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                  Il significato delle parole fra autorità e consapevolezza  
                  a cura di Felice Accame 
                 
                  1. 
                  Chiedersi in che consista il significato di una parola è 
                  un atto più rivoluzionario di quel che può sembrare. 
                  Veniamo al mondo e, in qualche modo, impariamo a parlare. Soltanto 
                  quando già parliamo ci viene insegnata la grammatica, 
                  ma, a guardarla bene, ci si rende facilmente conto che, suo 
                  tramite, mai avremmo imparato a parlare – senza contare 
                  che la grammatica è un sistema classificatorio che, soltanto 
                  in minima misura, ha a che fare con il significato delle singole 
                  parole. Perlopiù, pertanto, venendo al mondo ereditiamo 
                  un patrimonio già bello e fatto che siamo perentoriamente 
                  invitati a rispettare. Non porsi mai il problema costituito 
                  dal significato di una parola, in fin dei conti, rappresenta 
                  un atto di subordinazione sociale, l'obbedienza ad un'autorità 
                  più e meno nascosta che ci impone un mondo da accettare 
                  passivamente, uno stato delle cose immutabile cui rassegnarsi 
                  – nonostante ogni evidenza – e ogni necessità 
                  – contraria. 
                   
                  2. 
                  Nel 1905, Ernst Mach, in Conoscenza ed errore, scriveva 
                  che “il significato della parola sta nella serie di associazioni 
                  che evoca, e viceversa il suo uso corretto consiste nella presenza 
                  di tali associazioni”. Questa affermazione di Mach – 
                  una persona perbene cui non mancava certo lo spirito critico 
                  – rappresenta bene la povertà di una teoria corrente. 
                  L'associazione di qualcosa implica due o più termini, 
                  ma sulla loro natura nulla si dice – i termini in questione 
                  rimangono sostanzialmente inanalizzati suggerendo implicitamente 
                  che possano anche essere inanalizzabili: significati come entità, 
                  indipendenti dal parlante. 
                  Presupposto di Mach, d'altronde, è che la “sensazione” 
                  – la base della vita mentale dell'individuo – “non 
                  si può spiegare”, che sia “qualcosa di tanto 
                  semplice e fondamentale che, almeno oggi, non si riesce a ricondurla 
                  a qualcosa di ancor più semplice”. Mach ha l'onestà 
                  e l'intelligenza di riconoscere la provvisorietà della 
                  situazione – “almeno oggi” –, ma ciò 
                  non cancella il senso di impotenza che deriva dalla constatazione. 
                  
                   
                  3. 
                  Nel 1927, Percy William Bridgman scrive La logica della fisica 
                  moderna. Di lui si sa ancora poco: fisico, avrebbe meritato 
                  il Premio Nobel per i suoi studi sulle alte pressioni nel 1946 
                  e, più tardi – nel 1955 –, con Einstein e 
                  Bertrand Russell, sarebbe stato uno degli undici firmatari di 
                  una famosa lettera-manifesto – quella rivolta al mondo 
                  intero, e in particolare ai potenti, contro le armi nucleari. 
                  In questo suo libro, dalla critica alla tradizione – ad 
                  una tradizione di cui obtorto collo faceva parte lo stesso Mach 
                  –, nella ricerca della “precisione richiesta dall'uso 
                  scientifico”, Bridgman è stato indotto “a 
                  scartare il metodo di trattare il nostro ambiente in termini 
                  di oggetti dotati di proprietà”, ed a sostituirlo 
                  con “un punto di vista che considera la riduzione in attività 
                  o in operazioni come un metodo più sicuro e migliore 
                  di analisi”, venendo dunque – come afferma destando 
                  lo scandalo fra i benpensanti della comunità scientifica 
                  e filosofica – a considerare i “concetti come costrutti, 
                  nel senso di costruiti con operazioni” – ragion 
                  per cui “il significato delle parole è determinato 
                  dalle operazioni”, e, anzi, “il significato è 
                  sinonimo delle operazioni” –, pur nella convinzione 
                  che sia “impossibile separare ciò che facciamo 
                  con le mani da ciò che facciamo con la 'mente'”. 
                  Corollario di ciò, e presupposto – come dice molti 
                  anni dopo in Come stanno le cose –, è che 
                  “la stessa parola, usata una seconda volta in una frase 
                  successiva, non ha [...] lo stesso contesto del suo primo uso, 
                  e quindi non c'è alcuna certezza che il significato sia 
                  lo stesso del suo primo uso”. 
                  Quando distingue tra un significato nel passato, nel futuro 
                  e nel presente, e dichiara di avere “un'inclinazione molto 
                  forte a pretendere da un significato che sia un significato-adesso”, 
                  non fa che risollevare un'afflizione ricorrente nella storia 
                  del pensiero. Ne è un ottimo esempio, la lamentazione 
                  di Antoine-Louis-Claude Destutt de Tracy, negli Eléments 
                  d'Idéologie (1801-1815), circa l'impossibilità 
                  di conferire a tutte le lingue del mondo le proprietà 
                  dell'algebra. Nelle lingue naturali, dice il filosofo “ideologo”, 
                  “siamo il più sovente ridotti a delle congetture, 
                  a delle induzioni, a delle approssimazioni [...] Non abbiamo 
                  quasi mai la certezza perfetta che questa idea, che ci siamo 
                  costruita sotto il tal segno e per dati mezzi, sia esattamente 
                  in tutto e per tutto quella a cui attribuiscono lo stesso segno 
                  sia colui che ce lo ha insegnato sia gli altri uomini che se 
                  ne servono. Donde spesso le parole prendono insensibilmente 
                  significazioni diverse, senza che nessuno si accorga del cambiamento; 
                  per cui sarebbe giusto dire che ogni segno è perfetto 
                  per chi lo inventa, ma ha sempre qualcosa di vago e incerto 
                  per chi lo riceve [...] Dirò di più: ho detto 
                  che ogni segno è perfetto per chi lo inventa, ma questo 
                  non è vero a rigore che per il momento in cui l'inventa” 
                  – ecco il “significato-adesso” che piace a 
                  Bridgman – “perché quando si serve dello 
                  stesso segno in altro momento della sua vita, o in altra disposizione 
                  di spirito, costui non è più del tutto sicuro 
                  di riunire esattamente sotto questo segno la stessa collezione 
                  d'idee della prima volta”. 
                  Da qui, anche lo straordinario scrupolo di Bridgman nei riguardi 
                  del resoconto scientifico – perlopiù sottratto 
                  all'io e affidato ad una sorta di soggetto neutrale – 
                  come se, come stanno le cose, ce lo dicessero le cose stesse. 
                  Il significato di ‘io' è relazionale – conferma 
                  l'identità del rapporto tra il parlante e ciò 
                  cui si riferisce parlando (e dev'essere sconcertante, nota Bridgman, 
                  per un bambino che impara il linguaggio, sentire di continuo 
                  dire “io”, sempre da persone diverse – ovvero 
                  usare lo stesso designante per designati apparentemente diversi). 
                  La “modestia” di Bridgman è qui evidente. 
                  Richiama lo scienziato alle sue responsabilità. Spiega 
                  quanto sia meglio per tutti che, dietro le sue affermazioni, 
                  ci metta la propria faccia, che riduca il mondo che descrive 
                  a se stesso che lo descrive senza ergersi a soggetto universale. 
                  
                  4. 
                  Cosa cambia, allora, una teoria operativa del significato? Ne 
                  La logica della fisica moderna e in Come stanno le 
                  cose, Bridgman fa gli esempi opportuni, sia di ordine scientifico 
                  che di ordine sociale. Ne riporto uno piuttosto noto. Nello 
                  Scolio (propriamente “commento”, da 
                  “skole”, greco, “studio, occupazione”) 
                  del libro I dei Principia mathematica di Newton si legge 
                  che “Io non definisco Tempo, Spazio, Luogo, Movimento, 
                  in quanto sono ben noti a tutti”. Dà per scontata 
                  un'analisi che invece è tutta da fare. Il profano – 
                  prosegue Newton – non concepisce queste grandezze se non 
                  in rapporto agli oggetti sensibili e da ciò nascono dei 
                  “pregiudizi” che vanno liquidati. Come? Distinguendo 
                  queste grandezze in assolute e relative, vere e apparenti, matematiche 
                  e comuni. (“Il Tempo assoluto, Vero e Matematico, in sé 
                  e per sua natura scorre uniformemente senza riferimento a nulla 
                  di esterno, e con altro nome viene detto Durata”). Con 
                  il che, per esempio, ci siamo ritrovati alle prese con un “tempo 
                  assoluto”, che, se da un lato serviva bene ad una concezione 
                  mistica del mondo, dall'altro complicava non poco le indagini 
                  della fisica (e non solo della fisica). 
                  Ad analisi operativa, poi, Bridgman sottopone l'intero apparato 
                  metodologico della scienza – nozioni come quella di causalità, 
                  velocità, energia, forza e massa, i concetti della termodinamica, 
                  dell'elettricità, della teoria della relatività, 
                  della teoria quantistica; parole apparentemente banali come 
                  “tutto”, “ogni”, “ciascuno”. 
                  Sul versante delle relazioni sociali, Bridgman afferma, per 
                  esempio, che pensare in operazioni “risulterà all'inizio 
                  qualcosa di antisociale – non si riuscirà a comprendere 
                  la più semplice conversazione dei propri amici, ci si 
                  renderà impopolari richiedendo continuamente il significato 
                  dei termini usati”. Si dovrà negoziare, insomma, 
                  come sempre allorché, rivoluzionariamente, si rinuncia 
                  all'autorità costituita. Ma “il pensiero operativo 
                  riformerà l'arte sociale della conversazione, perché 
                  tutti i nostri rapporti sociali appariranno suscettibili di 
                  riforma”, dice Bridgman, invitando a “pensare alle 
                  discussioni di ordine religioso o morale” – “ci 
                  rendiamo conto della vastità delle riforme che ci aspettano”. 
                  Se ne può concludere che “ovunque si temporeggia 
                  o si cercano compromessi nell'applicazione alla vita pratica 
                  delle nostre teorie sulla condotta, possiamo sospettare una 
                  deficienza di pensiero operativo”. 
                   
                  5. 
                  A questo punto, però, la mano che reggeva la rosa si 
                  deve accorgere anche di una spina. Cosa sono – di cosa 
                  sono costituite – queste operazioni di cui si parla? Come 
                  dividere quelle fisiche da quelle mentali? Come descrivere le 
                  operazioni mentali? 
                  Qui l'argomentazione di Bridgman si ferma anche perché 
                  non è detto che sia insufficiente. Già così 
                  com'è, valorizzando la consapevolezza relativa all'operare 
                  individuale e sociale, travolge l'ordine delle cose. Per andare 
                  oltre – per conferire maggiore consistenza ad una teoria 
                  operativa del significato –, occorre un modello dell'attività 
                  mentale. E questo modello – neurobiologia alla mano –, 
                  va negoziato. Altra fatica, se vogliamo, ma nulla di male in 
                  un mondo in cui, fino ad ora, ci si è affidati all'autorità 
                  di qualcuno. Non potremo che ottenerne un mondo migliore. 
                 Felice Accame 
                 Nota 
                  Come stanno le cose rappresenta la fase più matura 
                  della riflessione metodologica di Bridgman. È stato pubblicato 
                  nel 1959, ma la versione italiana, a cura di Dafne Calgaro e 
                  Margherita Marcheselli, è disponibile soltanto dal 2012 
                  grazie a Odradek Edizioni. Il volume contiene anche una presentazione 
                  al pubblico italiano di Ernst Von Glasersfeld e una mia Postfazione. 
                  Con Davide Bigalli e Andrea Scarabelli, il 19 febbraio del 2013, 
                  all'Università degli Studi di Milano, ho partecipato 
                  ad un seminario sul pensiero di Bridgman. Qui riassumo i punti 
                  principali del mio intervento. La logica della fisica moderna, 
                  a cura di Vittorio Somenzi, è stato pubblicato da Boringhieri, 
                  a Torino nel 1952. Conoscenza ed errore, di Ernst Mach, 
                  a cura di Aldo Gargani, è stato pubblicato da Einaudi, 
                  a Torino nel 1982. 
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