San Lorenzo del Vallo (Cosenza)/  
                  La giunta fantasma 
				  
                I nativi americani hanno da sempre un gran rispetto per la 
                  natura, tanto che un loro famoso proverbio recita così: 
                  “Uomini bianchi morirete sepolti sotto i vostri stessi 
                  rifiuti”! È ciò che sta succedendo a San 
                  Lorenzo del Vallo. 
                  Qualche giorno fa mi sono deciso di fare un giro in bici con 
                  l'intenzione di respirare un po' di aria pura e di gustarmi 
                  l'aspetto paesaggistico del nostro paese. Invece, pedalando 
                  pedalando, ecco cosa vedono i miei occhi: immondizia dappertutto. 
                  Allora “armato” di macchina fotografica ho documentato 
                  lo scempio paesano (non si sa mai che a qualcuno, che ha indebitato 
                  il comune con le spese legali, non saltasse in mente di inoltrare 
                  la solita denuncia). Immondizia sparsa ovunque: in via Carmelitani, 
                  via Piave (soprattutto in vicinanza delle scuole), sulla strada 
                  che porta in località Cassiani, contrada Ciccarello, 
                  contrada Fischia, località Cimitero, Serralto, eccetera. 
                  Sorgente Fischia: luogo noto al pubblico per le sue acque limpide 
                  e pulite. Ormai è diventata una discarica abusiva e la 
                  gente evita di fermarsi a riempire le bottiglie, poiché 
                  l'acqua è quasi sicuramente inquinata dai batteri che 
                  si sprigionano dai rifiuti. 
                  Da notare che il sottoscritto ha più volte sollecitato 
                  il problema alla polizia municipale, sollecito a quanto pare 
                  caduto nel solito disinteresse. 
                  Località Ciccarello: qui insiste una discarica abusiva 
                  storica che è diventata ormai di entità mastodontica, 
                  molto pericolosa per l'ambiente e per la salute. È un 
                  luogo storico perché molti anni fa era attiva una fontana 
                  e nelle vicinanze vi è un monumento cattolico. Qualche 
                  decina di anni addietro si svolgeva una tradizione molto bella: 
                  “Il battesimo dei pupuli”, attraverso la quale, 
                  fin da bambini i nostri padri e le nostre madri ci insegnavano 
                  l'amore e il rispetto che bisogna avere gli uni con gli altri 
                  attraverso i valori della fratellanza e dell'amicizia. 
                  Da luogo simbolo della fratellanza oggi è diventato un 
                  luogo di vergogna e di degrado ambientale: cumuli di immondizia, 
                  roghi, eccetera. 
                  Un altro aspetto molto pericoloso per la salute dei cittadini 
                  è rappresentato dall'elettromagnetismo. Su tutto il nostro 
                  territorio (San Lorenzo, Tarsia, Terranova e Spezzano), si contano 
                  almeno trenta antenne di telefonia mobile che fanno di questo 
                  territorio, forse, il più inquinato della Calabria. A 
                  San Lorenzo ne abbiamo due (una al cimitero su suolo pubblico) 
                  l'altra in località Ciccarello (su suolo privato); inoltre 
                  ci sono le antenne di Serralto (quattro) e il mostro Telecom 
                  a Spezzano. 
                  L'antenna del cimitero rappresenta oggi il simbolo del degrado 
                  ambientale e sociale che vive il paese. 
                  L'amministrazione Trioli una decina d'anni fa aveva concesso 
                  alla Wind l'autorizzazione a impiantare l'antenna, mentre la 
                  giunta Marranghello, qualche mese fa, ha completato l'opera 
                  di distruzione ambientale rinnovando il contratto. Quell'antenna 
                  non è pericolosa solo a causa dell'elettromagnetismo 
                  e perché è ubicata a poche centinaia di metri 
                  dal centro abitato, ma rappresenta un'offesa al decoro e ai 
                  luoghi sacri. Il problema della raccolta dei rifiuti solidi 
                  urbani è un problema regionale ma il cittadino si chiede: 
                  “Io pago le tasse al mio omune ed è il mio comune 
                  che deve provvedere a risolvere il problema”. 
                  Come viene smaltita la raccolta dei rifiuti? La differenziata, 
                  l'umido e il riciclaggio sono svolti regolarmente? Perché 
                  la gente getta l'immondizia per le strade e nelle campagne? 
                  Ecco, sono tutte domande che necessitano di una risposta. Intanto 
                  nel nostro paese e nel nostro territorio si continua a morire 
                  nell'indifferenza generale. Quante volte abbiamo letto sui giornali 
                  che sindaci, medici, politici, associazioni, comitati hanno 
                  lanciato l'allarme sull'inquinamento ambientale per l'aumento 
                  esagerato della percentuale di tumori presenti nelle popolazioni? 
                  Perché le amministrazioni comunali sono assenti rispetto 
                  a queste problematiche? Il problema dell'immondizia sparsa nelle 
                  strade e nelle campagne, le discariche abusive, i roghi di rifiuti 
                  non provocano una grave situazione igienico-sanitaria che mette 
                  in pericolo la salute e addirittura la vita dei cittadini? Le 
                  forze politiche presenti sul territorio non dovrebbero uscire 
                  allo scoperto gridando tutta la loro rabbia? Il paese è 
                  lacerato socialmente e politicamente e accetta passivamente 
                  tutte le decisioni di un'amministrazione fantasma che decreta 
                  il proprio fallimento giorno per giorno, prendendo decisioni 
                  inutili e dannose per la comunità. Il paese vive un silenzio 
                  assordante. E come se fosse offeso da questo sindaco e da questi 
                  amministratori incapaci e incompetenti.
                  Vincenzo Giordano 
                 
                 
                  Amburgo/ 
                  Quei pirati sono dei tifosi 
                 Il covo dei pirati esiste ancora! Ma se volete trovarlo dimenticate 
                  acque cristalline e spiagge caraibiche: oggi il Jolly Roger 
                  sventola in un caratteristico quartiere di Amburgo. 
                  Il quartiere di St. Pauli si trova ad ovest del centro della 
                  città, è affacciato sul fiume Elba, in prossimità 
                  del porto. Conosciuto per i “St.Pauli-Landungsbrücken”, 
                  i pontili di St. Pauli, che raggiungono una lunghezza complessiva 
                  di 700 metri. 
                  Nel quartiere si trova l'entrata del Alter Elbtunnel, un tunnel 
                  che passa sotto al fiume Elba e che con i suoi 426 metri attraversa 
                  nel sottosuolo l'estuario del fiume europeo. 
                  Come tutte le città portuali ha da sempre ospitato marinai 
                  di diverse nazionalità che spendevano il loro tempo a 
                  zonzo nel quartiere per spassarsela prima che la loro nave venisse 
                  caricata e riprendesse il largo; per questo il quartiere vanta 
                  una fama di centro di divertimento e una delle strade più 
                  conosciute è Reeperbahn, la celebre via a luci rosse. 
                  La popolazione era perlopiù formata da operai portuali 
                  e le condizioni di povertà che la caratterizzavano si 
                  sono protratte fino agli anni '70. Oggi sono molti gli studenti 
                  che vivono a St. Pauli, attirati soprattutto dagli affitti bassi, 
                  consentendo al quartiere di mantenere una certa vivacità 
                  intellettuale. A pochi passi da Reeperbahn si trova un'area 
                  cittadina chiamata Heiligengeistfeld, famosa per il suo luna 
                  park che si tiene tre volte l'anno per una durata complessiva 
                  di sei mesi; all'interno di quest'area sorge il Millerntor-Stadion. 
                  È proprio qui che ogni due settimana i pirati vanno all'arrembaggio. 
                
                   
                      | 
                   
                   
                    |   Amburgo (Germania), il Jolly Rogers  | 
                   
                 
                 Il club del St. Pauli nasce nel 1910, ma la vera svolta avviene 
                  negli anni '80. In questi anni la sede dello stadio viene trasferita 
                  nella zona del porto. Inoltre, in seguito alla recessione, molti 
                  abitanti del quartiere si trasferirono in zone meno povere della 
                  città, fu così che squatter, punk e artisti occuparono 
                  le numerose abitazioni abbandonate. 
                  Ben presto lo stadio divenne un luogo di ritrovo per gli abitanti 
                  del quartiere che iniziarono a sostenere la squadra di calcio 
                  del St. Pauli sventolando il Jolly Roger, la bandiera con teschio 
                  e ossa incrociate. 
                  La leggenda vuole che il vessillo dei pirati fu adottato dalla 
                  tifoseria in seguito a uno scherzo fatto ai giocatori per mano 
                  di un gruppo di squatter; da allora la bandiera nera non ha 
                  mai smesso di sventolare non solo allo stadio, ma anche per 
                  le vie del quartiere. 
                  La prima azione del club e della tifoseria è quella di 
                  chiudere le porte dello stadio ai “tifosi” di estrema 
                  destra. 
                  Il fascismo, il razzismo e il sessismo non sono ammesse né 
                  all'interno dello stadio né per le vie del quartiere 
                  dove su un grande muro è possibile ammirare un graffito 
                  che riporta la frase: “Kein mensch ist illegal”, 
                  “Nessun uomo è illegale”. Quella del St. 
                  Pauli non è solo una fede calcistica, ma una vera e propria 
                  filosofia, come dimostra la modalità di gestione del 
                  club, quasi unica in Europa. 
                  Prima di tutto bisogna ricordare che il St. Pauli è una 
                  polisportiva che gestisce numerose attività sportive 
                  tra cui il tennis da tavolo, il rugby femminile e il pattinaggio: 
                  la gestione di tutte queste attività è completamente 
                  nelle mani dei tifosi. 
                  Circa vent'anni fa i supporter hanno dato vita al Fanladen, 
                  un coordinamento dei tifosi, in seguito alla decisione del club 
                  di edificare un nuovo stadio in un'altra zona del quartiere. 
                  Si scatenarono numerose proteste che impedirono la realizzazione 
                  di questo progetto. 
                  Il Fanladen è totalmente indipendente dal club e conta 
                  qualcosa come 14mila tifosi associati, di cui mille donne. 
                  Periodicamente i rappresentanti dei tifosi sono chiamati a riunirsi 
                  in assemblea per discutere sulle scelte economiche e politiche 
                  del club e per eleggere presidente e consiglieri. Inoltre il 
                  consiglio di amministrazione incontra regolarmente il Fans-club, 
                  il Fanladen e la gente del Jolly Roger, storico locale dove 
                  si riuniscono i tifosi. 
                  Tra le decisioni prese dai tifosi ce ne sono alcune su cui non 
                  si transige: non si prendono accordi con produttori di armi 
                  e di tabacco; il nome dello stadio, Millerntor Stadion, non 
                  può essere venduto; infine 7-8 minuti prima del calcio 
                  d'inizio non si può fare pubblicità all'interno 
                  dello stadio, questo spazio sarà utilizzato dai tifosi 
                  per creare atmosfera. 
                  Insomma, il tifoso del St. Pauli merita e riceve un occhio di 
                  riguardo come ci dimostra l'ultimo progetto elaborato dai tifosi 
                  insieme al club: la creazione di uno spazio interno al Millerntor, 
                  denominato Fanraume, che possa diventare “un punto d'incontro, 
                  un centro sociale all'interno dello stadio”, per dirla 
                  con le parole del vice presidente George Spies. 
                  Il St. Pauli, con i suoi 20mila spettatori, svolge importanti 
                  azioni sociali all'interno del quartiere. Prima di tutto offre 
                  settimanalmente lezioni di calcio gratuite per bambini, rivolte 
                  soprattutto alle fasce deboli della popolazione. Inoltre qualche 
                  anno fa ha inaugurato una nursery chiamata “Nido dei pirati” 
                  che provvede giornalmente a circa cento bambini, da 0 a 6 anni. 
                  Il servizio è attivo anche durante le partite, così 
                  che i tifosi vi possano lasciare per qualche ora i loro figli: 
                  situazione più unica che rara, perché il club 
                  conta tantissimi piccoli tifosi che affollano le gradinate insieme 
                  a mamma e papà. 
                  Anche questa fu una delle questioni che portarono la tifoseria 
                  all'insurrezione quando il ricco proprietario del Susis Show 
                  Bar, uno dei più famosi locali di lap dance di Amburgo, 
                  affittò un box all'interno dello stadio e vi fece esibire 
                  le “sue” spogliarelliste per gli amici che andavano 
                  con lui a “vedere” la partita. 
                  Questa la risposta dei pirati: “Chiediamo che venga annullato 
                  il contratto con il locale di spogliarelli Susis Bar Show […]. 
                  Se voi, cari gestori del club, non agirete secondo le nostre 
                  richieste, allora entreremo in aperta resistenza! Saremo il 
                  bastone tra le ruote!”. 
                  Come già accennato uno dei temi cari ai tifosi rimane 
                  l'antisessismo, visto anche il numero di donne presenti nella 
                  tifoseria, elevato per una squadra di calcio. Anche in questo 
                  caso quindi in pirati e piratesse si sono apertamente schierati 
                  contro la mercificazione del corpo promettendo grane al club 
                  se non avesse tolto lo spazio al ricco imprenditore. 
                  Un luogo simbolo per il quartiere è il Jolly Roger, storico 
                  locale, punto di ritrovo per la tifoseria, salito alle cronache 
                  per i numerosi raid subiti per mano di tifoserie di estrema 
                  destra. 
                  Il più eclatante è quello avvenuto nel 2011: sono 
                  le 22:00, è la notte prima del derby St. Pauli-Hvs, meglio 
                  conosciuti come “i cugini ricchi dell'Amburgo”. 
                  Una colonna di 200 persone percorre indisturbata la strada che 
                  porta da Hans-Albers-Platz al Jolly Roger. In un attimo il quartiere 
                  viene messo a ferro e fuoco; i primi attacchi vengono respinti 
                  dai pirati che poi decidono di non prendere parte agli scontri 
                  per evitare di danneggiare le attività commerciali del 
                  quartiere. I neonazisti riescono ad attaccare indisturbati il 
                  Jolly Roger nonostante il comando della polizia si trovi a poche 
                  centinaia di metri dal pub. Dura la reazione dei tifosi, come 
                  riporta il sito dei supporter genovesi del St Pauli: “Per 
                  i sostenitori del St. Pauli questo significa che la protezione 
                  dei negozi e delle strutture dovrà essere e sarà 
                  organizzata in modo indipendente dalla sicurezza garantita con 
                  i mezzi della polizia. Una polizia su cui sembra essere ormai 
                  necessario aprire un'inchiesta che sveli i motivi di un comportamento, 
                  per così dire, stravagante rispetto agli standard di 
                  trasparenza operativa a cui dovrebbe attenersi un servizio pubblico 
                  così delicato.” 
                  Inoltre non si può trascurare il legame che il St. Pauli 
                  ha con la musica e a ricordarlo non è un tifoso qualunque, 
                  ma Colin Abrahall, voce degli storici Gbh, gruppo punk britannico 
                  figlio della seconda ondata punk degli anni '80. “Il St. 
                  Pauli è una squadra di calcio punk rock”, queste 
                  le parole con cui il cantante descrive la squadra. 
                  Infatti un tradizionale modo adottato dai tifosi per raccogliere 
                  fondi è organizzare concerti di musica punk-rock non 
                  solo nei locali del quartiere, ma anche all'interno dello stadio. 
                  Nell'estate del 2010 il Millerntor si riempì con 22mila 
                  persone in occasione della festa anniversario per il centenario 
                  della società. 
                  Per il St. Pauli l'impegno politico e civile sono sempre al 
                  primo posto. Nel 2011 sulle tribune del Millerntor appare uno 
                  striscione con scritto: “St. Pauli sta con le montagne. 
                  No tav!!!”. 
                  Il 16 marzo 2013 a Berlino va in scena il match tra Fc Union 
                  Berlin e Fc St. Pauli; i tifosi del St. Pauli espongono uno 
                  striscione con scritto: “Dax vive! Ucciso perché 
                  militante antifascista”. 
                  Infine una delle ultime azioni dei pirati risalente a qualche 
                  mese fa: durante una partita hanno esposto alcuni striscioni 
                  contro l'omofobia, accompagnati da tantissime bandierine color 
                  arcobaleno accompagnate dalla scritta: “It's ok to be 
                  gay”. 
                  In un momento in cui negli stadi compaiono ben altri messaggi, 
                  la tifoseria del St. Pauli, dei ribelli tedeschi, rimane un 
                  esempio che andrebbe seguito da tutto il calcio europeo. 
                  Una squadra che ha militato solo per qualche anno in Bundesliga, 
                  solo due volte nel nuovo millennio (2001/2002-2010/2011), peraltro 
                  retrocedendo sempre la stagione successiva, rischiando più 
                  volte la bancarotta e aiutata a risollevarsi grazie al contributo 
                  dei tifosi. Una squadra senza grandi giocatori, ma che ha saputo 
                  ridonare allo stadio, al quartiere la funzione di naturale luogo 
                  di incontro e di aggregazione per fornire solidarietà, 
                  aiuto e sostegno ai meno abbienti e agli emarginati; che ha 
                  coraggiosamente chiuso le porte del proprio stadio a fascisti, 
                  omofobia, razzismo e sessismo con cui siamo obbligati a convivere 
                  in Italia. Allora: all'arrembaggio pirati! 
                 Camilla Galbiati 
                 
                 
                  Lisbona/ 
                  Alla Fiera del libro 
                 Per il sesto anno consecutivo, Lisbona è stata il palcoscenico 
                  di un'altra Fiera del libro anarchico. La fiera si è 
                  svolta dal 24 al 26 maggio nell'edificio di proprietà 
                  dell'Association amigos do Minho (Amici di Minho, la regione 
                  del Portogallo che confina con la Spagna), situata nel quartiere 
                  di Intendente, uno dei più antichi e popolari della città. 
                
                   
                      | 
                   
                   
                    |   Lisbona, maggio 2013. Uno dei dibattiti organizzati in occasione 
                  della fiera  | 
                   
                 
                Quest'anno la fiera contava circa venticinque banchetti, rappresentanti 
                  tutte le attività legate ai libri: oltre a numerosi gruppi 
                  anarchici, c'erano biblioteche, librerie, editori, distributori. 
                  Una delle principali caratteristiche di questa fiera è 
                  naturalmente l'internazionalismo, con un'importante presenza 
                  di banchetti extra-portoghesi: sono venuti a Lisbona o hanno 
                  inviato i loro libri e riviste librerie, editori e distributori 
                  provenienti dalla Spagna (Madrid, Salamanca e Granada), dal 
                  Brasile (Porto Alegre e São Paulo) e dal Regno Unito 
                  (Bristol e Brighton). 
                  Un'altra caratteristica della fiera è un programma sempre 
                  diversificato. Quest'anno il programma prevedeva tre dibattiti, 
                  un concerto di compagni brasiliani e portoghesi, una rappresentazione 
                  teatrale e molte presentazioni di libri. Tra queste, ci tengo 
                  a sottolineare la presentazione della prima antologia in portoghese 
                  di testi scritti da Renzo Novatore, nom de plume di Abele Rizieri 
                  Ferrari. 
                  I dibattiti sono sempre molto importanti: la gente arriva numerosa 
                  per partecipare, o anche solo per assistere. Il primo dibattito 
                  in programma era a proposito del ruolo sociale svolto dalle 
                  biblioteche in quanto spazi autonomi per promuovere letture 
                  critiche e l'auto-costruzione di persone libere. Il secondo 
                  dibattito si è concentrato sulla costruzione di alternative 
                  anti-autoritarie all'attuale industria mediatica, ben lontana 
                  dall'essere neutrale e anzi sempre pronta a supportare i poteri 
                  economico-politici stabiliti. Durante il terzo dibattito sono 
                  stati presentati brevi filmati sulla situazione abitativa a 
                  Rio de Janeiro, che sarà presto teatro di diversi mega-eventi, 
                  usati dalle autorità brasiliane per plasmare una nuova 
                  città. 
                  Infine, ma di non minore importanza, la fiera è stata 
                  come sempre un luogo e un momento per rivedere compagni e amici 
                  che altrimenti è raro incontrare, per via dell'età 
                  o perché vivono lontano da Lisbona. 
                 Mário Rui Pinto 
                  traduzione dall'inglese di Karlessi 
                 
                 
                  Cuba/ 
                  ¡Tierra Nueva! rivista clandestina 
                 La rivista ¡Tierra Nueva! ha da poco pubblicato clandestinamente 
                  i suoi primi due numeri. 
                  Da sempre esiste una tradizione libertaria nell'area caraibica. 
                  Il sentimento anarchico è profondamente radicato nel 
                  popolo cubano in quanto espressione rivoluzionaria che si manifestò 
                  fin dall'ottocento, con le prime lotte contro la schiavitù 
                  e per l'indipendenza. Sebbene esista da più di cento 
                  anni, il movimento libertario cubano è stato escluso 
                  dagli annali ufficiali da storiografi e editori al servizio 
                  del Partito comunista cubano. Nel 1960, le organizzazioni anarchiche 
                  che avevano combattuto in clandestinità o nella guerriglia 
                  al fianco di Castro furono bandite. In quegli anni, i libertari 
                  furono assassinati, incarcerati o costretti all'esilio. 
                  In più occasioni abbiamo commentato, sulla nostra rivista 
                  Cuba Libertaria e sul blog Polémica Cubana (in francese), 
                  la rinascita del movimento libertario cubano in corso in questi 
                  anni. Dopo la costituzione, alcuni anni fa, della Red Observatorio 
                  Crítico e, in tempi più recenti, del Laboratorio 
                  libertario Alfredo López all'Avana, i nostri compagni 
                  libertari continuano a lottare per ridare vita all'anarchismo. 
                  Questo gruppo di giovani militanti analizza la realtà 
                  cubana, la storia del movimento anarchico e le sue idee. Nonostante 
                  la repressione e la censura da parte dei mezzi di comunicazione 
                  controllati dal regime, e malgrado qualsiasi opinione libertaria 
                  venga giudicata controrivoluzionaria dalle autorità, 
                  i libertari emergono gradualmente dalla clandestinità. 
                  La rivoluzione ha creato grande frustrazione e delusione, soprattutto 
                  tra le nuove generazioni. A Cuba esiste un profondo desiderio 
                  di libertà e dignità, di espressione e azione. 
                  I legami sociali vanno reinventati se si vuole dare un contributo 
                  alla “rivoluzione nella rivoluzione” e alla lotta 
                  contro l'autoritarismo, la burocrazia e la corruzione generalizzata. 
                  Oggi accogliamo con favore il ritorno, per quanto ostacolato 
                  dalla censura e dalla repressione, della stampa anarchica clandestina 
                  a Cuba, con la pubblicazione da parte dei giovani compagni dell'Avana 
                  dei primi due numeri di ¡Tierra Nueva! dopo più 
                  di 52 anni di silenzio. Va infatti ricordato che alla fine degli 
                  anni sessanta tutte le pubblicazioni libertarie furono proibite. 
                  Diamo la parola ai coraggiosi editori della rivista riportando 
                  la nota editoriale al primo numero: “¡Tierra Nueva! 
                  perché ci sentiamo eredi del gruppo libertario che per 
                  22 anni pubblicò il settimanale ¡Tierra! all'inizio 
                  del secolo scorso. 
                  Questa pubblicazione nasce per contribuire a stabilire rapporti 
                  con individualità e collettivi che nella pratica quotidiana 
                  vivono relazioni libere, appaganti e solidali come parte di 
                  un sentimento anarchico genuino e spontaneo. Crediamo sia possibile 
                  una società senza mediazione, senza spettacolo, senza 
                  miseria, senza autorità, senza leggi ad eccezione di 
                  quelle che noi stessi scegliamo, senza discriminazioni, senza 
                  finzione, senza oppressione, senza forme di servitù. 
                  Non abbiamo assolutamente nulla contro l'utopia, ma sappiamo 
                  che è molto più utopico pensare alla prospettiva 
                  di uno “stato di benessere” piuttosto che a una 
                  società da noi stessi indirizzata verso il futuro. 
                  A chi crede che vogliamo vivere nel disordine diciamo che ciò 
                  a cui aspiriamo, invece, è quell'unica forma di ordine 
                  che non nasce dalle catene della schiavitù, ma dalla 
                  libertà realizzata: questo è il solo ordine che 
                  consideriamo naturale e antagonista al disordine attuale, imposto 
                  da tante autorità. 
                  Poiché vogliamo una società di individui liberi 
                  e pienamente realizzati, poiché riteniamo che gli stati 
                  garantiscano la continuità del regime di sfruttamento 
                  proprio della nostra epoca (la schiavitù salariale), 
                  non possiamo che dichiararci loro nemici. Pertanto, invitiamo 
                  tutte le persone che sono interessate a collaborare, eccetto 
                  chi in qualunque modo viva del lavoro altrui. 
                  Anche se le classi dominanti ci mantengono in condizioni di 
                  inerzia, confusione, mancanza di solidarietà, isolamento, 
                  in attesa che gli eletti ci elargiscano un futuro migliore, 
                  crediamo che il principale colpevole che non ci consente di 
                  vivere bene, qui ed ora, sia il “poliziotto virtuale” 
                  che c'è in quasi tutti noi. Sarà questo uno dei 
                  bersagli dei nostri continui attacchi. 
                  Rifiutiamo qualunque tipo di partecipazione politica al gioco 
                  del potere perché crediamo che il potere politico non 
                  sia uno strumento di cambiamento sociale ma piuttosto la strada 
                  maestra attraverso la quale la classe dominante impone la sua 
                  volontà, utilizzando la struttura dello stato, il suo 
                  esercito, la sua polizia, i suoi giudici e i suoi carnefici. 
                  Non vogliamo regolamentare il funzionamento di queste istituzioni 
                  ma eliminare le istituzioni stesse! Vogliamo vivere in modo 
                  diverso rispetto ai modelli proposti dai partiti di sinistra, 
                  centro, destra, o posizioni intermedie, del nostro o di altri 
                  paesi. 
                  Non abbiamo la pretesa di diventare portavoce di altri se non 
                  di noi stessi e di tutti quelli che si uniranno a noi. Non ci 
                  aspettiamo nulla dallo stato, ma non esiteremo a usare quello 
                  che ci ha tolto. Date le difficoltà, la rivista sarà 
                  pubblicata nei limiti del possibile.” 
                  Con la pubblicazione della rivista i compagni cubani si espongono 
                  a rischi notevoli e vanno incontro ad anni di prigione, come 
                  previsto dalla legge cubana, che proibisce la stampa libera. 
                  Per questo motivo la solidarietà politica internazionale 
                  è importante, in previsione della repressione e dell'ostruzionismo 
                  dei servizi di spionaggio e sicurezza dello stato cubano, che 
                  probabilmente sorvegliano le attività dei compagni. 
                  La rinascita di un movimento libertario a Cuba e l'esistenza 
                  di un Foro Social sono elementi chiave per portare avanti una 
                  vasta opera di sensibilizzazione. Tuttavia, per consentire lo 
                  sviluppo delle correnti libertarie e delle correnti critiche 
                  di autogestione, federaliste ed ecologiste, sono necessari mezzi 
                  materiali che difficilmente possono essere reperiti sull'isola. 
                  Di qui l'importanza dell'aiuto esterno, per quanto si tratti 
                  di un'azione piuttosto delicata, dal momento che l'aiuto internazionale 
                  ai movimenti d'opposizione è considerato dal governo 
                  come una forma di finanziamento “imperialista” in 
                  sostegno alla controrivoluzione. 
                  Ricordiamo che l'Internazionale delle federazioni anarchiche 
                  (Ifa) e il Gruppo di appoggio ai libertari e sindacalisti indipendenti 
                  di Cuba (Galsic) hanno avviato una campagna di solidarietà 
                  internazionale per i libertari cubani. Per inviare materiale 
                  (libri, riviste, cd, dvd eccetera) contattare il Galsic all'email: 
                  cubalibertaria@gmail.com 
                  Per sostenere il Laboratorio dei compagni libertari all'Avana 
                  è possibile inviare contributi su un conto di appoggio 
                  permanente gestito dall'Internazionale delle federazioni anarchiche. 
                  Le donazioni vanno inviate alla Ifa: Société d'Entraide 
                  libertaire (Sel) c/o Cesl, BP 121, 25014 Besançon cedex, 
                  Francia (assegni all'ordine di Sel, indicando “Cuba” 
                  sul retro). 
                 Daniel Pinos 
                  traduzione dal castigliano di Federica Galuppini 
                 
                 
                  Messico/ 
                  Quando la cooperativa è una grande azienda 
                 
                  “Se i proprietari non la vogliono, la facciamo andare 
                  avanti da soli.” Quando una fabbrica chiude, a volte sorge 
                  l'idea di trasformarla in una cooperativa di proprietà 
                  dei lavoratori, e la fabbrica di solito muore. 
                  Gli ostacoli per l'acquisto di uno stabilimento, persino di 
                  uno stabilimento che sta fallendo, sono enormi; una volta sul 
                  mercato, i nuovi proprietari-lavoratori devono in primo luogo 
                  affrontare tutte le pressioni che hanno spinto la società 
                  al fallimento. La maggior parte delle cooperative di lavoratori-proprietari 
                  sono piccole, come ad esempio una compagnia di taxi collettiva 
                  a Madison o un panificio a San Francisco. 
                  In Messico però esiste una cooperativa di lavoratori 
                  di enormi dimensioni, che fabbrica pneumatici dal 2005. La fabbrica 
                  compete sul mercato mondiale, impiega mille e cinquanta comproprietari, 
                  e corrisponde salari e pensioni migliori di qualsiasi altro 
                  impianto di pneumatici messicano. 
                  L'idea di rilevare lo stabilimento non è stata dei lavoratori. 
                  È stata la Continental Tire a proporre la vendita, dopo 
                  che il gruppo dirigente del sindacato aveva messo i proprietari 
                  talmente con le spalle al muro che quelli non volevano avere 
                  più niente a che fare con loro. 
                  Ma per arrivare a quel punto i lavoratori hanno dovuto ingaggiare 
                  uno sciopero di tre anni. I lavoratori sostengono che non è 
                  stata un'unica tattica a portare alla vittoria, ma una combinazione 
                  di pressioni implacabili. 
                  In Messico la maggior parte dei sindacati sono sindacati solo 
                  di nome, in realtà sono organi affiliati al governo con 
                  la funzione di raccogliere il denaro delle iscrizioni e di controllare 
                  i lavoratori. 
                  Ma la storia dello stabilimento della Continental è andata 
                  diversamente. I lavoratori avevano un sindacato “rosso”, 
                  indipendente dal 1935, l'Snrte (Sindacato nazionale rivoluzionario 
                  dei lavoratori Euzkadi). 
                  La sera del 16 dicembre 2001, i lavoratori del locale caldaia 
                  giunti allo stabilimento trovarono un avviso sul cancello: chiuso. 
                  Chiamarono immediatamente i leader sindacali. Vennero montati 
                  turni di guardia per impedire alla direzione di portar via i 
                  macchinari. Due giorni dopo fu convocata l'assemblea, con quasi 
                  tutti i novecentoquaranta lavoratori presenti. 
                  Dopo tre anni di sciopero e occupazione, dopo tutti i tentativi 
                  della direzione padronale per dividere i lavoratori e dopo che 
                  per tre volte i rappresentanti dei lavoratori si sono recati 
                  in Germania alla riunione degli azionisti della Continental, 
                  finalmente nell'agosto del 2004, la Continental ha avanzato 
                  un'offerta seria. La società avrebbe venduto ai lavoratori 
                  una metà dello stabilimento, in cambio delle paghe ancore 
                  dovute dall'azienda. 
                  I lavoratori avrebbero comunque ricevuto la buonuscita, e l'impianto 
                  avrebbe riaperto in collaborazione con una società messicana, 
                  un distributore di pneumatici che avrebbe acquistato dalla Continental 
                  la metà rimanente. Tutti i lavoratori che avevano resistito 
                  avrebbero avuto indietro i loro posti di lavoro. 
                  Il presidente del sindacato sembra stupito dalla loro vittoria, 
                  al pari di chiunque altro. “L'eredità più 
                  importante di questa lotta è aver dimostrato ai lavoratori 
                  come un piccolo sindacato sia stato in grado di battere una 
                  multinazionale della portata della Continental,” dice. 
                  Il 18 febbraio del 2005 lo stabilimento, ora denominato Corporación 
                  de Occidente, o Western Corp., è stato consegnato formalmente 
                  ai suoi nuovi proprietari. “Loro avevano scommesso che 
                  saremmo falliti”, dice Torres. Ma i lavoratori non sono 
                  falliti. 
                  Uno pneumatico non è solo un pezzo di gomma con un buco. 
                  Uno pneumatico è un prodotto sofisticato che si costruisce 
                  attraverso una catena di processi chimici, il contributo di 
                  un sacco di macchine, e infine l'intervento di mani umane. 
                  Questi lavoratori hanno costruito pneumatici come lavoratori-proprietari 
                  dal 2005, li hanno venduti negli Stati Uniti e in Messico e 
                  ora si pagano il salario più alto nel settore degli pneumatici. 
                  Come funziona una cooperativa di lavoratori con millecinquanta 
                  membri? 
                  È piuttosto difficile per una proprietà gestita 
                  dai lavoratori avere successo con una dimensione qualsiasi, 
                  perché ogni azienda che compete sul mercato è 
                  soggetta alla stessa folle corsa al taglio dei costi in quanto 
                  società capitalistica. I lavoratori sono costretti a 
                  battere se stessi e a tagliarsi lo stipendio, oppure il mercato 
                  li butterà fuori. E la maggior parte dei lavoratori di 
                  qui ha solo una formazione di scuola media. 
                  Eppure la cooperativa prospera. Gli entusiasti lavoratori-proprietari 
                  hanno modernizzato il loro stabilimento, aumentando la produttività 
                  e la qualità attraverso il loro lavoro qualificato. Questi 
                  fattori, insieme ai prezzi indubbiamente bassi, hanno reso possibile 
                  la loro competizione sul mercato mondiale. 
                  Gli scioperanti della Continental Tire erano proprietari riluttanti. 
                  Quando hanno combattuto contro la chiusura del loro stabilimento 
                  da parte della multinazionale tedesca, insieme chiedevano solamente 
                  ai proprietari di riaprirlo. Alla fine la Continental ha rinunciato 
                  e si è offerta di vendere la metà della società 
                  ai lavoratori e l'altra metà al suo precedente distributore, 
                  Llanti Systems. 
                  “Abbiamo detto a Llanti Sistemi: ‘Tu compri lo stabilimento. 
                  Basta che ci assumi come lavoratori e ci ridai le paghe non 
                  corrisposte'”, ricorda l'ex presidente del sindacato in 
                  sciopero. “Per noi questo sarebbe stato il più 
                  grande trionfo, riaprire l'impianto e mantenere il nostro lavoro. 
                  ”Ma hanno detto, ‘No, no, non siamo mica pazzi, 
                  noi sappiamo quello che siete capaci di fare. Siamo interessati 
                  a voi come proprietari, non come dipendenti'. 
                  Così abbiamo detto, ‘Non c'è altra via d'uscita? 
                  Be', dobbiamo provarci.'” 
                  Uno dei vantaggi più immediati con il nuovo sistema era 
                  di farla finita con i capisquadra. “È stato facile”, 
                  dice Torres. “Ogni lavoratore conosce il suo lavoro, sa 
                  qual è la sua quota. Non ha bisogno di essere controllato.” 
                  Le quote sono stabilite in modo da essere abbastanza basse, 
                  tanto che molti lavoratori finiscono con un paio d'ore di anticipo 
                  e si rilassano fino all'ora di chiusura. Non c'è nemmeno 
                  un reparto pulizie, perché sono gli operai a pulire le 
                  rispettive aree. 
                  La cooperativa indice un'assemblea generale solo due volte l'anno, 
                  ma questa assemblea detiene il potere di veto sulle decisioni 
                  importanti, quali la vendita di attività, la realizzazione 
                  di investimenti e l'acquisto di macchinari. Durante gli incontri 
                  il dibattito è intenso, e le proposte approvate vengono 
                  anche dalla base, non solo da parte della dirigenza. 
                  La joint venture tra lavoratori-proprietari e distributore non 
                  ha esitato a riassumere tecnici, ingegneri e specialisti che 
                  avevano lavorato per anni sotto la vecchia gestione. 
                  Uno di questi è Gonzalo, un chimico che dirige il laboratorio, 
                  che era stato sommariamente licenziato quando lo stabilimento 
                  era stato chiuso. 
                  È tornato a formare i lavoratori di produzione nell'ambito 
                  delle sue competenze. All'inizio ha lavorato senza paga. I soci 
                  della cooperativa promossi dall'officina per assumere posti 
                  di lavoro tecnici imparano velocemente, dice, e ora il suo lavoro 
                  gli piace di più perché può lavorare in 
                  cooperazione con persone che guardano al proprio futuro. “Prima, 
                  si dovevano fare segnalazioni, dare punizioni,” mi spiega. 
                  “Adesso che la responsabilità è loro sanno 
                  come lavorare.” 
                  Non c'è dubbio alcun dubbio: tutto nella cooperativa 
                  fa “lavorare meglio.” Su di me, che mettevo in guardia 
                  dai mali del “concetto di squadra” e dai programmi 
                  di gestione cooperativa del lavoro promossi dal padronato per 
                  tutti gli anni ottanta e novanta, ha fatto un effetto stridente 
                  vedere alcuni slogan familiari risorgere sotto una diversa struttura 
                  di proprietà, come appunto “lavorare meglio” 
                  (Working smart, titolo di un volume di cui Jane Slaughter è 
                  coautrice). 
                 Jane Slaughter 
                  traduzione dall'inglese di Karlessi 
                  da Labor Notes, Detroit – Mi, Usa 
                  aprile 2013 
                 
                 
                  Russia/Pussy Riot 
                  Lettera dal carcere 
                
                   
                      | 
                   
                   
                    |   Mosca (Russia), luglio 2010  Nadezhda Tolokonnikova 
                  in tribunale  | 
                   
                 
                 Come alcuni lettori ricorderanno (vedi “A” 
                  375, novembre 2012), nell'agosto 2012 Nadezhda Tolokonnikova 
                  e Maria Alyokhina, membri del gruppo Pussy Riot, sono state 
                  condannate a due anni di colonia penale per la “Preghiera 
                  punk” che hanno pronunciato nella cattedrale di Cristo 
                  Salvatore a Mosca nel febbraio 2012. Si trattava di un'invocazione 
                  a Theotókos (Madre di Dio, la Beata Vergine Maria), affinché 
                  “cacciasse Putin”. Il ritornello era su una musica 
                  di Rachmaninov; la canzone menzionava anche il patriarca russo 
                  Cirillo I, definendolo come colui che crede più a Putin 
                  che a Dio. 
                  Nel mese di luglio Amnesty International ha reso nota la 
                  seguente lettera dal carcere scritta da Nadezhda. Eccola: 
                   
                  Cari amici! 
                  Grazie per il vostro sostegno! So che la vita è diventata 
                  molto difficile, il che mi fa apprezzare tanto più che 
                  abbiate trovato il tempo, la forza e la volontà di sostenerci. 
                  Voglio credere che la mia prigionia e quella di Maria non siano 
                  inutili e che aiutino coloro che vedono e capiscono la situazione 
                  della Russia odierna. 
                  Mi sento in debito con tutti coloro i quali sono intervenuti 
                  in nostro favore. Sappiate che, nonostante la condanna illegale, 
                  le vostre azioni non sono state inutili. Ogni parola – 
                  anche se non in modo immediato – porta cambiamenti, ha 
                  una certa influenza sul processo politico. Ciò che succede 
                  a noi prende senso da ognuna delle vostre azioni. Sono immensamente 
                  grata per questo. 
                  Cordiali saluti, 
                 Nadya 
                 
                 
                  Estate 2013/ 
                  Musica a Taranto e a Pescara 
                 Taranto, 27 luglio 2013. Anche quest'anno la Puglia ha vissuto 
                  la grande kermesse estiva, da molti definita la Woodstock del 
                  Salento, che da sedici anni richiama centinaia di migliaia di 
                  amanti della musica popolare. Sui muri, sui giornali, nelle 
                  vetrine dei negozi, il volto sorridente del maestro concertatore 
                  della passata edizione de La Notte della Taranta, Goran 
                  Bregovi. Quest'anno è stato lui l'evento nell'evento, 
                  mentre ad altri era affidata la direzione del Concerto. Ed è 
                  stato lui ad aprire le danze della pizzica: nella città 
                  di Taranto, stesso etimo di taras che è taranta, 
                  l'aracnide il cui morso va ben oltre i confini della Magna Grecia 
                  e del Salento. 
                
                   
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                    |   Goran 
                        Bregovi  | 
                   
                 
                 Pescara, 28 luglio 2013. Anche le città marchigiane 
                  sono ancora tappezzate di enormi cartelloni che pubblicizzano 
                  un altro grande evento dell'estate: la quarantunesima edizione 
                  del Pescara jazz. Ma gli spazi maggiori, e i cartelloni più 
                  grandi, sono per lo spettacolo che ha chiuso il sipario della 
                  manifestazione: il concerto di Paco de Lucia, la leggenda vivente 
                  della chitarra flamenca; “il re del flamenco”, come 
                  titola La Repubblica.it, il 4 luglio 2013. 
                
                   
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                    |   Paco 
                        de Lucia  | 
                   
                 
                 Due mega eventi, pressoché simultanei, in due diverse 
                  regioni, che hanno un denominatore comune che forse sfugge ai 
                  più: molta parte dell'estate italiana ha avuto la musica 
                  rom come colonna sonora. 
                  La chitarra flamenca di Paco de Lucia, Francisco Sánchez 
                  Gómez, nato e cresciuto in mezzo a una comunità 
                  andalusa di zingari, ha catalizzato l'attenzione di migliaia 
                  di persone disposte a pagare più di sessanta euro per 
                  ascoltare “la sua chitarra che canta”, “il 
                  grande respiro che muove la sua pittura sonora”, al Teatro 
                  D'Annunzio di Pescara. Come sempre, quando Paco suona e il suo 
                  gruppo gitano canta, danza e toca las palmas, i cuori 
                  battono all'unisono seguendo il ritmo del battere e del levare 
                  della chitarra, interrompendosi per interminabili apnee, della 
                  stessa durata dell'arpeggio particolare che solo le sue dita 
                  sanno eseguire, passando da famosi brani di musica classica 
                  (Concerto per Aranjuez) alle sevillane più ardite. 
                  Il maestro concertatore Goran Bregovi, nella passata edizione 
                  della Notte della Taranta, di fronte al grande pubblico accorso 
                  da ogni parte d'Italia e d'Europa (più di centoventimila 
                  persone nella serata conclusiva), ha esordito con un canto tradizionale 
                  rom, Ederlezi, che senza soluzione di continuità 
                  diventava Sta lucisce, cioè “Nasce il nuovo 
                  giorno”, in traduzione salentina; e ha ben chiarito qual 
                  è il nesso tra le due versioni: è San Giorgio, 
                  patrono di Melpignano e anche del suo popolo, i rom, che il 
                  6 maggio festeggiano il Ðurdevdan (Giurgevdan, letteralmente: 
                  giorno di [San] Giorgio). Ederlezi è la versione 
                  pagana del Ðurdevdan. 
                  Al Concerto del 2012 c'ero anch'io, e anche io ho applaudito 
                  a quel suo originale presentarsi da zingaro, con la semplicità 
                  – o forse l'orgoglio – di chi per essere apprezzato 
                  non deve tacere le proprie origini e la propria cultura. 
                  Non c'ero, invece, ad un altrettanto seguito incontro di pugilato, 
                  quello di cui scrive Giorgio Bezzecchi nel numero estivo di 
                  “A”. Nella sua recensione al libro Buttati giù, 
                  zingaro!, Bezzecchi narra la triste vicenda del sinto Rukeli, 
                  il coraggioso pugile cui l'odio generato dalla guerra ha tolto 
                  il titolo di campione, prima e la vita, dopo. 
                  La fortuna musicale di Goran Bregovi e di Paco de Lucia, e le 
                  infelici vicissitudini del pugile Rukeli, portano a riflettere 
                  su quanto segue: se quello della guerra è un linguaggio 
                  che genera odio, acredine, violenza, razzismo, forse basterebbe 
                  bandire la guerra, ogni guerra, per superare ostilità, 
                  angherie, pregiudizi, discriminazioni. Per una comunicazione 
                  finalmente libera da scellerate conseguenze, bisognerebbe, dunque, 
                  servirsi di altri linguaggi. Come quello musicale. Perché 
                  la musica è un linguaggio universale capace di creare 
                  sintonie, indipendentemente dalla lingua in cui la si canta, 
                  dal contesto in cui la si ascolta, dalla razza e dalla storia 
                  di chi la esegue. 
                  Ma la musica non è la sola capace di creare consonanze 
                  e simpatia. Quante volte, allo stadio, seguendo le partite del 
                  campionato di calcio abbiamo assistito a esplosioni di gioia 
                  quando la maglia numero 9 batteva un calcio di rigore o di punizione 
                  e metteva in porta un pallone impossibile da parare. La maglia 
                  numero 9 alla quale mi riferisco era quella di Zlatan Ibrahimovi, 
                  capocannoniere di origini rom. 
                  E quante volte l'America razzista ha dovuto fare spazio ad un'altra 
                  America cui a poco a poco si è andata educando: penso 
                  ai giochi olimpici del 1936 a Berlino, quando il medagliere 
                  Usa si è arricchito grazie ai record straordinari stabiliti 
                  dall'atleta afro-americano Jesse Owens, quattro volte medaglia 
                  d'oro; e penso ancora alle dieci medaglie olimpiche di Carl 
                  Lewis: anche per il “figlio del vento” l'America 
                  ha imparato a non fare più caso al colore della pelle. 
                  E non solo l'America razzista, ma le moltitudini di persone 
                  che seguono lo sport alla maniera di De Coubertin, e che pian 
                  piano hanno subìto l'influenza buona del linguaggio dello 
                  sport, che educa ad accogliere l'altro, chiunque esso sia, quando 
                  è lui il migliore, il più bravo, il campione. 
                  Moltitudini per le quali si può usare il termine “massa” 
                  senza caricarlo del connotato negativo che la sociologia gli 
                  attribuisce. 
                  Masse allo stadio, che si esaltano quando il goleador fa segnare 
                  il punto contro una rete inviolata. 
                  Masse ai concerti, che cantano a gran voce, pur senza comprenderle, 
                  parole come Ederlezi, Opa Cupa, Caje Sukarije. 
                  Ma ho visto anche delle masse felici... posso dire parafrasando 
                  Claudio Lolli. 
                  Felici di poter ignorare il vincolo del pregiudizio; 
                  felici di saper apprezzare ogni espressione artistica; 
                  felici di sentirsi libere di andare in visibilio ascoltando 
                  le note di un grande musicista rom; felici di potergli 
                  chiedere ancora un altro bis: canta ancora, zingaro! 
                 Alba Monti 
                 
                 
                  Catania/ 
                  Un sogno d'amore all'Orto botanico 
                 
                  Da diversi anni mi occupo di ideare e realizzare le offerte 
                  educative dell'Orto botanico di Catania e, da quasi due anni, 
                  Loredana collabora con me. 
                  Le attività educative attualmente svolte sono realizzate 
                  attraverso un approccio emozionale per sensibilizzare, coinvolgere 
                  e stimolare curiosità, interesse e rispetto per la vita 
                  in generale. Durante lo svolgimento delle attività si 
                  cerca di spostare l'abituale punto di vista di chi partecipa 
                  per trovare versioni nuove, possibili, provabili, verosimili, 
                  di fatti anche appresi come storici. In particolare durante 
                  le attività è sollecitata una riflessione sulla 
                  natura e sull'ambiente, permettendo di esplorare il mondo delle 
                  piante in modo nuovo rispetto a quello sperimentato nell'ambiente 
                  scolastico. 
                  Nessun sapere è trasferito, nessun insegnamento impartito, 
                  ma è messa in opera la piacevole sorpresa del cerchio. 
                  Un girotondo in cui ci si dà la mano e inizia lo scambio. 
                  Una mano prende e l'altra dà. Non c'è chi sa e 
                  chi riceve i saperi. A noi interessa generare atteggiamenti 
                  e comportamenti nuovi e, quindi, riuscire a entrare nella loro 
                  sfera emotiva; per questo motivo abbiamo preferito sviluppare 
                  attività di tipo ludico, laboratori “giocosi”. 
                  Attraverso il gioco tutto prende forma, esce dai libri e diventa 
                  vita, da toccare, scambiare, sperimentare. Il gioco non è 
                  una prerogativa dell'infanzia, il gioco è un eccitatore 
                  dei sensi a qualunque età, quelli che cambiano sono i 
                  modi e i tempi. 
                  Ad esempio, un'attività realizzata con i piccolissimi 
                  (scuola dell'infanzia e prime classi elementari) consiste nel 
                  creare i colori da alcune parti delle piante e poi usare i colori 
                  per scoprire come da un seme può nascere e svilupparsi 
                  un albero, per farlo diventiamo tutti fabricatori di colori 
                  e parte della tribù dalle mani colorate (ma anche dai 
                  vestiti e dalle facce colorate). Con i ragazzi delle scuole 
                  medie e i superiori, ad esempio, tra le attività che 
                  realizziamo ce n'è una prettamente ecologica che si sviluppa 
                  attraverso giochi e simulazioni, all'interno di questa avviamo 
                  dei veri e propri dibattiti trattando temi spesso impronunciabili 
                  a scuola che diventano leggeri. Molti di questi ragazzi ci scrivono 
                  poi che hanno iniziato ad andare a scuola in bici o che intendono 
                  partecipare alla critical mass o ci mandano allegate le foto 
                  di cose che hanno costruito con la “spazzatura”. 
                  Durante queste conversazioni mi capita spesso di chiedere che 
                  cosa voglia dire, ad esempio, la frase: No Martini? No party! 
                  E cosa portano loro al “party”, qualunque esso sia. 
                  Può non esserci differenza nell'andare in discoteca o 
                  a un incontro in un centro sociale. Perché ci vai fa 
                  la differenza; e se vai perché sei stato invitato tu 
                  o il Martini. Vai per portare qualcosa di te o qualcosa che 
                  il sistema ti sta imponendo di portare? Non importa quale sia 
                  la risposta, ma è importante esserne consapevoli e scegliere. 
                  La comunicazione, e il modo in cui si realizza una comunicazione, 
                  durante le attività assume un ruolo fondamentale; ma 
                  come comunicare all'interno di questo tipo di società 
                  in cui anche i soggetti definiti educanti manifestano la tendenza 
                  a proporsi come spettatori e/o complici del degrado (ambientale, 
                  culturale, sociale)? La comunicazione non è un'azione 
                  al singolare e richiede sempre, e almeno, due interlocutori, 
                  questo vuol dire che il contenuto della comunicazione è, 
                  e deve essere, il risultato di quest'azione che non appartiene 
                  a nessuno, ma, rimanendo in un'area di mezzo tra il “me”e 
                  il “te”, rappresenta un comune significato condiviso. 
                  I contenuti sono perciò mediazione d'intenti, conoscenze 
                  ed emozioni. Nessuna delle attività che svolgiamo è, 
                  infatti, mai identica a una già svolta, ma presenta sempre 
                  qualcosa di nuovo, di diverso, di unico perché altri, 
                  diversi e unici sono, di volta in volta, i bambini/ragazzi che 
                  ne prendono parte portando qualcosa di se. Dopo ogni attività 
                  in sala si esce in giardino, guidati sempre in modo interattivo 
                  da un altro collaboratore, Gianluca. 
                  Com'è stata accolta quest'onda di “stranezze educative”? 
                  Gli studenti di tutte le età, sia catanesi sia di altre 
                  province siciliane, che partecipano alle nostre attività 
                  sono in media 5000 ogni anno. Quest'anno abbiamo avuto anche 
                  la piacevole sorpresa della partecipazione di un liceo di Novara 
                  in gita a Catania. 
                  Per verificare “l'impatto” delle attività 
                  proposte, ho realizzato un sistema di valutazione/verifica attraverso 
                  un questionario che precede e segue ogni attività. Il 
                  questionario ha lo scopo di facilitare una valutazione sul tipo 
                  di relazione esistente tra i partecipanti e l'ambiente, verificare 
                  la loro percezione dei problemi ambientali legati alle alterazioni 
                  dovute all'uomo e causa di estinzione per diverse specie vegetali 
                  e animali, e infine, comprendere se lo svolgimento delle attività 
                  produce, o facilita, cambiamenti di atteggiamento. 
                  In realtà tutto questo è il risultato di un percorso 
                  che ha richiesto tempo e pazienza. Ho, infatti, iniziato a lavorare 
                  per l'Orto botanico di Catania nel 2005 e in quel periodo non 
                  esisteva un programma di attività educative, anche se, 
                  da più di venti anni, era offerto un servizio di visite 
                  guidate rivolto alle scuole e al pubblico in genere. Le visite 
                  guidate avevano l'obiettivo di far conoscere le collezioni botaniche 
                  presenti all'interno del giardino e stimolare interesse botanico 
                  nei visitatori. Inizialmente, mi occupavo di catalogare dati 
                  d'erbario e digitalizzare le relative immagini, ma essendo un'educatrice, 
                  dopo due anni di catalogazione e acquisizione immagini, iniziavo 
                  a diventare irrequieta e, sopratutto, non riuscivo a capacitarmi 
                  di come in una struttura come quella non esistesse una sezione 
                  educazione e non si faccessero attività significative 
                  con bambini, ragazzi, studenti, con tutte le persone. 
                  Mi sembrava un'occasione sprecata non poter usare la mia formazione 
                  per dare forma al museo Orto botanico, così come avevo 
                  sempre immaginato che dovesse essere un museo: aperto alla gente 
                  e per la gente. Ho deciso perciò di parlare con il direttore 
                  chiedendo se fosse possibile collaborare con la signora che 
                  si occupava delle visite guidate per l'organizzazione del tradizionale 
                  concorso di fine anno proposto alle scuole. Quell'anno il titolo 
                  del concorso era “Guide per un giorno”. Il direttore, 
                  piacevolmente sorpreso dalla mia offerta pro bono, ha accettato. 
                  Da quel momento, grazie ad una serie di favorevoli circostanze, 
                  tutte cercate e attentamente colte al volo, ha preso il via 
                  il percorso che ha portato alle attività educative dell'Orto 
                  botanico oggi proposte alle scuole. 
                  Le prime proposte di attività sono state inviate alle 
                  scuole nel 2009, erano attività differenziate, in relazione 
                  all'età dei partecipanti e in base ai diversi programmi 
                  svolti dalle scuole e dagli indirizzi di studio. Per quanto 
                  avessi già chiara la metodologia che volevo mettere in 
                  pratica, esistevano difficoltà concrete. Lavoravo, infatti, 
                  con due persone che, pur facendo parte del Centro regionale 
                  di informazione e educazione ambientale, concretamente, non 
                  avevano mai potuto formarsi o sperimentare, quindi, in molte 
                  occasioni, l'improvvisazione faceva da padrona. In realtà, 
                  sapevo cosa bisognava fare per cambiare le cose. 
                  Per tanti anni avevo frequentato artisti di ogni genere e conosciuti 
                  modi alternativi per rapportarsi con gli altri, modi inediti, 
                  avevo sperimentato metodi educativi originali anche in laboratori 
                  di teatro contemporaneo e avevo voglia di mettere in pratica 
                  queste esperienze per le attività di educazione ambientale. 
                  Desideravo riuscire ad arrivare “dentro” le persone 
                  e lì mettere un piccolo seme per il cambiamento. In Europa, 
                  diversi Giardini avevano già avviato esperienze di questo 
                  tipo con risultati ottimi. Mi sono quindi rimessa a studiare, 
                  ho seguito corsi universitari per educatori, arricchendo, anche, 
                  la mia formazione della metodologia peer education e 
                  cercato di stimolare le persone con cui collaboravo. Quando 
                  con le mie colleghe eravamo riuscite a realizzare un equilibrio 
                  meno precario, tutto è cambiato: sono state destinate 
                  ad altri incarichi. Per fortuna, a quel punto, si è materializzata 
                  Loredana, laureata in scienze biologiche e in cerca della sua 
                  strada. Loredana, con la coooperativa che gestisce i servizi 
                  per l'Orto, aveva avuto occasione di fare delle visite guidate 
                  ed era diventata curiosa rispetto alle attività educative. 
                  Quando abbiamo iniziato a parlare e a confrontarci è 
                  stato subito amore. Amore per un sogno condiviso. Il sogno di 
                  poter cambiare realmente le cose. L'impegno a renderlo concreto. 
                  Rendere concreto, attraverso le nostre attività, l'obiettivo 
                  dell'educazione ambientale: sensibilizzare alle tematiche ambientali 
                  per favorire un nuovo atteggiamento nei confronti dell'ambiente. 
                  Dal 2011, sostenute dai direttori dell'Orto, abbiamo continuato 
                  insieme a sviluppare e realizzare i progetti educativi rivolti 
                  alle scuole. 
                 Cristina Lo Giudice 
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