Prato Carnico (Ud)/ 
                  Riapre la Casa del Popolo (un secolo dopo) 
                È il 26 ottobre. Siamo in tre da Trieste (due anarchiche 
                  del Germinal e un anarcosindacalista dell'Usi) ad alzarci di 
                  mattina presto per andare a Prato Carnico, in Carnia, per partecipare 
                  alla riapertura della Casa del Popolo dopo anni di ristrutturazioni. 
                  Ci andiamo perché nei decenni si è creato un forte 
                  legame tra Trieste e la Val Pesarina, fatto di iniziative (una 
                  manifestazione contro la strage di stato nel gennaio 1972, la 
                  presentazione nel 1983 del libro sul “funerale ribelle” 
                  dell'anarchico Casali avvenuto nel 1933 in pieno fascismo, l'organizzazione 
                  della Fiera dell'Autogestione nel 1997), ma anche di amicizie 
                  personali, di gite e tentativi di sciate, di acquisti di prodotti 
                  della valle quali il formaggio, i fagioli, le patate, i frutti 
                  di bosco e i funghi. 
                  Perché è importante in particolare per noi anarchici 
                  questa Casa del Popolo? Perché l'idea della sua creazione 
                  era nata tra gli emigrati in Germania già nel 1908, e 
                  nel febbraio del 1913, grazie al lavoro di valligiani ed emigranti, 
                  era stata inaugurata. Una casa molto grande per permettere di 
                  svolgervi tante attività: ristorazione, stanze per dormire, 
                  biblioteca, uno stupendo salone affrescato per conferenze e 
                  dibattiti e, non si dimentichi, i balli e la socializzazione 
                  tra i giovani che tanto infastidivano le parrocchie della valle 
                  sempre poco frequentate.
                 
                   
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                    |   26 ottobre, Prato Carnico (Ud).  Riapertura della Casa del 
                  Popolo  | 
                   
                 
                 Affrontiamo una lunga strada tra la nebbia. Ma arrivati in 
                  Val Pesarina la nebbia scompare e il sole illumina le belle 
                  montagne. Arriviamo davanti alla Casa del Popolo, tutta rosa 
                  e tirata a lucido. C'è già tanta gente, circa 
                  500 persone. Tutta la valle, certamente anche altre valli, alcuni 
                  indossano gli zoccoli e i costumi tradizionali, altri sono vestiti 
                  alla montanara come sempre. 
                  Ci mettono un'ora per fare la foto di gruppo. Intanto li osservo. 
                  La maggior parte sono di mezza età, anziani, bambini, 
                  pochi giovani che, a quanto pare, non sono tanto coinvolti dalla 
                  commemorazione. 
                  Dopo la foto, la “processione” con banda attraversa 
                  tutto il paese. Tiriamo fuori le nostre bandiere rosso-nere 
                  e nere. Alcuni sono preoccupati, altri sorridono. I più 
                  giovani chiedono cosa rappresentano. Vendiamo anche Umanità 
                  Nova e Germinal. 
                
                   
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                    |   La donna in prima fila, di fronte a quella 
                  in costume,  tiene avvolta la figlia nella ex-bandiera anarchica 
                  storica  (rossa con frangia nera) sulla quale sono stati attaccati  
                  successivamente la falce e il martello  | 
                   
                 
                 
                  Poi si torna indietro e iniziano i discorsi. Una caterva. Anche 
                  il sindaco, leghista, si adegua alla situazione (le elezioni 
                  sono vicine, mai perdersi l'elettorato); sappiamo però 
                  di censure preventive su canti e musiche proposti quali Bella 
                  Ciao e L'Internazionale. I bimbi cantano ma anche 
                  parlano, in lingua friulana e italiana. La banda continua a 
                  suonare; solo su richiesta affronta un Inno dei lavoratori. 
                  Affiorano ricordi personali e politici. 
                  Parla anche Ido Petris, il compagno anarchico presidente della 
                  cooperativa che ha gestito la Casa del Popolo fino al 2004 quando 
                  ha dovuto arrendersi di fronte agli enormi costi che la ristrutturazione 
                  di un tale edificio comportava e l'ha affidata al comune. Parla 
                  anche lo storico anarchico triestino Claudio Venza che ribadisce 
                  la centralità della coscienza storica e diffonde, assieme 
                  ad altri, un volantino riproducente il manifesto di apertura 
                  del 1913 incentrato sugli ideali di libertà, solidarietà, 
                  laicità. 
                
                   
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                    |   L'anarchico Ido Petris attende di prendere 
                  la parola  | 
                   
                 
                 
                  Nella Casa ora sono ospitati l'Archivio Storico e la Biblioteca 
                  Pubblica. Speriamo che non rimanga un guscio vuoto e che continuino 
                  le iniziative che possano attirare anche i giovani, oggi quasi 
                  assenti. 
                  Un'ultima nota curiosa. Una giovane donna teneva tra le braccia 
                  la figlia avvolta in una bandiera rossa, con una frangia nera. 
                  Sopra, in modo approssimativo, in panno nero erano attaccate 
                  la scritta P.C.D.I e una stella nera. Ho chiesto informazioni 
                  su questo strano connubio. Lei mi ha risposto che probabilmente 
                  era una storica bandiera trafugata agli anarchici e poi trasformata 
                  dai comunisti e conservata così anche durante gli anni 
                  del fascismo. Sarebbe bello che anche questa bandiera divenisse 
                  parte dell'Archivio della Casa del Popolo.  
                 Clara Germani 
                 
                 
                  Editoria/ 
                  Dopo Francoforte 
                Alla Fiera di Francoforte nello scorso ottobre, l'Associazione 
                  Italiana Editori presentava secondo tradizione il proprio rapporto 
                  sullo stato della lettura in Italia, con dati alquanto sconfortanti: 
                  “Annus horribilis per il settore che registra una 
                  chiusura apparentemente più contenuta rispetto al pesante 
                  segno meno da Nielsen per le vendite dei canali trade 
                  (quelli rivolti al pubblico, -7,8%), attestandosi su un -6,3% 
                  complessivo. Un dato in verità ben più negativo 
                  e che raggiunge quota -8,4% se dal perimetro complessivo del 
                  mercato del libro si esclude – come ormai è necessario 
                  – il non book (fatto sempre meno da prodotti di cartoleria 
                  e sempre più da gadget) e il remainders.” 
                   Il 
                  tutto mentre la produzione subiva solo una relativa contrazione: 
                  61mila i titoli in Italia, 220 milioni le copie stampate. Diminuiva 
                  il prezzo medio e raddoppiano i titoli digitali, che rappresentavano 
                  comunque una quota di scarso rilievo. 
                  A commento di questa situazione, si leggevano sul Corriere della 
                  Sera le lamentazioni di Gian Arturo Ferrari: 
                  “Nei corridoi semivuoti della Fiera di Francoforte il 
                  declino italiano diventa palpabile. Spazi abbandonati, con rade 
                  sedie. Stand – quelli rimasti – con dimensioni ridotte, 
                  in una patetica ostentazione di parsimonia... Le responsabilità 
                  sono, come sempre, di tutti e di nessuno. Sono della mano pubblica, 
                  che ha martoriato una scuola già debole. E non ha saputo 
                  creare una platea di lettori perché non ha mai davvero 
                  creduto che leggere libri fosse uno degli attributi essenziali 
                  della cittadinanza moderna. Sono del privato, che non è 
                  mai riuscito a mettere sensatamente insieme proprietà, 
                  management e competenza editoriale. Sono del Paese nel suo insieme, 
                  che non ha mai avuto la capacità di vedere pubblico e 
                  privato come facce della stessa medaglia e li ha lasciati lì 
                  a ignorarsi o a guardarsi in cagnesco.” (dagospia.com/rubrica-29/Cronache/e-anche-nelleditoria-siamo-un-paese-di-carta-straccia-a-francoforte-aria-di-disfatta-64577.htm) 
                  Giustamente Christian Raimo ha fatto rilevare come quelle di 
                  Ferrari fossero le classiche lacrime di coccodrillo: 
                  “Gian Arturo Ferrari, il presidente del Centro per il 
                  libro e la lettura, ossia colui che la politica – il Ministero 
                  dei Beni Culturali nella gestione Bondi-Galan – ha designato 
                  per dirigere l'istituzione più importante per trovare 
                  soluzioni a un mondo complicato e in supercrisi come quello 
                  del libro, dovrebbe appunto trovare soluzioni, non lanciare 
                  geremiadi sul Corriere: questo mi sembra il compito di un'istituzione... 
                  E lo dico, sul serio, senza polemica. In qualità di editorialista 
                  trovo i suoi pezzi trancianti, millimetricamente centrati, ben 
                  scritti; con l'unico difetto – piuttosto evidente: che 
                  dovrebbero essere diretti contro se stesso visto che Ferrari 
                  mantiene questo ruolo al Cepell. Si tratta, a ben pensare quindi, 
                  di un difetto facilmente eliminabile.” (minimaetmoralia.it/wp/giusto-due-parole-a-gian-arturo-ferrari/) 
                  Va ricordato anche che Ferrari, prima di diventare presidente 
                  del Cepell, era stato a capo della Mondadori e primo fautore 
                  della politica mercatista del gruppo che ha contribuito a provocare 
                  il soffocamento di tante librerie, l'annichilamento dell'editoria 
                  indipendente e la precarizzazione del lavoro editoriale. 
                  Se la situazione italiana, con queste premesse, non risulta 
                  proprio brillante, va detto che mai come quest'anno alla Buchmesse 
                  i venti di crisi hanno raggelato l'atmosfera, dimostrando che 
                  sia in sofferenza l'intero settore librario: non c'era un editore 
                  che non parlasse di un calo delle vendite, di una limitazione 
                  del proprio programma editoriale, soprattutto nell'acquisto 
                  di diritti di traduzione. In passato le eterne crisi del libro 
                  erano vissute in ben altro modo alla fiera: si cercava di reagire 
                  con nuovi progetti e nuove idee e il clima generale era di grande 
                  vivacità e stimolo. Ora, invece, regnava tra gli stand 
                  di ogni paese una grigia depressione, più o meno accentuata 
                  da paese a paese. A me ha colpito il grave stato recessivo dell'editoria 
                  olandese, un tempo citata a esempio come tra le più vitali. 
                  Il che mi ha indotto a riflettere: penso che la causa stia nel 
                  fatto che i Paesi Bassi sono l'area più “digitalizzata” 
                  d'Europa, a riprova che il libro oggi patisce la concorrenza 
                  dell'elettronica. Non tanto del libro elettronico – l'ebook 
                  rappresenta solo una quota limitata del mercato librario ed 
                  è pur sempre un libro – ma del consumo di prodotti 
                  digitali nel loro insieme. Chi era abituato a dedicare due ore 
                  della propria giornata alla lettura di un libro, oggi le riserva 
                  alla navigazione online con tutte le opportunità che 
                  offre. Le nuove generazioni, nate e cresciute con l'elettronica, 
                  hanno più familiarità con il pc o con il tablet 
                  che con la carta stampata.
                 
                   
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                    |   Francoforte (Germania), Fiera del libro, ottobre 2013 -  John 
                  Oakes e Colin Robinson, i fondatori di ORBooks,  alla presentazione 
                  del libro Acorn di Yoko Ono  | 
                   
                 
                 
                  È allora prossima la fine del libro? Io credo di no: 
                  potrà affrontare la concorrenza multimediale e ritagliarsi 
                  uno spazio privilegiato, più limitato forse, ma importante 
                  per la trasmissione del sapere. Molti operatori in campo editoriale, 
                  consapevoli della necessità di un cambiamento profondo, 
                  stanno già sperimentando nuove vie di sopravvivenza. 
                  Io qui voglio citarne due che mi sembrano significative, una 
                  americana e una asiatica. 
                  OR Books è una casa editrice indipendente di New York, 
                  fondata nel 2010 da due veterani del mondo editoriale, John 
                  Oakes and Colin Robinson. Robinson aveva lavorato come redattore 
                  da Scribner, come editore di The New Press e direttore di Verso; 
                  Oakes è stato editore di Four Walls Eight Windows, vicepresidente 
                  dell'Avalon Publishing Group, eancora editore di marchi di qualità 
                  come Thunder's Mouth Press e Nation Books. Entrambi hanno fatto 
                  tesoro delle esperienze precedenti per avviare una politica 
                  assolutamente nuova e originale nel settore. Così la 
                  illustrano sul sito della casa editrice (orbooks.com) 
                  “OR Books è una casa editrice di nuovo tipo, favorevole 
                  a un cambiamento progressista in politica, nella cultura e nel 
                  modo di gestire le imprese. Il nostro catalogo è molto 
                  selettivo: pubblichiamo solo uno o due titoli al mese, alternando 
                  autori affermati e nuove scoperte. I nostri standard editoriali 
                  sono rigorosi e le nostre copertine son chiare ed eleganti. 
                  La promozione dei libri è vivace e con un uso creativo 
                  di video e della Rete. 
                  Per evitare sprechi di rese e invenduto, noi facciamo libri 
                  solo quando sono richiesti, come copie print-on-demand o come 
                  ebook da scaricare direttamente da piattaforme “laiche”. 
                  Questo sistema abbrevia i tempi di produzione e ci permettere 
                  di uscire rapidamente con testi di grande attualità. 
                  E soprattutto, noi vendiamo direttamente al lettore, in pronta 
                  consegna, quando il libro esce e/o ci viene ordinato. 
                  Il nostro sistema indica un nuovo futuro per l'editoria libraria.” 
                  Tara Books è una casa editrice indiana che pubblica soprattutto 
                  album illustrati e che si è conquistata nel corso degli 
                  anni una fama internazionale. Sul suo sito (tarabooks.com) si 
                  presenta così: 
                  “Tara Books è una casa editrice indipendente di 
                  libri illustrati per adulti e bambini e ha sede a Chennai, nell'India 
                  meridionale. Fondata nel 1994 resta sempre un collettivo di 
                  autori, designer e artisti impegnati per assicurare un connubio 
                  di bellezza formale e ricchezza di contenuti. Lavoriamo con 
                  una tribù sempre più ampia di gente avventurosa 
                  di ogni parte del mondi. Orgogliosi della nostra indipendenza, 
                  pubblichiamo un catalogo scelto che attraversa diversi generi 
                  e offre ai nostri lettori voci insolite e rare dell'universo 
                  artistico e letterario.” 
                  Due sono dunque le caratteristiche che rendono Tara Books un 
                  editore capace di reggere la concorrenza nel mondo globale. 
                  Tutti i membri del collettivo, qualunque sia la loro mansione, 
                  partecipano in termini di parità alle scelte e ai proventi. 
                  C'è poi la decisione di mettere al primo posto le proprie 
                  capacità artigianali: gli album più belli sono 
                  illustrati da artisti di villaggio e sono prodotti con tecniche 
                  di stampa non convenzionali: serigrafie policrome o impressioni 
                  a tampone, su preziose carte a mano. I progetti sono fatti in 
                  modo da poter inserire il testo in lingue diverse: è 
                  così che la pratica artigianale della produzione può 
                  raggiungere uno spazio globale: i libri di Tara Books trovano 
                  lettori in tutta Europa, negli Stati uniti, in Brasile e in 
                  Giappone. 
                 Guido Lagomarsino 
                 
                 
                  Storiografia dell'anarchismo/ 
                  Un seminario e un convegno 
                L'Archivio Famiglia Berneri-Aurelio Chessa e la Biblioteca 
                  Panizzi hanno organizzato a novembre a Reggio Emilia un seminario 
                  pubblico dedicato alla storiografia dell'anarchismo italiano 
                  dal 1945 a oggi e, per il 2014, promuoveranno un convegno dedicato 
                  allo stesso tema. 
                  Il seminario (Metodi e temi della storiografia sull'anarchismo) 
                  è indispensabile tappa di avvicinamento al convegno, 
                  che si terrà il 10 e l'11 maggio 2014 con il titolo: 
                  150 anni di lotte per la libertà e l'uguaglianza. 
                  Per un bilancio storiografico dell'anarchismo italiano. 
                  Il seminario, partecipatissimo, ha visto per l'intera giornata 
                  un intenso avvicendarsi di studiosi per una bella occasione 
                  sia per storici che per appassionati. 
                  La scelta del 2014 per il convegno ha valore simbolico e coincide 
                  col bicentenario della nascita di Bakunin e il centocinquantesimo 
                  della nascita della Prima Internazionale. Berti è coadiuvato 
                  da un comitato scientifico creato ad hoc. Alcuni studiosi 
                  fanno parte del comitato scientifico dell'Archivio Berneri-Chessa, 
                  come Enrico Acciai, Alberto Ciampi, Carlo De Maria e Giorgio 
                  Sacchetti; altri sono stati individuati tra esperti esterni 
                  (Pietro Adamo, Franco Buncuga, Pasquale Iuso, Tiziana Pironi, 
                  Massimo Ortalli, Salvo Vaccaro) e tra i migliori giovani ricercatori 
                  impegnati su questi argomenti, quali Luigi Balsamini, Pietro 
                  Di Paola, Antonio Senta e Selva Varengo. 
                  Per informazioni: Archivio Aurelio Chessa-Famiglia Berneri, 
                  tel. 0522 439323 / email archivioberneri@gmail.com. 
                  Alberto Ciampi 
                 
                 
                  Carrara/ 
                  Una mostra sulla “propaganda del fatto” 
                Dal 19 ottobre al 25 novembre scorsi il Centro Arti Plastiche 
                  di Carrara ha ospitato la personale dell'artista statunitense 
                  Sam Durant (Seattle 1961), ispirata alla storia del movimento 
                  anarchico a cavallo tra il XIX e XX secolo. La mostra, curata 
                  da Federica Forti, rientra nel programma espositivo della seconda 
                  edizione di Database, progetto di ampio respiro che raccoglie 
                  in sé mostre e attività culturali, ideato e realizzato 
                  da Ars Gratia Artis in collaborazione con il comune di Carrara.
                 
                   
                      | 
                   
                   
                    |   Sam Durant  | 
                   
                 
                 
                  Il progetto esposto, Propaganda of the Deed (“Propaganda 
                  del fatto”), realizzato nel 2011 presso Telara Studio 
                  d'Arte di Carrara, è frutto del fascino che la città 
                  di Carrara ha esercitato sull'artista dopo la sua partecipazione 
                  alla XIV Biennale di Scultura del 2010. In questa occasione 
                  Durant ha infatti avuto modo di approfondire la conoscenza dei 
                  laboratori artigiani, delle segherie e della storia di questa 
                  città in cui l'estrazione del marmo è legata in 
                  modo imprescindibile alla storia del movimento anarchico. 
                
                   
                      | 
                   
                   
                    |   Carrara, un particolare della mostra  | 
                   
                 
                 
                  Una storia dell'azione (Propaganda del fatto è 
                  il titolo tradotto) raccontata da Durant attraverso i busti 
                  ritratto in marmo bianco di carrara di Gino Lucetti, Renzo Novatore, 
                  Marie Louise Berneri, Carlo Cafiero, Errico Malatesta e Francesco 
                  Saverio Merlino. In mostra anche le repliche in marmo di una 
                  cassa di dinamite, tre scatole di cartone utilizzate per contenere 
                  polvere da sparo e un sacco di carbonato di calcio. 
                 Chiara Musso 
                  press.database.carrara@gmail.com 
                 
                 
                  Bergamo/ 
                  Buon compleanno Errico! 
                Sabato 30 novembre 2013 a Bergamo, nello spazio dell'Auditorium 
                  di Piazza Libertà, è stato ricordato il 160° 
                  della nascita di Errico Malatesta, nato a Santa Maria Capua 
                  Vetere il 14 dicembre 1853. L'iniziativa è stata organizzata 
                  dal Progetto “Il futuro della memoria. La storia va narrata” 
                  in collaborazione con il Centro studi libertari-archivio Giuseppe 
                  Pinelli di Milano, Elèuthera e Lab 80 film. 
                  È stata una bella festa riuscita. L'evento è iniziato 
                  alle 18.30 con la presentazione del libro di Vittorio Giacopini 
                  Non ho bisogno di stare tranquillo Errico Malatesta, vita 
                  straordinaria del rivoluzionario più temuto da tutti 
                  i governi e le questure del regno. Ad ascoltare ben 150 
                  persone. Non male per ricordare l'anarchico campano. E alla 
                  sera, dopo un aperitivo conviviale, per la proiezione del film 
                  Che gioia vivere! (1961) di René Clément 
                  (con Alain Delon, Barbara Lass, Gino Cervi, Rina Morelli e Paolo 
                  Stoppa), le persone sono state più di 200. Insomma una 
                  giornata riuscita, con piacevole sorpresa da parte degli stessi 
                  organizzatori. 
                  Purtroppo per diversi motivi non erano presenti né Nico 
                  Berti né Vittorio Giacopini. 
                  Sul palco, insieme a Goffredo Fofi, Lorenzo Pezzica, direttore 
                  scientifico del progetto “Il futuro della memoria”. 
                  Una lunga chiacchierata, ricordando la vita e il pensiero di 
                  Malatesta, ma anche divagando, grazie all'intervento di Fofi, 
                  tra questioni del presente e ideali del futuro. 
                  La sera, dopo un'accattivante introduzione di Fofi, la proiezione 
                  del film di René Clément, ambientato a Roma nei 
                  primi anni Venti. Protagonista Ulisse, che dopo essersi iscritto, 
                  per fame, ai Fasci di combattimento, entra in contatto con una 
                  famiglia di anarchici di cui fa parte la bella Franca. Un'ironica 
                  rivisitazione storica e comicità di classe; un elegante 
                  stile narrativo, legato ai moduli del cinema classico. Ottimi 
                  gli attori. E il pubblico si è divertito e si è 
                  appassionato. Che dire... ne è valsa veramente la pena. 
                  Buon compleanno Errico!
                  Lorenzo Pezzica 
                 
                 
                  Honduras/ 
                  Intervista a Bertha Cáceres 
                L'Honduras è il paese più violento del mondo, 
                  l'impunità copre l'80% dei delitti e il suo territorio 
                  è completamente militarizzato. I movimenti sociali sono 
                  vittima di repressione e persecuzione giudiziaria, come nel 
                  caso di Bertha Cáceres, coordinatrice del Copinh (Consejo 
                  Cívico de Organizaciones Populares e Indígenas 
                  de Honduras). Il Copinh è una delle maggiori organizzazioni 
                  del paese centroamericano e lotta in difesa dei diritti del 
                  popolo indigeno lenca. 
                  A causa dell'opposizione alla costruzione dell'idroelettrica 
                  Agua Zarca, nella comunità di Río Blanco (Dipartimento 
                  di Intibucá), Bertha Cáceres e altri due integranti 
                  del Copinh, Tomás Gómez e Aureliano Molina, sono 
                  stati accusati di gravi delitti. Abbiamo incontrato Bertha Cáceres 
                  alla vigilia delle elezioni del 24 novembre, vinte poi dal nazionalista 
                  Juan Orlando Hernández, proclamato presidente malgrado 
                  le numerose accuse di brogli elettorali.
                 
                   
                      | 
                   
                   
                    |   Bertha Cáceres  | 
                   
                 
                   
                  Bertha, di cosa ti accusa la Procura? Come sta andando 
                  il processo giudiziario? 
                  «La persecuzione giudiziaria è solo un'espressione 
                  di tutta la persecuzione politica contro il Copinh ed è 
                  una strategia definita a livello presidenziale. Siamo coscienti 
                  che con la nostra lotta, che è pacifica però energica, 
                  ci misuriamo con poteri grandi e influenti. 
                  Una delle accuse che mi vengono rivolte è possesso illegale 
                  di armi e la procura mi ha offerto di patteggiare: inizialmente 
                  mi è stato proposto di chiedere perdono allo stato e 
                  indennizzarlo, cosa che certamente non farò, visto che 
                  non ho commesso nessun delitto. Poi, vista la pressione esercitata 
                  dalla mia difesa, dai movimenti sociali, da Amnesty Internacional 
                  e dalle migliaia di espressioni di solidarietà che in 
                  tutto il mondo hanno denunciato quest'ingiustizia, il tribunale 
                  mi ha proposto di chiudere il processo se, in cambio, avessi 
                  pagato tutte le spese sostenute dallo stato. Ho rifiutato anche 
                  questa proposta. 
                  Per l'altro processo, in cui l'impresa ci accusa di danni continuati 
                  e usurpazione, la prossima udienza è stata fissata per 
                  l'11 febbraio.» 
                   
                  Il processo è stato avviato a causa dell'opposizione 
                  del Copinh al progetto idroelettrico Agua Zarca, nella comunità 
                  di Río Blanco. Perché questa lotta è tanto 
                  importante per lo stato honduregno? 
                  «Anni fa le comunità di Río Blanco che fanno 
                  parte del Copinh hanno iniziato una lotta per il territorio 
                  e per la difesa del fiume Gualcarque, che è un corso 
                  d'acqua considerato sacro dal popolo indigeno lenca. Siamo riusciti 
                  a cacciare Sinohydro/Desa, che è la più grande 
                  impresa mondiale nella costruzione di centrali idroelettriche, 
                  e a dedicarci ad un esercizio di autonomia e controllo territoriale. 
                  L'impresa ha ottenuto la concessione illegalmente nel 2010 e 
                  grazie ai suoi legami con i militari ha esercitato molta pressione 
                  sulle comunità della zona, non solo minacciando ma anche 
                  corrompendo le autorità e cercando di manipolare la popolazione. 
                  Questo indica che le multinazionali non hanno bisogno di intermediari 
                  politici, ma reprimono direttamente le comunità. Dove 
                  esiste l'intenzione di costruire progetti minerari o idroelettrici 
                  ci sono piani di militarizzazione. La lotta di Río Blanco 
                  è un cattivo esempio per il grande capitale, perché 
                  ha dimostrato che è possibile fermare un progetto di 
                  dominazione e di privatizzazione, dimostra che è possibile 
                  cacciare una trasnazionale.» 
                   
                  La persecuzione giudiziaria che lo stato sta portando 
                  avanti nei tuoi confronti sembra inserirsi in un clima di criminalizzazione 
                  della protesta sociale che sta vivendo il paese. 
                  «Lo stato ha costruito strutture repressive che sono finanziate 
                  da vari organismi, come la Banca Interamericana di Sviluppo 
                  nel quadro piano di sicurezza regionale per il Centroamerica. 
                  Oggi è un crimine difendere i diritti umani. Il Congresso 
                  e l'oligarchia hanno impulsato la creazione della polizia militare 
                  di ordine pubblico, che sta operando come una struttura paramilitare 
                  contro i movimenti sociali. Non funzionano solo gli apparati 
                  di polizia e di intelligence, ma anche agenti infiltrati e agenzie 
                  di sicurezza private, che non sono altro che un altro esercito 
                  che protegge gli interessi dei grandi impresari. Lavorano insieme 
                  a polizia ed esercito e raddoppiano il numero dei loro effettivi. 
                  Nella settimana elettorale è stata incrementata la presenza 
                  di militari e poliziotti nelle strade, non è un clima 
                  che aiuta lo svolgimento di elezioni democratiche.» 
                   
                  Alle elezioni presidenziali di domani la candidata per 
                  il partito Libertad y Refundación (Libre) è Xiomara 
                  Castro, moglie dell'ex presidente Manuel Zelaya, deposto nel 
                  2009 con un colpo di stato. Ha proposto una “via honduregna” 
                  al socialismo e vorrebbe rompere il bipartitismo che dura da 
                  cent'anni. Qual è la sua opinione su Castro? 
                  «Il popolo honduregno è assetato di cambiamenti 
                  profondi, nel periodo successivo al colpo di stato abbiamo vissuto 
                  un processo di presa di coscienza e formazione, soprattutto 
                  nelle strade, dove abbiamo imparato più che in qualsiasi 
                  altro posto. 
                  Credo che sarebbe positivo se Libre vincesse le elezioni, è 
                  necessario che un altro partito si installi nel governo honduregno, 
                  non porterebbe cambiamenti profondi ma sarebbe un governo differente 
                  a quello della destra fascista che ha governato finora.» 
                 Orsetta Bellani 
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