Su la testa 
                 
                  Mi diano pure del reazionario, 
                  ma comincio a detestare tutta questa faccenda degli smartphone. 
                  Ci leggo dietro la più subdola e strisciante manovra 
                  del potere per tenere la popolazione perennemente sotto controllo. 
                  Cominciamo dalla postura. L'utilizzatore dello smartphone 
                  si distingue per il passo irregolare, a scatti, e lo sguardo 
                  sempre rivolto all'ingiù. È uno svirgolatore d'aria 
                  professionista, padrone di un unico movimento, quello delle 
                  dita che sfiorando il visore fanno scorrere i numeri di telefono 
                  o i messaggi. Non c'è dubbio. Siamo avviati verso generazioni 
                  dal pollice ipertrofico. Una popolazione abituata ormai a guardare 
                  in basso e a cogliere i colori del cielo solo dalle fotografie 
                  di qualche amico che le ha postate su Facebook. 
                  Ecco, anche questa storia del gergo. Postare, taggare, poke, 
                  app, cliccare, mi piace, non mi piace... Ma che cazzo significa? 
                  Mi sento tagliato fuori. 
                  Mia moglie, per esempio. Fino a qualche settimana fa era la 
                  donna più dolce e avvolgente. Sapeva ricambiare il mio 
                  sguardo con un sorriso carico di promesse. Poi si è imbattuta 
                  nel dannato aggeggio, uno smartphone vinto con i punti 
                  del supermercato. Adesso, quando le parlo, mi rivolge un'attenzione 
                  distratta, infastidita, con gli occhi sempre bassi e il pollice 
                  in azione per consultare chissà quali aggiornamenti. 
                  Ogni tanto mi ricambia con blande rassicurazioni. 
                  “Si, uhm... sì... uhm... no... aspetta aspetta, 
                  che devo finire di leggere la mail”. 
                  Ho pensato di risolvere la crisi di coppia mettendo un'inserzione 
                  su un periodico specializzato. 
                  Cerco compagna disposta a parlare guardandomi negli occhi. 
                  Si è presentata una ragazza carina, lentigginosa, sui 
                  25 anni, ma quando mi ha detto che aveva scaricato l'inserzione 
                  dal telefonino le ho raccontato che avevo fatto pace con mia 
                  moglie. 
                  Ormai mi sento assediato, accerchiato da una massa di disattenti 
                  che si illudono che basti camminare a testa bassa per ritrovare 
                  il filo. E invece il filo si ingarbuglia sempre più, 
                  soprattutto quando costoro si imbattono in zone prive di copertura 
                  della rete. Strano. Ciò che potrebbe rivelare loro le 
                  falle del sistema, diventa invece un'esperienza traumatica da 
                  rimuovere il prima possibile, magari abbonandosi a un nuovo 
                  gestore. 
                  Mi sembra che basti e avanzi per respingere l'etichetta di reazionario. 
                  Al contrario, mi sento un tipo che guarda avanti. Così 
                  ho pensato alle contromosse. Da stamattina giro con un tablet 
                  appiccicato alla faccia. Due fessure mi permettono di vedere 
                  la strada e i volti di chi mi incrocia. Mi sento decisamente 
                  osservato, finalmente al centro dell'attenzione. Pronto a calare 
                  la maschera e a dire la mia. 
                  Su la testa, gente.
                
  Paolo Pasi
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