economia 
                 
                Il buco nero del capitalismo 
                  
                di Antonio Cardella, Alberto La Via, Angelo Tirrito e Salvo Vaccaro 
                   
                 
                Per le edizioni Zero in Condotta è uscito Il buco nero del capitalismo elaborato da quattro anarchici siciliani. Vuole essere non soltanto un'analisi esaustiva della crisi attuale che attanaglia l'Occidente, ma anche l'apertura ad una possibile alternativa che restituisca ai popoli capacità decisionali e percorsi di autentico sviluppo.  
Ne pubblichiamo qualche stralcio. 
                 
                 
                  Il declino  del'Occidente 
                  di Salvo Vaccaro 
                   
                  «Che la globalizzazione non sia una mera cortina fumogena, 
                  effetto di una produzione ideologica volta a depistare, ma rappresenti 
                  sul serio una profonda trasformazione della superficie del pianeta 
                  terra, senza intaccare la logica del dominio, ma modificandone 
                  enormemente le dinamiche, è sotto gli occhi di tutti 
                  i vedenti. 
                  [...] 
                  Per noi anarchici e libertari la tenuta analitica delle nostre 
                  tesi intorno al dominio come logica che muove gli assetti globali 
                  non è affatto in crisi. [...] Indubbiamente, la nuova 
                  fisionomia del pianeta terra che emerge dopo alcuni decenni 
                  di turbo-accelerazione globale incrina qualche nostra certezza 
                  della grammatica anarchica: in questi anni, abbiamo registrato 
                  che la forma stato può implodere, collassare, scomparire 
                  senza bisogno di scossoni rivoluzionari, di insurrezioni sociali, 
                  di attacchi al suo fantomatico cuore, di prese di Palazzi più 
                  o meno stagionati. 
                  [...] 
                  Man mano che lo stato sovrano perde prese su questioni che lo 
                  sovrastano, la politica si trasforma da scelta strategica a 
                  gestore amministrativo, realizzando beffardemente una profezia 
                  di Marx, ossia che lo stato si estingue e ad esso succede l'amministrazione 
                  impolitica, “neutralmente” tecnica. Ebbene, oggi 
                  prende il nome di governance, pratica non legittima (se non 
                  eventualmente a posteriori) di “governo senza governo”, 
                  come lo enunciano i teorici più avvertiti di tale paradosso 
                  reale, in cui politica e gestione anonima e irresponsabile, 
                  nel senso che non risponde a nessuno (e infatti, si conia il 
                  termine inglese “accountability”, mutuandolo dal 
                  termine aziendale, che significa “rendere conto”, 
                  ben diverso dall'essere responsabile verso qualcuno che è 
                  sovrano reale), si coniugano sino a rendere indiscernibile l'opzione 
                  politica che sorregge la governance, che infatti si pone come 
                  apodittica, ineludibile, senza alternativa: effetto TINA, There 
                  Is No Alternative. 
                  [...] 
                  Il declino dell'Occidente non è, quindi, solamente una 
                  funzione derivata di una sfera economica rarefatta che rinuncia 
                  a valorizzare merci e forza-lavoro, abbandonate a se stesse 
                  o ricollocate nell'area maggioritaria della fabbrica totale 
                  del pianeta, per indirizzarsi verso il flusso monetario 
                  ininterrotto (fino a quando?) delle borse e delle imprese bancarie 
                  e dei fondi-pensioni; è altresì funzione di un 
                  riorientamento della politica mondiale [...] riassegnando benefits 
                  e privilegi per una minoranza del pianeta abituata sin dai tempi 
                  dell'accumulazione originaria del potere politico, ossia della 
                  violenza, ad accaparrarsi da sola tre quarti delle risorse della 
                  terra, elargendo briciole di cooperazione alla residua maggioranza 
                  dei quattro quinti del pianeta. Questo equilibrio asimmetrico 
                  è in procinto di concludersi, e la sua agonia è 
                  forse contrassegnata dal lento scivolamento verso regimi politici 
                  post-democratici e dalla cattura post-capitalistica della finanza 
                  globale sul connubio stato-nazione sovrano e capitalismo reale, 
                  a sua volta delocalizzatosi altrove. 
                  [...] 
                  Che allo stato subentrino dispositivi di governance planetaria, 
                  come è in atto, che al capitalismo reale subentri una 
                  dittatura finanziaria globale del capitale, come in atto, riflette 
                  una mossa camaleontica che ha reso secolare tanto il dominio 
                  politico, quanto il sistema capitalistico oggi globale. Il compito 
                  di decifrarne logiche e tendenze per meglio eluderne le strette, 
                  sfuggirne alla cattura e praticare associazionismo e legami 
                  sociali ad essi estranei e conflittuali spetta in ultima analisi 
                  a tutti coloro che portano un mondo nuovo nei loro cuori.»
                
    
                  Salvo Vaccaro 
                  Dinamiche e  strumenti 
                  nuovi 
                  di Antonio Cardella 
                   
                  «[Da noi in Italia] l'osannato presidente Napolitano ha 
                  compiuto il miracolo di aver sollevato dalle spalle di un guitto 
                  l'onere del proscenio, dove era ormai insostenibile la farsa 
                  che recitava, e di avere affidato ad un azzimato tecnocrate 
                  in loden grigio verde, dal tratto marcatamente gesuitico, il 
                  compito di razionalizzarne il progetto. 
                  [...] 
                  Quello che è veramente drammatico rilevare è che, 
                  in proporzione, le logiche e le pratiche del governo Monti sono 
                  le logiche e le pratiche delle principali istituzioni europee. 
                  Seguono ambedue la stessa direzione di un percorso che non li 
                  porta da nessuna parte: nella misura in cui i principali governi 
                  del Vecchio Continente non hanno la minima idea di come arginare 
                  la deriva disastrosa di una finanza distruttiva, e di come sia 
                  possibile ridurre la forbice tra chi possiede risorse smisurate 
                  e la stragrande maggioranza delle popolazioni che è in 
                  gravissima sofferenza, l'Europa intera è un'entità 
                  a perdere. Certo, i tempi saranno lunghi e differenziati: a 
                  collassare per primi saranno gli Stati più deboli, come 
                  già sta accadendo con la Grecia, il Portogallo, L'Irlanda 
                  e la Spagna; l'agonia degli altri sarà forse più 
                  lunga, ma il destino identico. 
                  [...] 
                  Sono da sempre tra coloro che ritengono il sistema occidentale, 
                  nel suo complesso, inemendabile. Non è, quindi, con i 
                  pannicelli freddi che si può ridurre la febbre da cavallo 
                  che affligge l'ammalato. 
                  Ritengo, quindi, che bisogna trovare dinamiche e strumenti nuovi 
                  per tentare di rimettere l'uomo – quello concreto, non 
                  la semplice e logora categoria dello spirito in uso nella società 
                  della dissipazione e dell'ineguaglianza – al centro delle 
                  finalità e delle pratiche di comunità che nascano 
                  all'insegna della libertà e dell'eguaglianza, con progetti 
                  in progress condivisi, non velleitari e senza la macchia 
                  di attese messianiche velleitarie e autodistruttive.»
                    
                  Antonio Cardella
                  Liberismo e 
                  miseria 
                  di Angelo Tirrito 
                   
                  «A prescindere dalla buona o cattiva fede del tecnico, 
                  quel che avviene è che delegando al mercato e solo ai 
                  suoi meccanismi il compito di risolvere i problemi, i politici 
                  uccidono se stessi. Perché la differenza tra politica 
                  e tecnica in fondo consiste in situazioni semplicissime. La 
                  tecnica ha solo una o poche soluzioni obbligate, spesso di obbligatoria 
                  immediata esecuzione e sempre gestite da una elite ben identificata 
                  ed auto referenziata, la politica può fornire una molto 
                  più ampia gamma di soluzioni valide e partecipate e, 
                  comunque, comprese se non da tutti certamente dai più. 
                  [...] 
                  è tipico che il tecnologo che si veda scelto, 
                  trovi conveniente ritenere che chi lo ha scelto abbia già 
                  espresso il giudizio di valore sui risultati che gli vengono 
                  richiesti. A lui, tecnico, è solo affidato il compito 
                  di raggiungere questi risultati. 
                  [...] 
                  Il liberismo è basato sull'assioma dell'esistenza dell' 
                  interesse comune alla competizione che, apparentemente, permette 
                  il coltivare tutti gli ideali e tutte le religioni purché 
                  sia garantito il riconoscimento della “vittoria” 
                  a prescindere e dai metodi usati e dalle vittime che ha provocato. 
                  Il liberismo, quindi, non è lo stato finale di una società, 
                  ma diventa soltanto la situazione che consente il perpetuarsi 
                  all'infinito della competizione tra individui, società, 
                  gruppi ecc. perchè il premio ai vincitori legittima la 
                  miseria dei perdenti. »
                    
                  Angelo Tirrito
                  Una macchina che stritola tutti 
                  di Alberto La Via 
                   
                  «Di fatto, almeno una generazione di persone, in Italia, 
                  è stata letteralmente bruciata non solo nelle aspettative, 
                  ma anche nelle aspirazioni. Spesso si dice, non senza una malcelata 
                  e ipocrita rassegnazione, che per la prima volta nella storia 
                  (o almeno dal secondo dopoguerra) i figli stanno peggio dei 
                  padri. Al progresso (se così lo si può definire) 
                  lineare di una società che riusciva a garantire sempre 
                  nuove risorse e opportunità a chi veniva dopo, si è 
                  sostituita una stagnazione permanente, se non addirittura recessiva, 
                  in cui è pressoché impossibile costruire alcunché. 
                  La sensazione, palpabile tra la maggior parte delle persone 
                  che non godono di privilegi e non possono contare su alcuna 
                  posizione di rendita, è che il futuro sia qualcosa di 
                  inimmaginabile. Si vive alla giornata, non nel senso banalmente 
                  romantico dell'espressione, ma proprio perché ci si sente 
                  senza prospettiva. La costante destrutturazione del sistema 
                  formativo, la frammentazione del mercato del lavoro, l'elevazione 
                  a sistema del precariato (con l'imposizione di contratti a termine 
                  in ogni ambito lavorativo, con tutto quello che ne consegue), 
                  la progressiva demolizione dei diritti e delle tutele che sembravano 
                  intoccabili, sono alcuni degli elementi portanti di una macchina 
                  che stritola tutto e tutti e costringe a nuove forme di schiavitù.» 
                   
                  Alberto La Via
                
 
                   
                      
                         “
                        
 Il 
                          buco nero del capitalismo” 
                          (120 pagine) costa € 7,50. 
                           
                          Per richieste: 
                           
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                          Milano 
                           
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