rivista anarchica
anno 43 n. 378
marzo 2013


lettere dal futuro 5

La notte della civetta

di Paolo Pasi


In uno strano connubio di sogno e realtà si era ritrovato a fare l'amore con una civetta che non stava sul comò. Né lui si sentiva la figlia del dottore.
«Un chiaro sintomo di pazzia» constatò a braccia spalancate sul letto.
Era solo nella stanza e non aveva idea di come andare avanti. Dalla finestra aperta sul giardino striminzito del suo palazzo entrava il respiro bollente della città che si accaniva sulla fatica di un giorno di lavoro. Aveva staccato nel pomeriggio e non si era ancora svestito.
Che ore si erano fatte? Mezzanotte? Mezzanotte e mezza?
«Ambarabaciccicoccò!»
Una voce nel buio. Eppure lui non aveva parlato.
«O sono diventato ventriloquo, oppure qualcosa nella mia testa è definitivamente saltato».
Accese la luce sul comodino, vi appoggiò il peluche della civetta e mise a fuoco la stanza. Un bambino ai piedi del letto lo stava fissando con occhi che reclamavano il gioco. Indossava un grembiule bianco.
«E tu chi sei?»
«Sono il dottore. Non mi hai chiamato?» disse il bambino mostrando una valigetta di cartone verde con impressa una croce rossa.
Lui se ne restò muto sul letto, appoggiato ai gomiti. A vederlo meglio, in effetti, quello che gli era sembrato un grembiule poteva essere un camice.
«Dai, facciamo la visita» continuò il bambino. «Stenditi meglio... facciamo che io ti controllavo prima la pressione, e poi se avevi la febbre»
«Ma che stai dicendo, piccolo? Come hai fatto a entrare? Dove sono i tuoi genitori?»
«Uhm... pressione bassa. Adesso ti davo la pillola e tu la mandavi giù»
«Non voglio giocare. Lasciami solo e vattene!»
Al che il bambino cambiò espressione. Prima il tremolio del mento, poi le lacrime a dirotto di un pianto recriminatorio: «Tu non vuoi giocare con me!»
«Non fare così... e va bene dammi questa maledetta pillola» sbuffò lui.
Il bambino estrasse dalla tasca del camice una strana pallina di gomma giallo fluorescente e la porse al suo paziente.
«Mmmmh... buona» disse lui fingendo di deglutire.
«Ma no, devi mangiarla sul serio»
«Stai scherzando? Potrei morire soffocato...»
«Mangiala, mangiala!» gridò il bimbo, prossimo a un nuovo pianto.
Lui valutò le alternative. Poteva arrivare il padre, magari un ex pugile pregiudicato voglioso di rimettere mano agli attrezzi del mestiere. Forse la scelta migliore stava nel mettersi quella pillola in bocca e contare su un momento di distrazione del dottore per sputarla fuori. Ma quel piccolo e ostinato medico lo fissava senza tregua, attento a ogni movimento di mascella.
«Mandala giù... giù ho detto!»
Continuando a urlare, il bambino saltò sul letto e gli afferrò la faccia con entrambe le manine. Lui oppose una fiacca resistenza. Non volendo fare male al piccolo, finì per subirne la straripante energia.
«Che modo stronzo di morire!» realizzò nel terrore.
All'improvviso, però, il bambino mollò la presa. Il suo sguardo reclamava il gioco in un'altra direzione.
«Hai visto? Hai visto?» disse puntando il dito oltre la finestra.
«Che cosa? Cosa ho visto?»
«La tua civetta... È volata via!»
«Adesso stai esagerando. Basta, non voglio più giocar... Ma dov'è finito il peluche?» osservò agitato. Il comò era orfano del pupazzo.
«Non è un peluche. Ti ho detto che la civetta è volata via» spiegò il bambino con l'indice rivolto alla luna piena che si era fatta limpida nonostante il cielo saturo di umidità.
«Sono impazzito. Ho le allucinazioni...» pensò lui.
Si alzò, cercò sotto il letto, tastò il materasso, ma la perlustrazione si rivelò infruttuosa. La civetta era scomparsa.
«Dai, dai» esclamò il bambino in un nuovo impeto di entusiasmo. «Facciamo che andavamo nel bosco a cercarla. Magari è andata dalle sue sorelline»
Il piccolo si tolse il camice e restò in maglietta e calzoni. Poi si mise a cavalcioni sulla finestra, e attese di spiccare il salto verso il giardino, un metro e mezzo più in basso: «Noi eravamo gli astronauti e dovevamo seguire la civetta. Dammi la mano, dai»
«Stai attento... rischi di farti male, aspetta!» gridò lui afferrandolo per un braccio.
«Ecco che partivamo per la missione. Uno, due, tre... via»
L'uomo si trovò trascinato oltre la finestra. Il terreno era soffice, accogliente. Una volta atterrati, il bimbo gli allungò la manina: «Andiamo, dai»
Lui allargò le braccia in segno di resa: «Vabbe'... Come ti chiami, bimbo?»
«Io ero John l'astronauta, e tu?»
«Io Tom. La mia civetta si chiamava Petunia, e adesso ci toglievamo i caschi perché potevamo respirare...»
«Va bene, Tom. Io andavo avanti e tu mi seguivi»
«Ok. Secondo te dov'era andata la civetta?»
Ambarabaciccicoccò. Tre civette sul comò. Che facevano l'amore con la figlia del dottore...
Il senso di tutto ciò gli sfuggiva come un'incomprensibile filastrocca di successo. Che ore erano, ad esempio? Mezzanotte e mezza? L'una?
Inutile cercare risposte. Quando il tempo era imperfetto, non rimaneva che stare al gioco.

Paolo Pasi