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 musica  
Panico morale: la prima volta dei Beatles e Rolling Stones in Italia  
di Diego Giachetti  
 
“La musica di quei 4 zazzeruti in Italia non avrà alcun successo”. 
Questo a proposito dei Beatles. Non parliamo poi dei Rolling, definiti “i profeti della teppa”, orgogliosamente atei e nemici della politica e dei partiti. Così la stampa dell'epoca. E invece... 
                 
                   
                   
                  «Perché portate 
                  i capelli lunghi?» 
                   
                  «E lei perché 
                  li porta corti?» 
                   
                  (da un'intervista ai Beatles del 1965) 
                   
                   
                  Nel 1965, pochi mesi prima dell'arrivo 
                  dei Beatles in Italia, sulle pagine del settimanale «Radiocorriere 
                  TV», Tata Giacobetti, del complesso vocale Quartetto Cetra, 
                  rispondendo a un lettore, –il quale chiedeva se la moda 
                  di vestire alla beatles avrebbe trovato successo in Italia –, 
                  affermava di no, con sicurezza e perentorietà. Da noi, 
                  proseguiva, avevano più successo i Platters che i Beatles 
                  e riteneva che questa tendenza non sarebbe stata invertita, 
                  perché il quartetto di “zazzeruti inglesi”, 
                  avevano scarso talento musicale, erano soprattutto un fenomeno 
                  commerciale, come tale effimero. Per nulla soddisfatte un gruppo 
                  di giovani ragazze romane scrivevano al settimanale protestando 
                  contro la superficialità della risposta, la quale conteneva 
                  forse “un po' di invidia professionale”, e affermavano 
                  che le canzoni del Quartetto Cetra non facevano provare loro 
                  le stesse “sensazioni di quelle dei Beatles”. Replicava 
                  il solito Tata Giacobetti: “sono più di vent'anni 
                  che canto con i Cetra: quando sapranno questo i Beatles, forse 
                  [saranno] invidiosi di noi”. 
                
                   
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                    Folla 
                        di giovani al concerto dei Beatles  | 
                   
                 
                  Il 
                  fenomeno Beatles 
                 Il perbenismo dilagante, una certa sicumera provinciale verso 
                  tutto ciò che era estraneo e straniero costituivano due 
                  elementi che certo non favorivano la comprensione di quello 
                  che di lì a poco sarebbe stato il fenomeno beat. Tutti 
                  rassicuravano in tal senso, anche i giornali di sinistra: “il 
                  fenomeno Beatles da noi non esiste”. Riguardava solo l'Inghilterra, 
                  metteva in luce le sue contraddizioni e dava sfogo a una protesta 
                  giovanile che da noi aveva altre via e altre possibilità 
                  per sfogarsi. Si riferivano ai partiti di sinistra, alle associazioni 
                  e alle organizzazioni legate al movimento operaio, quali strumenti 
                  capaci di raccogliere la rabbia e la protesta giovanile italiana, 
                  inserendola nel meccanismo della progettazione politica e istituzionale. 
                  In Italia quella musica nuova, quei quattro zazzeruti, come 
                  li chiamava la stampa dell'epoca, prima di coniare il termine 
                  capelloni, per di più inglesi, erano un qualcosa di indecifrabile, 
                  di inaccettabile, di incomprensibile per il normale senso comune. 
                  Quelle canzoni, quei testi, quella musica, apparivano loro una 
                  sorta si sfogo “isterico-ossessivo”, preludio, forse, 
                  di una rivolta confusionaria che sembrava agitare le nuove generazioni 
                  in preda al “fanatismo mistico”, cioè a istanze 
                  e valori irrazionali, quindi incomprensibili. Era un atteggiamento 
                  che accomunava sia i rotocalchi popolari e sia le riviste culturali 
                  raffinate e pretenziose. Che quella non fosse musica, ma suono 
                  emesso ad intensità spaventosa, erano in molti a dirlo 
                  e a crederlo, tanto è vero che quando tennero il primo 
                  concerto in Italia al Velodromo Vigorelli di Milano, il 24 giugno 
                  1965, un giornalista si sentì in dovere di precisare 
                  che i Beatles, non urlavano, “cantavano con un certo garbo”, 
                  e un altro dovette riconoscere che il loro stile era “compatto, 
                  coordinato e i ritmi molto chiari”. Una scoperta, la loro, 
                  abbastanza isolata nel panorama del giornalismo italiano che 
                  si distingueva in quei giorni nel descrivere i loro concerti 
                  come una baraonda sonora, un rumore incessante di strumenti 
                  potenziato dagli amplificatori che, certo, non era musica: “per 
                  35 minuti – tanto era durata l'esibizione dei Beatles 
                  a Milano – un fragore assordante, disumano, ininterrotto”, 
                  commentava «La Stampa» del 25 giugno 1965. 
                
                   
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                    I 
                        Beatles a Milano nel 1965  | 
                   
                 
                  Il 
                  concerto dei Beatles 
                 La prima tournée italiana dei Beatles era iniziata 
                  il 24 giugno 1965. Suonarono al Velodromo Vigorelli di Milano 
                  di fronte a 20.000 giovani spettatori poi a Roma, al Palasport 
                  con 13.000 spettatori e, infine, a Genova. Anche in Italia si 
                  ripeté una scenografia già vista in altre città 
                  europee e americane. A Milano erano schierati più di 
                  mille poliziotti, a Roma al Teatro Adriano c'erano più 
                  di 600 agenti mobilitati, decine di camionette pronte ad intervenire. 
                  Di fronte ad una delle prime manifestazioni pubbliche, quali 
                  furono da allora in poi i concerti di musica rock, i giornalisti 
                  rimasero colpiti più dal comportamento del pubblico di 
                  giovanissimi che non dal gruppo di Liverpool. Questi ultimi 
                  anzi, di fronte al comportamento tenuto dai fans, passarono 
                  quasi in secondo piano e la stampa li descrisse come dei ragazzetti 
                  felici, pieni di soldi, un po' superficiali. Secondo la cronaca 
                  del «Corriere della Sera» del 25 giugno 1965, Ringo 
                  Starr apparve in una conferenza stampa, pieno di anelli alle 
                  dita, taciturno, sembrava un ragazzo svogliato, Paul Mcarty, 
                  era spiritoso, bello, ilare, John Lennon aveva le spalle da 
                  facchino, lineamenti volgari, era l'intellettuale della compagnia 
                  e George Harrison pareva indifferente, con un profilo da indiano. 
                  Concordi i vari giornali nella descrizione del comportamento 
                  del pubblico ai concerti dei Beatles, nel rilevare le scene 
                  di isterismo suscitate dalla loro apparizione sul palco, l'eccitazione 
                  collettiva, l'entusiasmo senza freni e inibizioni, e nel constatare 
                  che non si era mai visto nulla di simile. Il pubblico era composto 
                  da giovani adolescenti di età compresa tra i 15 e i 25 
                  anni. Molte le ragazzine, che risultavano le più scalmanate, 
                  soprattutto giovani studentesse dai 13 ai 20 anni. Ragazzine 
                  spettinate, con le vesti in disordine che si abbracciavano e 
                  singhiozzavano disperatamente invocando il nome di Ringo Starr 
                  e di altri componenti del gruppo, che si battevano il petto 
                  e si strappavano i capelli, che lanciavano urletti isterici 
                  di entusiasmo, tra battimani ritmati, salti, scuotimenti. Ragazzi, 
                  tutti giovanissimi, che si mangiavano, per l'emozione, il biglietto 
                  o che si strappavano la camicia, che provavano a scagliarsi 
                  contro la rete di protezione nel vano tentativo di salire sul 
                  palco per abbracciare i loro beniamini. In questa grande sarabanda 
                  la polizia aveva il suo da fare, faceva cordone, accorreva dove 
                  poteva, minacciava, picchiava. Una bolgia dantesca, un casino 
                  tremendo, un “bailamme”, una sarabanda mai vista 
                  insistevano i giornali, una folla senza più freni, impazzita. 
                
                   
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                    Foto 
                        segnaletica di Mike Jagger, 1967  | 
                   
                 
                  Arrivano 
                  i Rolling Stones 
                  Non 
                  era ancora spento l'eco del dibattito suscitato dalla venuta 
                  dei Beatles in Italia che già suonava un altro campanello 
                  d'allarme per un nuovo complesso musicale inglese, i Rolling 
                  Stones, i cui componenti erano definiti “i profeti della 
                  teppa”. Se John Lennon aveva dichiarato che i Beatles 
                  stavano diventando più famosi di Gesù Cristo, 
                  Keith Richard, dei Rolling Stones, nel 1965 diceva in una dichiarazione 
                  riportata da «Gente» dell'11 agosto 1965: «Noi 
                  siamo atei convinti. Vi sfido a trovare uno di noi in chiesa. 
                  La nostra religione è la distruzione di tutte le religioni 
                  e di tutti i pregiudizi. Noi vogliamo la liberazione dell'uomo. 
                  I partiti politici che predicano la libertà non sanno 
                  affrontare il problema dalla parte giusta, ma i giovani di tutto 
                  il mondo sanno come va posta e risolta la questione della libertà: 
                  buttando all'aria i vecchi schemi e rifiutando i nuovi. Qualcuno 
                  ci dice che è la posizione degli anarchici. Noi non sappiamo 
                  nulla di queste cose e neppure ci interessa approfondire il 
                  problema. Quando noi suoniamo e sentiamo i ragazzi che gridano 
                  con noi, allora ci rendiamo conto di svolgere una funzione sociale». 
                  Difatti in un'altra dichiarazione i Rolling Stones avevano detto 
                  di se stessi: “noi non siamo una banda di suonatori. Siamo 
                  un modo di vita”, sottolineando in questo modo la stretta 
                  correlazione fra la musica beat e rock e i fenomeni di rivolta 
                  giovanile e generazionale che si manifestavano in Inghilterra, 
                  negli Stati uniti d'America, in Francia, in Olanda. Anche in 
                  Italia fermenti di tale genere stavano germogliando fra giovani 
                  sempre più insoddisfatti della vita rassicurante e protettiva 
                  offerta dalle loro famiglie, dal grigiore e dalla noia della 
                  vita in periferia, nei piccoli centri. La difesa della musica 
                  beat, l'ascoltare i dischi dei Beatles e dei Rolling Stones 
                  così disprezzati dagli adulti, dalle persone per bene, 
                  dai giornali che contavano, assumeva le caratteristiche di una 
                  sfida agli adulti, una sfida che era separazione, secessione 
                  dal loro mondo. 
                  Circa due anni dopo i Beatles, quando nell'aprile del 1967 i 
                  Rolling Stones vennero in Italia per la loro prima tournée, 
                  molte cose erano cambiate. Non c'era più tutta quell'enfasi 
                  perbenista, moralista, provinciale e bacchettona che si era 
                  scagliata contro i quattro di Liverpool, le loro zazzere, il 
                  loro modo stravagante di vestire, la loro musica. Eppure i Rolling 
                  Stones si erano già costruiti un'immagine peggiore, violentemente 
                  anticonformista, quasi demoniaca, rispetto a quella dei Beatles: 
                  «cinque ragazzi dai capelli decisamente incolti, che creano 
                  tumulti negli aeroporti ed alterano sciami di ragazze schiamazzanti, 
                  schedati dalla squadra narcotici, detestati dai genitori. Più 
                  che ogni altro complesso sono sospettati dai benpensanti di 
                  corrompere la gioventù, di insegnarle costumi bizzarri 
                  e perversi, di avviarla ad una precoce decrepitezza» (Cow-boys 
                  da camera, «L'Espresso», 26 marzo 1967). 
                  I giornali e i rotocalchi alla vista dei Rolling Stones rimpiansero 
                  i Beatles, i quali, al confronto, apparivano “puliti”, 
                  con i capelli lunghi ma curati, “per bene” e portatori, 
                  in fondo, di buoni sentimenti. Il quintetto di Mick Jagger invece 
                  appariva dissacrante, senza nessun rispetto per la morale corrente. 
                  La venuta dei Rolling Stones in Italia proponeva la questione 
                  delle droghe leggere e pesanti il cui uso cominciavano a diffondersi 
                  in America, in Inghilterra, nei Paesi Bassi tra i giovani. La 
                  cronaca giornalistica registrava l'accurata perquisizione doganale 
                  alla quale furono sottoposti i componenti del complesso a Linate 
                  dalla squadra narcotici, viste le loro recenti disavventure 
                  con gli stupefacenti. Infatti, proprio in quei mesi si celebrava 
                  il processo ai Rolling Stones per possesso di stupefacenti, 
                  processo che si concludeva con la condanna di Mick Jagger e 
                  Keith Richard. 
                  La tournée iniziò con un concerto a Bologna il 
                  5 aprile 1967, proseguì il 6 a Roma, l'8 a Milano, il 
                  9 a Genova. Positivi, questa volta, nell'insieme i giudizi sulla 
                  loro musica e sulla loro esecuzione: ci sanno fare, hanno una 
                  carica ritmica impressionante, suonano in modo travolgente, 
                  usano amplificatori violentissimi che producono un suono a fondo 
                  cupo e sferzante, – scrissero i giornalisti. 
                  Accettati questa volta, senza eccessivi scandali e stupori, 
                  i comportamenti dei giovani spettatori, capelloni pittoreschi 
                  e ragazze vestite adeguatamente alla moda, che tra urla e deliri 
                  si abbandonavano a vorticosi shake collettivi, ballando sulle 
                  gradinate, nei prati, dovunque, e dappertutto. 
                  Al concerto milanese ci fu grande calca: fan scatenati, una 
                  ressa generale, un pigia-pigia travolgente. I giovani in delirio 
                  sradicarono alcune sedie, i poliziotti erano disperati e cercavano 
                  di mantenere l'ordine. Niente di paragonabile, comunque, a quanto 
                  si era già verificato l'anno prima a Parigi quando i 
                  Rolling Stones avevano suonato all' Olympia. Il teatro era stato 
                  quasi demolito dai fans scatenati: le poltrone divelte, diversi 
                  feriti e cinquecento fermi della polizia A Milano si verificarono 
                  alcuni lievi incidenti provocati ad un centinaio di giovani 
                  che, rimasti fuori, volevano entrare. Respinti, sfasciarono 
                  per rabbia una porta a vetri e diedero vita ad alcune brevi 
                  scaramucce con i poliziotti subito intervenuti. 
                   
                  Diego Giachetti 
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