società 
                  Oltre il debito. Oltre la “peggiocrazia” 
                  
                di Andrea Papi 
                    Non è in atto una crisi, ma una trasformazione sociale. 
E le scorribande della globalizzazione sovrastano gli stati. 
                 
                 
                  Se alla parola crisi attribuiamo 
                  il significato che le assegna il vocabolario, cioè stato 
                  transitorio di particolare difficoltà o turbamento nella 
                  vita individuale o sociale, sta diventando impossibile usarla 
                  per definire la depressione economica e sociale che stiamo subendo 
                  da circa quattro anni. Dal momento che ogni crisi che si rispetti 
                  ha un inizio e una fine per poi tornare alla condizione di origine, 
                  quella che stiamo vivendo non può più essere chiamata 
                  così. Come ogni cosa ha certamente avuto un inizio, come 
                  pure è certo che è stato messo seriamente in crisi 
                  lo stato di cose cui eravamo abituati da qualche decennio. Ma 
                  non se ne vede la fine proprio perché non si tornerà 
                  mai più come prima. Ciò che sta avvenendo non 
                  è qualcosa di transitorio destinato a rientrare, bensì 
                  un'alterazione che sta trasformando il modo di essere società 
                  e di farne parte. 
                  Siamo velocemente entrati in un'altra era sociale, economica 
                  e politica e la prima percezione concreta che ne abbiamo è 
                  che siamo tutti più poveri. In verità dicendo 
                  tutti non sono realista. C'è infatti una ristretta cerchia 
                  di persone, numericamente molto piccola, che al contrario ha 
                  rafforzato la propria capacità di accumulare ricchezze. 
                  Oltre ad essere molto più ricca di prima, in alcuni casi 
                  lo è diventata a livello iperbolico (elite della elite), 
                  per la gran massa dei non–ricchi lo è addirittura 
                  in modo inimmaginabile. È un primo aspetto importantissimo 
                  della trasformazione in atto, che evidenzia l'esorbitante divario, 
                  aumentato a livelli iperesponenziali, tra chi ha e chi non ha. 
                  I ricchi sono sempre più ricchi, anzi ricchissimi, mentre 
                  gli altri sono sempre più poveri, o peggio nullatenenti, 
                  fino ad una grandissima quantità di persone ridotte alla 
                  miseria e alla fame. 
                  Praticamente si stanno definendo in modo sempre più netto 
                  due mondi socio–umani che, pur coesistendo, sono indipendenti 
                  l'uno dall'altro, senza possibilità di contatti diretti. 
                  Più o meno come nel film Metropolis di Lang, dove 
                  sopra c'è il regno dei signori, vero e proprio paradiso 
                  terrestre, mentre sotto c'è il regno dei prolet, tristissimo 
                  e criptato, che non hanno contatti diretti tra loro e non si 
                  conoscono l'un l'altro. Siccome tra i due regni non deve esistere 
                  contatto, il momento di raccordo non paritario è la mediazione 
                  mediatica e la tecnologia telematica. I ricchissimi sono al 
                  sicuro nelle loro super ville e nei loro luoghi d'incontro esclusivi, 
                  veri e propri “bunker d'oro” iperprotetti e separati 
                  dal resto del mondo, mentre tutti gli altri trascinano la loro 
                  vita tra i problemi e gli affanni procurati senza sosta dal 
                  sistema di cose vigente. 
                  In fondo la meta fondamentale della trasformazione in atto è 
                  la concentrazione massima di ricchezza e potere nelle mani della 
                  ristretta oligarchia che riesce a detenere il dominio incontrastato 
                  sulle cose e sulle persone. Causa principale dell'impoverimento 
                  progressivo delle masse umane cui stiamo assistendo, nella realtà 
                  si traduce sempre filtrato dalla snervante gestione finanziaria 
                  globale. Si è determinata una condizione generalizzata 
                  per cui la capacità di dominare è passata dai 
                  confini interni agli stati nazionali alle scorribande non controllate 
                  della globalizzazione.
                
   
                   
                    Decomposizione 
                  del sistema 
                
  Questa propagazione internazionale di ulteriore assoggettamento 
                  dei più deboli si manifesta in modi diversi perché 
                  trova la sua forza nell'essere elastica e adattarsi alle situazioni. 
                  Nei paesi del vecchio occidente vengono quotidianamente erose 
                  le tanto decantate conquiste dello “stato sociale”, 
                  mentre i paesi emergenti riescono ad essere competitivi sui 
                  mercati soprattutto per le condizioni di nuovo schiavismo in 
                  cui versa chi vi lavora. All'interno di questa tensione mondiale, 
                  l'Italia in particolare sta crollando ignominiosamente e mostra 
                  decadenza e disfacimento massimi. 
                  L'aspetto negativo dei problemi generali in Italia si amplifica 
                  paurosamente perché trova un terreno fertile nella decomposizione 
                  del proprio sistema di gestione politica ed economica, obsoleto 
                  e ormai votato – è cronaca quotidiana da mesi – 
                  alla rapina sistematica da parte di bande criminali scese in 
                  politica per arraffare il più possibile, per estorcere 
                  e depredare beni e ricchezze attraverso la copertura istituzionale. 
                  Lo spettacolo è agghiacciante e deprimente al massimo 
                  grado. In particolare nelle fila del centro destra, anche se 
                  nessun schieramento parlamentare sembra esserne esente (soprattutto 
                  ovviamente dove si concentrano professionisti dell'amministrazione 
                  pubblica), sono spuntati e stanno spuntando incredibili personaggi 
                  da satira della malavita, che con una disinvoltura sconcertante 
                  usano a piene mani denaro pubblico, dopo averlo estorto ai cittadini 
                  attraverso un sistema fiscale che sembra sempre più basato 
                  sulla imposizione di tributi, gabelle e balzelli per accumulare 
                  denaro per i sollazzi di lor signori. 
                  Una parte consistente dell'attuale ceto politico dirigente appare 
                  formata da veri professionisti del malaffare, che agiscono nominando 
                  una pletora di funzionari espressi dalla spartizione partitocratica 
                  e controllati direttamente dai partiti. Hanno colonizzato, creando 
                  veri e propri feudi, assemblee comunali, provinciali e regionali 
                  e distribuito incarichi amministrativi nella sanità, 
                  nelle banche, nelle imprese statali e parastatali. Nell'editoriale 
                  del Corriere della Sera del 26 settembre, Rizzo e Stella (noti 
                  per il bestseller La casta) hanno evidenziato come la 
                  corruzione, il malaffare, la criminalità, presenti nella 
                  macchina burocratica dell'amministrazione pubblica, non dipendono 
                  tanto dalle vituperate “mele marce”, quanto piuttosto 
                  “dal contenitore di regole e controlli che non funziona 
                  e a volte è perfino criminogeno”. 
                  Luigi Zingales, autore del Manifesto capitalista, identifica 
                  nel sistema della “peggiocrazia”, come lo definisce, 
                  la ragione principale dei mali della società italiana. 
                  Nel “fu bel paese” in ogni settore istituzionale 
                  ed anche privato, egli ci dice, non trionfano nemmeno i mediocri, 
                  mentre hanno sempre governato proprio i peggiori, sostenuti 
                  e voluti dal clientelismo politico e dall'economia sommersa. 
                  “In Italia si trovano le migliori segretarie e i peggiori 
                  dirigenti”, frase ad effetto con cui stigmatizza la 
                  situazione nazionale, per sottolineare che i competenti e i 
                  meritevoli non riescono a far carriera. I posti di comando vengono 
                  sistematicamente assegnati agli “amici fidati”, 
                  non a chi è capace e lo merita, perché “in 
                  Italia prevale la cultura della furbizia invece che quella dell'onestà”.
                   
                   
                    Andare 
                  oltre 
                
  Lo spaccato che descrive è senz'altro realista e per 
                  certi versi suggestivo. Purtroppo ci propina anche una soluzione 
                  che ritengo alquanto dubbia. È convinto che se in Italia 
                  invece della “peggiocrazia” ci fosse un sano liberalismo, 
                  accompagnato da un sano capitalismo, tutto a poco a poco si 
                  risolverebbe, perché trionferebbero i meriti, l'intelligenza 
                  e l'efficienza, non la corruzione e il clientelismo. Ammetto 
                  che quasi sicuramente staremmo un po' meglio, anche perché 
                  peggio di così è veramente difficile, ma ho seri 
                  dubbi che risolveremmo veramente i nostri problemi. Non mi sembra 
                  infatti che dove liberalismo e capitalismo hanno funzionato 
                  e funzionano, come negli Usa e nella Gran Bretagna, le cose 
                  vadano poi tanto bene. 
                  Il fatto è che questa, non crisi ma trasformazione dell'esistente, 
                  è generata soprattutto dal fatto che i fondamenti su 
                  cui si reggono i sistemi economico–finanziari e politici 
                  stanno mostrando tutti i loro enormi limiti intrinseci e stanno 
                  smettendo di funzionare. Stanno emergendo con forza tutte le 
                  falle e gli inganni macroscopici su cui si fonda. 
                  La dittatura della crescita economica costante, moloch di riferimento 
                  per ogni economia del pianeta, potrà forse durare affannosamente 
                  un altro po', ma la vera tendenza è la sua inevitabile 
                  conclusione. Non è pensabile continuare ancora per molto 
                  a produrre una quantità illimitata di merci e di prodotti 
                  che, per far girare l'economia capitalista, devono essere acquistati. 
                  I miliardi di esseri umani sempre più poveri che affollano 
                  il pianeta non hanno e non avranno i soldi per comprarli. Inoltre 
                  l'abbandono di oggetti usati, non aggiustati ma gettati per 
                  indurre ad acquistarne dei nuovi (logica del consumismo), produce 
                  montagne inimmaginabili di rifiuti, difficilissimi da gestire 
                  a livello planetario. Soprattutto si dovranno fare i conti con 
                  la limitatezza materiale insita nelle risorse naturali non rinnovabili, 
                  depredate consumate e gettate. Sono insostituibili e prima o 
                  poi si estingueranno. La logica di consumare senza rinnovare 
                  è solo nichilista e ci si rivolterà contro, come 
                  in parte in realtà sta già avvenendo. 
                  Al di là di ogni sincero idealismo, il liberalismo, seppur 
                  concepito nella sua forma più pura, non è proponibile 
                  come profezia del rinnovamento, soprattutto perché è 
                  un'ideologia del potere. Pur riconoscendo che non ci si può 
                  fidare del potere è però convinto che non se ne 
                  possa fare a meno, così cerca di limitarne gli effetti 
                  e la potenza. Propende per la libertà, che tuttavia non 
                  può che concepire come vigilata, dal momento che salvaguarda 
                  la presenza e l'esercizio dei poteri centrali. 
                  Il liberalismo valorizza l'individuo e lo considera autonomo, 
                  solo nel senso però che dev'essere regolarizzato il meno 
                  possibile dallo stato, dando massimo valore ad un'idea di mercato 
                  quale luogo di scambio e “libera contrattazione”, 
                  nella realtà inesistente e astratto. Di fatto, riconoscendo 
                  la necessità del potere e deregolarizzando il luogo dello 
                  scambio, lascia il massimo spazio alle scorribande delle dinamiche 
                  di un dominio inafferrabile e spietato. 
                  Nell'economia/finanziaria globale di oggi, dove la supremazia 
                  delle oligarchie sovranazionali sovrasta le scelte e la volontà 
                  degli stati nazionali, la proposta liberale incentiva ad abbandonarci 
                  alla mercé delle scorribande di un potere sovrastante 
                  e incombente, che non conosce barriere ed è capace di 
                  travalicare ogni regola. È un'economia dove il costante 
                  arricchimento dei pochissimi si accumula sulla carne e il sangue 
                  delle masse sottoposte e schiavizzate, dove incombe la logica 
                  del debito pubblico che schiaccia interi paesi, resi servi dalla 
                  speculazione bancaria internazionale. Il debito è l'alibi 
                  del dominio mondiale per sottomettere intere popolazioni. Anche 
                  se ci hanno riempito la testa con la convinzione che “i 
                  debiti devono essere pagati”, il debito in realtà 
                  non è altro che asservimento e la sua storia è 
                  strettamente legata alla forme di schiavizzazione nei millenni. 
                  Una proposta chiara per la libertà non può che 
                  essere lapidaria e semplice: ce ne dobbiamo liberare. 
                  «... è stato messo in luce come questo principio 
                  sia una sfacciata menzogna. Come mostrano i fatti, non “tutti” 
                  devono pagare i propri debiti. Solo alcuni sono obbligati. Niente 
                  sarebbe più utile e importante di fare tabula rasa per 
                  tutti, rompendo con la nostra morale abituale, e ricominciare 
                  da capo. Alla fine cos'è un debito? Un debito è 
                  solo la perversione di una promessa. È una promessa corrotta 
                  dalla matematica e dalla violenza.» ci suggerisce 
                  con chiarezza e fine ironia David Graeber nel suo libro (Debito, 
                  il Saggiatore, pag. 379). 
                  Bisogna riscoprire la bellezza di un luogo (per ora non–luogo) 
                  dove il dominio e le sue propensioni di potere siano assenti 
                  e il libero accordo tra individui avvenga con un grosso spirito 
                  comunitario. Comunque sia è la società il luogo 
                  dove si svolgono le relazioni. E la libertà, per esser 
                  tale, non potrà avverarsi sganciata, o separata, dall'insieme 
                  delle relazioni sociali, che devono diventare libertarie, emancipandosi 
                  dall'egida opprimente dell'autorità e del dominio, qualunque 
                  sia la forma in cui si manifestano. È compito dell'immaginario, 
                  ripensare e progettare, per poi sperimentare sul serio. L'opposizione 
                  e lo scontro contro gli abomini del potere ci sono già, 
                  quotidiani e incessanti. 
                  Non dobbiamo lasciar isterilire questa voglia di lotta e di 
                  riscatto rimanendo nel limbo di una contrapposizione endemica. 
                  Bisogna trovar la forza e l'intelligenza di andare oltre, per 
                  acquisire la capacità concreta e fattibile di costruire 
                  e autogestire il nostro futuro. 
                   
                  Andrea Papi
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