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                  Nuove prospettive per l'organizzazione della società 
				  intervista a Emanuele Amodio 
				   
                Ecco la seconda e ultima parte dell'intervista con l'antropologo 
                  Emanuele Amodio, da decenni residente in Venezuela, iniziata 
                  sullo scorso numero. Buona lettura e, come sempre, se rimangono 
                  dubbi o volete dare il vostro contributo scrivetemi alla mail 
                  andreastaid@gmail.com. 
                 A.S. 
                 Partendo dalla tua risposta... Giusta osservazione quella 
                  sul matrimonio che troppo spesso viene considerato come qualcosa 
                  di innato, naturale nella nostra cultura. L'antropologia attraverso 
                  le sue ricerche sul campo ha dimostrato che il matrimonio occidentale 
                  è solo una possibilità tra le tante. Legato a 
                  questa tua osservazione non posso non pensare, per esempio, 
                  al lavoro di Sahlins sull'economia della società della 
                  pietra dove grazie alle sue ricerche e quelle di altri antropologi 
                  documenta il lavoro e l'economia nelle società altre 
                  e dimostra come sia falsa la tipica affermazione ancora oggi 
                  in voga del selvaggio povero e affamato. Poi seguendo questa 
                  linea di riflessione arriviamo dritti all'opera di Pierre Clastres 
                  al suo monumentale La società contro lo Stato, Archeologia 
                  della violenza... le connessioni tra pensiero libertario 
                  e antropologia possono essere molte. Nel tuo lavoro di ricerca 
                  ormai decennale quali sono le connessioni più forti che 
                  hai riscontrato? 
                  Come ho accennato prima, sono convinto dell'esistenza di una 
                  relazione iniziale fra il campo libertario del secolo XIX e 
                  la nascita dell'antropologia come scienza sociale. Questo vuol 
                  dire che nel corso della sua storia l'antropologia, proprio 
                  per il suo relativizzare l'Occidente, ha attratto giovani insofferenti, 
                  adolescenti in crisi di crescita e perfino teorici politici 
                  in cerca di giustificazioni alla loro ideologia. Detto questo, 
                  e al di là dei vasi comunicanti che storicamente possiamo 
                  identificare, occorre tener chiaro che, nel caso dell'anarchismo, 
                  si tratta di una ideologia, con la sua visione del mondo e naturalmente 
                  con le sue strategie per realizzare la sua utopia. Al contrario, 
                  nel caso dell'antropologia, ci troviamo di fronte a una scienza 
                  sociale che l'Occidente usa per costruire la propria identità 
                  (gli altri sono selvaggi o primitivi) e spesso a fini di dominazione, 
                  anche se, allo stesso tempo, questa finisce per essere critica, 
                  almeno nelle sue frange più coscienti, dell'uso che si 
                  fa dei suoi prodotti. Precisamente questa frangia critica è 
                  quella che denuncia l'imperialismo e perfino mette in dubbio, 
                  grazie alla sua auto-riflessività, il valore stesso della 
                  descrizione etnografica, della sua “densità” 
                  interpretativa, etc. 
                   Nel 
                  mio caso specifico, ho molto chiaro che la mia sensibilità 
                  verso i problemi del potere e del controllo sociale, così 
                  come dei cambi culturali imposti da fuori ai popoli indigeni 
                  dell'America latina, derivano dalla mia militanza previa al 
                  lavoro di campo tanto nella selva amazzonica come nelle Ande. 
                  Ancor di più, è precisamente per motivi ideologici 
                  che, mentre per un lato non posso non rispettare la differenza 
                  culturale, dall'altro non posso rimanere impassibile di fronte 
                  all'oppressione che, occorre non dimenticarlo, non è 
                  solo genericamente culturale, ma soprattutto sociale ed economica 
                  e arriva al genocidio senza tanti preamboli. Militanza libertaria 
                  qui vuol dire rispettare l'altro, anche nelle sue decisioni 
                  che uno non condivide, senza però esimersi dal proporre 
                  letture critiche dei processi che si danno nel contatto continuato 
                  con il mondo occidentale. Anche se può sembrare romantico, 
                  credo che la difesa della differenza culturale sia necessaria 
                  non solo a loro ma anche a noi che stiamo diventando così 
                  poco differenti. Come non ricordare Ernesto Di Martino, quando 
                  scriveva che entrava nelle case dei contadini salentini “come 
                  compagno, come un cercatore di uomini e di storie umane dimenticate, 
                  che al tempo stesso spia e controlla la sua propria umanità, 
                  e che vuol rendersi partecipe, insieme agli uomini incontrati, 
                  della fondazione di un mondo migliore, in cui migliori saremmo 
                  diventati tutti, io che cercavo e loro che ritrovavo”. 
                  Le società, da orizzontali a stratificate 
				  
                 Ora vorrei soffermarmi sui tuoi studi, per esempio sull'identità 
                  etnica e le sue trasformazioni nei popoli indigeni dell'America 
                  Latina ma non solo... prima parlavi della parentela come rete 
                  di accesso al potere? Puoi spiegarci meglio? Anche il discorso 
                  di come questo possa influire sulle società orizzontali 
                  che poi diventano piramidali. 
                  Le società indigene, soprattutto quelle che in America 
                  Latina chiamiamo di “terre basse”, come le amazzoniche, 
                  son definite “segmentarie” perché organizzate 
                  in “segmenti” orizzontali, in opposizione a quelle 
                  “stratificate”, nelle loro differenti forme. Questi 
                  segmenti possono essere di vario tipo, secondo il loro referente 
                  mitico o la loro organizzazione, come le fratrie o i clan, al 
                  cui interno le relazioni si danno fra le famiglie. In altri 
                  casi, come fra i popoli caribi, la struttura sociale è 
                  più diffusa coincidendo con le reti ampliate di parentela 
                  e forti legami di reciprocità. In questo contesto, se 
                  utilizziamo la definizione weberiana di potere (la possibilità 
                  che qualcuno imponga la sua volontà su un altro), le 
                  società indigene hanno prodotto meccanismi affinché 
                  questa situazione non si dia, salvo forse in periodi di guerra 
                  quando, come nel caso del caribi nella loro lotta contro gli 
                  spagnoli, si confederavano e nominavano un “capo di guerra” 
                  unico. Se invece consideriamo il potere anche come effetto di 
                  relazioni quotidiane, flussi d'influenze e reti di solidarietà 
                  differenziate, evidentemente anche in queste società 
                  è possibile identificare la trama del controllo sociale 
                  informale e, soprattutto, i centri di decisioni nelle reti diffuse, 
                  per lo meno nell'ambito delle comunità locali, giacché 
                  in termini generali non esiste assolutamente un sistema di potere 
                  e controllo di tutta la società. In questo senso, ogni 
                  famiglia può negarsi di accettare le decisioni comunitarie 
                  prodotte coralmente e trasferirsi altrove, però anche 
                  correndo il rischio, alla larga, di restare isolate dal resto 
                  del suo gruppo di ascrizione. 
                   D'altro 
                  canto, anche se è vero che il luogo del potere individuale 
                  è “vuoto”, come direbbe Clastres, nel senso 
                  che non ti permette di accumulare molti più beni degli 
                  altri, che potrebbero servire da referente per l'azione dominatrice, 
                  esso è anche il “luogo della parola” mediatrice 
                  che evidentemente produce effetti di potere, allo stesso modo 
                  che nel caso dell'influenza che gli sciamani o le sciamane hanno 
                  sul territorio di cui si occupano. E risulta molto suggerente 
                  che in molti casi amazzonici, esistono famiglie che hanno prodotto 
                  storicamente capi villaggio e sciamani, naturalmente appoggiati 
                  dalle proprie reti di parentela. In ogni caso, esistono sistemi 
                  di controllo contro l'accumulazione della “capacità 
                  di influire”, spesso di tipo rituale (spiriti vendicatori, 
                  per esempio) o, nel caso degli sciamani, l'accusa di stregoneria 
                  può avere risultati devastanti. Infine, occorre ricordare 
                  che nella maggioranza di queste società in contatto permanente 
                  con l'Occidente, i sistemi tradizionali di controllo del potere 
                  son entrati in crisi e spesso sono sostituiti in parte da caratteristiche 
                  occidentali (accumulazione di beni, mediazione con i poteri 
                  statali, ecc.). 
                  Per rispondere alla domanda sulla trasformazione delle società 
                  orizzontali in stratificate, a parte quando questo si produce 
                  per influenza delle società locali di origine occidentali 
                  (missionari, funzionari, mercanti...), occorre avere chiaro 
                  che queste società sono storiche, nel senso che vivono 
                  il cambio come tutte le altre: cioè cercando di frenarlo 
                  in epoca di abbondanza e tranquillità sociale e di accelerarlo 
                  in epoca di crisi. In questo senso la famosa catalogazione di 
                  Levi-Strauss di società “fredde” e “società 
                  calde”, riguardo a come si comportano di fronte alla storia, 
                  vale non solo per differenziare sincronicamente tipi di società, 
                  ma anche per differenziare epoche differenti di una stessa società. 
                  Partendo da questa premessa, tanto la ricerca archeologica come 
                  la storica hanno dimostrato l'esistenza di società indigene 
                  che da segmentarie si sono trasformate in stratificate di tipo 
                  cacicale, cioè, con una concentrazione di potere su un 
                  unico individuo o famiglia e con una economia di maggiore accumulazione 
                  di beni. Sembra evidente che è da questo tipo di società 
                  che sono sorte le società incaiche e azteche, fortemente 
                  stratificate e piramidali. 
                  I motivi di queste trasformazioni possono essere vari, probabilmente 
                  crisi di qualche tipo, sociale o ambientale, o semplicemente 
                  un aumento della popolazione che ha obbligato cambi strutturali 
                  nella produzione. Però, quello che più importa, 
                  è che questi cambi strutturali non sono obbligati, come 
                  vorrebbero i teorici dell'evoluzionismo sociale, marxisti classici 
                  inclusi, ma storicamente contingenti, tanto che possiamo citare 
                  vari casi di ritorno al sistema segmentario, come per esempio 
                  i maya centramericani o, in certo modo, i quechua andini. 
                
                   
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                    |   Un 
                        nostro adesivo pubblicitario degli anni '70,  realizzato 
                        da Fabio Santin e Marina Padovese  | 
                   
                 
                 
                  Le nuove organizzazioni indigene 
                 Altra cosa alla quale sono molto interessato sono i 
                  tuoi tre anni passati nelle comunità indigene del Brasile 
                  e Perù puoi dirci qualcosa di più? È da 
                  li che nascono le tue riflessioni sull'identità e le 
                  trasformazioni delle popolazioni indigene dell'America latina? 
                  In effetti, le mie riflessioni o conclusioni sull'identità 
                  e le sue trasformazioni fra i popoli indigeni dell'America latina, 
                  nascono da lunghi anni di ricerche e convivenza con vari gruppi 
                  etnici, soprattutto di cultura e lingua caribe del nord del 
                  Sudamerica e con i quechua e aymarà del mondo andino. 
                  Inoltre, occorre chiarire che, a differenza delle definizioni 
                  essenzialistiche, per me l'identità, nelle sue varie 
                  accezioni sociale, etnica o nazionale, è una costruzione 
                  dinamica e posizionale di fronte agli altri. 
                  Questo vuol dire che si tratta di un processo dinamico, costruito 
                  storicamente però usato ideologicamente, in un senso 
                  amplio. Fa parte delle strategie di costruzione di se e di gruppo, 
                  di fronte agli altri e agli eventi contingenti, servendo di 
                  riferimento costante anche per le organizzazioni etniche di 
                  difesa territoriale o culturale. In conformità a queste 
                  premesse, ho studiato sia i processi di conquista culturale, 
                  attraverso differenti agenzie occidentali, come i missionari 
                  delle varie chiese o i funzionari dello stato, sia le reazioni 
                  difensive da parte dei popoli indigeni. Così mi sono 
                  interessato della storia della resistenza indigena durante l'epoca 
                  coloniale, risalendo fino all'attualità, con casi che 
                  vanno dalla resistenza armata fino a quella culturale, includendo 
                  fenomeni di millenarismo. In questo contesto, risulta importante 
                  riaffermare che le culture non sono statiche e che si trasformano, 
                  anche assumendo elementi culturali dagli altri gruppi etnici 
                  e persino dello stesso occidente. Molti antropologi pensano 
                  che in questo modo le culture indigene perderebbero la loro 
                  “essenza”, dimenticando che non esistono culture 
                  pure e che tutte e sempre sono il risultato di processi sociali 
                  dinamici. 
                  Il problema infatti non è la mescolanza di elementi culturali, 
                  più o meno rese omogenee dallo sforzo intellettuale di 
                  questi popoli, ma il controllo che possono avere sulla loro 
                  riproduzione. Per esempio, per venire a tempi attuali, mentre 
                  il dominio sulla costruzione del relato storico, che assume 
                  le forme mitiche, includendo spesso elementi e personaggi cristiani, 
                  si mantiene nelle mani indigene, non è cosi per la assunzione 
                  di tecniche occidentali di coltivazione o di caccia, creandosi 
                  così la dipendenza dal mercato occidentale. Lo stesso 
                  vale per le diete indigene attuali, quando includono alimenti 
                  non appartenenti alla cultura alimentare locale, come per esempio 
                  la pasta, generalmente di scarso valore nutrizionale, o l'olio 
                  per friggere. 
                  Di questi processi le nuove organizzazioni indigene, nate durante 
                  la seconda metà del secolo XX con piattaforme esplicitamente 
                  indigeniste, sembrano ben coscienti, tanto che la difesa della 
                  cultura “tradizionale” e della lingua occupa un 
                  posto predominante insieme alla difesa delle terre. Naturalmente, 
                  l'uso qui del termine identità come bandiera di lotta 
                  diventa importante, anche se l'autodefinizione non coincide 
                  completamente con quella antropologica, giacché ha bisogno 
                  de “solidificarsi” (vedi l'uso politico dell'aggettivo 
                  “ancestrale”) per servire da referente alle lotte 
                  politiche. 
                 Andrea Staid 
				 (2. - fine) 
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