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 colloqui  
Psiche e rivoluzione  
Intervista a Eduardo Colombo 
                di Claudio Albertani e Rafael Miranda 
 
 
A colloquio con uno dei pensatori anarchici più stimolanti degli ultimi decenni, argentino residente da 40 anni a Parigi, psichiatra, militante anarchico. 
                 
                   
                  Claudio Albertani – Già prima di lasciare 
                  l'Argentina eri un militante libertario e, al tempo stesso, 
                  psicoanalista. Potresti parlarci un po' del tuo percorso? 
                   
                  Eduardo Colombo – Il mio impegno politico iniziò 
                  molto presto, già alla scuola secondaria. La passione 
                  libertaria si acutizzò per le condizioni in cui vivevamo 
                  allora sotto la dittatura. Aderire all'anarchismo fu quasi naturale, 
                  perché era un'idea molto viva nella storia operaia dell'Argentina. 
                  Quando entrai nella facoltà di Medicina, lo studio universitario 
                  e la militanza non erano in contraddizione, fino a quando nel 
                  corso di lunghi scioperi fui incarcerato. Uscito di prigione, 
                  scoprii che mi avevano fatto scomparire come studente di medicina 
                  – insieme a molti altri, mi avevano cancellato del tutto 
                  illegalmente dai registri della facoltà – e dovetti 
                  aspettare un po' di tempo, una tappa non esente dalle solite 
                  persecuzioni poliziesche. Quando alla fine riuscii a laurearmi, 
                  mi orientai verso la psichiatria, ma mi interessai anche di 
                  sociologia e psicologia. Seguivo le lezioni di Enrique Butelman, 
                  (1) lavoravo come libero professionista 
                  e all'interno dell'ospedale pubblico. 
                  Alcuni anni dopo fui nominato docente di Psicologia sociale 
                  nella Università nazionale di La Plata e poco dopo nella 
                  Università di Buenos Aires. Nel 1966, quando Juan Carlos 
                  Onganía fece il golpe militare, la polizia entrò 
                  in tutte le facoltà picchiando studenti e professori 
                  e io abbandonai definitivamente l'università, saltando 
                  da una finestra della facoltà di Filosofia. Poiché, 
                  da molti anni, ero anche redattore di “La Protesta ”, 
                  il periodico anarchico di Buenos Aires, la situazione divenne 
                  difficile, perché non potevo lavorare né all'università 
                  né all'ospedale. D'altro canto, avevo già cominciato 
                  la mia formazione psicoanalitica, che terminai dopo essere giunto 
                  in Francia. In Argentina, i parametri della pratica psicoanalitica 
                  erano fissati dalla Asociación psicoanalítica 
                  internacional, il che significava, quattro sedute di cinquanta 
                  minuti alla settimana, e implicava la disponibilità di 
                  molto tempo e di molte risorse economiche, perché, benché 
                  fossi medico e psichiatra, disponevo di pochi mezzi per pagare 
                  un'analisi: l'università non pagava regolarmente e il 
                  lavoro quotidiano nell'ospedale, finché esistette, era 
                  a titolo gratuito. 
                  Alla fine, la situazione generale in cui ci trovavamo, unita 
                  al panorama politico colmo di nubi tempestose, fecero sì 
                  che la mia compagna Heloísa e io decidessimo di emigrare. 
                  Arrivammo a Parigi nel 1970, con due figli di cinque e sei anni. 
                   
                  Claudio Albertani – Com'è stato il 
                  cambiamento? 
                   
                  Eduardo Colombo – Per niente facile. Tutti gli 
                  esuli sanno che per ottenere il permesso di soggiorno è 
                  necessario dimostrare di avere un lavoro e per ottenere un lavoro 
                  occorre avere il permesso di soggiorno... Tuttavia, a poco a 
                  poco, la situazione si normalizzò e iniziammo a lavorare. 
                  Heloísa ricominciò a studiare psicologia, ma i 
                  miei studi di medicina non furono considerati validi. Come psicoanalista, 
                  invece, non ebbi problemi e questo ci permise di stabilirci 
                  qui a Parigi. Dal punto di vista teorico, è importante 
                  sottolineare che i miei studi di psicologia sociale mi orientarono 
                  agevolmente verso un tipo di pensiero che si articolava con 
                  grande facilità con i lavori di Castoriadis in Francia. 
                  Ricordo che a quell'epoca pubblicammo una rivista anarchica 
                  chiamata “La Lanterne Noire ”. In uno dei primi 
                  numeri – più o meno nel 1974 – scrissi un 
                  articolo sull'integrazione immaginaria del proletariato, nel 
                  quale cito varie volte Paul Cardan (uno degli pseudonimi usato 
                  da Castoriadis in “Socialisme ou Barbarie ”), prima 
                  che venisse pubblicato L'istituzione immaginaria della società. 
                  Occorre precisare che Castoriadis aveva già trattato 
                  gli elementi fondamentali dell'immaginario e del simbolico, 
                  concetti che corrispondevano al mio modo di pensare. 
                
                   
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                    Eduardo 
                        Colombo (Buenos Aires 1929) è una delle voci più 
                        interessanti dell'anarchismo contemporaneo,  particolarmente 
                        in America Latina, benché egli risieda a Parigi 
                        dal 1970. Ex docente di Psicologia sociale nelle Università 
                        di La Plata e Buenos Aires  (1961-1966), ex militante della  
                        Federación Obrera Regional Argentina (FORA) e della 
                        francese Confédération Nationale du Travail 
                        (CNT-F), amico e interlocutore di Cornelius Castoriadis  
                        e di figure storiche del movimento libertario, quali Luce 
                        Fabbri e Rubén Prieto, ha fondato la casa editrice 
                        Nordan/Comunidad.  
                        Tra le sue ultime pubblicazioni 
                        si segnalano La voluntad del pueblo (Tupac 
                        Ediciones,Buenos Aires 2006) e 
                        Lo spazio politico dell'anarchia (Elèuthera, 
                        Milano 2009). 
                        Ha collaborato con la rivista 
                        italiana “Libertaria” e fa parte del comitato 
                        di redazione della rivista 
                        “Réfractions. 
                        Recherche et expressions anarchistes”  | 
                   
                 
                  
                    Forte 
                  carica emotiva 
                   
                  Rafael Miranda – A questo proposito mi piacerebbe 
                  che ci dicessi a quale scuola psicoanalitica appartieni. 
                   
                  Eduardo Colombo – Per me la pratica psicoanalitica 
                  è legata alla problematica sociale. Quando iniziai, la 
                  formazione psicoanalitica a Buenos Aires era fondamentalmente 
                  limitata a Freud e a Melanie Klein. In Argentina, Lacan non 
                  esisteva ancora. Ma, già da allora, mi orientai verso 
                  la concezione di una psicoanalisi maggiormente integrata nella 
                  teoria sociale, ipotesi su cui ho lavorato insieme a Enrique 
                  Pichon-Rivière. (2) Basandoci sul 
                  suo insegnamento, abbiamo cominciato a praticare la psicoterapia 
                  familiare in un servizio di psichiatria di un ospedale pubblico. 
                  A quel tempo, si stava sviluppando la scuola di Palo Alto. (3) 
                  I nostri pazienti erano in cura presso il servizio di psichiatria 
                  dell'ospedale; noi praticavamo la psicoterapia a orientamento 
                  psicoanalitico direttamente nelle case dei malati, con tutta 
                  la famiglia riunita, molte volte la settimane o, a seconda della 
                  situazione, ogni quindici giorni. Le sedute duravano un paio 
                  d'ore ed erano molto stimolanti dal punto di vista intellettuale, 
                  ma difficili dal punto di vista emotivo. Come sosteneva Pichon, 
                  è diverso andare a casa del paziente o restare sul proprio 
                  terreno di gioco. Per esempio, ricordo una signora anziana 
                  che controllava tutta la famiglia e non voleva partecipare. 
                  Non la vedevamo, ma un giorno ci rendemmo conto che ascoltava 
                  tutto da dietro la porta. A un certo punto, non le piacque quello 
                  che stavamo dicendo e allora intervenne bruscamente per dire 
                  la sua verità. La carica emotiva di queste sedute 
                  era molto forte, ma tutta quell'esperienza faceva parte della 
                  formazione. 
                   
                  Rafael Miranda – Oltre a Palo Alto, quali 
                  erano i tuoi punti di riferimento teorici? 
                   
                  Eduardo Colombo – La nostra base era freudiana. 
                  Non fui mai interessato alle posizioni junghiane, adleriane 
                  o alla psicologia del Sé. Mi orientai verso una visione 
                  della psicoanalisi basata sul rapporto di oggetto e non sul 
                  livello energetico, libidinale o pulsionale. Sono molto critico 
                  riguardo la teoria pulsionale freudiana, su cui ho scritto. 
                  Certo, nel momento in cui partivamo da Buenos Aires – 
                  verso il 1968 o 1969 – le idee di Lacan avevano cominciato 
                  a diffondersi. Io mi trovavo in analisi didattica presso la 
                  Associazione psicoanalitica argentina con Willy Baranger, (4) 
                  il quale, in una certa misura, mi orientò verso Lacan, 
                  pur non essendo lui stesso lacaniano. Ricordo che organizzammo 
                  un seminario nel mio studio con Oscar Marotta per studiare Lacan. 
                  Al principio mi entusiasmai, ma poi me ne allontanai, e oggi 
                  ho una posizione molto critica nei confronti di Lacan e dei 
                  lacaniani. In realtà, la mia percezione della psicoanalisi 
                  è andata trasformandosi e non potrei dire di appartenere 
                  a una scuola o a un'altra. Con il tempo, il mio orientamento 
                  riguardo alle differenti scuole è andato incentrandosi 
                  su quella che potrei definire la mia scuola. Mantengo certe 
                  strutture teoriche della psicoanalisi che considero fondamentali 
                  o centrali, ma ne tralascio altre, che mi sembrano errate. 
                   
                  Claudio Albertani – Che legami pensi vi siano 
                  tra psicoanalisi e ideali libertari? 
                   
                  Eduardo Colombo – Bisogna prendere in considerazione 
                  due elementi importanti. Uno è la cura psicoanalitica, 
                  la psicoanalisi come terapia, l'analisi, i pazienti, la forma, 
                  la disposizione dell'analisi, il divano, la sedia dietro al 
                  paziente. Io mantengo queste strutture perché sono convinto 
                  che siano utili dal punto di vista terapeutico, per ragioni 
                  concettuali complicate da spiegare in un linguaggio profano. 
                  L'altro è che certe teorizzazioni della psicoanalisi 
                  suscitarono il mio interesse dal punto di vista della filosofia 
                  politica. Nella psicoanalisi trovo un abbozzo della teoria del 
                  potere che mi sembra importante e che Freud risolve introducendo 
                  nel soggetto la totalità del conflitto. Dal mio punto 
                  di vista, questo conflitto è fondamentalmente sociale. 
                  Il modo in cui si costituisce e si costruisce la personalità 
                  – il conflitto edipico, la famiglia nucleare, il padre, 
                  la madre, il figlio, gli affetti che si sviluppano – non 
                  è estraneo alla struttura globale storico-sociale nella 
                  quale questa famiglia estesa o nucleare si sviluppa. Per Freud, 
                  la struttura edipica è clanica e non familiare. Il divieto 
                  dell'incesto, da un punto di vista teorico, è analogo 
                  al patto sociale: la società si costruisce a partire 
                  da questa proibizione passando dallo stato di natura allo stato 
                  sociale. 
                
                   
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                    Il 
                        primo libro curato da Colombo per Elèuthera, nel 
                        1987. Pagine 192, euro 
                        14,00  | 
                   
                 
                  
                    L'incontro 
                  con Castoriadis 
                   
                  Claudio Albertani – Allora Edipo è 
                  una struttura metastorica? 
                   
                  Eduardo Colombo – La teoria psicoanalitica postula 
                  che la proibizione dell'incesto costruisca la relazione istituzionale 
                  della società. Non dico che sia così nella realtà 
                  storica. Però, chi istituisce la proibizione dell'incesto? 
                  Abitualmente si sostiene che è il padre, nella teoria 
                  freudiana i fratelli si accordano tra loro per uccidere il padre. 
                  Dopo averlo ucciso, si trovano nella stessa situazione di prima: 
                  i fratelli dispongono di tutte le donne, ma sono in guerra gli 
                  uni contro gli altri per possedere quel bene; allora, per poter 
                  strutturare la società, devono stabilire la legge che 
                  vieta agli uomini del gruppo l'accesso a una categoria di donne. 
                  La legge, con la proibizione, e sulla base della colpa retrospettiva 
                  per l'omicidio commesso, fa sì che si torni al padre 
                  spodestato affinché sia il garante simbolico della legge. 
                  In questo modo la posizione freudiana è clanica e sociale, 
                  non familiare. 
                  Nella terapia compaiono le relazioni sociali di base, le relazioni 
                  fondamentali, che costruirono il soggetto, e tuttavia il mondo 
                  sociale resta fuori, separato dalla cura. Stando così 
                  le cose – e questo è il mio punto di vista – 
                  le condizioni sociali fanno sì che il trattamento abbia 
                  limiti strutturali imposti da quelle stesse condizioni, il che, 
                  naturalmente, riduce il grado di autonomia che il soggetto può 
                  aspettarsi dalla cura psicoanalitica. 
                  Per esempio, nella società liberale una psicoanalisi 
                  esige il pagamento delle sedute. Ma, che fare quando lo psicoanalista 
                  ha una posizione critica di fronte alla struttura capitalista 
                  in cui viviamo? Nella cura individuale è impossibile; 
                  qualcuno deve pagare perché nella società attuale 
                  bisogna vivere in qualche modo. Se uno non guadagna, il paziente 
                  viene analizzato, per una semplice ragione: perché uno 
                  gli fa il favore di curarlo? Si entra in un tipo di dipendenza 
                  che fa sì che l'analisi non funzioni. D'altro canto, 
                  se la psicoanalisi si svolge in una istituzione, si è 
                  in presenza di una terza istanza che controlla la cura. Allora 
                  la condizione di fondo dell'analisi, vale a dire quella relazione 
                  a due nella quale il terzo appare come una struttura della relazione 
                  stessa, va perduta. 
                  Dal mio punto di vista, la relazione analitica non esiste nel 
                  vuoto, ma è determinata dalle condizioni imposte da un 
                  tipo di società. Restare al di fuori della vita attiva, 
                  fuggire dalla società, non è una soluzione per 
                  nessuno. I limiti della terapia sono dettati in grande misura 
                  dalla società, e soltanto la teoria, che aiuta la comprensione, 
                  consente una evoluzione più lunga e profonda dell'idea 
                  e dell'azione, se riusciamo a integrarla con un altro tipo di 
                  approccio della problematica sociale. 
                   
                  Rafael Miranda – Quali sono le ripercussioni 
                  del tuo impegno politico sulla tua pratica di psicoanalista? 
                   
                  Eduardo Colombo – Penso che l'effetto più 
                  importante si sia verificato a proposito del mio modo di pensare 
                  e concettualizzare i problemi. D'altro canto, il paziente che 
                  cerca di risolvere conflitti personali o problemi emotivi, non 
                  sta lì per essere indottrinato. Nella cura psicoanalitica 
                  si verificano effetti emotivi profondi. Esiste quella che si 
                  chiama regressione, e il paziente non gestisce i suoi sentimenti 
                  in modo totalmente libero. La regressione facilita l'attualizzazione 
                  della nevrosi infantile, secondo la definizione degli analisti, 
                  ed è in questo momento che la posizione dell'analista 
                  si trasforma in una posizione di sciamano, in una figura dominante, 
                  che, per così dire, può manipolare il paziente. 
                  La neutralità dell'analista in questo tipo di situazioni 
                  è necessaria e fondamentale. L'ho sempre pensato e con 
                  i pazienti non ho mai messo sul tappeto le mie idee politiche. 
                  Evidentemente, sono cose complesse, perché la neutralità 
                  non è mai assoluta o totale; la gente capisce, o crede 
                  di capire, spesso senza esserne consapevole, ciò che 
                  uno non dice. Inoltre, Internet ha ampliato l'informazione in 
                  modo tale che, nel mio caso, per esempio, la militanza politica 
                  appare in primo piano. E oggi non c'è paziente che non 
                  vada a consultare Google... 
                   
                  Rafael Miranda – Parliamo un po' di più 
                  del tuo rapporto con Castoriadis. Entrambi provenite dalla critica 
                  sociale e in qualche momento entrambi avete adottato una pratica 
                  clinica. 
                   
                  Eduardo Colombo – Come vi dicevo, in Argentina 
                  non conoscevo Castoriadis. Quando giunsi a Parigi, entrai a 
                  far parte della Organizzazione psicoanalitica di lingua francese, 
                  chiamata Quarto Gruppo, in cui, per ragioni differenti, era 
                  presente anche Cornelius Castoriadis. (5) 
                  Voglio precisare che, nonostante quello che molti pensano, Castoriadis 
                  non fu né il fondatore né un membro del Quarto 
                  Gruppo, però frequentava le riunioni ed essendo allora 
                  sposato con Piera Aulagnier – lei sì, fondatrice 
                  del gruppo –, il nostro rapporto si costruì così. 
                  Conobbi Castoriadis tramite la psicoanalisi e Piera. 
                  Mi interessavano in particolare il suo approccio riguardo l'immaginario 
                  e la struttura simbolica della società, concetti che 
                  io stesso avevo utilizzato nell'articolo che vi ho citato. A 
                  differenza di Lacan, Castoriadis non separa il simbolico dall'immaginario, 
                  tema che considero centrale. Occorre anche tener conto della 
                  mia formazione nel campo della psicologia sociale. In psicologia 
                  sociale è impossibile trascurare il contributo di Herbert 
                  Mead, che teorizza quello che in un certo periodo fu chiamato 
                  il behaviorismo sociale, ma che non ha niente a che vedere con 
                  il behaviorismo se non nel nome. (6) Mead 
                  considera l'atto sociale il fondamento della relazione 
                  simbolica, della relazione a tre termini, che è uno degli 
                  aspetti fondamentali nella comprensione della problematica sociale. 
                  E ritiene che l'immaginario non possa esistere senza il simbolico, 
                  perché l'immaginario ha bisogno della forma del simbolico 
                  che gli conferisce senso, che gli conferisce la significazione 
                  e che permette l'introduzione del nomos, della convenzione 
                  della regola, della norma. Il simbolico in sé non funzione 
                  senza l'immaginario. La mia formazione mi orientava direttamente 
                  verso questo modo di porre il problema. Quando conobbi Castoriadis 
                  la questione politica ebbe evidentemente il suo peso. Su questo 
                  piano, ed è uno degli elementi fondamentali, Castoriadis 
                  difese sempre l'idea di rivoluzione. Sempre. Era una cosa importante, 
                  benché egli avesse un'idea nefasta dell'anarchismo. Nefasta 
                  in due sensi: pensava male dell'anarchismo e credo che non lo 
                  conoscesse bene. In realtà, mi sembra, che non volesse 
                  neppure conoscerlo, perché era troppo immerso nella sua 
                  concezione. 
                  Qualche volta ne abbiamo parlato, per esempio in occasione del 
                  colloquio di Cerisy, (7) ma senza approfondire 
                  il tema. Non so se tu, Rafael, eri presente. Ci si chiese, nei 
                  corridoi: Che differenza c'è tra la “autonomia 
                  ” castoriadiana e l'anarchia? Castoriadis faceva una critica 
                  più generale, dicendo: “Be', l'anarchismo critica 
                  tutte le norme e senza norme non esiste società ”. 
                  Sono assolutamente d'accordo: senza norme non esiste società. 
                  Ma l'anarchismo non critica tutte le norme. Critica il 
                  modo in cui la norma si radica nella società, non accetta 
                  la posizione della élite che si autoattribuisce la capacità 
                  di emanare la legge, e combatte l'universalità di una 
                  legge di maggioranza. L'anarchismo non postula per niente una 
                  non istituzionalizzazione della società, anzi, teorizza 
                  una auto-istituzione cosciente e riflessiva del collettivo umano. 
                
                   
                     | 
                   
                   
                    Il 
                        secondo libro di 
                        Eduardo Colombo edito da Elèuthera, 
                        2009. 
                        Pagine 192, euro 
                        16,00  | 
                   
                 
                  
                    Ma oggi 
                  l'anarchismo non viene ascoltato 
                   
                  Claudio Albertani – Quali altri divergenze 
                  ci furono? 
                  Eduardo Colombo – Quando ci conoscemmo, Castoriadis 
                  aveva già abbandonato la militanza politica, ma continuava 
                  ad avere una posizione politica. Lo invitai parecchie 
                  volte a Milano per una chiacchierata con i compagni anarchici 
                  italiani e per un colloquio pubblico sull'immaginario sociale. 
                  Gli anarchici giudicavano positivamente le basi della sua filosofia 
                  politica: il progetto di autonomia, il cambiamento rivoluzionario 
                  della società. Tuttavia, le discussioni si mantenevano 
                  su un livello teorico socio-politico senza entrare ulteriormente 
                  nella polemica sull'anarchismo, o sulle differenze che sorgerebbero 
                  riguardo, per esempio, la legge di maggioranza nella democrazia 
                  diretta. In questo modo erano maggiori i punti di convergenza 
                  che di divergenza. 
                  Ebbene, a partire da quanto ho indicato e dal punto di vista 
                  del pensiero critico, non ci sono importanti differenze tra 
                  me e Castoriadis. Le differenze maggiori sono piuttosto a livello 
                  filosofico o metapsicologico. Per esempio, non condivisi mai 
                  le sue teorie sul concetto di monade psichica, sulla sua eterogeneità 
                  radicale, monade che deve subire la frattura o la rottura della 
                  socializzazione. (8) Questo tipo di teorie 
                  non mi convinse mai. È a partire dalla socializzazione 
                  del soggetto nel quale credo che le convergenze sono maggiori. 
                  Vale a dire, nella parte socio-istituzionale. 
                   
                  Rafael Miranda – Possiamo parlare di una 
                  clinica impegnata nel progetto sociale in Castoriadis? Egli 
                  teorizza che scopo della psicoanalisi è l'autonomia del 
                  soggetto. Condividi questa posizione, secondo la quale il fine 
                  della psicoanalisi è l'autonomia del soggetto? 
                   
                  Eduardo Colombo – Non so fino a che punto lo stesso 
                  Castoriadis sarebbe d'accordo con questa formulazione se non 
                  la si completa. È chiaro che il fine della psicoanalisi 
                  è l'autonomia del soggetto. Al tempo stesso, come abbiamo 
                  detto all'inizio, sappiamo che il grado di autonomia cui può 
                  aspirare un soggetto è limitato dalla struttura di una 
                  società eteronoma. Vale a dire che l'autonomia del soggetto 
                  è direttamente connessa all'autonomia della società. 
                  Il rapporto è vicendevole. La società e il soggetto 
                  si costruiscono vicendevolmente. Un soggetto umano non è 
                  un elemento inerte; fin dalla nascita l'individuo si inserisce 
                  in un sistema di relazioni interpersonali, ne fa parte, le modifica 
                  e si costruisce come soggetto, tendendo sempre verso l'ampliamento 
                  della propria autonomia. 
                  Ma questa autonomia ha limiti esterni in una società, 
                  come abbiamo visto riguardo alla cura. Tali limiti non sono 
                  superabili individualmente. È, questa, una delle ragioni 
                  per le quali difendo la posizione rivoluzionaria. Sono convinto 
                  che la società non si cambia mediante modifiche parziali, 
                  poiché essa funziona come una totalità, e quindi 
                  sociologicamente dobbiamo disporre di un approccio olistico. 
                  Castoriadis definisce questo aspetto attraverso le rappresentazioni 
                  immaginarie centrali, che attraggono come in un campo di 
                  forze altre significazioni. Questo campo di significazione è 
                  opaco, occulto. 
                  Ci sono altri elementi altrettanto importanti. Per esempio, 
                  ciò che Foucault chiama l'episteme – la 
                  struttura di base a partire dalla quale pensiamo – implica 
                  una serie di elementi di significazione, di teorie, concetti 
                  e pratiche, forme di pensare il mondo, che si fanno visibili 
                  quando le cerchiamo, ma non sono evidenti di per sé. 
                  Colui che pensa, pensa contro qualcosa. Se si pensa che sia 
                  necessario modificare la realtà sociale, la negazione 
                  logica di ciò che è permette l'insorgere di ciò 
                  che non è ancora, di ciò che diviene. È 
                  da qui che si sviluppa il pensiero. Nella struttura del soggetto, 
                  l'identità che il soggetto va acquisendo nel corso della 
                  vita, nel divenire della sua auto-costruzione costante, è 
                  l'alter, l'altro, l'altro collettivo, l'istituzione sociale, 
                  che apporta la materia di un simile processo. 
                  Le rappresentazioni, le idee, non sono inerti, vivono delle 
                  emozioni e delle passioni del soggetto, per questo il pensiero 
                  critico deve attaccare l'episteme della sua epoca, che 
                  funziona come una soglia di enunciazione, per così 
                  dire, o meglio come supporto o base a partire dal quale un discorso 
                  è udibile, comunicabile, capace di circolare collettivamente. 
                   
                  Claudio Albertani – In questo senso, come 
                  articoli l'impostazione di Castoriadis con l'anarchismo? 
                   
                  Eduardo Colombo – L'anarchismo, nell'epoca in cui 
                  viviamo, si trova sulla soglia della visibilità, lo si 
                  vede, ma non raggiunge il livello basilare di enunciazione: 
                  non viene ascoltato. Le sue idee centrali, antiautoritarie, 
                  sono estranee alla società gerarchica e il discorso anarchico 
                  non viene percepito correttamente perché, come accade 
                  con il trattamento psicoanalitico, tale discorso si scontra 
                  con i limiti strutturali del sistema, ma ora la lotta sociale 
                  esige la distruzione di questi ostacoli. Attualmente se voglio 
                  far passare le mie idee, devo ricorrere ai mezzi di comunicazione 
                  di massa. Bisogna arrendersi alle esigenze del mercato. Occorre 
                  essere in primo piano; bisogna farsi intervistare (come sto 
                  facendo io adesso) per uscire dall'anonimato. Non è importante 
                  l'anonimato delle persone, ma è importante quello delle 
                  idee. 
                  Le idee eterogenee rispetto al sistema gerarchico incontrano 
                  grandi difficoltà nel farsi ascoltare, perché, 
                  come dice il proverbio, non c'è peggior sordo di chi 
                  non vuol sentire. Nuove invenzioni hanno invaso le tecniche 
                  di comunicazione, in particolare Internet. In questo ambio la 
                  diffusione dell'anarchismo è enorme. È incredibile 
                  vedere la quantità di portali e pubblicazioni che popolano 
                  la rete, se li si paragona con l'occultamento e la deformazione 
                  patiti dal movimento anarchico nella seconda metà del 
                  secolo scorso. Ma permangono limitati a chi va a cercarli; non 
                  passano al livello pubblicitario. Se scrivo un libro, chi lo 
                  leggerà? Quelli che sanno che questo libro esiste e quelli 
                  che sanno che questo libro esiste sono quelli che per una ragione 
                  o per l'altra sono legati al movimento anarchico. In caso contrario, 
                  non ne conoscono l'esistenza, perché non essendo presente 
                  sul piano pubblicitario commerciale, questo tipo di libri non 
                  è visibile. Il tema centrale, ancora una volta, è 
                  come il soggetto può accedere all'autonomia quando è 
                  costretto a corrispondere a determinate condizioni che la società 
                  gli impone. La possibilità di pensare l'autonomia, o 
                  di essere autonomo, o anche di avere un progetto di autonomia, 
                  dipende dalla elaborazione individuale e collettiva di idee 
                  e pratiche che permettono di far proprio il nuovo, l'antigerarchico, 
                  le relazioni non autoritarie. Tutto ciò porta in direzione 
                  dell'autonomia. Nell'idea bakuniniana di libertà era 
                  già presente tale problematica. 
                  Nell'ultimo libro pubblicato qui a Parigi da Castoriadis su 
                  Tucidide c'è una pagina in cui si definisce la libertà 
                  in senso bakuniniano; benché il vincolo ideologico non 
                  sia esplicitato, è la relazione tra gli esseri umani 
                  ciò che fa emergere il valore di libertà. (9) 
                  È assurdo considerare la libertà come fa il principio 
                  liberale, che afferma che “la mia libertà finisce 
                  dove comincia la libertà dell'altro ”. È 
                  vero l'opposto: la libertà si dà nella relazione 
                  tra i soggetti. È qui che si creano le possibilità 
                  di essere liberi e di pensare liberamente. Bakunin lo dice con 
                  grande chiarezza: ci sono tre momenti della libertà. 
                  Il primo momento è puramente positivo: è la società 
                  umana il luogo in cui appare l'idea, il valore della libertà. 
                  Ma il secondo momento della libertà è la ribellione 
                  contro ciò che opprime. È il momento negativo: 
                  la ribellione contro lo Stato, contro il fantasma del divino 
                  o contro gli elementi che direttamente ci opprimono in qualsiasi 
                  situazione. Ma dietro a questo esiste un'altra ribellione, più 
                  profonda, che è la necessità di ribellarsi contro 
                  se stessi, vale a dire contro la società che si trova 
                  interiorizzata in noi. 
                   
                    Un'idea 
                  deve essere in movimento 
                   
                  Claudio Albertani – In Bakunin c'è 
                  già questo tipo di analisi psicologica? 
                   
                  Eduardo Colombo – Bakunin dice: “Nell'angolo 
                  più oscuro del cervello del più leale figlio del 
                  popolo dorme un poliziotto ”. Perché? Non perché 
                  la gente sia buona o cattiva. Tutti noi siamo socializzati in 
                  un tipo di società autoritaria ed è impossibile 
                  staccarsi totalmente da questa società quando ci si vive. 
                  Il secondo momento della ribellione, vale a dire il terzo della 
                  libertà, consiste nel ribellarsi contro se stessi, riuscire 
                  a pensare indipendentemente dai limiti nei quali ci siamo formati. 
                  Questo ha a che vedere con la critica della tradizione, la critica 
                  del nomos, la critica della norma, della legge. Per un 
                  anarchico, anche nella società più anarchica che 
                  si possa immaginare, esisterà sempre l'idea che un'altra 
                  società migliore sarà possibile. La società 
                  ideale è un impossibile, è immaginare una 
                  fine della storia, però l'ideale di un'altra società 
                  è ciò per cui bisogna battersi. Ibsen diceva che, 
                  nella lotta per la libertà, chi si ferma proclamando 
                  che l'ha raggiunta, dimostrerà proprio che l'ha perduta. 
                   
                  Rafael Miranda – È possibile una clinica 
                  impegnata in un progetto sociale? 
                   
                  Eduardo Colombo – Poco fa, ho tentato di evidenziare 
                  le contraddizioni della cura. La psicoanalisi può aiutare 
                  a svelare la realtà, mostrare molti aspetti che stanno 
                  a indicare l'autonomia, la liberazione sociale, ma con i limiti 
                  di cui abbiamo parlato. Forse Castoriadis non lo direbbe così. 
                  Il concetto castoriadiano di autonomia è che non esiste 
                  autonomia del soggetto se non esiste autonomia della società, 
                  per questo torniamo all'aspetto rivoluzionario. Perché 
                  il peggio che possa capitare con un'idea è che si ponga 
                  come una verità. Un'idea deve essere in movimento: senza 
                  passioni, la società non cambia. 
                   
                  Claudio Albertani e Rafael Miranda 
                
                   
                    Questa intervista è stata registrata a Parigi 
                        nell'aprile del 2011, nell'ambito delle attività 
                        preparatorie dell'Incontro internazionale annuale della 
                        Cátedra Interinsitucional Cornelius Castoriadis 
                        (http://vimeo.com/channels/formacionenalteridad#25056626) 
                        che si è svolto nella Casa de la Primera Imprenta 
                        de Américe, Città del Messico, il 5, 6 e 
                        7 ottobre 2011. 
                         
                        Il testo è stato rivisto e migliorato dallo 
                        stesso Colombo nel febbraio 2012. 
                         
                        Traduzione dal castigliano di Luisa Cortese. 
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                  Note
                
 
                  - Enrique Butelman (1917-1990), è stato docente di 
                    Storia della Psicologia, Psicologia sociale e Psicologia contemporanea 
                    nella Università di Buenos Aires. È stato cofondatore 
                    e direttore della casa editrice Paidos. 
                  
 - Enrique Pichon-Rivière (1907-1977). Medico psichiatra 
                    svizzero naturalizzato argentino, fu tra coloro che introdussero 
                    la psicoanalisi in Argentina. 
                  
 - La scuola di Palo Alto è basata sul lavoro di Gregory 
                    Bateson, sistematizzato e ampliato da Paul Watzlawick, a partire 
                    dai paradigmi imperniati sulla nozione di informazione e sui 
                    concetti derivanti dalla cibernetica. 
                  
 - Willy Baranger (1922-1994). Psicoanalista di origine francese, 
                    emigrò in Argentina dopo aver effettuato studi filosofici. 
                    Pubblicò varie opere di ispirazione kleiniana e si 
                    interessò in particolare all'opera di Jacques Lacan. 
                  
 - Si tratta del Quatrième Groupe, organisation psychanalytique 
                    de langue française. 
                  
 - George H. Mead (1863-1931). Psicologo sociale statunitense, 
                    teorico del primo behaviorismo, chiamato anche interazionismo 
                    simbolico, nell'ambito della scienza della comunicazione. 
                  
 - Si tratta del Colloquio di Cerisy sulla vita e l'opera di 
                    Castoriadis (1990). Cfr. http://vimeo.com/27681198. 
                  
 - Secondo Castoriadis, la monade è lo stato originario 
                    della psiche, anteriore all'introduzione della separazione 
                    che precede il processo di socializzazione. Lo schema che 
                    prevale nella monade è l'onnipotenza; rappresentare 
                    è realizzare immediatamente, e non ci sono distinzioni 
                    tra il sé e il tutto. Quando tale stato viene spezzato 
                    violentemente, la psiche trasferisce questo schema nell'altro 
                    che tutto può e che si trasforma nella fonte esclusiva 
                    del senso. In primo luogo la madre, il partito, la chiesa, 
                    la tecnica, la ragione, il mercato ecc. Il modo in cui lo 
                    stato monadico della psiche perdura nel corso della vita del 
                    soggetto si manifesta mediante la tendenza perenne alla negazione 
                    della alterità e il ricorso alla ripetizione contenuta 
                    in ogni identità rivendicata. 
                  
 - Cornelius Castoriadis, Ce qui fait la Grèce, 
                    t. 3: Thucydide, la force et le droit, “La couleur 
                    des idées ”, Seuil, Paris 2011. 
  
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