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                 riflessioni 
                 
                  
                Corpi carichi di energia   L’impostazione 
                  teorica dell’attuale modello economico è basato 
                  sull’idea semplice che aumentando la produzione aumenta 
                  l’occupazione; questa condizione incrementa le disponibilità 
                  economiche della persone che così possono aumentare i 
                  propri consumi e quindi sostenere la produzione. 
                   Questa 
                  ipotesi ha funzionato nei paesi “occidentali” nei 
                  primi 25 anni del secondo dopoguerra quando centinaia di milioni 
                  di persone acquisivano quelle merci che non avevano (lavatrice, 
                  frigorifero, auto, etc). Oggi crescite di tale entità 
                  si riscontrano in quei paesi che, garantendo i massimi profitti 
                  a fronte di forti iniquità sociali ed enormi danni ambientali, 
                  esportano tante di quelle merci da inibire le produzioni locali 
                  e quindi aumentare la povertà dei paesi occidentali. 
                  Un vero boomerang che in tanti avevano anni fa già paventato. 
                  È comunque evidente che il modello stenta a funzionare 
                  quando la popolazione già dispone di una dotazione base 
                  di merci. L’uso delle innovazioni, la continua modificazione 
                  dei prodotti, le norme che impongono il cambio di strumenti 
                  funzionanti con altri di ultima generazione, la creazione di 
                  merci inutili che divengono indispensabili, la scadenza sui 
                  prodotti alimentari, il mono uso, la riduzione dei prezzi delle 
                  merci (anche a scapito della qualità), il martellamento 
                  della pubblicità tutto questo e molto altro non è 
                  sufficiente a reggere un modello economico che dovendo necessariamente 
                  crescere trova solo in quantità sempre più grandi 
                  ragione di esistenza. 
                  Ciò è evidente guardando gli Stati Uniti, dove 
                  si consuma il 40% dell’energia e delle risorse mondiali, 
                  dove enormi autoveicoli bruciano litri e litri di benzina, dove 
                  tutti i prodotti hanno una vita media minima, dove la quantità 
                  di rifiuti pro capite è la più elevata del mondo, 
                  dove vi è uno tra i più alti tassi di obesità; 
                  ebbene questo paese che controlla finanza ed economia di mezzo 
                  mondo che esporta prodotti di tutti i tipi non riesce a crescere 
                  quanto auspicato dal mercato. 
                  L’attuale modello economico non può realizzare 
                  quel benessere diffuso che teoricamente si propone di garantire. 
                  Del resto è semplice capirne le ragioni. La prima: contemporaneamente 
                  all’iper-produzione si è proceduto ad un aumento 
                  dell’automazione dei processi produttivi e quindi alla 
                  riduzione degli addetti; così facendo all’aumento 
                  della produzione da tempo non corrisponde l’aumento significativo 
                  e stabile dell’occupazione. La seconda: vi è stata 
                  una grande concentrazione delle produzioni, della gestione dei 
                  mercati, e quindi dei profitti, in pochi operatori. 
                  Tutto questo con uno spreco di energia e di risorse tanto spaventoso 
                  da mettere a rischio l’esistenza delle attuali condizioni 
                  del pianeta, spreco che non è un effetto collegato ma 
                  è proprio il motore del modello globale dei consumi: 
                  il non necessario, il non utile, il non consumato (non utilizzato 
                  completamente). 
                  Per migliorare la qualità della vita per raggiungere 
                  un benessere diffuso è necessario aumentare l’efficienza 
                  nell’uso delle merci: merci di maggiore qualità, 
                  di più lunga durata, che si possano effettivamente consumare 
                  (intendendo il massimo prolungamento del tempo tra produzione 
                  e rifiuto). 
                  Questa auspicata efficienza ridurrebbe imprescindibilmente la 
                  produzione industriale però consentirebbe la ripresa 
                  delle attività artigianali nella produzione e manutenzione 
                  di merci di uso quotidiano (dai vestiti alle finestre). 
                  Vi è una risorsa che nel nostro pianeta è abbondante, 
                  anzi in eccesso; una risorsa in continuo esponenziale aumento 
                  mentre tutte le altre sono in esaurimento: la quantità 
                  di individui della specie umana. 
                  Questa energia è sottoutilizzata: la sua riduzione è 
                  obiettivo di tutte le innovazioni dei processi produttivi industriali 
                  e la sua capacità è costretta in sequele di atti 
                  ripetitivi, sempre meno creativi e consapevoli (e non solo nei 
                  processi industriali). 
                  Bisognerebbe utilizzare questa energia, utilizzare il lavoro 
                  umano, affiancando alle produzioni industriali quelle di manutenzione 
                  e riparazione, riuso, riciclo recupero tutte attività 
                  che hanno bisogno di una grande quantità di manodopera. 
                  Bisognerebbe dare maggiore valore a quelle produzioni di qualità 
                  imprescindibilmente collegate all’artigianato ed all’azione 
                  tecnica svolgibile da ciascun individuo.  
                  Bisognerebbe in sintesi porre al centro del modello economico 
                  le attività umane, le comunità e la creatività 
                  consapevole che sono in grado di esprimere. 
                  Esattamente il contrario della direzione in cui si opera. Oggi 
                  infatti si investe energia per evitare di utilizzare l’energia 
                  degli individui e si accumula nei corpi umani energie poi sprecate. 
                  Così la popolazione di parte del pianeta ingerisce migliaia 
                  di proteine al giorno, superiori a quelle necessarie, crescendo 
                  in altezza e peso. Corpi carichi di energia inutilizzata che 
                  consumano enormi quantità di energia per muoversi (auto), 
                  per utilizzare la casa (elettrodomestici, automatismi, condizionatori), 
                  per “semplificare” le azioni quotidiane (ad es. 
                  cibi precotti), per svolgere qualunque funzione lavorativa e 
                  di diletto. 
                  Gli individui possono fare molto per cambiare questo pericolante 
                  e pericoloso modello; si può partire dal cambiamento 
                  dei comportamenti predisponendoci ad una maggiore utilizzazione 
                  degli oggetti, ad una riduzione degli sprechi, ad un uso più 
                  avveduto dell’energia umana. Ed insieme si possono praticare 
                  relazioni produttive e di uso degli oggetti basate sull’energia 
                  umana ed autonome da questo mercato inumano.  
                  
                 testimonianze 
                 
                  ‘aina, 
                ovvero la capacità di resistenza   
                 Con il termine ‘aina gli indigeni hawaiani 
                  indicano la terra. Essa per essere sacra non poteva essere posseduta 
                  dagli uomini, ma solo da essi utilizzata. Nella società 
                  hawaiana era dunque stato predisposto un sistema per distribuire 
                  le terre perché tutti potessero accedere liberamente 
                  alle risorse necessarie per il proprio sostentamento. 
                  Questa impostazione è andata avanti (vedi Notarangelo 
                  C., Gli indigeni hawaiani, Milano, 2000) fino al 1400 
                  quando a seguito di immigrazioni si affiancò un sistema 
                  gerarchico. La compresenza dei sistemi, comunitario e gerarchico 
                  con una prevalenza di quest’ultimo, andò avanti 
                  fino alla penetrazione del modello colonizzatore occidentale 
                  nel XIX secolo. Al contatto con questo modello il sistema gerarchico 
                  fu completamente destrutturato e sostituito dall’economia 
                  capitalistica; al contrario il sistema comunitario permanne 
                  ai margini dell’economia imposta nelle aree rurali. In 
                  esse si conserverà una modalità di esistenza che 
                  mantenne valori ed identità che divennero fondamento 
                  per i movimenti degli anni settanta dello scorso secolo. 
                  Ciò mostra una capacità di resistenza dei modelli 
                  non autoritari alle imposizioni e la capacità di organizzazione 
                  autonoma delle comunità anche sotto pressioni culturali 
                  ed economiche forti. 
                  
                  Guerre 
                Narrava A. Rochefort nell’ “Histoire naturelle 
                  et morale des iles Antilles” del 1658 nelle guerre intertribali 
                  che “lo scopo non era divenire padroni di nuova terra 
                  o conquistare bottino; l’unico fine era la gloria della 
                  vittoria e il piacere consistente nel vendicarsi sui nemici 
                  delle offese ricevute”. 
                  Le scorrerie erano parte del funzionamento di molti società 
                  di cacciatori-raccoglitori il mezzo principale per acquistare 
                  prestigio ed anche il sistema per controllare la crescita demografica. 
                  Gli Yanomamo popolo della Foresta Amazzonica intraprendevano 
                  frequentemente spedizioni “belliche” così 
                  come i popoli “nativi” del Nord-america 
                  Per i Lakota, abitanti delle grandi praterie nord americane, 
                  intraprendevano frequenti scorrerie per gloria e per vendetta 
                  individualmente o in piccoli gruppi di giovani, tant’è 
                  che Toro seduto a quaranta anni, i tempi di Little Big Horn, 
                  aveva smesso da un pezzo di praticarle. 
                  Il tutto molto diverso da quella guerra di popoli strutturata 
                  ed organizzata da interessi economici, imposta alle persone, 
                  subite dai civili che da millenni si pratica nel mondo agricolo 
                  e industriale. 
                  Tra i cacciatori raccoglitori il rischio connesso alle scorrerie 
                  era parte dell’esistenza, un’ebbrezza adrenalinica 
                  richiesta dal carattere degli individui, dall’aggressività 
                  giovanile, a cui le società rispondevano senza strumentalizzarla 
                  a interessi economici, senza trasporla in eventi sostenuti da 
                  ideologie e religioni, senza ammantarla di giustizia e verità, 
                  senza alcuna prosopopea di ragionevolezza. 
                  Per orgoglio e tigna la penna indiana (indicatrice dei “colpi” 
                  portati) assomiglia molto alla piuma (al pennacchio) di Cyrano. 
                 
                  
                                 
                osservazioni 
                sulla contemporaneità 
                 
                  Amare 
                gli animali    Sembra che durante le 
                  festività di fine anno in Italia siano stati regalati 
                  30.000 animali. 
                  Io cerco di rispettare gli animali opero per mantenere i loro 
                  habitat, per mantenere la loro autonomia dalla specie umana 
                  che ritengo essere l’unica garanzia della loro sopravvivenza. 
                  Cercherei di evitare di regalare animali domestici. 
                  Spesso la specie umana ama un animale di altra specie accarezzandolo, 
                  coccolandolo, nutrendolo, passeggiandolo ed in questo lo costringe 
                  ad una intimità così forte che risulterebbe insopportabile 
                  anche per altri individui della sua stessa specie. Così 
                  gli toglie quella autonomia fondamentale per mantenere la propria 
                  identità, per non divenire “balocco” degli 
                  uomini, per non dipendere da essi in maniera inscindibile. 
                  L’argomento è delicato perché si può 
                  voler bene profondamente ad un animale ed il rapporto con esso 
                  può essere piacevole, utile, in molti casi indispensabile. 
                  Però al di fuori di questi casi sarebbe bene che quando 
                  si parla di animali non si parlasse di animali in cattività, 
                  non si parlasse di succubi della nostra volontà, di animali 
                  capaci di adattarsi ad una modalità (il solo fatto che 
                  gli facciamo passare più tempo con noi che con i loro 
                  simili è aberrante) e a degli spazi di vita che spesso 
                  sono insostenibili anche per gli umani (si pensi alle città: 
                  inquinamento, scarsezza del verde, appartamenti senza luce, 
                  aria, paesaggio). 
                  Il fatto che poi vengano abbandonati, che siano maltrattati 
                  è l’aberrazione che scaturisce anche da un fraintendimento: 
                  che gli animali siano a nostra disposizione, a disposizione 
                  dei nostri desideri, che essi anelino al rapporto con gli uomini. 
                  Questa è una presunzione offensiva nei confronti delle 
                  altre specie. 
                  Ridurre gli animali alla funzione, ad essi imposta, di nostri 
                  compagni, anche quando si trattasse di animali domestici, è 
                  una fallace impostazione dei rapporti con gli altri abitanti 
                  del pianeta è una cattiva educazione per i bimbi e ragazzi 
                  che vedono negli animali comportamenti e reazioni umane (anche 
                  aiutati dai cartoni e dai documentari) e quindi esseri prossimi 
                  nei comportamenti e nelle aspirazioni. 
                  Ma questo non è vero; delle migliaia di specie animali 
                  di cui il pianeta è pieno (e cerchiamo di mantenerlo 
                  pieno) la convivenza è basata sulla autonomia delle stesse 
                  e quindi sulla conservazione degli spazi, diritto di ciascuna 
                  specie, sulla possibilità che ciascuna di esse abbia 
                  accesso diretto alle risorse. 
                  Se volessimo davvero bene agli animali dovremmo conservare i 
                  loro habitat, godremmo della loro autonomia e della possibilità 
                  di incontrarci ciascuno con la propria definita identità. 
                   
                  Nevica 
                  2012 
                 Incredibile. 
                  Evento eccezionale. Tutta l’Italia centrale ferma. Bloccati. 
                  È vero; per un modello di mobilità che regge male 
                  la pioggia la neve è effettivamente una iattura insostenibile. 
                  Eppure… 
                  Parliamo di eccezionalità. 
                  A Roma vi è stata una nevicata simile per dimensione 
                  nel 1985, quindi ventisette anni nel corso dei quali però 
                  ha nevicato almeno altre tre volte in quantità minore 
                  ma con effetti simili. Si può definire eccezionale un 
                  evento che si manifesta ogni venticinque anni (più altre 
                  in maniera meno significativa) e quindi solo dal momento della 
                  presenza di una città sul Palatino molto più di 
                  duecento volte. 
                  Se questo avviene per un territorio di bassa collina vicino 
                  al mare si può immaginare cosa possa avvenire altrove. 
                  Del resto basta ascoltare i racconti delle persone anziane dei 
                  paesi appenninici per avere resoconti di nevicate di metri e 
                  metri di altezza e mesi e mesi di permanenza. 
                  Quindi bisogna farsene una ragione: sono centinaia di migliaia 
                  di anni che nevica ed è possibile che nonostante i cambiamenti 
                  climatici ci toccherà ancora e comunque se non sarà 
                  la neve saranno piogge irruenti e caldo (ambedue incentivate 
                  dai nostri cattivi comportamenti). 
                  Non sarà forse che l’aggettivo “eccezionale” 
                  lo applichiamo a tutti gli eventi che non governiamo e quindi 
                  prima di tutto agli eventi naturali? 
                  Allora, non potendo essere la nevicata in se un problema in 
                  quanto elemento caratteristico del clima sul pianeta e di molti 
                  nostri territori, il problema è come noi ci relazioniamo 
                  all’evento. 
                  Due considerazioni. 
                  La prima. Vorremmo fare le stesse cose nelle medesime maniere 
                  sempre, in qualunque condizioni ed in ogni luogo e questo non 
                  solo non è possibile ma è una presunzione che 
                  non fa onore all’intelligenza del genere umano.  
                  Parliamo con gli anziani di nuovo. Quando nevicava lavori sospesi, 
                  spostamenti sospesi, tutti in casa al caldo ad aspettare. Nulla 
                  di male. Il male è quando vogliamo muoverci velocemente. 
                  Bisognerebbe invece garantire al meglio i servizi primari (acqua, 
                  luce, accesso all’alimentazione, etc), il supporto (medici, 
                  assistenza, etc), una mobilità base e poi fermarsi e 
                  aspettare. 
                  La seconda. Il modello di vita diffusamente praticato implica 
                  che tutto il tempo disponibile è occupato da azioni frequenti, 
                  intense, frenetiche. 
                  Ciò vuol dire che, muovendosi ai limiti delle disponibilità 
                  spazio temporali, basta una piccola contrarietà che non 
                  si ha tempo di rimediare se non stressando ulteriormente le 
                  successive attività. Per permettere questa intensità 
                  si complica il sistema di produzione, distribuzione, consumo 
                  ed anche quello delle relazioni improduttive; il sistema più 
                  complesso è più delicato perché maggiore 
                  è il numero delle variabili che debbono funzionare contemporaneamente 
                  necessarie a garantire il funzionamento.  
                  Basta una pioggia intensa, l’aumento di un carburante, 
                  un incidente su di una strada, per inceppare il meccanismo. 
                  Figuriamoci una nevicata. 
                  Ma se ci ostiniamo a pretendere che tutto si adatti alle nostre 
                  immotivate pretese tra poco sarà una leggera brezza serale 
                  che ci manderà in collasso.  
                  
                                 
                immagini dalla contemporaneità
                 
                   
                     
                  Un designer ecologico  
                Il ragazzo che porta con la testa due taniche di plastica legate 
                  piene di acqua è un vero designer: ha composto un oggetto 
                  funzionale, leggero, economico, ergonomico (l’adattamento 
                  delle taniche alla forma del capo) e anche ambientalmente corretto 
                  (recupera un rifiuto e lo riusa in altra forma). 
                  Siamo in presenza di una situazione di estrema povertà 
                  ma anche di un’innovazione molto evoluta che rispetta 
                  tutti i termini sociali, ambientali e produttivi che dovrebbero 
                  caratterizzare le innovazioni. I risolutori dei problemi non 
                  si trovano esclusivamente tra i produttori di merci, tra gli 
                  innovatori tecnologici, tra i ricercatori dell’industria. 
                   
                  Molto di quanto si opera per stare meglio è direttamente 
                  connesso alla creatività e le capacità tecniche 
                  degli individui e delle comunità. Molto di quello che 
                  possiamo fare per fare stare meglio l’intera umanità 
                  è nel sostenere l’autonomia, l’identità, 
                  la creatività tecnica degli individui e delle comunità 
                  non soffocandoli con modelli culturali e operativi prefabbricati. 
                  
                   
                  Mestieri 
                 Molti erano i mestieri: diversi per luoghi, per cultura, per 
                  modalità e strumentazioni. Gli oggetti prodotti erano 
                  parte integrante della vita di tutta la comunità: per 
                  chi li costruiva, per chi li utilizzava, per chi vedeva gli 
                  artigiani al lavoro. 
                  
                 Ogni mestiere aveva la propria gestualità, un vocabolario, 
                  un linguaggio, un luogo conformati sulle modalità produttive, 
                  sulle strumentazioni, sui materiali. 
                  L’insieme di questi caratteri arricchiva la comunità 
                  con una cultura concreta specifica. Oggi la produzione è 
                  delegata a luoghi ignoti fuori della collettività (capannoni 
                  chiusi) in cui non vi è maestria, dove i processi produttivi 
                  industrializzati sono sempre uguali a se stessi, dove vi è 
                  una manualità alienata alle macchine e dove anche gli 
                  oggetti fabbricati sono sempre tanto simili a se stessi. 
                  Ai “non luoghi” sono connessi i “non oggetti”, 
                  i “non mestieri”, le “non comunità” 
                  perché tutti sono il prodotto del medesimo modello. 
                  
                  Adriano Paolella 
                
                
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