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 teatro  
Il teatro utopistico-visionario di Antonio Neiwiller  
                 
 
A quasi vent'anni dalla sua scomparsa, seguiamo le tracce di un antesignano del teatro contemporaneo.  
 
                
                   
                    Le cose grandi svaniscono. 
                        Sono quelle piccole che durano. 
                        Bisogna tornare  
                        alle basi principali della vita. 
                       Antonio Neiwiller 
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                  “Quando penso al laboratorio penso alla vita. È 
                  là che va fatto il bilancio più lucido. Vorrei 
                  praticare più strade. Essere aperto ad altre esperienze. 
                  Da molto tempo, infatti, non mi riconosco in una Compagnia di 
                  teatro in senso stretto. Bisogna mettere con coraggio tutto 
                  in discussione. Creare con pazienza e tenacia le condizioni 
                  vitali per il proprio lavoro”. 
                  Questo è il concetto, l'idea-teatro di Antonio Neiwiller 
                  (1948/1993), poeta, autore, attore, regista che attraversa tre 
                  decenni di ricerca teatrale italiana e ha un ascendente nell'avanguardia 
                  storica. Nella sua formazione: studi filosofici, insegnamento 
                  e pittura. Arte, quest'ultima, che Neiwiller equipara al teatro 
                  e nella quale privilegia l'opera di P. Klee. Dapprima scenografo 
                  e scenotecnico, firma la prima regia nel 1974 con Ti rubarono 
                  a noi come una spiga, lavoro ispirato a P. Eluard, S. Quasimodo, 
                  R. Scotellaro, E. Vittorini. È il tentativo di riproporre 
                  un teatro che coinvolga non solo la scena ma, in una visione 
                  ben più ampia, la stessa esistenza dell'artista e la 
                  società in cui vive. 
                  Egli riconosce nella forma laboratoriale la dimensione ideale 
                  in cui sperimentarsi e definirsi. Il laboratorio rappresenta 
                  lo spazio ideale in cui il teatro può realmente tradursi 
                  in un'arricchente esperienza di vita, affrancata dalle ragioni 
                  del mercato e dell'omologazione scenica; è lo spazio 
                  in cui l'artista napoletano può, anche se in un lasso 
                  di tempo limitato, limare la concezione personale di teatro 
                  che secondo le proprie intenzioni si traduce in azione semplice 
                  e complessa al tempo stesso, e che implica una profonda coerenza, 
                  una coltissima libertà d'immaginazione: un rigore quasi 
                  giansenista come sempre più di rado si coglie oggi intorno 
                  all'affaire-théâtre. 
                  Napoli è la città dove Neiwiller è nato, 
                  è vissuto, ha lavorato, e dove aveva molti amici, spesso 
                  impensabili. Uno, ad esempio, si chiamava Pino. Si erano conosciuti 
                  in trattoria. Mangiavano ciascuno seduto al proprio tavolo. 
                  La loro amicizia nacque nel momento in cui Neiwiller lo invitò 
                  a sedere con sé. 
                  Quest'incontro mi ha sempre richiamato alla mente un racconto 
                  di Fernando Pessoa, autore amato e frequentato da Neiwiller. 
                  “Forse le mie due anime sono da cercare proprio nella 
                  mia famiglia: la napoletanità popolare di mio nonno materno 
                  contrapposta alla famiglia di mio padre, degli svizzeri che 
                  impiantarono una fabbrica di guanti e un'agenzia di cambio. 
                  Erano di origine ebrea e questa componente la ritrovo sempre 
                  più operante in me: la concezione di utopia, per esempio, 
                  che nella cultura ebraica non è l'irrealizzabile, ma 
                  il non ancora realizzato”, afferma il Nostro nel 1986. 
                  Nel 1975 rilegge e dirige il Don Fausto di A. Petito, 
                  così commentato da Cesare Accetta, suo fotografo di scena 
                  non che grande amico: “Il testo era un classico che 
                  veniva rappresentato fondamentalmente come farsa. Penso che 
                  sia uno degli spettacoli più belli in assoluto che ho 
                  mai visto. Il lavoro che Antonio ha fatto su quel testo era 
                  quello di tirare fuori tutta la vena poetica che c'era in quell'opera; 
                  la parte farsesca anche se esisteva era meno importante e comunque 
                  riproposta in maniera molto moderna. Sicuramente ciò 
                  che veniva fuori era l'essenza poetica del testo. Antonio fondamentalmente 
                  era un poeta a tutto tondo”. Stessa opinione condivisa 
                  da Marco Manchisi: “Il vero colpo di fulmine fu quando 
                  assistetti ad una rappresentazione dello spettacolo Don Fausto 
                  messo in scena dalla Compagnia Teatro dei Mutamenti di Antonio. 
                  La potenza degli attori, nonché quella della sua regia, 
                  mi strapparono il sonno e da allora ho trascorso quanto più 
                  tempo possibile con quelle persone che considero ancora oggi 
                  miei Maestri”. 
                  Alla guida del gruppo Teatro dei Mutamenti (di cui fanno 
                  parte tra gli altri gli attori Marco Manchisi e Vincenza Modica), 
                  attraverso un lungo lavoro laboratoriale e lo stretto rapporto 
                  artistico con gli attori, Neiwiller dà vita a Titanic 
                  the End ('83), Darkness ('84), Fantasmi del mattino 
                  ('85/'86), Storia naturale infinita ('87). Lavora col 
                  gruppo Falso Movimento: protagonista nel 1985 de Il 
                  desiderio preso per la coda da Picasso, a Coltelli 
                  nel cuore da Brecht ('85) e Ritorno ad Alphaville 
                  da Godard ('86), tutti lavori diretti da M. Martone. La sua 
                  vitalità irrompe, travolge come una rivelazione di verità 
                  e umanità nel disegno/studio formale del gruppo, dal 
                  momento che la sua forza attoriale proviene direttamente dalla 
                  sua poesia e dalla sua voce. 
                Grazie allo sviscerato amore per il teatro, nel 1987 forma 
                  a Napoli Teatri Uniti, che vede insieme: il proprio gruppo 
                  Teatro dei Mutamenti, Falso Movimento di M. Martone, 
                  Teatro Studio di Caserta di T. Servillo. 
                  Nel 1987/'88, con L. Putignani, S. Cantalupo, A. Cossia, realizza 
                  per Teatri Uniti due sessioni di laboratorio Questioni 
                  di frontiera, presentate ai Festival di Santarcangelo e 
                  Montalcino, dove incontra il musicista S. Lacy con cui mette 
                  in scena La natura non indifferente ('89), ispirato all'artista 
                  tedesco J. Beuys. 
                  Segue Una sola moltitudine ('90), opera-installazione 
                  visionaria dedicata all'emarginazione dello scrittore 
                  portoghese Pessoa. 
                  Nello stesso periodo lavora con Leo de Berardinis in Ha da 
                  passà 'a nuttata ('89) e in Totò, principe 
                  di Danimarca ('90). 
                  Nel contempo elabora La trilogia della vita inquieta, 
                  ispirata a P. P. Pasolini, V. Majakovskij, A. Tarkovskij. Nel 
                  primo capitolo, Dritto all'inferno, 1991, le parole di 
                  Pasolini sono frantumate in un linguaggio inventato, nato direttamente 
                  dal corpo dell'attore. 
                  Nello stesso anno a Erice realizza Salvare dall'oblio, 
                  performance su testi di M. Beckmann, K. Valentin, R. Viviani. 
                  Canaglie, secondo capitolo della trilogia, dopo l'anteprima 
                  napoletana ('92) viene interrotto per la malattia che colpisce 
                  l'artista. 
                  Neiwiller riprende a recitare nel '93: è Cotrone ne I 
                  giganti della montagna di L. Pirandello per la regia di 
                  Leo de Berardinis. 
                  L'altro sguardo: Per un teatro clandestino dedicato a 
                  T. Kantor, presentato al Festival di Volterra. È il 1993 
                  ed è il suo ultimo lavoro di autore-attore che lo vede 
                  in scena con L. Putignani e il pittore G. Savino. La performance 
                  sarà il suo testamento poetico: ne dà testimonianza 
                  il mediometraggio di R. Ragazzi Antonio Neiwiller. Il monologo 
                  de L'altro sguardo, presentato al Festival di Venezia nel 
                  1996. 
                  Dà ineguagliabili prove attoriali anche in campo cinematografico: 
                  nel '92 è Don Simplicio in Morte di un matematico 
                  napoletano di M. Martone, nel '93 è il sindaco di 
                  Stromboli in Caro diario di N. Moretti. 
                  Toccante il ricordo di Accetta: “Per me Antonio è 
                  stato uno dei miei Maestri nonostante fossimo quasi coetanei, 
                  lui aveva qualche anno più di me, ed amici. Per me è 
                  stato un punto di riferimento proprio nella crescita. Lo considero 
                  uno dei miei Maestri. Mi ha lasciato un'impronta fortissima, 
                  rispetto anche al rigore, all'umanità. Era un esempio 
                  di rigore, non di rigidità, perché Antonio era 
                  una persona dal punto di vista orientale, una persona flessibile. 
                  Lui non era una persona rigida, ma era una persona rigorosa, 
                  per cui era un esempio rispetto alle metodologie di lavoro, 
                  rispetto allo studio, quindi chiaramente un Maestro”. 
                  A quasi vent'anni dalla sua scomparsa è doveroso, nonché 
                  sacrosanto, ri/percorrerlo, ri/visitarlo, per evitare, eludere 
                  una rimozione-eliminazione-sepoltura forzata di un grande poeta 
                  della scena. Antonio Neiwiller c'ha lasciato una traccia, un 
                  segno per leggere le dinamiche del teatro contemporaneo 
                  di cui è stato l'antesignano. Le sue opere teatrali hanno 
                  lasciato un segno e un punto di riferimento per il teatro di 
                  sperimentazione e di ricerca. È inevitabile il raffronto 
                  col presente scadimento culturale che si vive a Napoli e non 
                  solo: il neopiedigrottismo dilagante riflette non poco la superficialità 
                  intellettuale delle istituzioni politiche e dei loro mandatari. 
                  Ahimé! Cià Antò…... 
                   
                  Domenico Sabino 
                
                  - *
                  
 - Domenico Sabino è diplomato al Conservatorio 
                    e laureato in Antropologia. Drammaturgo e regista. Autore, 
                    tra gli altri, dei drammi SEqueNZA, Festa a mmare, 
                    Padiglione Sorveglianza; dei video Ma/donna delle 
                    Galline e Annibale Ruccello – Assoli. Ha 
                    pubblicato tra gli altri Oleograf(f)ia Napolitana, 
                    L'Es/tradizione degli opposti nel teatro rituale di Annibale 
                    Ruccello, Play Toy. Ha lavorato, in qualità 
                    di coordinatore artistico, nei laboratori teatrali e musicali 
                    dei Dipartimenti di Salute Mentale della Campania. Ha fondato 
                    ed è direttore artistico della Compagnia teatrale TheaterAus. 
                
  
                 
                
                   
                    
                         
                           
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                          Antonio 
                              Neiwiller, 
                              foto di Mauro Abate  | 
                         
                       
                      Ci vuole un altro sguardo 
                         
                        È tempo di mettersi in ascolto. 
                         
                        È tempo di fare silenzio dentro di sé. 
                        È tempo di essere mobili e leggeri, 
                        di alleggerirsi per mettersi in cammino. 
                        È tempo di convivere con le macerie e l'orrore, 
                        per trovare un senso. 
                        Tra non molto, anche i mediocri lo diranno. 
                        [...] 
                         
                        È tempo che l'arte trovi altre forme 
                        per comunicare in un universo 
                        in cui tutto è comunicazione. 
                        È tempo che esca dal tempo astratto del mercato, 
                        per ricostruire il tempo umano dell'espressione necessaria. 
                        Ci vuole un altro sguardo 
                        per dare senso a ciò 
                        che barbaramente muore ogni giorno omologandosi. 
                         
                        E come dice un maestro: 
                        «tutto ricordare e tutto dimenticare». 
                       Antonio Neiwiller 
                        Frammenti tratti da L'altro sguardo: per un teatro 
                        clandestino, 
                        dedicato a Tadeusz Kantor [maggio 1993] 
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                  Bibliografia di riferimento
 
                  - Grieco Antonio, L'Altro sguardo di Neiwiller, 
                  l'Ancora del Mediterraneo, Napoli, 2002
                  
 - Kantor Tadeusz, Il teatro della morte, Ubulibri, 
                  Milano, 2000
                  
 - Monaco Vanda, La contaminazione teatrale, Pàtron, 
                  Bologna, 1981
                  
 - Neiwiller Antonio, Dritto all'Inferno, Napoli, 
                  2003
                  
 - Neiwiller Antonio, Non ho tempo e serve tempo, 
                  L'Alfabeto Urbano, Napoli, 1988
                  
 - Quadri Franco, L'avanguardia teatrale in Italia, 
                  Einaudi, Torino, 1977
  
                   
                  Filmografia
                  - Martone Mario, Morte di un matematico napoletano, 
                  1992
                  
 - Moretti Nanni, Caro diario, 1993
                
  
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