Le 
                  cucine del popolo 
                   
                 Ma 
                  le tradizioni 
                  e le radici contano 
                
                 Come 
                  tutte le avventure che si rispettano, anche le Cucine del Popolo 
                  iniziano con una “maledizione“, uno scherzo del 
                  destino, un fatto imprevisto e imprevedibile. 
                  Il nostro è l'assenza di quell'incredibile anarchenologo 
                  che fu Luigi Veronelli. Un uomo che insegnò agli italiani 
                  a mangiare, guardandoli da un televisore in bianco e nero e 
                  che spiegò loro che prima di ingoiare qualcosa bisogna 
                  riflettere su quello che si mangia, sul perché e sul 
                  per come. Un compagno che raccontò che il vino che si 
                  beve è anche storia, geografia, fatica, fantasia, amore 
                  e piacere. Insomma, che mangiare è anche fare politica. 
                  Proprio dalle intuizioni dei compagni della Federazione Anarchica 
                  Reggiana e dal loro confronto con il compagno Veronelli nacquero 
                  le nostre Cucine, ma lui a Massenzatico non ci venne mai. Almeno 
                  di persona, perché lasciò noi e questa terra senza 
                  nemmeno scambiare un brindisi. E noi rimediammo nell'unico modo 
                  con cui siamo capaci. Contro la fisica, la logica e la tristezza: 
                  decidemmo che Luigi fosse insieme a noi in tutte le edizioni. 
                  Lo è con il pensiero, con un brindisi e con una targa 
                  che affianca quella di Camillo Prampolini che sulla prima Casa 
                  del Popolo italiana (perché è lì che ci 
                  ritroviamo) scrisse a futura memoria “uniti siamo tutto, 
                  discordi siamo nulla“. Non ci siamo fermati, però, 
                  alle targhe di marmo o ai brindisi propiziatori nella nostra 
                  vorace ricerca. Abbiamo riempito come un manicaretto o una buona 
                  mortadella tutti i convegni con altri amici, cuochi di parole 
                  e fantasie, che potevano mantenere viva la fiammella curiosa 
                  e ribelle che le Cucine aveva acceso. A fianco dell'indispensabile 
                  lavoro di studio, garantito dai convegni con le loro relazioni, 
                  non sono mai mancati momenti di spettacolo e di ascolto dove 
                  potere fare scorpacciate di sogni e di avventure. Amiche e amici 
                  come la Cuoca Rosso Nera, con la sua saggezza libertaria o il 
                  Barone Rosso della Lunigiana, un corsaro dei sapori che ruba 
                  sempre un po' di mare per riversarlo con successo nella piatta 
                  Pianura Padana. Ma continuiamo a guardarlo questo menù. 
                  Qualcuno può dimenticare Edoardo Sanguineti che con la 
                  voce tranquilla del grande poeta ci raccontò che parlare 
                  di cibo andava bene, ma che era necessario ragionare anche dell'odio 
                  di classe? O lo stupore provocato da Libereso Guglielmi che 
                  ci insegnò che pure i fiori si possono mangiare, lui 
                  che ne aveva parlato con Italo Calvino? O Gianni Mura che ci 
                  parlò del Veronelli che molti non vogliono ricordare, 
                  perché non volle mai essere solo un insipido esperto? 
                  O Carlo Lucarelli con i suoi misteri che possono partire anche 
                  da un caffè corretto per il signor Sindona? O Paolo Nori 
                  con le sue narrazioni stralunate? O Maurizio Maggiani con la 
                  cucina dei viaggiatori notturni? Aggiungiamo il “furioso” 
                  Gigi Pascarella, Giuseppe Caliceti, Stefano Raspini, Ivanna 
                  Rossi, Mario Vighi, Arturo Bertoldi e Ermanno Bartoli e il pranzo 
                  è servito. Un menù di gran classe, robusto e raffinato. 
                  
                 
                   
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                    Massenzatico 
                        (RE) - La targa commemorativa apposta sull'ex Cooperativa 
                        di Consumo  | 
                   
                 
                 Abbiamo dissetato, 
                  però, anche le orecchie. I palchi e i tavoli di Massenzatico 
                  sono stati calcati da Donpasta e il suo Food Sound System, Alessio 
                  Lega, Marchi Rocco, Lorenza Franzoni, i Forastieri, Mara Redeghieri, 
                  Les Anarchistes e Dekal Thiossane direttamente dal Senegal. 
                  Il pubblico presente ogni volta ci ha aggiunto come in ogni 
                  festa che si rispetti i canti delle nostre lotte e della nostra 
                  tradizione. Un Veglione Rosso non è un Veglione Rosso 
                  senza l'Internazionale. In politica, come in cucina, le tradizioni 
                  e le radici contano. Per questo vogliono convincerci a mangiare 
                  male e a pensare peggio. Lo stomaco e il cervello, però, 
                  a Massenzatico sono diventati ogni volta sempre più fini 
                  e più attenti. 
    
                  Arturo Bertoldi  |