto entro quei sistemi 
                  “che avevano la capacità di costruire un racconto 
                  unitario e sistematicamente connesso, entro il quale gli eventi 
                  singolari e contingenti della storia venivano ricondotti a un'origine 
                  e compresi in una concatenazione in grado di rendere ragione 
                  dell'unità e della continuità dell'insieme. [...] 
                  È stato abbandonato il paradigma che aveva tentato di 
                  fare della Storia l'unico grande personaggio a cui ricondurre 
                  l'intero dell'esperienza. [...] quel discorso [...] non entra 
                  più nell'orizzonte primario dell'esperienza” e 
                  quindi ad esso non si può più fare riferimento. 
                  Prevale ora la narrazione che attinge, come “proposta 
                  di senso che si costituisce senza fondamento [...] solo nell'esperienza 
                  individuale della persona [...] una narrazione che è 
                  di fatto risposta a domande che è l'esperienza ad aver 
                  suscitato” e la cui “oggettivazione di senso [...] 
                  non è infatti più una visone del mondo (Weltanschauung), 
                  ma è risposta ai bisogni che appartengono all'orizzonte 
                  dell'esperienza umana.” 17 
                  È in questo senso che la quantità, la diversità 
                  e la pluralità di desideri e bisogni individuali, anche 
                  legittimamente divergenti, faticano a riconoscersi in un bisogno 
                  socio-politico omogeneo, a convergere nell'esigenza di educazione 
                  che il livello istituzionale dovrebbe rappresentare come modello. 
                  Questo scarto è il segno palese dell'impossibilità 
                  per una sola interpretazione, tra quelle in campo, di farsi 
                  unica risposta adeguata “ad attribuire sia le tipologie 
                  (specie) di bisogni sia ciò che può soddisfarli” 
                  ovvero a decidere sia cosa si debba intendere con 'educazione', 
                  sia le risorse e i mezzi, i modi e gli strumenti, anche normativi, 
                  necessari al soddisfacimento del bisogno stesso. Non si ha più 
                  una rappresentazione unitaria che circoli come accettata e prevalente 
                  e, tra i soggetti in gioco, ossia tra le istituzioni e l'espressione 
                  sociale dei bisogni, non corre più quel tempo necessario 
                  all'una e all'altra per riconoscersi e scambiarsi credito e 
                  fiducia. Finalmente non possiamo e non dobbiamo attendere più, 
                  se mai l'abbiamo attesa, una riforma della scuola giacché 
                  nessuna riforma potrà mai restituire né senso 
                  né tempo ad una relazione oramai perduta e “nelle 
                  relazioni sociali, la questione del credere è la questione 
                  del tempo.” 18 
                  Come possiamo agire 
                Sembra allora che la società non riesca più, 
                  o non abbia più interesse, a pretendere che un'istituzione 
                  formale si raccolga attorno a una categoria o tipologia di bisogni 
                  in un'astrazione che comprenda al suo interno tutti i tipi possibili, 
                  ad esempio di educazione, espressi dalla molteplicità 
                  dei bisogni individuali e soggettivi. E se l'eventualità 
                  di una sintesi felice fosse oramai impossibile, consumata per 
                  sempre, mai più restituita alla storia per come oggi 
                  si compongono e si esprimono i bisogni? E se questa situazione 
                  fosse un'opportunità? 
                  In una società i cui soggetti sono sempre più 
                  atomizzati ed eterogenei, attraversata da 'discorsi' non riconducibili 
                  ad alcun principio unitario, non credo che si corra il rischio 
                  della babele quanto piuttosto si possa realizzare in 
                  positivo l'opportunità di un rinnovamento continuo, di 
                  un equilibrio metastabile offerto dal costituirsi di “universi 
                  di discorso differenti” che all'interno della società 
                  giocano rappresentazioni e pratiche possibili nella diversità, 
                  estranee appunto ad “un'identità a prescindere 
                  dalle differenze” e quindi non riconducibili ad un modello 
                  istituzionale unificante. 
                  Si tratta forse di affidarsi a “narrazioni che una collettività 
                  condivide in forme non codificate - narrazioni nomadi, a cui 
                  si può attingere al di fuori dei circuiti istituzionali. 
                  In tali narrazioni si nasconderebbe un potenziale eversivo [...] 
                  esse attestano la persistenza di altre forme di strutturazione 
                  simbolica del reale, per principio non assimilabili a quella 
                  che viene offerta dalle forme di razionalità che costellano 
                  l'esperienza culturale moderna.” 19 
                  Di fatto ciascuna esperienza e ciascuna realtà educativa 
                  che si voglia offrire come soluzione 'locale', per quanto nata 
                  all'interno di un gruppo, di una 'comunità educante' 
                  che viene, probabilmente esibisce solo la propria particolare 
                  interpretazione dello specifico bisogno socio-politico in questione, 
                  offre la propria rappresentazione dell'astratta esigenza di 
                  educazione circolante nella società che il livello dell'istituzione 
                  statale non riesce più a rapresentare e a realizzare 
                  come istituzione formale, come Scuola. 
                  In realtà, nel suo complesso, tale bisogno astratto si 
                  trova espresso nella società, come risuta evidente anche 
                  dai pochi esempi proposti, in desideri e bisogni concreti di 
                  apprendimento non più riconducibili ad un unico modello 
                  astratto. Per questo l'offerta dello Stato viene sempre più 
                  percepita come una tra le tante, quindi non come sintesi ma 
                  come 'concorrente', ossia come realtà che letteralmente 
                  concorre insieme ad altre a dare parziale risposta ad un bisogno 
                  che resta diffuso. Del resto già a metà anni Ottanta 
                  nei discorsi degli 'esperti' sul sistema educativo e scolastico 
                  circolava, sebbene su di un piano che metteva al centro il tema 
                  della sussidiarietà, l'osservazione dell'inevitabile 
                  proliferazione delle 'tante agenzie formative' che nel tempo 
                  si sarebbero occupate di educazione, istruzione e formazione20. 
                  Dove l'opportunità allora? Non certo nell'intendere il 
                  concetto di 'concorrenza' in una logica mercantile e affaristica. 
                  Piuttosto, all'opposto, nell'accogliere il dispiegarsi del molteplice 
                  apparire di istanze diverse quale occasione di realizzare in 
                  modo diffuso un'educazione davvero pubblica, non astrattamente 
                  di tutti e per tutti ma concretamente di ognuno/a per quel che 
                  ognuno/a cerca ed ha bisogno. 
                  La scommessa sarà probabilmente tutta nel riuscire o 
                  meno a contrastare l'egemonia, forte nel nostro paese, di Stato, 
                  Chiesa e Famiglia e nel rendere le diverse esperienze educative 
                  realmente pubbliche tessendo racconto, incontro e scambio tra 
                  realtà e contesti non riducibili ad un'unica rappresentazione 
                  e interpretazione. Uno sforzo che necessita da parte di ogni 
                  realtà di disporsi in ascolto, in relazione dialogica 
                  con quanto di altro e di diverso ci trascende senza pretendere 
                  che la nostra particolare e parziale 'visione' trovi composizione 
                  in un nuovo modello valido per tutti. 
                  Ecco allora che si rende necessario, nella galassia educativa 
                  che viene, conoscersi e riconoscersi a partire dalle reciproche 
                  differenze. Nominarsi per quel tanto che renda evidente l'articolazione 
                  della propria singolarità soggettiva senza negare quanto 
                  possa dirsi prossimo e, al tempo stesso, senza che ciò 
                  che accomuna ottunda differenze anche profonde. 
                 Maurizio Giannangeli 
                Note 
                 
                  - Francesco Codello, L'educazione libertaria alla prova dei 
                  fatti, in L'anarchismo oggi. Un pensiero necessario, a cura 
                  di Luciano Lanza, pagg. 47-65, Mimesis Libertaria 2014, 2013
                  
 - Romano Prodi, La società istruita. Perché 
                  il futuro italiano si gioca in classe, rivista “il 
                  Mulino” n. 346, 2/1993
                  
 - “[...] per molti bambini la scuola non è un 
                    luogo dove imparare con gioia. Lo stare seduti a lungo, lo 
                    stress per l'apprendimento passivo, il cambiamento innaturale 
                    delle materie al suono della campanella, la paura dei voti 
                    negativi, il divieto di socializzare liberamente durante la 
                    lezione, le interazioni violente e sistematiche tra bambini, 
                    la lontananza dalla famiglia per troppo tempo, gli insegnanti 
                    logori e senza energie, l'alzarsi presto per andare a scuola 
                    e l'andare a letto tardi per studiare, la mancanza di supporto 
                    per l'apprendimento delle competenze sociali, l'impossibilità 
                    di ricevere attenzione individuale sono solo alcune dei motivi 
                    per cui la scuola non può essere considerata un luogo 
                    piacevole.” Da: http://www.controscuola.it/cambiare-i-paradigmi/ 
                  
 - Vedi: http://www.rassegnastampa-totustuus.it/modules.php?name=News&new_topic; 
                    http://vaticaninsider.lastampa.it/ 
                  
 - Vedi: http://www.krishnamurti.it/, 
                    http://www.operanazionalemontessori.it/index.php?option=com_frontpage&Itemid=1, 
                    http://www.educazionewaldorf.it/home/, 
                    http://www.scuolacittapestalozzi.it/ 
                  
 - http://www.villaggioempatico.it/, 
                    http://www.comunicazioneempatica.com/ 
                  
 - Vedi: http://www.educazionealtalento.com/i-nostri-riferimenti/educazione-biocentrica/; 
                    http://www.lavitaalcentro.org/ 
                  
 - È appena uscito in edicola l'ennesimo vacuo ed agile 
                  libretto di velata critica e di non troppo nascosto autocompiacimento 
                  che reitera l'invenzione dello stato dell'arte in cui versa 
                  la Scuola per ribadire, in fondo, la necessità di sostenerla. 
                  Andrea Bajani, La scuola non serve a niente, 2014 Gius. 
                  Laterza & Figli
                  
 - Ágnes Heller, Una teoria dei bisogni riesaminata, 
                  in Ágnes Heller, La bellezza della persona buona, 
                  a cura di Brenda Biagiotti, 2009 Edizioni Diabasis, p.30.
                  
 - Michel de Certeau, La pratica del credere, 2007 Edizioni 
                  Medusa, p.30
                  
 - Giovanni Leghissa, Michel de Certeau, storico e credente, 
                  introduzione a Michel de Certeau, op cit., p.21
                  
 - Goffedro Fofi, Prefazione, in Lamberto Borghi, 
                    La città e la scuola, a cura di Goffredo Fofi, 
                    2000 Elèuthera editrice, pgg. 8 e 9. Disponibile anche 
                    su: http://www.eleuthera.it/scheda_libro.php?idlib=129 
                  
 - Goffedro Fofi, Prefazione, op. cit. pag. 11
                  
 - Scuola: Riforma o controriforma? Le posizioni delle forze 
                  politiche sulla «riforma della scuola superiore». 
                  I progetti di legge di DC, PCI, PSI, PSDI, PRI. Interventi di 
                  Lotta Continua, Avanguardia Operaia, PdUP, Lega dei Comunisti, 
                  Movimento Studentesco, a cura di Cesare Donati, Filippo 
                  Ottne, Franca Rosti, Attualità Politica 11, 1976 Savelli 
                  Editore, pag.90
                  
 - Nei documenti dei gruppi di lavoro della commissione dei 
                    40 saggi istituita da Berlinguer si legge: «Le rigidità 
                    di un sistema centralizzato di gestione della scuola, con 
                    un eccesso di regolamentazione e autoreferenzialità 
                    e un intervento amministrativo frammentario, a discapito di 
                    altre funzioni di governo, di indirizzo e di valutazione, 
                    hanno contribuito ad un abbassamento della qualità 
                    dell'apprendimento e dell'insegnamento. In queste condizioni, 
                    anche il tentativo di far fronte dall'alto, per via burocratica, 
                    ad una convulsa domanda sociale si è tradotto in un 
                    aumento dell' inefficienza del sistema e in un abbassamento 
                    del livello delle responsabilità individuali e sociali.» 
                    Surreale se si pensa alla natura della fonte: Gruppo di lavoro 
                    n. 1 - Coordinatore: prof. Giuseppe Tognon, Moderatore. isp. 
                    Marisa Valagussa, Ragioni, finalità e obiettivi 
                    della riforma; indicazioni generali per la sua attuazione. 
                    Si trova in: http://www.fisicamente.net/SCUOLA/index-1529.htm#1 
                  
 - Cornelius Castoriadis, La rivoluzione democratica. Teoria 
                  e progetto dell'autogoverno, a cura di Fabio Ciaramelli, 
                  2001 Editrice A coop. Sezione Elèuthera, p.40
                  
 - Ugo Perone, Premessa, in Agnes Heller, Per una 
                  antropologia della modernità, pagg. 10-11, Rosemberg 
                  & Sellier 2009
                  
 - Michel de Certeau, op. cit., p.31
                  
 - Giovanni Leghissa, op cit., p.21
                  
 - Angelo Malinverno, Ragionando di professionalità, 
                    in http://www.cidimi.it/DOCUMENTI/Documenti_Archivio_ProfessionalitaDocente_MALINVERNO.html. 
                    Dello stesso autore un'interessante analisi critica della 
                    funzione del “centralismo statuale” nel sistema 
                    dell'istruzione pubblica in Italia si trova in: Angelo Malinverno, 
                    La scuola in Italia. Dalla legge Casati alla riforma Moratti 
                    (1860-2004), 2006 Unicopli. 
                
  
                  
                
                   
                    Signori 
                        benpensanti, 
                        spero non vi dispiaccia 
                       
                        Fabrizio De André 
                      chiusura 
                        sezione Pedagogia libertaria 
						 | 
                   
                 
                
               |