|  
                 
                     MEDITERRANEO. 4  
Il dolore sconosciuto del marinaio errante  
di Bruno Bigoni  
 
Creuza de Ma è il disco per eccellenza mediterraneo di Fabrizio De André. Venne concepito sulle acque del Mar Egeo, in un lungo viaggio per mare con Mauro Pagani. 
                     
                      Fabrizio è stato poeta 
                      della modernità, un innovatore e un difensore della 
                      parola nella sua accezione più alta. Non solo per la capacità 
                      di vedere nel deserto della nostra società la fragilità 
                      dell'uomo e le sue innumerevoli colpe, ma anche per essere 
                      riuscito ad avvertire e raccontare quella misteriosa bellezza 
                      che l'animo umano si porta dietro anche nei suoi momenti 
                      peggiori. 
                      La sua poesia mostra sempre la vita, anche quella più segreta, 
                      più nascosta. Questa sensibilità conduce a una grande 
                      acutezza nel saper guardare ciò che ci circonda e a una 
                      sapiente capacità a riprodurla senza falsarla. Non 
                      è un caso che la caratteristica fondamentale della 
                      poetica di De André sia la sua disciplina intellettuale 
                      e il pudore della sua coscienza artistica. Egli unisce in 
                      se genio poetico e intelligenza critica. Le sue idee sul 
                      procedimento di composizione e sul modo di cantare stanno 
                      alla stesso livello del suo cantare stesso e anzi in molti 
                      casi sono più avanzate. 
                      Creuza de ma, per esempio, è un disco, ma è 
                      anche un viaggio e molto altro. Dice Mauro Pagani: “All'inizio 
                      del lungo viaggio l'unica cosa che ci era chiara era che 
                      volevamo fare un viaggio a sud e a est. I primi pezzi furono 
                      scritti nella convinzione che sarebbero stati cantati in 
                      una lingua strana e da inventare, l'affascinante impasto 
                      di mille idiomi di un marinaio lontano da casa da troppo 
                      tempo, imbarcato da sempre su navi di ogni bandiera. Eravamo 
                      fortunati, l'idea era meravigliosa, ci offriva mille possibilità, 
                      inclusa però quella di perderci lontano, in una sorta di 
                      limbo letterario senza emozioni e senza identità.” 
                      Il viaggio si compie, soprattutto quello emozionale e di 
                      getto il disco prende forma, senza troppi rifacimenti, senza 
                      troppi cambiamenti. Dal 1984 in poi, la musica popolare 
                      italiana si trova a confrontarsi con qualcosa che non aveva 
                      mai visto prima e di cui neanche sognava l'esistenza. 
                      “Creuza de ma” è un disco compatto e 
                      solidissimo, attraversato da una venatura tematica che lo 
                      rende un organismo complesso. Si potrebbe addirittura parlare 
                      di un sistema. Le tematiche affrontate sono molte, ma riconducibili 
                      a una sola istanza: il viaggio. Si potrebbe vedere in questo 
                      una qual forma di limitatezza. Semplice apparenza, perché 
                      in verità si tratta di una nuova prospettiva, musicale 
                      e lessicale, di un'inedita intensità, che amplia 
                      e rafforza il tema centrale. 
                       
                        
                      Il sogno anarchico di un mondo migliore 
                     In qualche modo, questo disco, queste musiche e questi 
                      testi evidenziano la volontà di perfezione artistica 
                      (tanto cara a Fabrizio) poiché la precisione e l'acutezza 
                      di ciò che è espresso è garantita da una grande 
                      maturità artistica. Le poche canzoni di questo album 
                      così “sterminato”, si possono intendere come 
                      veicoli, varianti, metamorfosi di una tensione tra viaggio 
                      e immaginario. Questa tensione non si risolve, anzi si accentua 
                      divenendo dissonanza assoluta. Con la sua lirica mai scontata 
                      e priva di aggettivi definitivi, De André non cede mai “all'ebbrezza 
                      del suo cuore genovese”. Il suo lavoro di metodica 
                      costruzione di un'architettura linguistica non cede mai 
                      al sentimentalismo o al facile pietismo. Per esempio: più 
                      volte ha richiamato l'attenzione sul fatto che “creuza 
                      de ma” non vuole essere un semplice album, ma un tutto 
                      organico, con un principio, uno svolgimento articolato e 
                      una conclusione. Il disco presenta riflessioni sulla solitudine, 
                      sulla paralisi, sulla sensualità, sullo sdegno per 
                      la guerra, sull'immaginazione, sull'integrazione, sul desiderio 
                      di un'identità non trascurabile e non per ultimo 
                      il sogno anarchico di un mondo migliore.. Il tutto tenuto 
                      insieme da una meditata composizione linguistica che ne 
                      fa un album architettonicamente tra i più illuminanti della 
                      canzone moderna non solo italiana. 
                      Il fatto che Faber abbia dato al suo disco una tale costruzione, 
                      dimostra il suo definitivo distacco dal tardo romanticismo 
                      musicale italiano degli anni cinquanta e sessanta (e mai 
                      definitivamente archiviato) e da una necessità ispirativa 
                      che fosse prima di tutto innovativa, autosufficiente e affrontasse 
                      attraverso una nuova lingua, aspetti della nostra vita quotidiana. 
                      Questo album dimostra inoltre la parte che hanno nel suo 
                      poetare i valori formali. Pensiamo in questo caso all'uso 
                      del dialetto genovese. Il dialetto come lingua del popolo 
                      e di conseguenza l'unica parlabile, l'unica presentabile, 
                      l'unica autenticamente autentica. Questo uso del dialetto 
                      significa molto di più che ornamento, che conveniente eleganza. 
                      è il mezzo della salvazione, esasperatamente cercato 
                      in uno spazio creativo da sempre tormentato. I poeti hanno 
                      sempre saputo che il dolore si scioglie nel canto. è 
                      la coscienza della catarsi, della sofferenza mediante la 
                      sua trasformazione in una parola di forma elevata. In questo 
                      Fabrizio era maestro e non anche primo sperimentatore nel 
                      variegato panorama della canzone d'autore. Ma solo con questo 
                      disco, il dolore sconosciuto del marinaio errante diventò, 
                      per chi sapeva ascoltare, un dolore consapevole nel viaggio, 
                      nella solitudine, nell'abbandono. Quel senso di predestinazione 
                      e inevitabile caduta che i suoi personaggi si portano dietro, 
                      ultimi tra gli ultimi. Solo con lui, le forme con cui si 
                      modellano i sentimenti dei suoi personaggi divengono così 
                      chiar, nonostante entrino in continua dissonanza con i canoni 
                      della poesia moderna. 
                       
                      Fabrizio ha cantato spesso la bellezza. Ma nella sua lirica 
                      ella non è mai un fosforescente tramonto o un angelico 
                      sorriso. I suoi personaggi non sopportano più il concetto 
                      di antica bellezza. Fabrizio veste la sua bellezza di uno 
                      stimolo aggressivo, “dell'aroma del sorprendente”, 
                      direbbe Baudelaire. Perchè sia protetta dal banale, 
                      la nuova bellezza può anche coincidere con il brutto, con 
                      il bizzarro, mediante la fusione tra tragico e trasgressivo. 
                      In questa nuova rappresentazione che illumina il grande 
                      dolore che l'uomo porta con se, il mare interpreta un ruolo 
                      di prima grandezza. Luogo d'incontro e d'immaginari infiniti, 
                      dove la nostra vita riacquista un senso e una misura poiché 
                      finalmente si confronta con la natura e con le sue inesorabili 
                      leggi. Acqua come catarsi, acqua come misura della propria 
                      forza e dei propri limiti, acqua come i mille colori che 
                      investono il volti di quei marinai che passano l'esistenza 
                      in mare, acqua come l'unica forma di comunicazione tra popoli 
                      e culture, religioni e credenze. 
                       
                        
                      Come un sottile filo di seta 
                     Immagino che l'utilità di “Creuza de ma”, 
                      questo album così grande e al contempo così semplice, sia 
                      anche quella di servire a restituire al suo autore un po' 
                      di quella bellezza e di quella profondità che si 
                      cela dietro ogni suo personaggio, dietro ogni suo sogno, 
                      dietro ogni suo verso. Ascoltando le canzoni di “Creuza” 
                      sembra che la loro forza si infili dentro di noi, che quasi 
                      sfiguri il tessuto dell'anima e tale azione ci renda possibile 
                      addentrarci nelle profondità dell'animo umano, permettendoci 
                      così di riscoprire le radici della nostra comune appartenenza. 
                      Siamo tutti figli del mare Mediterraneo, tutti uomini e 
                      donne legati a un ricordo ancestrale che ci fa tutti fratelli, 
                      tutti nemici. 
                      Ciò che nelle tracce di questo disco possiamo ulteriormente 
                      scoprire è prima di tutto una “nuova lingua”, 
                      una “lingua universale”, per la quale è 
                      indifferente l'immediata comprensione. è talmente 
                      emozionante e fuorviante che il pericolo vero è perdersi 
                      dentro senza sapere più dove ci troviamo, se in Italia, 
                      o in Spagna o a Istanbul, in Palestina o a Genova. 
                      è un viaggio catartico, un compenetrarsi del sorprendente, 
                      dell'imperscrutabile umano, ripugnante ed estasiante. Fabrizio 
                      parla, scrive in musica un limpido canto, intensissimo ma 
                      sottile come un filo di seta, in cui è sempre esaltata 
                      la sofferenza che diventa semplice armonia. Quando la sua 
                      voce fa risuonare cose o esseri, c'è sempre un sottolineare 
                      lieve, che diventa ruggito che s' inserisce di sbieco nella 
                      canzone e nel canto: musica dissonante, unica nel suo genere 
                      per chi sa ascoltare e riconoscerne la modernità. 
                      Fabrizio ha lavorato assiduamente e trasversalmente a illustrarci 
                      nella sua opera la probabile esplosione del mondo, a ricordarci 
                      la solitudine dell'essere umano, la ridicola e pericolosa 
                      esibizione del potere. Tutto attraverso una straordinaria 
                      fantasia che fugge al banale e al luogo comune, attingendo 
                      a un ignoto che si infrange nel vissuto del poeta stesso. 
                      La poesia ha sempre avuto la libertà di spostare, 
                      riordinare il reale, accorciarlo allusivamente, demonizzarlo, 
                      allargandolo, rendendolo medium di un'interiorità, 
                      simbolo di una vasta condizione di vita. 
                      La realtà che De André canta costituisce il segno 
                      caotico che indica tanto l'insufficienza del reale, quanto 
                      l'irraggiungibilità dell'ignoto. è la dialettica 
                      della modernità, prerogativa di pochi scrittori, 
                      tomba di tanti presuntuosi. Bello e brutto non sono più 
                      valori, bensì stimoli opposti, come pure la differenza tra 
                      vero e falso. Del resto lo sapevamo già da tempo 
                      che lo scontato, il banale, o l'inutile, il luogo comune 
                      non sono mai appartenuti alla lingua di Fabrizio. 
                      
                      Bruno Bigoni 
                    
  |