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				 scuola digitalizzata 
                  
                iPad e iPocrisia 
                  
                di Huko (gruppo Huxley-Ubu-Kafka-Orwell) 
                    
                L'introduzione nelle scuole (francesi) 
                  degli iPad e di altri tablet è ormai accettata in Francia 
                  da quasi tutti. 
Vi si oppongono soltanto coloro che i media hanno preso la deplorevole abitudine di definire “tecnofobi”. Purtroppo, il “timore della tecnologia” non porta in sé niente di positivo, perché si inscrive immediatamente nel registro della paura, la quale, come si sa, può dare luogo al peggio. Niente di meglio, per screditare qualsiasi critica, che ridurla a un timore irrazionale e reazionario. È un altro l'attacco, molto più profondo, che qui viene sferrato contro una scuola tutta digitale. 
                 
                  Dopo tutto l'internauta non è altro che l'esito delirante 
                  di un lungo processo di isolamento degli individui e di privazione 
                  sensoriale; e la cybervita che gli viene proposta è sempre 
                  destinata, soltanto per qualche tempo, a percentuali relative 
                  del genere umano, mentre tutto il resto si vede abbandonato 
                  all'attesa di un Tartaro di questo XXI secolo. 
                  Baudouin de Bodinat, La vie sur terre, 1966 
                   
                  Dopo essersi accontentati dell'immagine,  faremo a 
                  meno della realtà. 
                  Étienne Gilson, La società di massa e la sua 
                  cultura, 1981
  
		Rifiuto anti-industriale e fratture digitali 
Le ragioni del rifiuto da parte dei “tecnofobi” delle tecnologie digitali, a forza di essere diffuse dalla maggior parte dei media, anche se nel loro abituale modo screditante, sono finalmente ben note. Si tratta di buone ragioni: 
                  1. I tablet sono gravemente inquinanti, assai più dei 
                  libri, in particolare nella fase della costruzione, a causa 
                  dei metalli rari che entrano nella loro composizione e dell'acqua 
                  necessaria alla loro fabbricazione. Inoltre, la loro obsolescenza 
                  programmata permette ai fabbricanti di rendere rapidamente vetusto 
                  un materiale presentato uno o due anni prima come “il 
                  migliore al miglior prezzo”. Numerosi sono ormai gli studi 
                  che dimostrano, concordemente, fino a che punto un tablet, la 
                  cui durata di vita è programmata intorno ai tre anni 
                  scarsi, forse un po' di più per gli iPad, è assai 
                  più inquinante del libro1 
                  e nettamente più costoso per il bilancio delle collettività 
                  e quello della nazione2. 
                  2. I tablet sono molto verosimilmente pericolosi per la salute, 
                  da un punto di vista neurofisiologico, tanto più che 
                  gli utenti sono prevalentemente giovani3. 
                  3. Non è certo che l'apprendimento sui tablet, facilitando 
                  lo zapping e distraendo l'occhio dell'utente, sia più 
                  facile che sui libri, anzi4. 
                  4. Il loro acquisto rappresenta un massiccio trasferimento di 
                  denaro in direzione di paesi lontani, con grave danno per i 
                  librai, gli editori e gli stampatori nazionali, che piombano 
                  in una situazione economica sempre più delicata. Lo scotto 
                  della “mondializzazione” sta per distruggere tutta 
                  l'industria culturale: il mondo della cultura non ha saputo, 
                  a suo tempo, rifiutare la massificazione, ma questo è 
                  un altro tema di discussione che non affronteremo qui5. 
5. L'uso generalizzato dei tablet nei soli paesi ricchi costituisce un aspetto cruciale della frattura digitale, rivelata dall'Unesco già dagli anni novanta. Al plurale: fratture digitali tra i paesi ricchi e i paesi poveri; all'interno dei paesi ricchi, tra connessi e non connessi; all'interno dei connessi, tra coloro che utilizzano la rete in modo intelligente e gli altri, che sprecano il loro tempo in acquisti, in pornografia o in aste di tutto ciò che si vende o si compra. 
Certo, ci sono delle buone ragioni, ma è un'altra frattura, che ci sembra ancor più fondamentale, quella che citiamo qui. 
                  Chi produce gli iPad? E dove? 
				                    Le legittime preoccupazioni ecologiche tendono a farci trascurare 
                  il fatto che gli iPad (Apple), Kindle (Amazon), Playstation 
                  e altri materiali digitali sono prodotti da una azienda neo-schiavista, 
                  Foxconn. Da Foxconn6, le operaie 
                  e gli operai sono sottoposti a ritmi di lavoro “just in 
                  time”, in un settore in cui, precisamente, la commercializzazione 
                  dei prodotti deve adeguarsi alla domanda – pressante – 
                  dei consumatori, in vertiginoso rialzo nei periodi festivi, 
                  stagnante quando si annuncia una prossima evoluzione del materiale. 
                  La durata del lavoro può essere superiore alle sessanta 
                  ore settimanali, mentre in altri momenti una parte del personale 
                  è posta in disoccupazione forzata. Non è un dato 
                  aneddotico: Foxconn impiega più di un milione di persone, 
                  in Cina e altrove; inoltre l'azienda è connessa con numerose 
                  imprese di spicco del mondo della globalizzazione: Apple, Microsoft, 
                  Amazon, Sony... 
                  Nel 2012, quando Apple è stata accusata di far lavorare 
                  degli “iSchiavi” tramite Foxconn, l'azienda statunitense 
                  aveva abilmente giocato sul registro politico: la superiorità 
                  assoluta del modello capitalistico neoliberale avrebbe finito 
                  per “moralizzare” Foxconn. D'altro canto, in meno 
                  di trent'anni, la Cina era passata dall'era maoista al neoliberismo 
                  più brutale. Bastava aspettare un po' per vedere ben 
                  presto Foxconn rientrare nei ranghi, pagare meglio i suoi operai 
                  e armonizzare i ritmi di lavoro. Quello che si è verificato 
                  è esattamente il contrario: ora, è l'anti-modello 
                  di Foxconn a essere esportato nel mondo, persino nell'Unione 
                  europea. Infatti, Foxconn ha aperto numerose fabbriche in Cechia, 
                  a Pardubice e Kutná Hora7, 
                  e in Slovacchia, nelle quali le condizioni di lavoro assomigliano 
                  a forme di neoschiavismo, poiché le lavoratrici e i lavoratori 
                  si trovano in uno stato di dipendenza assoluta in relazione 
                  all'inquadramento e alla direzione dell'impresa8. 
                  Come il cinismo si introduce nella cultura 
				  La frattura digitale, dunque, non deriva soltanto dal fatto che alcuni sono ipertecnologicizzati e altri sottotecnologicizzati. La vera e profonda frattura è prima di tutto politica: cinici ipertecnologicizzati da un lato, poveri diavoli all'altro estremo, a cominciare da questi iSchiavi che producono per i primi. 
                  La novità è che, nelle scuole repubblicane di 
                  un paese come la Francia, si vorrebbe dare ai nostri figli, 
                  per far sì che davanti a loro si apra il radioso mondo 
                  della cultura, dell'emancipazione e della libertà, materiali 
                  fabbricati secondo le norme dello schiavismo moderno9. 
                  Vale a dire: costruire la nostra libertà calpestando 
                  quella di milioni di altri esseri umani nel mondo. 
                  Non sarebbe opportuno ridurre questo stato di cose a una semplice 
                  estensione della fabbricazione di abiti, strumenti diversi ecc., 
                  nei paesi-laboratori. Infatti, questa realtà è 
                  ben conosciuta e in questo caso si verifica un conflitto tra 
                  l'etica personale dell'individuo e l'offerta disponibile sul 
                  mercato. Tra un paio di pantaloni a 35 € fabbricato in 
                  Bangladesh e un altro molto più costoso, proveniente 
                  dall'Italia o dalla Francia, il lavoratore francese, dal reddito 
                  modesto, sceglierà spesso la prima soluzione. Questa 
                  è la realtà di un paese, la Francia, in cui più 
                  del 10% della popolazione attiva è disoccupato. Per quanto 
                  riguarda i tablet ordinati e diffusi ormai dallo Stato nelle 
                  scuole, istituti inferiori e licei della Repubblica, il conflitto 
                  è di un ordine diverso. Non si tratta più di pantaloni 
                  o di calcolatrici tascabili, ma di strumenti che si ritiene 
                  forniscano cultura ed emancipazione. Infatti è lo stesso 
                  Ministero dell'Istruzione nazionale ad annunciarlo: il compito 
                  degli insegnanti è quello di “far vivere la 
                  cultura umanistica nella società digitale”10 
                  (corsivo nostro). 
                  Il grande divario tra cultura umanistica e società digitale 
				  Come si può pensare, con serietà e rigore etico, di promuovere l'umanesimo servendosi di strumenti che incarnano la negazione stessa di questo umanesimo? Questo umanesimo invocato dai più alti responsabili del sistema scolastico francese implica al minimo il rispetto degli altri esseri umani, e bandisce l'idea di sfruttarli a vantaggio di un pugno di privilegiati: i nostri stessi figli. Tra il fine e i mezzi la contraddizione è palese. 
                  Questo dilemma filosofico, certo classico se lo si compendia 
                  in questi termini, oggi riveste un'ampiezza e una gravità 
                  sconosciute in precedenza. Infatti è il governo stesso 
                  che organizza il cinismo appioppando di forza, nelle mani di 
                  docenti e giovani, del materiale costruito da neo-schiavi. Il 
                  paragone con i modi di lavaggio del cervello dei giovani da 
                  parte delle dittature nella prima metà del XX secolo 
                  non è aneddotico: quando il capitalismo si trova in una 
                  fase critica, come accade dal 2007,11 
                  una parte dell'élite è fortemente tentata di affidarsi 
                  a forme dittatoriali di potere. È questo, nient'altro 
                  che questo, che si sta giocano oggi; l'introduzione degli iPad 
                  nella scuola o l'emergere delle destre estreme nella società 
                  nella quasi totalità dei paesi europei ne sono sintomi 
                  certi. 
                  Non confondiamo la “libera scelta” di ciascuno, 
                  ivi compresa quella di acquistare prodotti non etici, con l'imposizione, 
                  da parte dello Stato stesso, di un materiale originato dal moderno 
                  schiavismo. Soprattutto quando questo materiale, come gli iPad, 
                  è destinato a un settore del tutto particolare: i bambini, 
                  i giovani e la loro educazione. Tutto accade come se le generazioni 
                  adulte, declinanti, mostrassero il peggiore esempio alle generazioni 
                  emergenti: un mondo nel quale, in ultima analisi, ciascuno può 
                  schiacciare il proprio prossimo senza battere ciglio. Non è 
                  una sorta di presunta purezza dell'infanzia quella che si dovrebbe 
                  conservare, la quale è soltanto una pia menzogna reazionaria. 
                  Ma, come spiegava Hannah Arendt in La crisi dell'istruzione12, 
                  se le nuove generazioni devono essere protette dal mondo degli 
                  adulti perché ne rappresentano l'avvenire, questo mondo 
                  degli adulti deve anche proteggersi dalle nuove generazioni. 
                  Più precisamente: i valori positivi che il mondo ha saputo 
                  sviluppare non devono essere messi in pericolo da generazioni 
                  che, se non si prendono le dovute precauzioni, potrebbero spazzarli 
                  via. Arendt pensava ai giovani che, al suo tempo, aderirono 
                  in massa al nazismo, con le conseguenze apocalittiche che conosciamo. 
                  Attualmente, questo dilemma si formula in questo modo: non lasciamo 
                  in eredità alle giovani generazioni i nostri valori negativi, 
                  a cominciare dal cinismo dei nostri dirigenti. La questione 
                  è politica ed etica. 
                  Dalla parte dell'editoria 
				  Tutto ciò che riguarda la cultura – o quasi – è ormai vittima di questa formidabile illusione digitale. Nell'editoria francese, la maggior parte degli editori si è lanciata nel digitale, pensando di seguire la china ascendente del digitale negli Stati Uniti. In questo paese, le vendite di opere digitali dal 2012 superano quelle di opere su carta. Ma in Francia, non rappresentano nemmeno un ventesimo, malgrado una intensa politica di promozione di monitor, tablet, smartphon e altri lettori. Le spiegazioni di questo fenomeno sono certamente complesse. L'incapacità degli editori a pensare il contenuto digitale in modo differente dal contenuto su carta è una di queste, come l'attaccamento dei francesi alle loro librerie, anche se molto colpite dalla penetrazione, sul mercato francese, di una delle imprese guida del nuovo capitalismo, Amazon, anche in questo caso scandalosamente favorita dai governi di tutte le tendenze. 
Lo stupefacente è che sono i lettori stessi che mantengono a galla il libro di carta, mentre quelli che lo producono manifestano una netta tendenza ad abbandonare il loro saper fare e a mandare a picco il proprio mercato, la propria fonte di guadagno. Sono proprio le élite autoproclamatesi che decidono di passare armi e bagagli al digitale a tutto campo, contro l'evidenza stessa del mercato in Francia, contro la necessità di mantenere un tessuto di librerie e persino contro i gusti dei lettori. 
                  Verso il peggio in politica? 
				                    Non potremo più dire che “non lo sapevamo”. 
                  Già nel 1950, Norbert Wiener, matematico e inventore 
                  della cibernetica, in The Human Use of Human Beings (L'uso 
                  umano degli esseri umani), aveva avvertito: “Abbiamo 
                  modificato l'ambiente in cui viviamo in modo così radicale 
                  che ora siamo costretti a modificare noi stessi per riuscire 
                  a vivere in questo nuovo ambiente”. Wiener pensava alle 
                  condizioni materiali indotte dal nostro ambiente tecnologico; 
                  ormai, sono gli “ambienti digitali di lavoro”, gli 
                  ADL, che finiranno per modificarci, per spazzare via ogni etica, 
                  e dovrebbero farci accettare il ritorno allo schiavismo. Il 
                  dilemma è sostanzialmente politico, e non soltanto filosofico 
                  né individuale e quotidiano. Oggi più ancora che 
                  all'epoca di Wiener, il potere è caduto nelle mani peggiori. 
                  I peggiori sono coloro che, in gioventù, hanno salito 
                  i gradini delle più famose scuole e università 
                  francesi13, poi, entrati nel 
                  mondo degli affari, i ministeri, le banche o l'editoria, fanno 
                  comunella con le reti che contano, a prezzo di mille rinunce, 
                  compromessi e corruzioni. Nessuno sarebbe così incosciente 
                  da definire aristocrazia, “potere dei migliori”, 
                  questi personaggi che si spartiscono la direzione del paese 
                  da almeno quattro decenni. Al contrario, oggi, coloro che si 
                  sono arrampicati al vertice dello Stato e dell'Impresa costituiscono 
                  una kakistocrazia: un “potere dei peggiori”. Imponendosi, 
                  hanno eliminato ogni forma di democrazia reale e calpestato 
                  la repubblica, nel senso di “bene comune”. 
Ma il vento soffia e la ruota gira: la kakistocrazia fa la gioia di tutti i demagoghi, soprattutto della destra nazionalista e dell'estrema destra fascista, se non addirittura neonazista. I mediocri che prendono le decisioni più dannose per il pianeta e per la nostra emancipazione non sembrano accorgersi che la loro politica apre la strada alla resistibile ascesa del Front National in Francia e dei neofascisti nella maggior parte dei paesi dell'Unione europea. I nostri dirigenti preferiscono, malgrado tutto, privilegiare, persino a scuola, la valorizzazione del cinismo e della mediocrità che costituiscono la base dei neofascisti. 
                  Il boicottaggio all'ordine del giorno! 
				  
                 Lavorare su un tablet significa accettare che degli schiavi 
                  l'abbiano fabbricato a 500 chilometri da casa nostra, nel cuore 
                  stesso dell'Unione europea, o in Estremo Oriente, significa 
                  fare della mediocrità e del cinismo virtù cardinali, 
                  e abolire ogni forma di vergogna. Naturalmente i tablet non 
                  sono gli unici e nemmeno i principali responsabili dell'ascesa 
                  della kakistocrazia, ma ne costituiscono ormai uno strumento 
                  privilegiato. Venendo a contatto con bambini e giovani, li abituano 
                  molto presto alla deplorevole ipocrisia di un discorso emancipatore 
                  e menzognero al tempo stesso; sempre più precocemente 
                  nella vita degli individui predomina il cinismo del mondo e 
                  del sistema14. E i dirigenti, 
                  che attentano al nostro desiderio di emancipazione volendo costringerci 
                  a partecipare alle loro ignominie, finiscono per convincersi 
                  da soli che, dopo tutto, le loro vittime sono consenzienti... 
                  perché li accettiamo o non li rinneghiamo. Ora, se domani 
                  lavoriamo su degli iPad o dei Kindle senza aver vergogna la 
                  sera di guardarci allo specchio – e tutto è organizzato 
                  in modo che non proviamo alcuna vergogna –, allora ciò 
                  significherà che abbiamo aderito all'infamia. 
                  Questa è la china molto pericolosa lungo la quale tutti, 
                  adulti, educatori, insegnanti, genitori e giovani, dobbiamo 
                  rifiutare di avviarci. Rifiutarla adesso! Il boicottaggio di 
                  tutti questi strumenti che distruggono la vita – la vita 
                  di persone diverse da noi – è all'ordine del giorno. 
                  Come diceva Brecht: “Da chi dipende il permanere dell'oppressione? 
                  Da noi. Da chi dipende che venga meno? Ancora da noi”. 
                 HUKO 
                  (Gruppo Huxley-Ubu-Kafka-Orwell) 
                  traduzione dal francese di Luisa Cortese 
                 Note 
                 
                  - Cfr., tra gli altri, ciò che ne dice Roberto Casati 
                    in Contro il colonialismo digitale: istruzioni per continuare 
                    a leggere, Laterza, Roma-Bari 2013. 
                  
 - In un dipartimento poco popolato come il Jura (258.000 abitanti), 
                    con una popolazione scolastica poco elevata, il Consiglio 
                    generale dedica non meno di 2,4 milioni di euro in quattro 
                    anni (10 milioni in totale...) alla fornitura di iPad agli 
                    istituti scolastici, senza contare le formazioni per gli insegnanti 
                    e l'installazione di wi-fi negli edifici... il tutto per materiali 
                    che andranno sostituiti fra tre/cinque anni, o forse meno; 
                    in effetti non esiste uno studio in materia sufficientemente 
                    ampio nello spazio e nella durata. 
                  
 - Cfr., per esempio, Michel Desmurget, TV lobotomie – 
                    La vérité scientifique sur les effets de la 
                    télévision, J'ai lu, Paris 2013; Nicholas 
                    Car, Internet ci rende stupidi? Come la rete sta cambiando 
                    il nostro cervello, Raffaello Cortina Editore, Milano 
                    2011; i siti htpp://bbf.enssib.fr/consulter/bbf-2011-05-0006-001 
                    o http://www.horizons-et-debats.ch/index.php?id=3660 
                    e anche http://affordance.typepad.com//mon_weblog/. 
                  
 - Cfr. Umberto Eco, A passo di gambero. Guerre calde e 
                    populismo mediatico, Bompiani, Milano 2007 e soprattutto 
                    Raffaele Simone, Presi nella rete: la mente ai tempi del 
                    web, Garzanti, Milano 2012; e ancora Michel Desmurget 
                    e Nicholas Carr. 
                  
 - Cfr. per esempio Étienne Gilson, La società 
                    di massa e la sua cultura, Vita e pensiero, Milano 1981. 
                    In seguito sono usciti decine e centinaia di libri o studi 
                    su questo tema cruciale, nonché innumerevoli articoli. 
                    Cfr. per esempio http://piecesetmaindoeuvre.com/spip.php?page=resume&id_article=439 
                    oppure http://sniadecki.wordpress.com/. 
                  
 - Cfr. http://www.gongchao.org/fr/iesclaves/10-paragraphes-contre-1-pomme-pourrie. 
                  
 - Cfr. http://www.czech.cz/fr/News/Economie-Commerce/Foxconn,-une-multinationale-taiwanaise-au-coeur-de 
                    e https//www.wsws.org/en/artiche/2013/10/10foxc-o10.html. 
                  
 - Cfr. http://www.emf-fem.org/content/download/28353/240224/versione/1/file/Case+studies+agency+workers+in+eloctronics+sector+CEE+Fr.pdf. 
                    (in francese) 
                  
 - E non antico, certo, ma pur sempre schiavismo, sì, 
                    se si considera la dipendenza assoluta del lavoratore e la 
                    sua incapacità di fatto a organizzarsi, cosa che non 
                    si era verificata da moltissimo tempo. La rivoluzione industriale 
                    aveva comportato la creazione dell'Associazione Internazionale 
                    dei Lavoratori, mentre ormai l'organizzazione dei lavoratori, 
                    tagliati fuori dal loro ambiente sociale, isolati dalla barriera 
                    della lingua, è assai più complessa, se non 
                    impossibile. 
                  
 - Questo è il quinto pilastro del Socle commun des 
                    connaissances et des compétences [Base comune delle 
                    conoscenze e delle competenze] (decreto dell'11 luglio 2006), 
                    che ne comprende sette in totale. Tale formulazione si ritrova 
                    in numerosi opere destinate agli insegnanti, per esempio Vers 
                    des centres de connaissances et de culture [Verso dei 
                    centri di conoscenze e di cultura] (2012). 
                  
 - Ci riferiamo all'insorgere della crisi detta dei subprimes. 
                    Cfr. Massimo Amato e Luca Fantacci, Fine della finanza, 
                    Donzelli, Roma 2012. 
                  
 - Hannah Arendt, La crisi dell'istruzione, in Passato 
                    e futuro, Garzanti, Milano 1991. 
                  
 - Cfr. in proposito, il libro, sempre attuale, di Claude Neuschwander 
                    sulle reti: L'acteur et le changement. Essai sur les reseaux, 
                    Le Seuil, Paris 1991. 
                  
 - Questo punto era già stato sviluppato in un libro 
                    di Philippe Godard, Au travail les enfants!, pubblicato 
                    nel 2006 da Homnisphères (Paris). 
  
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