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				 chiesa 
                  
                Pope-corner 
                  
                di Francesca Palazzi Arduini 
                    
                Un Papa della povertà... eletto in tempi sospetti. 
                 
                  “Come tu mi vuoi”, 
                  recita l'adagio letterario, e mai come oggi la Chiesa cattolica 
                  vorrà rendersi capace di assecondare gli umori popolari 
                  in clima di recessione, austerity, catastrofismo dilagante e 
                  scandali finanziari. 
                  Sul fronte laico, l'elezione di questo nuovo Papa ha rivelato 
                  due tipi interpretativi contrapposti: da un lato coloro che, 
                  come Massimo Cacciari, sempre pronti a stimare la scoperta dell'acqua 
                  calda, se fatta da un religioso, come valevole il doppio in 
                  originalità e coraggio, non vedevano l'ora di un Papa 
                  'popular'. Il filosofo, vivendo l'ansia di rinnovamento della 
                  Chiesa quasi ne facesse parte come il migliore dei chierici, 
                  ha addirittura imbroccato la previsione del nuovo nome papale, 
                  cosa che dimostra la grande sensibilità curiale per le 
                  sollecitazioni utili alla propaganda. 
                  Dall'altro, coloro che, con spirito anticlericale da rotocalco, 
                  si sono occupati sin da subito, seppure l'eletto non rientrasse 
                  nemmeno nella rosa dei preferiti, di indagare sulle sue magagne 
                  con dovizia, per bruciarne l'aureola più in fretta che 
                  si può. 
                  Certo è che nessun papa, anche se francescano (e nella 
                  storia ce ne sono stati ben quattro), aveva osato riprendere 
                  il nome del santo patrono nazionale e solo ora che la caduta 
                  del dogma dell'infallibilità papale è evidente 
                  con le dimissioni di Ratzinger, chissà, magari nulle 
                  perché forzate da chissà quale ricatto1, 
                  la povertà francescana viene riproposta dal conclave 
                  come chiave di lettura di un pontificato nuovo. 
                  Eppure la scelta di questo cardinale argentino, Bergoglio, capace 
                  di rimanere in sella durante la dittatura nel suo paese senza 
                  esporsi troppo (semmai facendo esporre gli altri), e di presentarsi 
                  con austerità e modestia, non deve trarre in inganno 
                  sullo svolgimento degli equilibri politici all'interno del Vaticano: 
                  lo spirito santo non ha fatto miracoli rivoluzionari al conclave, 
                  ma solo la media aritmetica. Il ruolo dello “Spirito” 
                  è stato come sempre surclassato, anche nel passaggio 
                  da un Papa a un (due) “Vescovi di Roma”: non si 
                  tratta di esigenza spirituale ma di urgenza amministrativa. 
                  Un'urgenza che anche in questo caso batte ogni richiesta “dal 
                  basso”, o da parte degli intellettuali del regno, che 
                  dai tempi del Concilio vaticano II chiedono più ecumenismo 
                  e un po' meno monarchia. 
                  Già dalle dimissioni di Ratzinger, niente affatto preparate 
                  mediaticamente, era chiaro che lo spacco tra potere temporale 
                  e autorità spirituale nella Chiesa era ormai insanabile. 
                  L'elezione subitanea, poco prima della scomparsa dal soglio, 
                  del nuovo presidente dello Ior, poi il dossier corposo presentato 
                  a Bergoglio nell'incontro tra papi, pardon, “vescovi”, 
                  del 23 marzo, segnala come evidente che l'intenzione di Benedetto 
                  XVI era quella di uscire, forzatamente sì, ma con un 
                  colpo di coda tutto incentrato sulla gestione del potere finanziario. 
                  Il conclave ha preso semplicemente atto che non si poteva più 
                  eleggere persona troppo ammanicata con la Curia romana e che 
                  anzi, per evitare altri contrasti occorreva dare un segnale: 
                  chi troppo poteva doveva essere costretto a mediare con gli 
                  altri poteri. Non è un caso che la lotta tra Opus dei, 
                  molto legato anche agli ambienti del potere laico romano, e 
                  i finanziatori americani dell'Ordine dei cavalieri di Colombo 
                  (che gestiscono un fondo finanziario da 17 miliardi di dollari!) 
                  sia non solo una chiave di lettura dello scandalo Vatileaks 
                  e della recente successione di incarichi allo Ior e all'istituto 
                  vaticano di vigilanza, l'Aif; l'elezione di un cardinale che 
                  era stato in precedenza indicato come probabile successore di 
                  Wojtyla, poi non più nominato tra i papabili, segnala 
                  come la stampa e i vaticanisti di punta stessi siano distratti 
                  nelle loro analisi dalle sollecitazioni dai vari gruppi di pressione 
                  e che questo papa, Papa Mario, sarà un Papa tecnico, 
                  addetto a riandare in attivo e a contrattare il potere delle 
                  lobby evitando se possibile altre cadute di stile. 
                  Il cambiamento di registro è evidente e vuole consentire 
                  a questo papato un riequilibrio degli interessi, per il quale 
                  il segnale verrà dato dalla elezione del nuovo Segretario 
                  di Stato (o più segretari?) che al momento non conosciamo. 
                  Insomma, le due croci, quella argentata che rappresenta il potere 
                  temporale, e quella dorata del potere spirituale, non sono “decussate” 
                  nello stemma papale in modo che la dorata sovrasti l'argentata. 
                  E la pretesa da sempre propria al papato, di essere fonte di 
                  ispirazione e guida morale anche per lo Stato laico, appare 
                  decaduta proprio a partire dal governo della Chiesa. 
                  A ciascuno la sua croce 
                 I gesti di vicinanza alla popolazione, le dichiarazioni di 
                  amore per la povertà, le aperture più o meno ecumeniche 
                  (da subito l'Islam, la chiesa ortodossa, una strizzata d'occhio 
                  ai non credenti con la benedizione “silenziosa” 
                  durante la conferenza per la stampa), faranno sì che 
                  la pesantissima coltre di diffidenza popolare verso il clero 
                  si dissipi lievemente. Ma cosa ne sarà comunque del potere 
                  “spirituale” con questo papato? Poco tempo fa riflettevamo 
                  su di una “Chiesa pietrificata”, cioè monarchica 
                  e depurata dal dissenso e dalla facoltà di ascoltare, 
                  erano i giorni dell'estremo golpe mediatico, la beatificazione 
                  di Karol Wojtyla; il pontificato di Ratzinger, l'intellettuale, 
                  “la guida spirituale integerrima”, ha rivelato l'incapacità 
                  di comunicare e dire qualcosa di efficace, finendo col suo esilio 
                  a scrivere il suo libro su Gesù e con una enciclica incompiuta 
                  sul groppone. 
                  Nel mondo del cattolicesimo tradizionalista, che ha sempre guardato 
                  a Ratzinger con simpatia, si protesta perché “il 
                  papa si arrende alla desacralizzazione”, questa è 
                  una interpretazione realistica dei fatti, quella di una “resa”; 
                  nel mondo cattolico si assiste ad un disorientamento che difficilmente 
                  guarirà, perché uno dei canoni del cattolicesimo, 
                  quello del “ciascuno porti la sua croce”, è 
                  stato contraddetto. Le dimissioni sono state proprio per questo 
                  male interpretate, come grande gesto di rinnovamento “spirituale”, 
                  un gesto che invece ha minato profondamente a livello simbolico 
                  proprio uno dei dogmi fondativi, l'ispirazione divina del 'pastore' 
                  che mai abbandona le sue greggi. E gli effetti della castrazione 
                  simbolica si faranno sentire, il pericolo di scisma sarà 
                  il primo pericolo e non per niente Bergoglio inizia col dare 
                  rassicurazioni sulle sue intenzioni “al dialogo”, 
                  l'insicurezza è il veleno di chi si predica come guida. 
                  Insomma caduto un dogma, caduti tutti, cade il ruolo stesso 
                  dell'istituzione Chiesa in quanto organismo gerarchico, la crisi 
                  morale come crisi anche dei dogmi costringerà questo 
                  nuovo papa a molte parafrasi e balletti. Da un lato il suo invito 
                  al dialogo, dall'altro il suo “chi non prega dio, prega 
                  il diavolo”. 
                  Ma se la Chiesa è una realtà totalmente temporale, 
                  nella quale ogni corrente interpreta la “mission” 
                  a suo modo, l'unico commento pre-conclave degno di nota è 
                  quello dell'Economist, il quale con un editoriale titolava “Un 
                  manager in Vaticano”, dando alcuni consigli non richiesti 
                  ma estremamente pertinenti: la multinazionale più antica 
                  del mondo ha bisogno di un amministratore delegato che sappia 
                  ripensare la mission centrale e il portafoglio clienti, dovrà 
                  gestire meglio il rapporto coi dipendenti e il “ricollocamento 
                  produttivo” dei lavoratori pedofili o truffatori, la reputazione 
                  è l' “asset” più prezioso per l'azienda! 
                  Una campagna di pubbliche relazioni che spieghi ai clienti cosa 
                  si sta facendo per rimediare ai disservizi è opportuna, 
                  la Chiesa inoltre dovrebbe secondo l'Economist, disfarsi della 
                  sua banca interna, lo Ior, che gli crea troppi problemi, e fare 
                  come Ibm o Ford, che hanno appaltato le attività finanziarie 
                  secondarie. Parlando poi di mercati, è opportuno che 
                  la Chiesa punti non più sull'Europa, che perde fedeli 
                  (dal 65 per cento di cattolici nel 1910 all'attuale 24 per cento, 
                  con un indice di secolarizzazione sempre più alto, come 
                  calcola l'Osservatorio laico sostenuto da Critica liberale e 
                  Cgil Nuovi diritti2), ma al sud 
                  del mondo. 
                  E qui l'Economist batte tutti in quanto a preveggenza, scommettendo 
                  sull'America latina come mercato su cui investire: “L'affermazione 
                  delle chiese pentecostali ha fatto scendere la sua quota di 
                  mercato dal 90 per cento del 1910 al 72 per cento di oggi”, 
                  il Sudamerica è quindi un obiettivo ghiotto e può 
                  consentire nuovi spiragli di attività per questa azienda 
                  il cui scopo principale deve tornare ad essere, oggi più 
                  che mai, la gestione del rapporto tra sfruttatori e sfruttati, 
                  tra ricchi e poveri. 
                  
                “Governi tecnici” 
                 Riassumendo, la riorganizzazione del sistema di potere ai 
                  vertici della Chiesa cattolica, a più voci invocata sin 
                  dal Concilio II, basti pensare alle richieste dei “primi 
                  cento giorni” di governo ipotizzati già dal 1978 
                  dal team di Dossetti, alle richieste recenti di Noi siamo Chiesa 
                  (con 'L'agenda del nuovo Papa'), alle speranze di Enzo Bianchi 
                  che vede in questo nuovo “vescovo di Roma” una nuova 
                  dimensione umana per il potere papale, non rinnova nulla se 
                  non la nomenclatura. 
                  Una riforma della curia romana e la creazione, come segnala 
                  il vaticanista Sandro Magister, di un “consiglio della 
                  corona”, con cardinali, scelti tra gli stessi che gestiscono 
                  i sinodi (i 200 vescovi che ogni due anni si riuniscono a Roma 
                  in rappresentanza di tutti i 5000), che con cadenza fissa vengano 
                  consultati quasi a formare un abbozzo di monarchia parlamentare, 
                  seppure non pubblica e tantomeno trasparente. 
                  In attesa di questi “grandi”, ecumenici, cambiamenti 
                  non possiamo che augurarci che le somiglianze tra il mondo politico 
                  laico italiano e quello cattolico non siano troppo funeste: 
                  sui “governi tecnici” per riparare all'ingordigia 
                  di un capitalismo deregolato, papato e parlamento sembrano gemelli, 
                  mentre sull'impossibilità di governare il conclave sembra 
                  essere più efficiente di Montecitorio… Speriamo 
                  che ciò non sia di ispirazione alle nuove figure politiche 
                  che, seppure desiderose di una nuova macchina-Stato efficiente, 
                  collidono con il concetto di democrazia parlamentare e preferirebbero 
                  uno Stato senza partiti, magari con votazioni online simili 
                  a sondaggi di opinione e fluttuanti tra disinformazione, eccesso 
                  di informazione, alienazione dal confronto col sociale. Chissà 
                  che la Chiesa non si adatti alla “democrazia digitale”, 
                  che ha comunque i suoi leader maschi ben decisi a non togliersi 
                  di mezzo, i suoi moderni patriarchi, i suoi addetti al rimpallo 
                  mediatico, basterà far passare per “servitori” 
                  di Dio o della causa, come sempre, i proprietari del marchio. 
                  Esaudire i bisogni di senso dei clienti, lo scopo di sempre; 
                  creare o annullare bisogni servendosi di una organizzazione 
                  di fedelissimi, la strategia vincente, anche per i nuovi politici 
                  laici. Un'organizzazione militare come l'Ordine dei gesuiti 
                  viene in soccorso del caos vaticano, un Ordine militare come 
                  quello dei cavalieri di Malta mette le mani sulla presidenza 
                  dello Ior, un ordine austero nei modi come quello francescano 
                  riporta tutti al sogno di una banca vaticana come Monte di pietà, 
                  per prestiti a basso interesse, del resto proprio inventati 
                  e proposti nel XV secolo dai francescani… Certo, con 
                  i quasi mille miliardi di patrimonio immobiliare in Italia, 
                  e duemila nel mondo, basterebbe poco investimento a questo papa 
                  per suscitare scalpore e seguito, con un guadagno in immagine 
                  travolgente, e la possibilità quindi di rimarcare l'influenza 
                  politica cattolica nel mondo. Come ha scritto Martìn 
                  Caparròs: “Qui, come ovunque, il Vaticano è 
                  la lobby più potente per la difesa dei valori conservatori, 
                  se non addirittura reazionari. Un papa argentino potrebbe portare 
                  questo suo potere a livelli senza precedenti.” 
                  E di certo, al di là delle dichiarazioni di rispetto 
                  e le aperture simboliche, non possiamo avere rassicurazioni 
                  da una Chiesa che comunque, anche nei momenti più difficili, 
                  non manca di farci osservare che siamo legati al rispetto di 
                  regole stabilite per cui ciò che ci dà, come l'assistenza 
                  ai “suoi poveri”, deve essere ricambiato. 
                  Non è un caso che, proprio nel giorno in cui dava la 
                  notizia delle dimissioni del papa, l'11 febbraio, l'Osservatore 
                  romano in prima pagina riportasse solo un altro articolo, in 
                  cui si faceva notare la ricorrenza della data di stipula dei 
                  Patti Lateranensi, e che occorre “constatare ancora una 
                  volta la funzionalità della soluzione convenuta, la sua 
                  rispondenza a tuttora perduranti esigenze, la sua idoneità 
                  nel continuare a guidare verso obiettivi condivisi”, un 
                  articolo di certo ispirato da Dio.
                  Francesca Palazzi Arduini
                 
                  
                Note 
                
                  - “La rinuncia deve essere libera, perché, secondo 
                    il c. 188, la rinuncia a un ufficio per timore grave, ingiustamente 
                    incusso, per dolo o per errore sostanziale o con simonia, 
                    “ipso iure” è invalida”. – 
                    Cessazione dall'ufficio di Romano Pontefice di Gianfranco 
                    Ghirlanda, “La Civiltà Cattolica”, n. 3905, 
                    2 marzo 2013. 
                  
 - Nel nuovo rapporto sulla secolarizzazione, l'ottavo, pubblicato 
                    da Critica liberale nel numero di novembre-dicembre 2012, 
                    osservazioni molto interessanti, come il calo della frequenza 
                    delle apparizioni del clero in tg e talk show (forse a causa 
                    dell'imbarazzo causato dai tanti scandali)... con contemporaneo 
                    provvidenziale aumento della presenza religiosa nella fiction: 
                    per un totale di ben 268 puntate “benedette” nel 
                    2011!
  
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